Già i Romani dell`età repubblicana e dell`inizio di

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Già i Romani dell`età repubblicana e dell`inizio di
Già i Romani dell’età repubblicana e dell’inizio di quella imperiale avevano dimostrato magistrale
perizia ippotecnica coniugando in modo soddisfacente l’esercizio atavico della transumanza con la
pratica di avveduti incroci e meticciamenti.
Si può, pertanto, fare riferimento ad un cavallo romano antico - suscettibile di continua evoluzione
morfologica ed attitudinale mediante scambi di sangue con le migliori produzioni ippiche delle
regioni geografiche via via assoggettate al dominio di Roma.
Sua peculiare caratteristica fu il profilo convesso (montonino) del naso, oggi definito anche, in
inglese, Roman nose. Tale cavallo, sopravvissuto alla caduta dell’Impero romano di Occidente (476
dopo Cristo), ha trasmesso la più gran parte della propria eredità genetica alla razza romana.
Di particolare importanza fu, tra il XII ed il XIII secolo, l’introduzione di cavalli leggeri e veloci da
utilizzare nella caccia con il falcone, di cui fu famoso cultore Federico II di Svevia. Alla sua passione
per l’allevamento equino fu dovuto il rifiorire, nel Sud della nostra penisola, di un’ippicoltura basata
su criteri simili a quelli che ne avevano permesso il grandioso sviluppo in epoca romana. Da un saggio
di Franco Porsia “I cavalli del re”, apprendiamo non solo che i cavalli dell’imperatore erano i migliori
dell’epoca, tanto che, considerati arma strategica, ne era assolutamente proibita l’esportazione dal
Regno pena punizioni gravissime, ma anche che egli aveva proprio in Murgia ben tre allevamenti. Di
più: nel suo celeberrimo trattato De Arte venandi cum Avibus, l’imperatore dà una descrizione dei
requisiti del cavallo da falconeria che calzano come un guanto sul murgese, il quale infatti si adatta
senza problemi a quella nobile caccia, come è stato scoperto recentemente.
Anche lo scudiero dell’imperatore, il nobile Giordano Ruffo, nel suo De Medicina Equorum
verosimilmente scritto su istigazione di Federico, elenca le caratteristiche fisiche del cavallo ideale:
esse, compreso il posteriore più alto del garrese, sono esattamente quelle del murgese odierno.
Purtroppo né Federico né Giordano fanno alcun riferimento al colore del mantello probabilmente
perché ai due, giustamente, interessava la funzione e non l’estetica del cavallo, per cui il colore non
era un fatto degno di nota (ma si sa che la cavalcatura più amata dall’imperatore era Draco, uno
stallone morello). A proposito del mantello esiste una testimonianza ufficiale trecentesca della
presenza anche allora dominante di cavalli morelli nella Murgia. Si tratta del testamento della vedova
di Sparano da Bari: due terzi dei suoi 30 cavalli a Altamura hanno pilum maurellum.
Tra 1400 e 1500 tocca alla repubblica di Venezia allevare, sempre nella Murgia, i suoi migliori cavalli
(la masseria della Serenissima, in agro di Monopoli, si chiama ancora “la Cavallerizza”). Nel 1600 la
corte di Madrid, la più importante d’Europa ma le cui razze erano in decadenza da oltre un secolo, fa
acquisti di stalloni murgesi.
Nel 1700 la corte più importante è quella di Vienna, ed anch’essa, per la sua Scuola spagnola
d’equitazione, si procura stalloni murgesi, da due dei quali, Napolitano e Conversano, discenderanno le
due famiglie più importanti della razza di Lipizza, a sua volta la razza più famosa e celebrata.
Nel tardo Medioevo, ebbero spicco le ottime doti ed il buon mercato dei cavalli del Reame di Napoli,
assai apprezzati anche negli stati vicini, sia al tempo degli Angioini, sia al tempo degli Aragonesi.
San Giorge, cavallo da guerra napolitano, retracto de
naturale in una sala del castello di Venafro, nel 1521.
Questo soggetto fu mandato all’imperatore Carlo V da
Enrico Pandone, duca di Bojano, nel 1522.
(Foto Marco Fraddosio) - (Da G. M. Fraddosio, Il cavallo
del Sud, Roma, 2001)
Il termine corsiero (o corsiere) designava, tra la fine del Medio Evo e l'inizio dell'Età Moderna, il cavallo
da combattimento, la cui andatura più veloce (il corso, cioè il galoppo) lo differenziava dal portante,
ossia dall'ambiatore usato prevalentemente per lunghi e comodi trasferimenti in sella: era, insomma,
il nome funzionale della razza.
L'aggettivo napolitano ne indicava l'origine geografica, non limitata esclusivamente a Napoli e
dintorni ma estesa, fino al 1860, all'intero Regno di Napoli, comprendente parti delle odierne
province di Rieti, di Frosinone e di Latina, nonché gli attuali Abruzzo, Molise, Puglia, Campania,
Basilicata e Calabria.
Corsiero napolitano dunque, in quanto cavallo storico allevato, principalmente per la guerra, in
tutto il Regno di Napoli e da qui esportato, anche come miglioratore, verso il resto dell'Italia e
dell'Europa.
Oltre alla lipizzana, furono migliorate in età barocca, mediante l’impiego di cavalli padri (stalloni) e di
cavalle di corpo (fattrici) napolitani, le razze germaniche di Hannover, Holstein, Oldenburg, Trakehnen
e Württemberg, l’olandese del Gelderland, la danese di Frederiksborg e la boema di Kladruby.
Nella Relazione delle persone, governo e Stati di Carlo V e di Filippo II, letta nel Senato della Repubblica di
Venezia, nel 1557, dall’ambasciatore Federico Badoero, i cavalli napolitani furono definiti non vaghi
come li giannetti, ma più belli che li frisoni, forti e coraggiosi…
Immagine di cavallo napolitano
(da G. S. Winter de Adlersflügel,
Trattato nuovo e aumentato del far la
razza di cavalli, Nuremberg, 1687)
Stallone napolitano in una stampa francese del XVIII
secolo
Dunque, le razze cavalline di Terra di Bari (in special modo, quella dei Conti di Conversano) e di
Terra d’Otranto (in particolare, quella dei duchi di Martina) furono determinanti, sia per qualità sia
per quantità, nella formazione della razza napolitana.
D'altronde, la continua richiesta di capi nati in quegli allevamenti stimolava le famiglie della nobiltà
regnicola ad una sana emulazione in un’attività d’importanza primaria, e per il suo significato
economico, e per quello culturale, giacché il grado di civiltà di una nazione risultava anche dalla
bontà delle sue produzioni zootecniche e principalmente di quelle equine.
Il profilo montonino - tipico del Corsiero Napolitano - della
testa dello stallone Durante in una stampa inglese dei
primi anni del XIX secolo
(Foto G. M. Fraddosio)
Durante il loro lungo dominio sull’Italia del Sud (dal 1734 al 1860, escluso il decennio
napoleonico), i Borbone di Napoli mantennero loro proprie reali razze di cavalli a Carditello, in Terra
di Lavoro, ed a Persano, in Principato Citra (entrambe dal 1750, circa, al 1860), a Ficuzza, in Sicilia,
(dal 1799 al 1834) ed a Tressanti, in Capitanata, (dal 1815 al 1838 e dal 1850, circa, al 1860).
Dopo il 1860, l'allevamento del cavallo napolitano subì il durissimo contraccolpo della violenta
annessione delle province borboniche da parte della monarchia savoiarda e fu quindi destinato ad un
rapido degrado per effetto di scelte di politica economica tanto più insensate in quanto via via più
nocive alla reputazione del nostro paese in campo ippotecnico.
E sono proprio i Piemontesi che sperimentano, loro malgrado, la qualità dei cavalli della Murgia. Nel
1864 avevano istituito una commissione parlamentare d’inchiesta per indagare sui motivi per cui
l’esercito piemontese, uno dei più efficienti d’Europa, si era dimostrato incapace di domare il
brigantaggio meridionale. In realtà si era trattato di una rivolta popolare esplosa nel 1860, che assunse
subito l’aspetto di una guerra coloniale da parte dei Piemontesi e partigiana da parte dei Meridionali:
in 5-6 anni, 5000 furono i briganti uccisi, (i Savoia non si distinsero a questo proposito dagli
imperatori romani), mentre le perdite dell’esercito piemontese, che raggiunse i 160.000 effettivi, non
sono mai state rese note (si parla di un numero di morti superiore a quello delle tre guerre
d’indipendenza messe insieme). Comunque fu davanti a quella commissione che il colonnello
Chevilly dichiarò che “la cavalleria risultava inutilizzabile nei boschi, sui monti e in generale su tutti i terreni
fortemente accidentati dove ugualmente i briganti avventuravano le loro cavalcature”. Ed è chiaro che si
riferisse soprattutto alla Basilicata ed alla Puglia dove le bande, a differenza delle altre regioni, erano
tutte montate.
Per la precisione il brigante più famoso e agguerrito, l’unico rimasto imbattuto, Carmine Donatelli
detto Crocco, nato a Rionero in Vulture (PZ), operò nel nord della Lucania e nel nord della Puglia,
dove razziava i cavalli per la sua banda (anche 3000 armati tutti montati). La qualità di quei cavalli è
documentata da un testimone al disopra di ogni sospetto, Gaetano Negri, nobile milanese, ex
garibaldino e ufficiale della cavalleria piemontese durante la repressione del brigantaggio e alla fine
sindaco di Milano, che assai di controvoglia dovette ammettere, a proposito di Crocco e della sua
banda: “Uomini discretamente coraggiosi, montati su eccellenti cavalli”.
La realizzazione di un complesso e documentato programma zootecnico per il recupero genealogico e
morfologico del Corsiero Napolitano (CN) è stata avviata nel 2004 con l’individuazione, in alcune
popolazioni cavalline dell’Italia meridionale continentale, di linee di sangue risalenti a capostipiti di
origine autoctona, da incrociare con linee generazionali estere insanguate - soprattutto nei secoli
XVII e XVIII - da riproduttori napolitani.
Le razze/popolazioni equine da impiegare durante l’attuazione di tale programma sono:
quella delle Murge lungo il filo genealogico Nerone-Conte di Conversano, da incrementare il
più possibile, anche in consanguineità controllata;
quella di Esperia, già denominata ciociara;
quella del Pentro, già detta di Montenero Val Cocchiara;
quelle di Persano e Salernitana;
quella Lipizzana, con riferimento esclusivo alle famiglie Conversano, Maestoso e Neapolitano.
Lo stallone Paisiello 75/1999
(selezionato da Franco Serio), primo
riproduttore murgese della linea
Nerone-Conte di Conversano utilizzato
per il recupero genealogico e
morfologico del Corsiero Napolitano
Conversano (CNC)
(Foto Fabio Silvestre)
Il Cavallo della Murgia fa parte quindi della più grande famiglia del Cavallo Napolitano, per secoli il
cavallo più famoso d’Europa.
Fattrice delle Murge
(Da Michele De Mauro, Il cavallo
delle Murge nei riguardi della sua
origine e
della presente sua costituzione
morfologica, in Risveglio agricolo,
Taranto, 1928, a. I, n. 11, p. 419)
Tra il 1926 ed il 1927, su proposta del dott. De Mauro, medico veterinario del Deposito stalloni di
Foggia, fu scelto un primo gruppo di fattrici nate nelle Murge e di due riproduttori, uno dei quali (il
morello Nerone) sarebbe diventato il principale capostipite della razza di cui si tratta.
Nerone (1924-1946)
(Dalla pubblicazione: Rassegna Ippica del
Decennale - Roma, 1934)
Ad ulteriore conferma dell’alta considerazione in cui tale capostipite era tenuto valga il seguente
brano tratto da un saggio dell’autorevole agronomo Luigi Croce, intitolato Il Problema zootecnico del
Mezzogiorno agrario continentale (Melfi, 1930):
Il Deposito cavalli stalloni di Foggia ha infatti, sin dal 1927, destinato alla monta per le cavalle selezionate
di Martina Franca lo stallone Nerone, la cui origine risale alla razza del Conte di Conversano. E ciò molto
opportunamente, in quanto il cavallo delle Murge ha veramente pregi notevolissimi; e se il centro dell’allevamento
è ristretto, i caratteri di tale razza si riscontrano in tutta la popolazione equina delle Murge stesse,
particolarmente adatta ed adibita al tiro di carretti, che sposta con carichi di 6 a 7 q.li per capo attaccato, su
lunghi percorsi, ad andatura sostenuta.
Da Nerone discesero, in prima generazione, i seguenti stalloni erariali morelli:
Angelo (da Nerone e Montagnola, da Barone II e Cocò), nato nel 1928;
Discolo (da Nerone e Peppinella del signor Martino Schiavone), nato nel 1931;
Conte di Conversano, già Davide I (da Nerone e Peppina del signor Giovanni Simeone), nato
da parto gemellare nel 1931.
Conte di Conversano (1931-1952)
(Dalla pubblicazione: Rassegna Ippica del
Decennale - Roma, 1934)
In tutta Italia andavano manifestandosi nuove tendenze nella selezione ippica, dopo l’emanazione, da
parte del governo fascista, della legge organica 29 Giugno 1930, n. 1366, mirante ad imprimere
uniformità di caratteri e di tipo alla produzione delle diverse zone ippiche, sulla base di indirizzi razionali e
costanti, preventivamente tracciati (come poi, nel Giugno del 1934, sarebbe stato scritto dal ministro
dell’agricoltura e delle foreste Giacomo Acerbo nella presentazione del repertorio fotografico relativo
alla Rassegna ippica del Decennale svoltasi a Roma nell’ Ottobre del 1932).
Per effetto di tale provvedimento, nella circoscrizione ippica di Foggia (comprendente non solo la
Puglia bensì anche il Molise e l’Abruzzo) furono riconosciute come produzioni cavalline tipiche quella
delle Murge, o Murgese - indigena, già in selezione entro razza dal 1926 al 1930 - e, nella Piana di
Foggia, la Pugliese migliorata o, più semplicemente, Pugliese.
Fra il 1933 ed il 1934 - poco tempo dopo il riconoscimento della personalità giuridica dei Depositi
cavalli stalloni, sotto la vigilanza del Ministero dell’agricoltura e delle foreste, e la piena entrata in
funzione della grandiosa e prestigiosa sede pugliese - il Deposito cavalli stalloni di Foggia acquisì i
seguenti riproduttori:
Granduca da Martina (morello, da ascendenti sconosciuti), nato nel 1919, acquistato dal
Deposito cavalli stalloni di Foggia nel 1933;
Barone delle Murge (morello, da ascendenti sconosciuti);
Araldo delle Murge (morello, da ascendenti sconosciuti), nato nel 1928, acquistato dal
Deposito cavalli stalloni di Foggia nel 1934.
Di tali tre soggetti, due (Granduca da Martina ed Araldo delle Murge) sono oggi considerati
importanti capostipiti, pur risultando di ascendenze sconosciute. Il primo, nato nel 1919, fu
acquistato nel 1933 al prezzo di 2.750 lire; misurava al garrese metri 1,56, al torace metri 1,87,
allo stinco metri 0,21; fu impiegato dal 1933 al 1944. Il secondo, nato nel 1928, fu acquistato nel
1934; misurava al garrese metri 1,57, al torace metri 1,80, allo stinco metri 0,21; fu utilizzato dal
1935 al 1947.
Nelle fotografie del tempo, Granduca da Martina appare più distinto ed elegante di Araldo delle
Murge e sembra ricalcare il modello del carrozziere anglo-normanno.
Negli anni seguenti, fino al 1945, l’indirizzo impresso dal Deposito cavalli stalloni di Foggia alla
selezione della razza delle Murge fu volto ad un progressivo avvicinamento di questa - tanto nella
morfologia quanto nelle attitudini - alla Pugliese del Tavoliere, affinché entrambe potessero
concorrere, con quelle della Maremma e della Piana di Salerno, al soddisfacimento della domanda
nazionale di cavalli da sella e da tiro per la rimonta del reggimento a cavallo dell’Arma dei carabinieri,
dei vari reggimenti (dragoni, lancieri e cavalleggeri) dell’Arma di cavalleria, delle batterie ippotrainate
dell’Arma di artiglieria, nonché per l’approvvigionamento di muli portacarichi da parte delle brigate
alpine.
Con il definitivo passaggio alla Regione Puglia delle competenze in materia zootecnica, la razza
Murgese, pur attraversando fasi alterne dipendenti per lo più da particolari contingenze economiche,
ha tuttavia goduto di sempre maggiore notorietà, prima in Italia e poi nel resto d’Europa, grazie alla
dedizione ed alla professionalità indiscutibili dei dirigenti e del personale dell’Istituto incremento
ippico di Foggia (attualmente denominato Ufficio incremento ippico di Taranto e Foggia, in seno
all’Assessorato regionale alle risorse agroalimentari), alla passione ed alla competenza ippotecnica
della maggior parte degli allevatori, nonché all’entusiasmo ed alla serietà di pochi studiosi e ricercatori
che hanno voluto impegnarsi, gratuitamente, nello svolgimento di sempre più approfondite indagini
di carattere storico e genealogico sul passato della razza stessa.
Oggi, sono ben rappresentate - sia nelle scuderie regionali foggiane, sia in varie aziende zootecniche
sparse per la Puglia, Basilicata e per il resto del nostro paese - le tre linee genealogiche maschili
(Nerone, Granduca da Martina ed Araldo delle Murge), la prima delle quali è oggetto di attente cure,
nella prospettiva di una più efficace azione di recupero del patrimonio genetico tipico dell’area
murgiana, storicamente assai rilevante perché legato alla selezione, nei secoli dal XV al XVIII, del
famoso cavallo Corsiero Napolitano nella sua varietà Conversano (CNC).
L’opportuno rafforzamento del filo genealogico Lentino-Nerone-Conte di Conversano viene
perseguito dalla Regione Puglia, dal Corpo forestale dello Stato e da privati allevatori, attraverso
l’impiego di un numero crescente di stalloni ad esso appartenenti.
Testo tratto da:
“Il Cavallo delle Murge” di Giuseppe Maria Fraddosio”
“Il Murgese, una storia Italiana” di Mauro Aurigi.