Perché in Italia non si fanno film per bambini?
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Perché in Italia non si fanno film per bambini?
dicembre 2014 numero 5,50 € anno ii 18 o m a si i cu in ia r to a u d a r g Un’altra tra gli ultimi in Europa. o n n a f i s n o n ia l ta I Perché in film per bambini? INNOVAZIONI Cos'è nuovo e cos'è vecchio nel cinema italiano INNOVAZIONI II Un caso di crowdfunding riuscito: Io sto con la sposa FOCUS Il cinema in Georgia ANTROPOLOGIE Fenomenologia del cine-imbucato LA DIREZIONE E LA REDAZIONE DI 8½ RINGRAZIANO TUTTI COLORO CHE NEL 2014 HANNO COLLABORATO ALLA REALIZZAZIONE DELLA RIVISTA: Alberto Abruzzese Silvana Annicchiarico Michele Anselmi Mino Argentieri Rafael Avina Agnese Baroni Giulio Base Giuseppe Battiston Luca Bernabé Irene Bignardi Alice Bonetti Tiziano Bonini Matteo Bittanti Andrea Branzi Fausto Brizzi Alberto Brumana Massimo Bubola Enrico Bufalini Maria Buratti Giulio Bursi Fulvia Caprara Valerio Caprara Massimo Cellario Francesca Cereda Roberto Cicutto Andrea Corrado Nello Correale Giancarlo Concetti Antonio Costa Silvia Costa Oscar Cosulich Francesca Cualbu Silvo Danese Flavio De Bernardinis Laura Delli Colli Ivano De Matteo Piera Detassis Adriano D’Aloia Gabriele D’Autilia Carlo Di Carlo Domenico Dinoia Giorgio Diritti Federica D’Urso Jan Pieter Ekker Roberto Faenza Luisella Farinotti Davide Ferrario Aldo Fittante Michelangelo Frammartino Jean-Michel Frodon Leonardo Gandini Vanni Gandolfo Chiara Gelato Iole Maria Giannattasio Mimmo Gianneri Sara Giudice Marco Giusti Giorgio Gosetti Michele Gottardi Michela Greco Francesco Grisi Paolo Guerriero Angelo Guglielmi Viviana Guglielmi Damiano Gulli Asgeir H Ingolfsson Giulio Iacchetti Felice Laudadio Ernesto G. Laura Ugo La Pietra Andrea Lavagnini Paolo Lipari Luca Lucini Enrico Magrelli Carmelo Marabello Andrea Mariani Marianna Martinoni Armando Massarenti Luca Mastrantonio Mario Mazzetti Francesca Medolago Albani Marco Mele Stefania Miccolis Riccardo Milani Fabio Mollo Francesca Monti Franco Montini Andrea Minuz Serafino Murri Enzo Natta Valentina Neri Ugo Nespolo Katia Nobbio Fabio Novembre Gennaro Nunziante Lela Ochiauri Valerio Orsolini Stefano Padoan Marco Lucio Papaleo Alberto Pasquale Mattia Pasquini Susanna Pellis Gaetano Pesce Simona Pezzano Alberto Pezzotta Francesco Piccolo Giovanni Marco Piemontese Andrea Piersanti Paolo Pizzato Maurizio Porro Angela Prudenzi Roberto Pugliese Costanza Quatriglio Luca Raffaelli Ilaria Ravarino Rossella Rinaldi Stefano Rolando Paolo Ruffini Pier Luigi Sacco Severino Salvemini Gida Salvino Sara Sagrati Roberto Semprebene Maurizio Sciarra Roland Sejco Roberto Silvestri Barbara Sorrentini Vincenzo Spadafora Micaela Taroni Bruno Torri Federica Villa Elisa Vinai SENZA DIMENTICARE COLLEGHI E AMICI DELLA DIREZIONE GENERALE CINEMA, LUCE-CINECITTÀ E ANICA CHE HANNO AGEVOLATO IL NOSTRO LAVORO CON PAZIENZA E SIMPATIA. EDITORIALE diGianni Canova “Scolastico”. E se anche fosse…? S ono già più di un milione gli italiani che hanno pagato un biglietto per andare al cinema a vederlo. Ben oltre i 4 milioni di euro gli incassi de Il giovane favoloso al momento in cui scrivo queste righe. Non ci avrebbe scommesso nessuno. Non ci credeva nessuno. Almeno: nessuno di coloro che spesso decidono le sorti produttive del cinema italiano senza prima essersi interrogati davvero, in profondità, sul sentire comune del Paese, sui bisogni latenti, sulle attese nascoste, sui miti (pochi, certo, ma reali…) in cui gli italiani si ritrovano. Giacomo Leopardi è uno di questi miti. Uno di quei pochi autori che sui banchi di scuola hanno acceso il cuore di tutti noi quando eravamo adolescenti e - come il favoloso Giacomo - eravamo ancora capaci di palpiti e di fremiti. Di visioni. Ora non lo siamo più. Ora molti di noi - li ho sentiti di persona alla Mostra di Venezia - tacciano (o tacciavano: ora, dopo il successo, si taccio- no, increduli) il film di Martone di essere scolastico. Come se fosse un insulto. Come se tutto ciò che abbiamo appreso sui banchi di scuola fosse qualcosa di cui vergognarsi. Qualcosa di infantile, da rimuovere e dimenticare. Paradossale, per il Paese più mammone del mondo. Eppure è così: con un cinismo degno di miglior causa, tanti accigliati intellettuali - pensosi, preoccupati, impegnati - hanno snobbato il film. Qualcuno è arrivato perfino a definirlo “didascalico” (al che uno si chiede davvero cosa abbiano visto). Per fortuna, ci ha pensato il pubblico a smentirli. A sorprenderli. A sorprenderci. Il pubblico e il favoloso Giacomo. Bisognerebbe ragionare davvero sul successo inatteso de Il giovane favoloso. E ripartire da qui per ripensare con coraggio e con franchezza, senza pregiudizi e senza snobismi elitari - alle storie di cui ha bisogno oggi il cinema italiano. Forse, più radicalmente, anche alle storie di cui abbiamo bisogno un po’ tutti noi. 1 SOMMARIO 10 TI RACCONTO UNA STORIA di Paolo Pizzato 12 I BAMBINI? NON CI GUARDANO PIÙ di Maurizio Porro EDITORIALE 01 “SCOLASTICO”. E SE ANCHE FOSSE...? di Gianni Canova 14 16 DALL’AUDIENCE BUILDING ALL’AUDIENCE DEVELOPMENT di Silvia Costa 18 UN METRO, UN METRO E MEZZO, NON DI PIÙ di Nicole Bianchi SCENARI 04 06 BIOGRAFIA DI UN PAESE STERILE di Gianni Canova UN PUBBLICO TRASPARENTE (E CHE NON VOTA) di Vincenzo Spadafora 24 L’ERRORE STRATEGICO DEL BEL PAESE di Alberto Pasquale 26 FILM PER BAMBINI, UNA CATEGORIA CHE NON DOVREBBE ESISTERE di s.s.r. 28 UN POCO DI ZUCCHERO & SODA PER PETER PAN E L’ALIENO di Chiara Gelato 30 FESTE DA GRANDE SCHERMO di Valentina Neri COSA MI PIACE DEL CINEMA ITALIANO INNOVAZIONI 34 IL FETICISMO DEL NUOVO di Gianni Canova 36 PRIMA DI TUTTO C’È SEMPRE LA STORIA. PARLANO CINQUE PROTAGONISTI. di Gida Salvino 42 QUANDO IL VECCHIO ERA NUOVO. INTERVISTA A BRUNO TORRI. di Cristiana Paternò FATTI Dossier di DG Cinema e ANICA INNOVAZIONI II 44 STIAMO TUTTI CON LA SPOSA di Alice Bonetti DISCUSSIONI 47 L’INFANZIA, UN VUOTO NARRATIVO 32 GRAINNE COLMATO DAI FILM HUMPHREYS, D’ANIMAZIONE DIRETTRICE di Stefano Stefanutto DEL DUBLIN Rosa FILM FESTIVAL di Michela Greco 50 IL MERCATO AUDIOVISIVO E LA REGOLAMENTAZIONE: UN'INDUSTRIA AL BIVIO diFederica D’Urso, Iole Maria Giannattasio, Francesca Medolago Albani PER VINCERE L’OSCAR NON BASTA ESSERE BELLI di Fulvia Caprara 8½ NUMERI, VISIONI E PROSPETTIVE DEL CINEMA ITALIANO Bimestrale d’informazione e cultura cinematografica Iniziativa editoriale realizzata da Istituto Luce-Cinecittà in collaborazione con ANICA e Direzione Generale Cinema 2 Direttore Responsabile Giancarlo Di Gregorio Direttore Editoriale Gianni Canova In Redazione Carmen Diotaiuti Andrea Guglielmino Vice Direttore Responsabile Cristiana Paternò Coordinamento redazionale DG Cinema Andrea Corrado Capo Redattore Stefano Stefanutto Rosa Coordinamento editoriale Nicole Bianchi Hanno collaborato Giulio Base, Alice Bonetti, Giulio Bursi, Fulvia Caprara, Silvia Costa, Ivano De Matteo, Federica D’Urso, Chiara Gelato, Iole Maria Giannattasio, Sara Giudice, Marco Giusti, Michela Greco, Felice Laudadio, Luca Lucini, Andrea Mariani, Francesca Medolago Albani, Stefania Miccolis, Francesca Monti, SOMMARIO 56 YIDDISH HOME MOVIE di Stefania Miccolis 58 IMMAGINI DISSONANTI di Francesca Monti 61 62 PACE FATTA TRA CINEMA E TEATRO. NEL NOME DI GREENAWAY di Luca Lucini VIAGGIO NELL’AVANGUARDIA AMERICANA di Giulio Bursi FOCUS NEL MONDO CINEMA ESPANSO 64 66 IVANO & JESSICA, A BUSAN di Ivano de Matteo 69 IL CASO GEORGIA di Angela Prudenzi 70 UN CINEMA PATRIOTTICO 74 SESSO DEBOLE, FILM FORTI di Lela Ochiauri 78 LUIGI SASSOON (CESARE ZAVATTINI) FILM VELOCE ED ESATTO di Andrea Mariani RICORRENZE 76 Valentina Neri, Lela Ochiauri, Alberto Pasquale, Paolo Pizzato, Maurizio Porro, Angela Prudenzi, Costanza Quatriglio, Ilaria Ravarino, Severino Salvemini, Gida Salvino, Vincenzo Spadafora FENOMENOLOGIA 84 IL NUOVO CINEMA DELL’ IMBUCATO VIENE DAL WEB. di Ilaria Ravarino “STATE SENZA con un fumetto PENSIERI” di Andrea Guglielmino di Carmen Diotaiuti GEOGRAFIE 82 IL VIAGGIO FAVOLOSO di Nicole Bianchi Creative Director Bruno Capezzuoli Designer Giulia Arimattei, Matteo Cianfarani, Valeria Ciardulli, Lorenzo Mauro Di Rese, Serena Paratore 89 DUE NOTTI INSONNI E UN’AVVENTURA INIZIATA E FINITA CON ANTONIONI E WENDERS di Felice Laudadio 92 LA BELLEZZA DI UN ARCHIVIO SE DIMENTICHIAMO LA SUA ORIGINE di Costanza Quatriglio PUNTI DI VISTA 86 CONNETTERE IL SAPERE DEL CINEMA CON LE ALTRE INDUSTRIE CREATIVE di Severino Salvemini 96 BIOGRAFIE 87 HO FATTO UN SOGNO di Giulio Base COSA CI RESTA DELLO SPAGHETTI WESTERN? TUTTO. di Marco Giusti Progetto Creativo 19novanta communication partners 90 ANNI ISTITUTO LUCE INTERNET E NUOVI CONSUMI ANTROPOLOGIE Stampa ed allestimento Arti Grafiche La Moderna Via di Tor Cervara, 171 - 00155 Roma Distribuzione in libreria Joo Distribuzione Via F.Argelati,35 - Milano Direzione, Redazione, Amministrazione Istituto Luce-Cinecittà Srl Via Tuscolana, 1055 - 00173 Roma Tel. 06722861 fax: 067221883 [email protected] Chiuso in tipografia il 09/12/14 Registrazione presso il Tribunale di Roma n° 339/2012 del 7/12/2012 3 SCENARI Cinema e bambini BU NIOPgaReSaFe isa t erile di di Gianni Canova SCENARI // Cinema e bambini Una recente ricerca rivela che l’Italia è agli ultimi posti in Europa nella produzione di film per bambini: un segno sconfortante, che svela molte cose circa la debolezza della nostra industria culturale, ma che conferma anche la sostanziale sterilità del nostro Paese. S iamo un Paese sterile. Non solo non facciamo (quasi) più figli, ma a quei pochi che facciamo non forniamo neppure i minimi attrezzi per fantasticare. I dati che pubblichiamo ed esaminiamo nelle pagine che seguono sono a modo loro sconfortanti: il fatto che l’Italia sia agli ultimi posti in Europa anche quanto a produzione di film per bambini la dice lunga non solo sull’inconsistenza della nostra industria culturale, ma anche sull’equivoco su cui è cresciuta un po’ tutta la società italiana dal dopoguerra in poi. Mettiamola così: da noi l’ipergarantismo nei confronti dei “produttori” ha finito per schiacciare e quasi annientare ogni diritto e ogni aspettativa di utenti e consumatori. Gli esempi possibili sono infiniti: nella scuola, per dire il più clamoroso, una malintesa tutela dei diritti sindacali degli insegnanti ha schiacciato il diritto dei bambini ad avere una scuola efficiente e non travolta dall’assurdo e inconcludente turn over dei precari fin dall’inizio di ogni anno scolastico. Ma poi le università sono cresciute più in funzione degli interessi, delle carriere e delle lobby dei baroni che in vista del diritto degli studenti ad avere una didattica qualificata e programmata sulla base degli interessi di crescita economica e culturale del Paese e non di questa o quella baronia accademica, la giustizia è stata più al servizio di avvocati e magistrati che dei cittadini e della legge, e una riflessione analoga si potrebbe fare per la medicina e - soprattutto - per la pubblica amministrazione. Il cinema non si sottrae a questa “perversione”: da anni - questa almeno è l’impressione crescente di molti osservatori - è al servizio più dei cosiddetti autori che degli spettatori. Col risultato che siamo ultimi in Europa non solo nella produzione di film per bambini, ma risulteremmo analogamente in fondo alla classifica - se si facesse uno studio apposito - anche nella produzione di film per teenager, per anziani, per immigrati e così via. Così come da troppi anni abbiamo rimosso ed emarginato la produzione di film di genere, allo stesso modo abbiamo trascurato se non addirittura respinto l’idea che si possono (e forse anche si devono…) fare film in vista di target specifici. La responsabilità di questo stato di cose deriva in gran parte e lo dico ben sapendo di attirarmi le ire funeste di tanti amici registi e sceneggiatori - da quel feticismo dell’autore che dal Neorealismo in poi ha dominato (e spesso schiacciato, intimorito, soffocato…) il cinema italiano. L’Autore - per lo meno per come il termine è inteso dalla maggior parte di coloro che si autoproclamano tali - non lavora per un pubblico, lavora per sé. Lavora per soddisfare le proprie “esigenze espressive” (e - diciamolo - il proprio narcisismo…). Quante volte, durante un’intervista, o nel corso di una conferenza stampa, abbiamo sentito il Maestro tale o il regista talaltro dichiarare con solenne e meditabonda convinzione: “io non penso al pubblico, io i film li faccio per me!”. Poco importa che 9 volte su 10 il film per sé - il nostro vate - lo faccia o l’abbia fatto col denaro pubblico: l’Autore non si cura di pinzillacchere come l’economia, il denaro - si sa - per l’artista è “sterco del diavolo” (salvo poi mettere il broncio e fare il diavolo a quattro se il signor satanasso va a deporre i propri escrementi in un’altra toilette…). Fare un film per bambini richiede umiltà. Richiede impegno e professionalità. Richiede che l’artista si metta al servizio del pubblico. Che sondi le sue fantasie, che metta in circolo fantasmi, che ecciti desideri. Beninteso: nessuno ce l’ha con gli Autori. Ma un’industria dell’entertainment degna di questo nome dovrebbe prevedere, accanto al cinema degli Autori, anche un cinema che metta al centro il pubblico e i pubblici, un cinema che lasciandosi alle spalle narcisismi e solipsismi più o meno autarchici cerchi di fornire al pubblico gli ingredienti più adatti per nutrire l’immaginario e l’immaginazione. Lo snobismo e il sacerdotale distacco con cui troppo spesso l’establishment del cinema italiano guarda ai film per bambini è uno dei segni più macroscopici della nostra debolezza. Se poi si considera che l’Italia è un Paese in cui la letteratura per l’infanzia è più che mai florida e fiorente, e che alcune delle icone dell’immaginario infantile - da Pinocchio a Giamburrasca - sono italiane, la latitanza nella produzione di film per bambini non è solo un segno di debolezza. È anche un sintomo di un inguaribile e deprimente masochismo. 5 SCENARI // Cinema e bambini L’errore strategico del Bel Paese di Alberto Pasquale 6 SCENARI // Cinema e bambini L’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo (OEA) ha pubblicato recentemente il rapporto dal titolo La circolazione nei cinema dei film europei per bambini. L’analisi si concentra sulla circolazione nelle sale e sui risultati al botteghino, nel periodo 2004-2013, dei film “di finzione” europei (live action e di animazione) destinati ai bambini fino a 12 anni di età, confrontandoli con quelli destinati alle altre fasce di pubblico, sulla base di un campione composto da 648 film per bambini e più di 8.700 film per “non-bambini”. Ma perché l’Italia, che pure vanta una tradizione notevole nel film d’animazione, a parte il caso della Rainbow di Iginio Straffi, è rimasta indietro? Paese Animazione % totale film bambini Live Action Germania 38 34% 75 Francia 50 60% Paesi Bassi 3 Danimarca Totale film bambini Totale film 66% 113 761 15% 33 40% 83 1.713 5% 5% 55 95% 58 312 19% 19 33% 38 67% 57 262 22% Svezia 31 56% 24 44% 55 391 14% Spagna 34 74% 12 26% 46 826 6% Norvegia 10 23% 33 77% 43 213 20% Regno Unito 14 44% 18 56% 32 824 4% Finlandia 8 31% 18 69% 26 190 14% Repubblica Ceca 11 46% 13 54% 24 246 10% Belgio 7 35% 13 65% 20 185 11% Italia 6 32% 13 68% 19 947 2% 29 40% 43 60% 72 2.515 3% 260 40% 388 60% 648 9.385 7% Altri 17 Paesi Totale % totale film bambini % film bambini su totale film Tabella 1 - Produzione di film per bambini per Paese d’origine 2004-2013 Produzione e dimesione del mercato per bambini Una prima, importante, osservazione riguarda la completezza del campione, che gli stessi ricercatori riconoscono di non aver potuto raggiungere. Da una parte è stato difficile definire, identificare e classificare l’oggetto di studio (film per bambini), mentre dall’altra l’analisi ha dovuto necessariamente essere condotta solo su un campione e non sul volume totale dei film presenti sul mercato. In ogni caso, il campione viene considerato dai ricercatori di ampiezza sufficiente, sia per illustrare le caratteristiche “medie” del fenomeno, sia per rilevare le ampie differenze che si riscontrano nei diversi Paesi d’Europa. Come si è accennato, analizzando il decennio 2004-2013 sono stati identificati 648 film di produzione europea, usciti in sala e destinati principalmente ai bambini fino a 12 anni di età. Si tratta di 388 film live action e 260 film d’animazione. Mediamente, nei 40 Paesi considerati dall’OEA (che, ricordiamolo, fa capo al Consiglio d’Europa, la quale comprende un numero maggiore di Paesi - 47 - rispetto ai 28 dell’Unione Europea) abbiamo quasi 65 film l’anno (lo studio, in base a vari aggiustamenti, calcola una media di 70 film l’anno, registrando un minimo di 63 e un massimo di 82 film/anno), un numero composto per il 60% (circa 39 film) da live action e 40% (circa 26 film) da film di animazione. Nel loro complesso questi film hanno generato in Europa un totale stimato di 373 milioni di spettatori (54% per i live action e 46% per l’animazione). Ciò rappresenta circa il 3,3% del totale dei biglietti venduti nel periodo 2004-2013 7 SCENARI // Cinema e bambini (tutte le nazionalità) e l’11% dei biglietti venduti tra i soli film europei. In altre parole, almeno un biglietto su dieci, venduto nel periodo considerato, in Europa, per assistere a un film europeo, era per un film per bambini. Il che significa che i film europei per l’infanzia hanno generato nei mercati europei mediamente circa 41 milioni di spettatori l’anno. La circolazione dei film: l’importanza dell’animazione Un dato molto interessante riguarda la circolazione dei film per bambini al di fuori dei confini nazionali. Si rileva infatti che ben il 71% di queste opere attraversa le frontiere del suo Paese d’origine, contro il 49% dei film non destinati ai bambini. Inoltre, i mercati esteri nei quali approdano sono in media 3,4, contro i 2,2 dei film “altri”. Infine, l’incasso per questi film è superiore: si calcola un valore mediano pari a 142.500 biglietti venduti, contro i 28.919 dei film “non per bambini”; un rapporto di cinque a uno. Andando maggiormente nel dettaglio, si scopre che la componente “animazione” è quella più vivace. Infatti, mentre non c’è una differenza significativa nella percentuale di esportazione fra le due componenti (animazione 74% e live action 69%), la prima esporta in media in 4,6 Paesi esteri, contro i 2,6 Paesi raggiunti dai film per bambini “con attori in carne ed ossa”. In termini cumulativi, i film di animazione per bambini hanno generato il 50% dei biglietti venduti nei mercati non-nazionali, mentre i film live action si sono fermati al 29%. In sintesi, risulta fin troppo evidente come i film europei destinati ai bambini, se sono di animazione attraversano più facilmente le frontiere, mentre gli altri dipendono principalmente dal loro mercato d’origine e fanno fatica a circolare all’estero. I Paesi produttori Il Paese più prolifico nella produzione di film per l’infanzia è la Germania, con un totale stimato di 113 film prodotti (e distribuiti) tra il 2004 e il 2013. Al secondo posto la Francia, con 83 film, seguita da Paesi Bassi (58 film), Danimarca (57) e Svezia (55). A parte i rimanenti tre grandi mercati dell’Europa occidentale, quali Spagna (46) al sesto posto, Regno Unito (32), all’ottavo e Italia (19) al dodicesimo, vale la pena di citare il relativamente elevato numero di produzioni in Norvegia (43), al settimo posto, Finlandia (26) al nono, Repubblica Ceca (24), al decimo, e Belgio (20), all’undicesimo. In termini di tipologia di film, la Spagna, la Francia e la Svezia mostrano una preferenza per la produzione di animazione, mentre il genere “dal vivo” è preferito in Paesi come Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Finlandia, Danimarca o in Italia (tabella 1). In aggiunta all’analisi della preferenza fra le due tipologie, guardando l’ultima colonna della tabella 1 è interessante osservare il livello di specializzazione nella produzione per bambini rispetto alla produzione complessiva di ciascun Paese. I dati indicano che la Danimarca (22%), la Norvegia (20%) e Paesi Bassi (19%) dedicano la percentuale più alta, fra i vari Paesi, alla produzione per l’infanzia (sia animazione che live action). Il dato è particolarmente significativo se confrontato con una media pan-europea del 7%. 8 SCENARI // Cinema e bambini E l’Italia? Sembra proprio che agli italiani non piacciano i film europei per bambini (non i film per bambini in generale, ma solo quelli europei). O almeno non sembra che li amino quanto i tedeschi, i francesi, i britannici, gli spagnoli o gli altri europei. Non solo nel nostro Paese se ne producono pochi, ma siamo anche tra coloro che li vanno a vedere di meno al cinema. Come si è visto, mentre in Germania hanno visto la luce, nell’ultimo decennio, 113 film per l’infanzia, in Francia erano 83, nei Paesi Bassi 58 e in Danimarca 57, mentre in Italia sono state prodotte solo 19 pellicole. E sul fronte del numero di biglietti venduti non va certo meglio. A fronte degli 11 milioni di biglietti venduti in Italia tra il 2004 e il 2013, in Germania e in Francia ne sono stati venduti oltre 80 milioni, in Gran Bretagna 34, in Spagna 22. L’unica consolazione, se così si può dire, resta quella di vedere i due film di Iginio Straffi, Winx Club, il segreto del regno perduto e Winx Club, magica avventura in 3D, piazzarsi rispettivamente alla 27esima e alla 32esima posizione nella top 50 dei film europei per bambini che negli ultimi dieci anni hanno conquistato più pubblico oltre confine; si tratta di una classifica che vede ai primi posti film come Mr Bean’s Holiday, Asterix alle Olimpiadi, Giù per il tubo, Le avventure di Sammy e Arthur e il popolo dei Minimei (tabella 2). Titolo Paese Anno Genere Biglietti venduti all’estero 1 Mr Bean’s Holiday GB/FR/DE/US 2007 Live action 11.149.993 72% 26 2 Asterix alle Olimpiadi FR/DE/ES/IT 2008 Live action 7.211.590 51% 28 3 Giù per il tubo GB/US 2006 Animazione 6.813.567 78% 25 4 Le avventure di Sammy BE/US 2010 Animazione 5.659.596 96% 28 5 Arthur e il popolo dei Minimei FR 2006 Animazione 4.607.812 53% 27 Winx Club-Il segreto del regno perduto IT 2007 Animazione 1.375.532 62% 20 Winx Club 3D: Magica Avventura IT 2010 Animazione 1.102.584 73% 17 Quota % estero Mercati esteri (…) 27 (…) 32 Tabella 2 - Film europei per bambini con il maggior numero di biglietti venduti all’estero 2004-2013 Alcune considerazioni A margine di questa analisi appare opportuno esprimere qualche considerazione. In primo luogo, vi è da notare come un buon numero dei film di maggiore successo qui considerati siano stati realizzati prevalentemente con capitali statunitensi. Il che non consente di trattare questi titoli come propriamente “europei”, avvicinandoli piuttosto ad altre produzioni per bambini, di fattura dichiaratamente USA, provenienti da società importanti quali Disney, Pixar, Illumination Entertainment, Blue Sky Studios, ecc. In secondo luogo, emerge palesemente l’errore strategico commesso dall’Italia. I film per bambini, e in particolare i film d’animazione, presentano infatti caratteristiche “industriali” particolari: 1. Sono facilmente esportabili, perché riducono al minimo le caratteristiche eccessivamente “locali” dei film; 2. Hanno una vita commerciale più duratura delle altre tipologie di film, in particolare in televisione e in Home Video; 3. Si prestano facilmente alla serializzazione, sia cinematografica che televisiva; 4. Consentono un ricco sviluppo di attività “collaterali”: videogiochi, parchi a tema, licensing, merchandising, ecc. Perché l’Italia, che pure vanta una tradizione notevole nel film d’animazione, a parte il caso della Rainbow di Iginio Straffi, è rimasta indietro? Come si è visto, molti Paesi relativamente più piccoli dell’Italia si sono specializzati in questa tipologia di prodotto, per non citare i Paesi più grandi, di gran lunga più avanti dell’Italia. Ancora una volta, si torna su due punti deboli del nostro sistema: scarsa propensione all’internazionalizzazione e strategie industriali di corto respiro. Non sarà il caso di iniziare a recuperare il tempo perduto? 9 SCENARI // Cinema e bambini E se prendessimo esempio da Stanley Kubrick? Se, proprio come il grande regista americano, guardassimo alla letteratura, ai libri, come primaria fonte d’ispirazione per soggetti e sceneggiature cinematografiche? Se, in una parola, imparassimo finalmente a pensare alla cultura come a un punto di forza invece di ostinarci a considerarla poco più di uno scomodo fardello? Domande - o se si vuole esortazioni, provocazioni persino - sollecitate dall’ennesimo primato negativo collezionato dal nostro Paese ed evidenziato dal rapporto dell’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo del Consiglio d’Europa: l’Italia, nel panorama continentale, occupa un desolante ultimo posto tanto nella produzione quanto nella fruizione dei film dedicati ai più piccoli. Una carenza tanto più grave se si pensa che l’offerta creativa dedicata ai più giovani presenta proprio nell’ambito letterario - che tanti spunti potrebbe fornire al cinema - grande ricchezza di temi e ampia varietà di proposte. Di editoria dedicata ai più piccoli, della sua situazione attuale, delle prospettive future, del mancato rapporto con il cinema e delle sue possibili ragioni abbiamo parlato con Carlo Gallucci, fondatore dell’omonima Casa Editrice (www.galluccieditore.com), nata nel 2002. In Italia il panorama editoriale è assai poco confortante. In quali aspetti le pubblicazioni per bambini rispecchiano il non esaltante andamento generale e in quali invece se ne differenziano? Penso che i libri dedicati all’infanzia costituiscano un mondo a parte. A livello generale i dati ci dicono che la saggistica soffre ovunque, mentre la crisi della narrativa è più legata a difficoltà di carattere distributivo, in primis alla chiusura delle librerie. Poi c’è il problema dell’utilizzo del tempo, che lo sviluppo della tecnologia digitale ha contribuito a mutare radicalmente; oggi il vero pericolo per i libri non viene dagli e-book e dai supporti elettronici di lettura ma dalla quantità di tempo che ognuno di noi dedica ai propri dispositivi, smartphone, tablet, computer, 10 TI RACCONTO UNA STORIA… di Paolo Pizzato Libri per bambini, un tesoro che il cinema d’animazione italiano, in affanno ormai da anni, non riesce a sfruttare. A colloquio con l’editore Carlo Gallucci, per cercare di scoprire i motivi di questo matrimonio mancato e fare il punto sul mondo dell’editoria dedicata ai più piccoli. SCENARI // Cinema e bambini e che ogni giorno viene sottratto ad altre attività, tra cui naturalmente la lettura. Ora, lo stato di cose appena descritto, diffusissimo tra gli adulti, ha per fortuna un impatto di gran lunga minore tra i più piccoli, e se a questo si aggiunge il fatto che nelle famiglie, comprese le italiane, il libro per bambini continua a godere di grande considerazione, si comprende bene il motivo per cui l’editoria per i giovanissimi non risente, o risente soltanto in parte, del pessimo andamento del settore. La sua casa editrice propone libri scritti da cantanti e illustrati da grandi artisti del disegno e del cinema d’animazione come Altan, Cavazzano, Bozzetto. Crede che la letteratura per ragazzi sia una piattaforma ideale per l’incontro di ispirazioni differenti o questa scelta è frutto di un’intuizione? Quando ho deciso di fondare la casa editrice non ho fatto piani di business o studi di marketing. Volevo semplicemente fare libri per bambini che piacessero anche agli adulti e comprendessero, armonizzandole, le mie passioni per le immagini, i racconti, la musica e il cinema. Così sono nati i libri illustrati che raccontano canzoni; il primo è stato Alla fiera dell’Est di Angelo Branduardi, con disegni di Emanuele Luzzati, un maestro che ha fatto cose splendide anche per il cinema. Il successo, decretato proprio dai bambini, che hanno compreso prima e meglio dei ‘grandi’ il senso dell’iniziativa, è stato travolgente. Le immagini, nei libri per l’infanzia, rivestono un ruolo di grande importanza. Perché, a suo avviso, questa centralità dell’immagine, così come la grande varietà delle storie narrate, non sono state finora colte e sfruttate dal cinema? Non è stato sempre così. Il cinema d’animazione italiano è stato d’avanguardia, proprio come lo è stato tutto il nostro cinema degli Anni ‘40, ‘50 e ‘60; basti pensare al fatto che la Nouvelle Vague francese ha un padre italiano, Roberto Rossellini. Italiano è il primo lungometraggio in technicolor, La rosa di Bagdad, di cui, assieme a Cinecittà, sono il distributore in Home Video, e italiani sono altri capolavori, come Lalla, piccola Lalla dei fratelli Nino e Toni Pagot. Insomma, fino a Bruno Bozzetto e al suo splendido Allegro non troppo (1976), possiamo dire che l’animazione cinematografica italiana sia stata viva e di primissima qualità, poi purtroppo sono venuti meno i fondi destinati alla produzione dei film e questo patrimonio di competenze, creatività ed esperienze è passato alla pubblicità. Oggi uno dei principali problemi che grava sul cinema d’animazione, in special modo italiano, è la distribuzione, cui si aggiunge una progressiva verticalizzazione verso le megaproduzioni che inevitabilmente penalizza il mercato. Se dovesse ‘spiegare’ un libro, o un film, a un bambino e avesse a disposizione soltanto tre parole quali userebbe? Me ne vengono in mente quatLa letteratura per ragazzi, in un tro: ‘Ti racconto una storia…’. Paese che ha una bassa percentuale di lettori, è una responsabilità. Quale deve essere, a suo avviso, il compito di un editore nella promozione della cultura del libro? I dati (fonte AIE, Associazione Italiana Editori; www.aie.it) ci dicono che, anno dopo anno, la percentuale di lettori, in Italia, diminuisce. A fronte di ciò, io credo che a insegnare a leggere, a spiegare l’importanza della lettura debbano essere le istituzioni. Gli editori hanno un solo dovere, fare bei libri. TRA CALVINO E OLIVER SACKS, IL VALORE DELLA DIVERSITÀ IN UN LIBRO DI ILARIA MAINARDI La Redazione Mastro Tasso e il suo cappello, della pisana Ilaria Mainardi, pubblicato da MdS Editore per la collana “I cuccioli”, con le illustrazioni di Andrea Guglielmino, “è una storia nella storia - dice l’autrice - Il primo quadro riguarda la fuga sull’albero, di calviniana memoria, di Tommaso, bambino di 8 anni e mezzo, intelligente e sveglio, ma stanco di assecondare le aspettative degli adulti. Sarà nonna Marisa a Nonostante la crisi, nonostante il domani incerto, raccontagli nonostante non si sappia quale mondo lasceremo ai una curionostri eredi, ancora oggi, in Italia, si scrive perl’infanzia. sa vicenda Non solo, ma alla letteratura per l’infanzia si posche lo convincerà a sono affidare temi di importanza capitale anche per scendere costruire un futuro un po’ meno nero e più aperto dal ciliegio verso il confronto e l’accettazione dell’altro. sul quale si è rifugiato. Prende dunque avvio la storia dello scoiattolo Romeo e della sua amicizia con un personaggio, tanto inusuale quanto affascinante, Mastro Tasso, innamorato del proprio cappello. Attraverso suggestioni che vanno dal già citato Calvino a Oliver Sacks, dalla mitologia nordica (il cappello si chiama Brunilde) a quella greca, il piccolo Romeo imparerà, tra nuovi affetti e dolorose rinunce, che l’unica possibile ‘normalità’ consiste nella salvaguardia della propria unicità. È una breve favola contro l’omologazione e il razzismo (inteso anche come razzismo di genere e come omofobia) che speriamo possa aiutare a comprendere come il contrario di normalità sia anormalità e non certo diversità, risorsa indispensabile per trovare la strada di casa”. 11 SCENARI // Cinema e bambini F in da quella prima sera del 28 dicembre 1895, quando fu allestito il primo telone, il cinema doveva renderci tutti infantili, nel senso migliore del termine, cioè stupirci, meravigliarci, impaurirci. Oggi che il risultato è ottenuto in abbondanza, e per eccesso, perché soprattutto il cinema fantasy americano, ma non solo, ci ha reso infantili globalmente, facendoci arrivare alla soglia dei 14 anni quando va bene, ci si chiede perché non si fanno più i film per bambini. Ma perché sono tutti film per bambini quelli al top, ovviamente con rare eccezioni turche oppure I B A orientali, che giustificano il paradosso: la rincorsa agli effetti speciali e specialissimi, il play movie sempre più in uso, l’assenza di dialogo o la riduzione delle parole a suoni gutturali e la voglia di partire per altri luoghi ed altri mondi, popolano un immaginario che è infatti su misura per l’inconscio dodicenne. Tanto è vero che quando, per caso, viene distribuito un film per ragazzi vecchio stampo come Belle e Sébastien, col sano e un po’ morboso rapporto tra cane e bambino che funziona fin dai tempi di Lassie e Rin Tin Tin, accade il miracolo di un incasso asso- M B I N I ? lutamente imprevisto, complici altri media (tv, libri, fumetti). Si direbbe parafrasando B.B. (non la Bardot, ma Brecht): infelici i tempi che hanno bisogno ancora di eroi minorenni, come il Neorealismo di Rossellini e della sua Germania anno zero o il De Sica di Sciuscià e Ladri di biciclette. La tv, vampirizzando ogni genere di cinema, ha dato una mano: le fiction e le vite pie, devote e santificate, e i Medici in famiglia sono prodotti di uso appunto familiare, selezionati per i ragazzi che quindi non chiedono altro e 12 N O N pascolano nelle sitcom e nei cartoon, una zona protetta nel cinema under qualcosa. Certo che si rimpiange, e non poco, quel cinema italiano middle class che aveva bisogno dei bambini perché metteva in scena l’Italia in fieri, dove non esisteva il concetto di single, se non nelle canzoni più tristi di Sanremo. Bei tempi quando i piccini, spesso col moccolo al naso, frignavano in cucina nei melodrammi rivalutati di Matarazzo, mentre i “grandi” si confessavano tremendi adulterii o giocavano a scopa con De Sica, vincendo; o quando correvano con i pantaloncini corti a prendere il latte (anticipando le hit di Gianni Morandi), a consegnare una lettera, a chiedere qualcosa al portiere (vedi Il ferroviere e L’uomo di paglia del grande Germi). L’ultima grande star minorenne italiana è stata il Salvatore Cascio - che oggi lavora in una catena di supermarket - di Nuovo cinema Paradiso, oltre a un pugno di lacrimosi piccoli orfani ed eroi di solitudini, degni di groppi in gola dickensiani, nei film della serie L’ultima neve di primave- SCENARI // Cinema e bambini ra, la vendetta del mercato agli scandali d’epoca della Antonelli, arrampicata sulla scala col giovane Momo che guardava sotto le gonne. Oggi da noi i protagonisti sono gli adolescenti che popolano in epoca Moccia (già alla deriva però) il cinema dei telefonini bianchi, in attesa del ricambio verso le giovani coppie come nelle volgari commedie americane in cui si attende pazienti anche mezz’ora che il protagonista abbia un’erezione. Non è quindi cinema per bambini. Non ci sono più, signora mia, i piccoli simpatici e intraprendenti caratteristi del Neorealismo o C I G dalla società dei consumi, vedi Il giovedì di Risi, col giovane papà separato Walter Chiari. Ma anche moltissimi altri: tanti Risi, Damiani, Bolognini, ci voleva sempre un ragazzino intorno alle gonne di Marisa Allasio per equilibrare i fattori. E di Comencini è quasi inutile parlare: la sua carriera è stata una missione per indagare tra i bambini, poveri o ricchi, mistici come Marcellino pane e vino o no, compresi o incompresi, di fiction o d’inchiesta, osservando anche Casanova da giovane per non dire di Pinocchio, che torna e ritorna (e ora minaccia di avvicinarvisi anche Robert U A R D Downey jr.). Così è accaduto che, in un mercato che si rivolge solo ai minorenni (fantasy, fumetti, cartoni, saghe di super eroi, infinite trilogie, etc.), i bambini veri sono scomparsi dagli schermi. La cosa curiosa è che invece il teatro ha riscoperto, soprattutto col musical, il family show, portandolo all’esasperazione e passando da qualità alta (Billy Elliot, anche come film) a un prodotto abbastanza risaputo, dozzinale, da bullini e pupette, dissacrando e affondando i canini in tutte le più belle favole del reame, sempre con la complicità della tragica mediocrità della tv. A N O P I Ù di Maurizio Porro del realismo in rosa, i ragazzini fratellini dei Poveri ma belli e de Le ragazze di san Frediano o de Le signorine dello 04. Oggi i bambini al cinema sono al crocevia di ignobili traffici, in genere vengono stuprati o, se gli va bene, rapiti, o vedono i morti con il loro Sesto senso o si vanificano in aereo (ne sa qualcosa Jodie Foster) e Dio sa quante volte Liam Neeson e quelli come lui sono corsi per ritrovare il figlioletto-a scomparsi. Ma i bambini che ci guardano, o ci guardavano, quelli dei capolavori borghesi di Rossellini e De Sica, ma anche Erasmo, il lentigginoso figlio di James Stewart, come il ragazzino del “Que sera sera” de L’uomo che sapeva troppo, quelli che obbedivano o andavano a letto all’ora prevista, quelli sono scomparsi. Dove sono finite le sorelline della Apicella, la figlia della Magnani in Bellissima, unico film in cui Visconti ha ripreso bambini? (I fratellini di Rocco sono tutti grandicelli). La commedia italiana aveva molti, moltissimi ragazzini simpatici, anche se iniziavano a capire di essere consumati 13 SCENARI // Cinema e bambini Un pubblico trasparente (e che non vota) di Vincenzo Spadafora* L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza in Italia sta facendo il possibile per sensibilizzare i soggetti competenti nel valorizzare gli “under 18”, ancora considerati poco e niente. L’Authority sta lavorando con mezzi scarsi ma con tantissima voglia di fare, per cambiare l’atteggiamento soprattutto della politica - nei confronti di questo prezioso “capitale umano”. I n nove anni, secondo una ricerca europea, abbiamo prodotto solo 19 film per bambini, il che significa una media di un paio l’anno. Pensando che ci sono 11 milioni di bambini e ragazzi in Italia, il dato europeo è ancora più triste nella sua crudezza perché fa pensare che tutte quelle persone in fieri siano “trasparenti”, troppo poco influenti e interessanti (non votano) per ricevere attenzione o addirittura per essere al centro di un progetto culturale. Sappiamo tutti che l’odierno immaginario collettivo si forgia attraverso la rete, la tv e il cinema. Un tempo erano i libri il veicolo formativo, la fantasia e i valori arrivavano spesso dalla pagina scritta, facendo immaginare al giovanissimo lettore un futuro diverso da quello che aveva magari intorno in una famiglia disagiata o in contesto sociale difficile. Talvolta la scuola ha pensato a mettere una pezza alla sfortuna di una partenza dura e lo dovrebbe fare sempre di più, anche oggi, anzi tanto più oggi che il sistema di valori è stato scardinato da più parti. Ritornando al nostro ragionamento: ma allora, se il cinema riveste un ruolo formativo importante, perché non concentrarsi maggiormente sui film per bambini? “Per” bambini, non “con” bambini, differenza sostanziale, di non poco conto. Scrivere una sceneggiatura pensando ad un pubblico di età scolastica significa infatti saper parlare a quel pubblico, magari dopo averlo ascoltato per capire cosa gli piace, cosa sente, perché soffre. È un problema di linguaggio e di soglia d’attenzione: se tu sei “trasparente”, perché devo occuparmi di te? Perché devo imparare a parlarti? Non solo, ma se ti parlo probabilmente prima ti ho ascoltato per avvicinarmi a te. Spesso la presenza dei bambini in tv o in molti film stranieri (americani in testa) è funzionale ad una storia per adulti dove i piccoli servono a dare momenti di commozione, ma raramente la cinepresa o la telecamera si abbassa al livello dei bambini, guarda il mondo da quella prospettiva, così come il professore de L’attimo fuggente insegnava a salire sui banchi per cambiare il punto di osservazione. * Presidente dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza in Italia http://www.garanteinfanzia.org/ 14 SCENARI // Cinema e bambini La realtà è diversa a seconda di come la guardi, e da dove la guardi. Il centro del discorso è sempre lo stesso, sia che si parli di cinema o di rete o di scuola o di sport: in Italia “il capitale umano” rappresentato dai bambini e dai più giovani viene considerato poco e niente. L’Authority, che ho l’onore di presiedere, sta facendo il possibile per sensibilizzare i soggetti competenti in tale direzione. Stiamo lavorando con mezzi scarsi ma con tantissima voglia di fare, per cambiare l’atteggiamento - soprattutto della politica - nei confronti del nostro prezioso “capitale umano” under 18. La Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1989 e ratificata dall’Italia ci ricorda infatti, fra i suoi 54 articoli, che un bambino ha il diritto di essere ascoltato, di esprimersi e di avere un’istruzione atta a sviluppare al meglio la personalità. Vedere un buon film, scritto, pensato e realizzato, proprio per i bambini, è una forma indiretta di istruzione. Da anni, il cinema italiano è in crisi d’identità, incapace di darsi una visione, chiuso fra la commedia da botteghino e il film d’autore (quando l’autore c’è!). Con fatica abbiamo riacceso i riflettori sul nostro cinema con l’Oscar a La grande bellezza. In uno scenario simile pensare a produrre film per bambini potrebbe essere uno stimolo per superare lo stallo attuale: abbiamo infatti eccellenti autori di libri per l’infanzia; abbiamo professionisti dell’animazione; abbiamo sceneggiatori, attori, direttori della fotografia e registi di talento; abbiamo la nostra cultura ricca e sfumata; abbiamo la creatività come segno distintivo che il mondo ci riconosce. Perché allora non “fare sistema” almeno in questo ambito? Noi come Authority stiamo mettendo in connessione soggetti diversi per farli lavorare insieme, individuando così buone pratiche. Lo stesso potrebbe fare il cinema italiano rispetto alla produzione per l’infanzia. Sarebbe un buon passo in avanti per i molti bambini italiani e per il nostro cinema. E forse spingerebbe i genitori a portare di più al cinema i propri figli, commentando magari insieme il film, confrontandosi e scambiandosi le sensazioni provate. Sarebbe anche questa una “buona pratica”. 15 SCENARI // Cinema e bambini D A L L’ A U D I E N C E A L L’ A U D I E N C E B U I L D I N G D E V E L O P M E N T di Silvia Costa * La situazione europea e nazionale rispetto al sostegno, allo stimolo, alla pianificazione futura, in materia di Film e Media Literacy. S econdo Eurobarometro, negli ultimi sei anni pressoché tutti gli indicatori culturali sono in diminuzione nella UE 28, per ragioni allarmanti: la maggior parte delle persone - e dei giovani in particolare - riferisce infatti di non partecipare ad attività o consumi culturali per mancanza di interesse. Da qui - ma non solo - la priorità assegnata al coinvolgimento dei cittadini europei nel riconoscere e comprendere il valore del nostro patrimonio comune, alla promozione della partecipazione attiva alla vita culturale e creativa e, sull’altro fronte, all’incoraggiamento della vitalità delle organizzazioni e degli operatori protagonisti della produzione creativa, culturale e audiovisiva. Già dal 2007, con la dichiarazione “An european approach to Media Literacy in the digital environment”, l’Unione europea ha posto l’accento sulla Media Literacy come necessario processo di formazione del pubblico (audience building) e pratica fondamentale per sviluppare un approccio critico verso le diverse forme espressive, mediali e di comunicazione. Nell’agosto 2009, con il documento “On media literacy in the digital environment for a more competitive audiovisual and content industry and an inclusive knowle- dge society”, è stata inoltre segna- e altri soggetti che conservano e lata la necessità di aprire un di- promuovono il patrimonio cultubattito sull’inclusione della Media rale e cinematografico. Literacy nei programmi scolastici. Ragionare sull’incremento dell’acLa Film Literacy si configura cesso del pubblico, dunque, porta come una branca essenziale del- necessariamente con sé il tema la Media Literacy, prefiggendosi del rilancio dell’educazione cultul’educazione all’immagine cine- rale, veicolata dalle agenzie formamatografica in un contesto sem- tive come da tutte organizzazioni pre più intermediale e globale e che producono offerta. stimolando la sensibilità delle giovani generazioni nei confronti Qui occorre una distinzione predel patrimonio cinematografico liminare tra educazione ed istruzione, concetti utilizzati spesso e audiovisivo europeo. Nell’estate 2011 l’Unione euro- in modo intercambiabile. pea ha emanato, nell’ambito del Programma MEDIA, un bando Tra queste esiste invece una redal titolo “Call for a study on film lazione funzionale: l’istruzione literacy in Europe”, con l’intento intesa come la formazione indi rilevare le attività di formazio- tellettuale che passa attraverso ne del pubblico cinematografico l’acquisizione delle conoscenze (promosse da istituzioni diverse concorre all’educazione, che come scuole, alta formazione e porta in sé la trasmissione del università, cineteche, mediate- patrimonio dei valori, delle idee che, musei, associazioni cultura- e dei comportamenti alla base li, enti locali e loro emanazioni, della formazione della personalibroadcaster, rami dell’industria tà e a fondamento delle relazioni cinematografica, eccetera) negli sociali. La prima, se vogliamo, Stati Membri e di elaborare una ha una dimensione individuale. lista di raccomandazioni per l’U- Che diventa sociale, appunto, nione europea che abbia lo sco- nell’educazione. Ed è anche qui po di rafforzare lo statuto della evidente come l’accesso e la praFilm Literacy nel quadro della tica della cultura sia una dimensione essenziale dello sviluppo Media Literacy. della persona, fin dall’infanzia. Da ultimo Creative Europe Diventa dunque chiaro che la re2014-2020, il programma per la sponsabilità dell’educazione - incultura, la creatività e l’audiovisivo, di cui sono stata relatore, che include MEDIA (accanto al subprogramma Cultura e al cosidetto Strand Transettoriale) ha rilanciato con rinnovata forza, collocandolo al centro dell’agenda delle politiche culturali UE, il tema dell’ampliamento del pubblico transitando dall’approccio dell’audience building a quello dell’audience development, ossia dalla costruzione allo sviluppo in termini non solo quantitativi, ma anche qualitativi, e con particolare riferimento agli obiettivi di inclusione sociale di fasce più deboli anche attraverso il supporto alle attività di Film e Media Literacy che possono essere realizzate da cineteche, videoteche clusa quella culturale - delle persone supera i confini dei sistemi scolastici e tocca la società intera: una responsabilità diffusa. In materia culturale, dunque, il ruolo delle agenzie educative rende indispensabile un costante dialogo tra MiBACT e MIUR. Ma accanto a questo occorre che tutti i luoghi della fruizione smettano di rappresentare il punto d’arrivo della formazione culturale e siano posti nella condizione e si impegnino ad essere uno degli snodi in cui essa si determina. Con particolare riferimento al settore audiovisivo e cinematografico, va riaperto il capitolo degli interventi su cinema e scuola centrando il focus sulla digitalizzazione del patrimonio cinematografico e audiovisivo e sulla sua accessibilità a studenti, docenti, pubblico delle generazioni future (piattaforme on line, valorizzazione delle sale di prossimità, creazione di strumenti pedagogici, anche su modello francese e offrendo alla scuola italiana (per tutti i gradi e gli ordini di scolarità, in particolare per la scuola elementare) un piano per la diffusione del cinema, per lo sviluppo di competenze di base e per la creazione di nuovo pubblico che tenga conto delle opportunità della programmazione 2014-2020 e di altre esperienze virtuose in ambito europeo per la digitalizzazione del patrimonio cinematografico da mettere a disposizione delle scuole, delle università e dei centri di formazione. * Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo. 17 SCENARI // Cinema e bambini UN METRO, UN METRO E MEZZO, NON DI PIÙ di Nicole Bianchi Perché non facciamo film per bambini in Italia? Cosa comporta - creativamente, commercialmente, socialmente - questa mancanza? Lo abbiamo chiesto a cinque creatori di storie e a una psicologa. “DA QUESTA INTERVISTA POTREBBE NASCERE UNA NUOVA IDEA” IVAN COTRONEO SCENEGGIATORE In Italia, oggi, non viene chiesto agli sceneggiatori di scrivere storie per bambini? Io ho scritto un adattamento di Pinocchio per la tv, ma non mi è mai capitato di scrivere storie per bambini per il cinema. Però mi piacerebbe pensarli come primo pubblico, sia da un punto di vista cinematografico che letterario. In effetti questa intervista potrebbe essere lo spunto perché io proponga qualcosa. Il mio prossimo film, Un bacio, avrà per protagonisti tre adolescenti… magari mi ci avvicino andando a ritroso… La scriverei volentieri. Il mio primo film da regista, La Kryptonite nella borsa, ha per protagonista un bambino ed è ambientato negli Anni ’70. Credo che mi piacerebbe scrivere una storia contemporanea che abbia però un legame con il film che ho già fatto: l’idea che i bambini hanno un mondo fantastico da esplorare. Uno dei film per bambini che mi piacciono di più è Where the Wild Things Are di Spike Jonze: la fantasia come scappatoia dai problemi del quotidiano. le Salvatores. Io non l’ho ancora visto, ma già dal trailer credo che andrà a posizionarsi in quel vuoto di cui stiamo parlando. Credo sia un film che ha come pubblico di riferimento bambini e adolescenti (anche se io personalmente a 46 anni non vedo l’ora di vederlo). Nuove tecnologie, natività digitale e modifica del pubblico più piccolo. I film per bambini che mi piacciono di più sono quelli che trovano un modo di confrontarsi con il presente. Credo che la natività digitale abbia offerto (in alUn produttore italiano a cui la cuni casi imposto) un confronto più veloce con una serie di temi. Ha mai scritto pensando esclu- proporrebbe è… sivamente per un pubblico di Indigo Film, i miei produttori Per esempio, la favola del brutto che hanno appena prodotto anbambini? E in caso lo farebbe? che Il ragazzo invisibile di Gabrie- 18 anatroccolo oggi dovrebbe raccontare il pericolo degli schemi e un altro concetto di bellezza, piuttosto che puntare sulla resa dei conti sullo stesso piano. Il suo film dell’infanzia è… Devo dire che nell’infanzia io ho visto molti film che mi hanno formato e non erano indirizzati a un pubblico prettamente infantile. Fra quelli per l’infanzia direi La guerra dei bottoni, visto in tv, e Kid il monello del West, visto al cinema. I ragazzi della via Pal è stato il mio romanzo da bambino. SCENARI // Cinema e bambini “NEGLI ALTRI PAESI LA GENTE È CONTENTA DI SOSTENERE UNO SFORZO CREATIVO FATTO IN CASA” IGINIO STRAFFI PRODUTTORE Perché in Italia, oggi, solo lei scrive e produce film per bambini? Direi che i dati della ricerca europea, da cui prende spunto questo vostro approfondimento, confermano una doppia criticità: una culturale e una industriale. Quella culturale deriva dalla tradizionale esterofilia del nostro pubblico. Non c’è un orgoglio nazionale verso quelle produzioni che si distaccano dal solco classico della commedia all’italiana, il pubblico non premia i prodotti italiani di animazione con la stessa partecipazione che riscontriamo negli altri Paesi, dove la gente è contenta di sostenere uno sforzo creativo fatto in casa. In Italia piuttosto ci si accontenta di subire la colonizzazione delle grandi major, che a volte è giustificata, dato che parliamo di capolavori, ma a volte no, visto che gli stessi film in altri Paesi sono ampiamente superati dalle nostre produzioni. La criticità industriale dipende dal fatto che in altri Paesi europei questo settore è fortemente sostenuto finanziariamente dagli stessi Stati, perché si riconosce all’intrattenimento per i più piccoli un forte valore formativo dell’identità culturale e valoriale di un Paese. ‘Solo’ Rainbow ‘salva’ l’Italia: come ci percepiscono gli altri Paesi? I nostri studi che lavorano per le serie tv e per il cinema sono considerati interlocutori, sullo stesso piano dei grandi protagonisti del mondo dell’animazione, diversamente non avremmo potuto vendere in tutto il mondo. Sempre più spesso i produttori internazionali ci chiedono di collaborare per nuovi progetti. Questo significa che in Italia ci sono tutte le opportunità per avere un’industria dell’animazione al pari di altri Paesi importanti. Rainbow ha mai pensato di produrre film non in animazione? Che film produrrebbe? Già la serie Mia and Me prevede il ricorso ad attori in carne ed lizzare non cambieranno questa meravigliosa epoca magica della vita, l’infanzia. Ma soprattutto c’è qualcosa che nessuna invenzione tecnologica potrà mai battere: la fantasia! È questo il pc che nessuno potrà mai copiare Chi è un produttore italiano o programmare al posto nostro! - provi a fare un nome - che potrebbe avere la sensibilità di Qual è il film della sua infanzia? mettere in cantiere un film per E, provocatoriamente, ma non bambini? Co-produrrebbe un troppo, perché un bambino di oggi non deve poterne avere film ‘live’? Di solito non facciamo co-produ- uno italiano? zioni con italiani, ma occasional- Il mondo Disney certamente, ma mente collaboriamo con grandi anche tanti fumetti. Per il resto produttori internazionali. Tra gli direi che, dopo 10 anni, possiaitaliani apprezzo molto Riccardo mo tranquillamente dire che i Tozzi di Cattleya, che è un pro- bambini hanno avuto il loro film duttore molto preparato, oppu- dell’infanzia in italiano, un monre la Indigo Film che, dai film do tutto magico, avventuroso e che produce, potrebbe avere la positivo: il mondo Winx. sensibilità giusta. ossa che interagiscono con i cartoni. Da tempo stiamo lavorando per realizzare un grande progetto per l’universo Winx. Sì, un film delle Winx con attrici vere! Nuove tecnologie, natività digitale e modifica del pubblico: come valuta queste tematiche rispetto all’esposizione dei bambini ai contenuti audiovisivi? I bambini sono sempre bambini e gli strumenti che possono uti- 19 SCENARI // Cinema e bambini “BRACCIALETTI ROSSI: I PICCOLI CHE FANNO LA CHEMIO ADESSO SONO CONSIDERATI EROI” GIACOMO CAMPIOTTI REGISTA Lei è uno dei pochi che ha scritto e diretto, con continuità, per un ‘piccolo’ pubblico: da Corsa di primavera a Bianca come il latte, rossa come il sangue, e Braccialetti rossi per la tv. Anche Come due coccodrilli ha avuto una vita lunghissima nelle scuole, tutt’ora mi chiamano a presentarlo. Poi c’è Non è mai troppo tardi, per la tv, sul maestro Manzi: è stato ripreso dall’Agiscuola, e ho saputo di ragazzi che fuori dalle scuole ne hanno parlato, dicendo che sarebbe bello avere ‘un maestro così’. Per me è un cinema fondamentale perché è un’età che adoro, anche per i miei ricordi personali: se ho una certa creatività la devo proprio a quel periodo: vivo di rendita di quegli anni. Potenzialmente il pubblico italiano a cui rivolgersi, quello che riempie le sale per guardare le grandi produzioni fantasy americane, ci sarebbe: per essere competitivi bisognerebbe fare film con budget che consentissero una maggiore spettacolarità di visione, oltre ad avere un pubblico ‘educato’, come nei Paesi del Nord Europa, a guardare non solo i grandi ‘giocattoloni’. È necessario fare un minimo di progetto culturale, 20 senza accezione punitiva, anzi. In controtendenza è Braccialetti rossi, capace di abbassare la media anagrafica del pubblico di Rai Uno di una percentuale notevole: i bambini sono più aperti, hanno meno giudizio, e hanno costretto i genitori e la scuola a parlare della malattia, della morte, della diversità. Tantissimi insegnanti ci hanno testimoniato che il lunedì mattina spesso è stato dedicato a parlare di Braccialetti rossi, ‘costringendo’ un po’ la scuola e la famiglia a riprendere il proprio ruolo. Ho un dato certo, e cioè che da dopo la messa in onda sono aumentate le visite agli ospedali, e i piccoli che fanno la chemio, che prima a volte si vergognavano, adesso sono considerati eroi, messaggio recepito e diffuso da bambini e ragazzini. Quello che cerco di fare è raccontare guardando anche ‘da un metro e mezzo di statura’. Dirige bambini per raccontare ai bambini, questo comporta lavorare sul set con un essere umano ancora in piena fase di costruzione di sé. Si tratta di rispetto e non sfruttamento. Riferendomi ancora a Braccialetti rossi, ho preteso e ottenuto dalla produzione una protezione enorme per loro, considerando il lungo tempo di riprese e i temi forti del racconto: i miei ‘piccoli’ attori sono arrivati prima dell’inizio riprese, abbiamo ‘fondato’ un gruppo, formato da loro, me e dalle due persone che dentro e fuori dal set li seguono; si fa colazione insieme, ci si sveglia insieme, una volta alla settimana si è fatto il fuoco, intorno a cui ognuno racconta il procedere delle cose, con piccoli ‘riti’ per cui, per esempio, si bruciano i bigliettini su cui si scrivono le cose brutte; con uno psicoterapeuta si fanno ‘giochi’ mensili per risolvere eventuali problemi. Adesso hanno avuto successo, ma se continueranno a fare gli attori sarà difficile che possano avere la botta di popolarità ricevuta: ogni volta che c’è stato un bagno di folla, li ho sempre portati, il giorno prima o dopo, in un ospedale pediatrico. In fase di pre-produzione vedo davvero tantissimi possibili interpreti e poi, una volta sul set, pur nel rispetto della sceneggiatura, quasi dimentico il personaggio scritto, che invece diventa il ragazzo in carne e ossa che ho davanti, mettendomi io al suo servizio, infatti la sceneggiatura cambia moltissimo in fase di riprese: stimolo molto a tirar fuori la loro verità, senza snaturarli, ‘mi faccio portare io’ da loro. Piccolo è chi recita, ma anche chi guarda, il pubblico. Ogni volta che faccio un film lo dedico mentalmente ai miei genitori, a mia moglie, ai miei figli: mi immagino sempre uno spettatore che io amo e rispetto. C’è un amore e un culto della bruttezza, nella visione, che è agghiacciante: anche i film considerati ‘belli’ sono cinici, perdenti, senza archetipo, penso per esempio anche agli animali di Madagascar. Sono spesso film fatti da adulti per adulti, film ‘travestiti’ da bambini, ma senza il rispetto dei bambini. Il suo film dell’infanzia è… La prima volta, da bambino, sono andato al cinema forse con mia nonna e ricordo Lassù qualcuno vi ama, con Paul Newman. Ricordo poi la serie televisiva Belle e Sébastiene, in bianco e nero, stupenda. SCENARI // Cinema e bambini “L’INTERESSE PER L’INFANZIA DA NOI È SUPERFICIALE (O COMMERCIALE)” ROBERTO PIUMINI AUTORE DI LETTERATURA PER BAMBINI Qual è lo stato di salute della letteratura per bambini in Italia? Pur non essendo esperto del campo - scrivo libri, ma non seguo gli aspetti statistici della letteratura infantile - sento dire che è un settore in buono stato, assai migliore di quello della letteratura per adulti. Ci sono molte proposte e molte iniziative, molte case editrici di gusto e cultura. A fronte di ciò, la cultura ‘istituzionale’ (giornalismo, media, pratica politica) ha poca attenzione, conoscenza e iniziativa. È più facile trovarne nel settore privato. interesse per l’infanzia solo superficiale (o commerciale) e non maturo, come in altre realtà. Che ricaduta può avere questa assenza di storie per i nostri bambini, che saranno i futuri adulti di questo Paese? La povertà di ‘immaginario filmico nostrano’ va messa insieme alla povertà generale della proposta dei media, televisione in primis - pochissimi, negli ultimi decenni, i programmi pensati nel rispetto educativo e psicologico dei bambini - e al suo rimasticamento continuo di Perché le produzioni cinemato- modelli importati. grafiche italiane non producono Dal suo Il cuoco prigioniero è cinema per bambini? Mancano tradizione, interesse e stato tratto Le avventure di Totò cultura, il che corrisponde a un Sapore (2003): la creatività di Lele Luzzati per il Pulcinella, im- portanti voci partenopee, da Bennato a Merola e Arena. Perché è rimasto un’eccezione, non ha stimolato qualche altra importante produzione per bambini? Non è stato un successo, e tanto meno un’eccellenza. Dal mio punto di vista, anche per colpa mia, che non badai alle condizioni linguistiche e narrative del film: Totò Sapore è una storia filmica greve e sovreccitata, molto sviata rispetto alla mia proposta narrativa e poetica. pigrizia culturale dei produttori, più che a conoscenza e cura della dinamica affettiva e psicologica dei bambini. Qual è il film della sua infanzia? E, provocatoriamente, ma non troppo, perché un bambino di oggi non deve poterne avere uno italiano? Il mio film mitico è, ahimé, anglosassone: Un uomo tranquillo (per le risate, invece, Il corsaro dell’isola verde). Mi associo alla sua provocazione: ho almeno una ventina di storie che sarebbero ottime Nuove tecnologie, natività di- trame cinematografiche, ma ne è gitale, modifica del pubblico: stata trattata solo una e nel modo come valuta la ‘scusa’ secon- che ho detto prima. do cui i bambini di oggi sono ‘aspirazionali’? La riposta è già suggerita dalla domanda, che parla di ‘scusa’. In ogni caso, il brusco passaggio di temi e linguaggi è dovuto alla 21 SCENARI // Cinema e bambini “NON HO MAI SMESSO DI ESSERE UN BAMBINO E DI SOGNARE” ARMANDO TRAVERSO AUTORE TV Lei ha una lunga storia professionale - tv, teatro, radio, letteratura - legata al mondo dei bambini: cosa è cambiato per penalizzare così la produzione recente dei contenuti? In Italia non si è mai sviluppata una proposta culturale omogenea per l’infanzia, in cui il bambino sia considerato un fruitore ‘di valore’, piuttosto che un semplice consumatore di prodotti. Chi si occupa di cultura per bambini è solitamente guardato con sufficienza. Insegnanti, bibliotecari, autori, editori sono persone sensibili ed intelligenti, costrette ad operare singolarmente, senza il sostegno di un progetto nazionale. Il suo parere rispetto alla carenza di creazione in ambito strettamente cinematografico. Quanto detto precedentemente purtroppo si riflette anche nel campo dei prodotti audiovisivi. Se consideriamo la produzione cinematografica americana, che è la più importante per costi e utenza, notiamo che tra i film a maggiore budget ci sono soprattutto quelli dedicati a bambini e famiglie. I successi della Disney, della Dreamworks, e delle altre major, 22 confermano l’interesse per un pubblico di cui il bambino è il destinatario finale e il traino per l’intera famiglia. Questo è stato possibile grazie alla creazione di una vera e propria industria di contenuti dedicata all’infanzia, che nel nostro Paese non si è mai sviluppata. Ha mai scritto una sceneggiatura cinematografica pensandola espressamente ed esclusivamente per un pubblico di bambini? Sì, ho scritto una sceneggiatura per un film dedicato ai bambini, commissionata da Lanterna Magica, che realizzò La Freccia Azzurra e La Gabbianella e il Gatto. Purtroppo il progetto non si è mai concretizzato per la mancanza di partner stranieri. Uno dei grandi problemi è che il cinema necessita di grandi risorse e di co-produzioni internazionali. Ciò dimostra, ancora una volta, che se non si crea a livello nazionale un sistema che supporta l’industria del prodotto, l’iniziativa è lasciata al singolo produttore che da solo non è in grado di sostenere l’onere dell’impresa. Chi sarebbe, oggi in Italia, un buon autore - di letteratura, di cinema… - per un film per bambini? E suggerirebbe di ricorrere all’animazione, oppure alle riprese ‘dal vero’? Di autori bravi ce ne sono moltissimi, come di scrittori di libri per l’infanzia. Un altro ambito di autori straordinari è quello del mondo dei comics. Sono settori tuttora in crescita, che devono poter dialogare in modo sistematico con il mondo degli audiovisivi. Non mi limiterei ad un mezzo espressivo: animazione o live-action, in Italia abbiamo professionalità eccellenti, dobbiamo dar loro modo di produrre al meglio. care di essere, per quanto possibile, sempre con loro, perché crea una base solida, un ‘ponte’ su cui attraversare il passaggio dal cartoon della prima infanzia alle serie tv per teenager. Il suo film dell’infanzia è… Non ho mai smesso di essere bambino e di sognare. A questa domanda potrei rispondere con un film che è nelle sale in questi giorni, oppure sarei costretto a compilare un elenco interminabile che mescolerebbe generi e periodi. Sono affascinato dalle persone che mi comunicano con passione qualcosa di straordinario o quello che gli è appena successo al mercato, ne immagino subito lo sviluppo di una storia che possa incantare bambini e Nuove tecnologie, natività di- genitori, insieme. Credo nel vagitale e modifica del pubblico lore del racconto, come trasmissione di esperienza e di valori. più piccolo. Non sono uno psicologo, ma credo che molto dipenda da come accompagniamo i bambini nella crescita. Il concetto in cui credo moltissimo, che è stato il cardine della mia esperienza lavorativa, è la ‘condivisione’ delle esperienze tra bambini e genitori. Non possiamo abbondonare i nostri bambini di fronte al televisore o a un tablet, dobbiamo cer- SCENARI // Cinema e bambini “LA PRIMA SALA BUIA È IL VENTRE MATERNO” ELISA DIQUATTRO PSICOLOGA* Illustrazione Accendimi i sogni di Olga Barbieri Il dato europeo dice che il cinema italiano, non generando sogni, non sta esercitando un compito sociale e formativo per le nuove generazioni. Il cinema italiano, così come la tv per ragazzi, hanno la grossa responsabilità di agire sull’immaginario collettivo. Coltivare dei sogni è un diritto di ogni persona e quindi di ogni bambino che è già ‘persona’ sin da quando viene messo al mondo. Se non si coltivano i sogni non si ha progresso, né personale né sociale. Una corresponsabilità va data ai genitori, che spesso delegano le scelte e i sogni ai media e alla pubblicità. Ecco perché il cinema italiano oggi potrebbe essere ancor più importante di ieri. L’importanza dell’educazione audiovisiva e la ricaduta sull’equilibrio psicologico, di relazione, ludico, onirico del bambino. Diversi studi dimostrano che il bambino ha un’attività onirica intra-uterina, ha già visto i suoi film ‘auto prodotti’ in quella piccola sala cinema buia e calda del ventre materno. I bambini, già in epoche molto precoci, sono bombardati da colori e suoni, che spesso hanno frequenze tiamo bambini… Il racconto parla al nostro ‘bambino interiore’, tano prima. È più facile che un ci dà la possibilità di ricontattare genitore rinunci a un acquisto personale che a uno per i propri non adeguate alle loro percezio- la parte più profonda di noi. figli, soprattutto se non riesce a ni sensoriali e fisiologiche: non hanno ‘filtri’ e non attivano rie- La povertà di un patrimonio trascorrere con loro il tempo dolaborazioni emotive e cognitive audiovisivo nazionale può ri- vuto. Il genitore che invece non che possono schermare. Inoltre, cadere sulla formazione e sulla condivide questo tipo di pressiola finzione e la realtà non hanno psicologia dei bambini, futuri ne ‘deve’ intraprendere una lotta quotidiana fatta di dialogo. La dei confini delineati, ‘viaggiano’ adulti di questo Paese? nel bene e nel male, raggiungen- Credo che il cinema italiano oggi domanda è: quanto riusciamo do tout court la loro parte più rispecchi l’instabilità del Paese: noi genitori a sostenere la fruprofonda. Quindi, stiamo atten- non s’investe sulla formazione strazione di rappresentare una ti da subito agli stimoli a cui li e sull’educazione, sul recupero voce fuori dal coro? esponiamo, dedichiamoci al delle tradizioni, del nostro patriracconto, alla visione di ‘buone’ monio culturale, obiettivi, tutti, Il suo film dell’infanzia è… storie, veicoliamo il contatto con che danno risultati a lungo ter- Sicuramente Pinocchio, una stole emozioni per riconoscerle e mine e sui quali nell’immediato ria tutta italiana, che ha delle creare un bagaglio consapevole ‘non conviene’ investire. I Paesi simbologie molto forti, che già che li farà essere poi dei ‘buo- d’Europa più ‘maturi’, invece, da piccola mi toccavano: la buni’ adulti. Conteniamoli mentre scommettono anche sul cinema gia, la trasgressione, l’inganno, contattano le loro emozioni, per bambini, che diventa veico- la bontà, la legge, il paese dei anche quelle più spiacevoli, così lo e strumento per la creazione balocchi. Gli sguardi di Nino quando la vita reale gliele porrà dell’appartenenza culturale e Manfredi nel suo Geppetto, ancora oggi mi commuovono... davanti, senza titoli di coda, il dell’identità collettiva. perché parlano al mio bambino loro inconscio sarà più sereno e Nuove tecnologie, natività di- interiore. i loro sogni più tranquilli. gitale e modifica del pubblico Il cinema può essere un‘ponte’ più piccolo. Si parla di una preadolescenza tra figli e genitori? Sicuramente sì. Un buon film è precoce e credo che ci sia. Il di- * psicologa-formatrice, esperta in un ottimo strumento per ‘dire’ scorso è più ampio. I bambini terapie vibrazionali, si occupa di ciò che a parole sarebbe diffici- vengono visti, prima di tutto, percorsi di consapevolezza psicole. Da spettatori ci poniamo tutti come dei consumatori e agen- corporea. sullo stesso piano per quanto do su questo aspetto lo diven- Fondatrice di FormaMente Soc.Coop www.formamente.rg.it riguarda età estrazione sociale, identità di genere,... Qualcuno ci racconta una storia e tutti diven- 23 SCENARI // Cinema e bambini Fabia Bettini, Gianluca Giannelli, in base a quali criteri scegliete i film destinati al pubblico di bambini di Alice nella città? Ci colpiscono le storie che riescono a scambiare il dettaglio con il tutto e che creano quella sospensione di incredulità propria dell’infanzia, quella che dovremmo avere noi adulti quando ci concediamo di essere spettatori o lettori di libri, con le emozioni positive e negative che tutto ciò comporta. I film che catturano l’attenzione dei bambini sono, da sempre, legati alla capacità di immaginare mondi in cui poter stabilire una relazione viva, in un corpo a corpo con gli altri, con le cose e con la natura che sempre ci circonda. L ’ Da quali festival internazionali di cinema per bambini e ragazzi attingete titoli da portare ad Alice nella città? Generation e 14 Plus di Berlino rimangono per noi un punto di riferimento costante e a cui dobbiamo molto. In questi ultimi anni di ricerca ci stiamo affacciando verso i mercati di coproduzione dove spesso troviamo giovani autori pronti a confrontarsi con tematiche legate all’infanzia e all’adolescenza. Poi ci sono mercati a cui è impossibile non riferirsi per vedere e selezionare progetti non necessariamente dedicati ad un pubblico giovane. Questo è sempre stato lo sforzo più grande: cercare di uscire dall’idea di genere che spesso soffoca la circolazione di progetti che invece meriterebbero un pubblico più ampio. C’è molta produzione europea di film per la fascia d’età che va dai più piccoli ai 13 anni? L’Europa esprime ancora una vitalità sorprendente per i film legati all’adolescenza, mentre l’infanzia rappresenta un buco narrativo spesso colmato dai film d’animazione. Ma crediamo che nei Paesi un tempo ‘terzi’ nascano le storie più interessanti e che irrompono con forza nelle selezioni di molti festival. I N F A N Z I A , U N V U O T O N A R R A T I V O C O L M A T O D A I F I L M D ’ A N I M A Z I O N E di Stefano Stefanutto Rosa 24 SCENARI // Cinema e bambini C’è un Paese europeo che spicca più degli altri? Spesso il Belgio, in cui troviamo le storie più coraggiose. Questo credo sia dovuto alla politica culturale e al lavoro di Flanders Image e Web Image. Secondo un rapporto dell’Osservatorio europeo dell’audiovisivo, l’Italia è il fanalino di coda di questa produzione. Quali i motivi? Perché da noi si è persa la cultura infantile. Alla maggior parte dei bambini non è concesso il diritto di riconoscere la qualità dei loro pensieri e rendersi conto della loro profondità. Un pensiero che non trova ascolto difficilmente prende forma e respiro. Il cinema dovrà affilare lo sguardo come un coltello, per affrontare una Non serve un osservatorio particolare quanto il nostro per accorgersi che siamo di fronte ad un vero e proprio cambio di personalità, un mutamento radicale del giovane pubblico che in soli dieci anni è stato capace d’influenzare il mercato ed aggiornare i modi di fruizione dei contenuti, azzerando la distanza tra narrazione per il piccolo e per il grande schermo. I figli della nuova generazione in questo cambiamento ci sono cresciuti dentro ed in questa opportunità stanno costruendo mondi, imparando a realizzare il proprio romanzo di formazione altrove, su altri supporti, un pezzo alla volta, mettendo in moto un’originale e radicale trasformazione del gusto e dei C’è un film di Alice nella città 2014 che vi ha colpito e tuttavia non sarà distribuito nelle sale italiane? Se penso ai bambini, Song of the Sea diretto da Tomm Moore è il film d’animazione che in una proiezione super affollata ha commosso tutto il pubblico. Ma è nelle parole del pedagogo e scrittore Janusz Korczak, raccolte nella presentazione del documentario Elementare del regista e maestro elementare Franco Lorenzoni, che è racchiusa la materia vivente che dà forma e sostanza al nostro lavoro: “È faticoso ascoltare le parole dei bambini. Avete ragione. Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, farsi piccoli. Ora avete torto. “È faticoso ascoltare le parole dei bambini. Avete ragione. Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, farsi piccoli. Ora avete torto. Non è questo che più stanca - affermava il pedagogo e scrittore Janusz Korczak - È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi, per non ferirli”. Intervista a Fabia Bettini e Gianluca Giannelli fondatori e direttori artistici di Alice nella città battaglia civile in quella che può essere considerata la guerra alla sistematicità con cui sono state eliminate le prospettive di futuro per un cinema nuovo. Quanti titoli italiani per questa fascia ci sono stati nella programmazione di Alice 2014? Un solo titolo, fuori concorso, Mio papà di Giulio Base. Quanti di questi film, presentati ad Alice nella città, arrivano in sala o in tv? Per questa fascia d’età nessuno. Solo Trash che era in concorso e gli eventi speciali hanno una distribuzione italiana. Che cosa si potrebbe fare per incentivare la loro distribuzione? modi di partecipare al cambiamento della società. Insistere solo nel creare circuiti protetti o concedere spazi omeopatici nelle programmazioni delle grandi sale nazionali, credo non sarà sufficiente per raccogliere la sfida che ci aspetta. Dunque dovremo ripartire dalla formazione del pubblico nuovo che ha bisogno di essere accompagnato in luoghi in cui non è mai stato, mettendo in atto un’impresa corale in cui coinvolgere tutte quelle realtà che il cinema lo insegnano, lo conservano, lo producono e lo promuovono, investendo con coraggio su storie per un pubblico che non c’è, esercitando quella che un tempo veniva chiamata, ispirazione. Non è questo che più stanca. È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi, per non ferirli”. Quale film consiglierebbe a un bambino/ragazzino? Dopo la masterclass tenuta al festival dal regista Stephen Daldry, abbiamo voluto rivedere Billy Elliot. Un film senza tempo, un racconto di formazione che appena uscito era già un classico. Qual è la mission di Alice nella città rispetto a questa fascia d’età? Restituire lo spazio e la giusta fiducia ad uno sguardo bambino, partendo dalla scuola. 25 SCENARI // Cinema e bambini Intervista a Claudio Gubitosi fondatore e CEO di Giffoni Experience Dobbiamo parlare Film per bambini, una categoria che non dovrebbe esistere invece di film che sappiano avvicinare con storie vere, giuste, moderne, i ragazzi alla gestione della propria di s.s.r. vita, a capirne le bellezze ma anche le difficoltà. Germania, Olanda, Gubitosi, in base a quali criteri sceglie i film per le tre sezioni Elements +3/ +6/ +10/ del Giffoni Experience o per le anteprime destinate a questa fascia d’età? La cosa più importante è cercare di immedesimarsi il più possibile nei gusti dei più piccoli. Far coincidere i tuoi occhi con quelli del tuo ‘pubblico’ è un processo che si impara edizione dopo edizione: condividendo le proiezioni con questi ragazzi in sala, discutendone dopo, ascoltando le loro riflessioni, i loro punti di vista, intercettando le loro traiettorie emotive. Vuol dire non imporre loro il tuo concetto di ‘film per ragazzi’, ma sintonizzarsi sul loro ‘linguaggio’ e fare la tua proposta. Quanto alle anteprime da qualche anno più che scegliere veniamo scelti dalle distribuzioni italiane e dalle grandi major internazionali. Questo, naturalmente, dipende dalla qualità dell’offerta culturale e dal brand di Giffoni che è conosciuto e apprezzato in ogni parte del mondo. Inoltre, i circa 4mila ragazzi che compongono le giurie e mediamente provengono da 50 nazioni sono un ulteriore stimolo alle major per scegliere Giffoni. 26 Norvegia e Danimarca Da quali festival internazionali di cinema per bambini e ragazzi attingete i titoli da portare al Giffoni Experience? Abbiamo rapporti con decine di eventi culturali del mondo, produciamo noi stessi eventi all’estero con il format Giffoni e riceviamo in anticipo numerosi titoli che si candidano a far parte delle selezioni. Più che ai festival il mio team si rivolge a mercati come Berlino, Cannes e Toronto. Lavorando su un prodotto di nicchia non si pretende di proporre esclusivamente anteprime assolute e, se un film è molto bello, perché impedire ai ragazzi di vederlo solo perché ha partecipato ad un altro evento? Evitiamo soltanto di proporre film che sono stati già promossi in altri festival italiani e che sono già noti al pubblico nazionale. C’è un Paese europeo che spicca più degli altri? Germania, Olanda, Norvegia e Danimarca sono i Paesi con una produzione più interessante per numeri e qualità. Parliamo di film che nei loro rispettivi Paesi hanno una buona distribuzione e che vengono venduti in diversi Paesi europei come testimoniato dal rapporto dell’Osservatorio Europeo. Nelle sezioni Elements +6 e Elements +10 sono queste, non a caso, le nazioni che continuano a portare a casa C’è molta produzione europea il Grifone, il primo premio di di film per la fascia d’età che va Giffoni Experience. dai più piccoli ai 13 anni? Mediamente il 60/70% delle Secondo un rapporto dell’Osnostre proposte sono di origine servatorio europeo dell’audiovieuropea. Tra tutti i titoli europei sivo l’Italia è il fanalino di coda il 30% sono destinati alla macro- di questa produzione. Perché? area Elements (+3, +6, +10), un Non so se possiamo classificare altro 30% a Generator (+13, +16, l’Italia come fanalino di coda da +18) e il 40% tagli over 20. valutazioni e metodologie che sono i Paesi con una produzione più interessante per numeri e qualità. SCENARI // Cinema e bambini ritengo discutibili. A mio parere il cinema per ragazzi non esiste e non dovrebbe assolutamente esistere. Dobbiamo parlare invece di film che sappiano avvicinare con storie vere, giuste, moderne, i bambini e i ragazzi alla gestione della propria vita, a capirne le bellezze ma anche le difficoltà. L’Italia ha autori eccellenti che hanno attraversato più volte con le loro opere questo bellissimo e tormentato periodo della vita. Non abbiamo una linea produttiva costante. Tanti anni fa per legge si dovevano produrre film per ragazzi in Italia, proprio con l’Istituto Luce. Posso confermare che non abbiamo espresso capolavori e molti non sono mai entrati in una sala. Molto di quello che non fa il cinema, come vedete in Italia, viene sopperito dalla tv e soprattutto dalle fiction e dai seriali. Ma c’è e ci sarà sempre una stagione italiana. Bisogna però rivedere il concetto di distribuzione. Solo sala? Web? Streaming? Piattaforme digitali? Applicazioni per mobile? Ci stiamo lavorando. C’è un film di Giffoni Experience 2014 che l’ha colpita e tuttavia non ha distribuzione italiana? Ci si affeziona ai temi che più contribuiscono a una migliore integrazione e conoscenza del mondo dei ragazzi. È il caso quest’anno del film olandese Boys (sezione Generator+13) che tratta dell’amore fra due ragazzi adolescenti, con delicatezza e straordinaria partecipazione. Quanti titoli italiani per questa fascia ha programmato Giffoni Experience 2014? Ci farebbe piacere, e tanto, poter presentare giovani autori italiani anche alle prese con la loro prima opera. Ma noi siamo molto rigorosi e selettivi e quando ci sono capitati, abbiamo sempre tenuto conto della qualità e dell’impatto sui ragazzi anche in ragione delle altre opere internazionali proposte. Quale film consiglierebbe a un bambino/ragazzino? Quanti di questi film, presentati Oggi non puoi consigliare quela Giffoni Experience, arrivano in lo che a me è piaciuto: età, mosala o in tv? menti, contesti diversi. Ai bamAnche qui fare le statistiche è bini consiglierei solo di essere sbagliato. Siamo molto soddi- curiosi. Vedendo tanto, diventasfatti perché tanti titoli di Giffoni no selettivi. E lì si intravede l’ahanno l’opportunità di arrivare dulto che sarà. in sala o in tv, soprattutto sulle reti Mediaset (Canale 5 in parti- Qual è la mission di Giffoni colare) da 15 anni, e per 2 mesi Experience rispetto a questa faall’anno. Del resto circa 1/4 della scia d’età? programmazione di film per ra- È una domanda superata dalla gazzi in tv, al momento, provie- storia stessa dell’idea di Giffoni, ne dalla nostra selezione o dalla che nel 2009 cancella dal suo short list dei titoli non selezionati. corpo la dicitura ‘Festival’ sostiCon l’aumento poi dei canali sa- tuendola con ‘Experience’ e nel tellitari e tematici, le possibilità si 2015 diventerà ‘Opportuniy’. Gifsono ulteriormente ampliate. foni per i ragazzi non è solo un luogo fisico ma è una ‘persona o Che cosa si potrebbe fare per in- amico’ di cui fidarsi. Diventati i centivare la loro distribuzione? più social al mondo ci preoccuDa anni, con le nostre giornate piamo di condividere con la nodedicate alle scuole, aiutiamo la stra community persino tutte le distribuzione cercando di porta- scelte organizzative. re il pubblico in sala attraverso eventi mirati. Ma contiamo su 30/40mila ragazzi, non oltre. Sosteniamo i film nei progetti di Giffoni in diverse regioni d’Italia. Promuoviamo i nostri film anche in tantissimi progetti direttamente gestiti da noi o indirettamente in varie parti del mondo. 27 UN POCO DI ZUCCHERO & SODA PER PETER PAN E L'ALIENO di Chiara Gelato 10 GIORNALISTI DI SETTORE INDICANO, IN 5 TITOLI, I FILM PIU BELLI DI SEMPRE PER IL PUBBLICO DEI PICCOLI. 01 02 03 04 VALERIO CAPRARA Le avventure di Peter Pan di Hamilton Luske, Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Jack Kinney PAOLA CASELLA Alla ricerca di Nemo di Andrew Stanton, Lee Unkrich OSCAR COSULICH Le avventure di Peter Pan di Hamilton Luske, Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Jack Kinney ALBERTO CRESPI Le avventure di Peter Pan di Hamilton Luske, Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Jack Kinney Il monello di Charlie Chaplin Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini La scala musicale di James Parrott L’incredibile avventura di Fletcher Markle Toy Story - Il mondo dei giocattoli di John Lasseter Toy Story 2 - Woody e Buzz alla riscossa di John Lasseter, Lee Unkrich, Ash Brannon Toy Story 3 - La grande fuga di Lee Unkrich Mary Poppins di Robert Stevenson Coraline e la porta magica di Henry Selick Biancaneve e i sette nani Hugo Cabret di David Hand, Perce Pearce, di Martin Scorsese William Cottrell, Larry Morey, Wilfred Jackson, Ben Sharpsteen Toy Story 3 - La grande fuga di Lee Unkrich Cenerentola di Clyde Geronimi, Wilfred Wall-E Jackson, Hamilton Luske di Andrew Stanton E.T. - L’extra-terrestre di Steven Spielberg La storia infinita di Wolfgang Petersen West and Soda di Bruno Bozzetto 28 Ponyo sulla scogliera di Hayao Miyazaki SCENARI // Cinema e bambini 05 06 SILVIO DANESE La città incantata di Hayao Miyazaki OSCAR IARUSSI Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini Ladri di biciclette di Vittorio De Sica Il monello di Charlie Chaplin Bambi di David Hand, James Algar, Samuel Armstrong, Graham Heid, Bill Roberts, Paul Satterfield, Norman Wright Nightmare Before Christmas di Henry Selick E.T. - L’extra-terrestre di Steven Spielberg Viaggio nella luna di Georges Méliès Ponyo sulla scogliera di Hayao Miyazaki West and Soda di Bruno Bozzetto 07 08 MARIAROSA MANCUSO Gli Aristogatti di Wolfgang Reitherman ROBERTO NEPOTI L’era glaciale di Chris Wedge, Carlos Saldanha Babe - Maialino coraggioso di Chris Noonan E.T. - L’extra-terrestre di Steven Spielberg Il Mago di Oz di Victor Fleming, George Cukor, Mervyn LeRoy, Norman Taurog, King Vidor Monsters & Co. di Pete Docter, David Silverman, Lee Unkrich Mary Poppins di Robert Stevenson Il monello di Charlie Chaplin Ponyo sulla scogliera di Hayao Miyazaki La storia fantastica di Rob Reiner 09 10 CRISTIANA PATERNÒ Azur e Asmar di Michel Ocelot MAURIZIO PORRO E.T. - L’extra-terrestre di Steven Spielberg Il buio oltre la siepe di Robert Mulligan La carica dei 101 di Wolfgang Reitherman, Hamilton Luske, Clyde Geronimi Fantasia di Norman Ferguson, James Algar, Samuel Armstrong, Ford Beebe Jr., Jim Handley, T. Hee, Wilfred Jackson, Hamilton Luske, Bill Roberts, Paul Satterfield, Ben Sharpsteen Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson La febbre dell’oro di Charlie Chaplin La gabbianella e il gatto di Enzo D’Alò Il palloncino bianco di Jafar Panahi Play Time - Tempo di divertimento di Jacques Tati 29 SCENARI // Cinema e bambini Feste da grande schermo di Valentina Neri S ono sempre più lontani i tempi in cui per festeggiare i compleanni bastava adibire il salotto di casa a stanza dei giochi per qualche ora. E sempre di più sono quelli che scelgono il cinema per spegnere le candeline. Specie tra i 6 e i 10 anni. Dal 2004 anche in Italia gli esercenti organizzano gli spettatori: c’è la possibilità di prendere tutta una sala, il cinema può fornire la torta, ma il numero di invitati minimo per l’affitto della sala deve essere tra i 25 e i 30. Numero minimo di ospiti e biglietto base che include film+popcorn & bibita sono le prerogative di tutti gli esercizi con spazi ad hoc per il Sofia, ma anche animatori ex Valtur e la possibilità di dare un tema al party che si vuole organizzare. Inoltre si può proporre il titolo da proiettare. Possibilità offerta anche dal Cinema dei Piccoli di Roma. Il gestore, Claudio Fiorenza, ha svelato che tempo fa qualcuno ha voluto Il Monello di Chaplin. Una scelta più che sul bilancio della sala”, come Santalucia, e chi lo vede come un modo “per riempire infrasettimanalmente una sala al 50% e al tempo stesso vivacizzare la struttura” come Grispello, ma di sicuro, crisi o no, è un trend ancora in crescita. E salvaguarda i rapporti con i vicini di casa. feste nelle loro sale, sollevando i genitori dall’ordinare cibarie, tenere occupati gli ospiti e ripulire a fine evento. Anno dopo anno i cinema hanno affinato gamma e qualità dei servizi in una continua implementazione, teoricamente, senza limiti. Al Multicinema Galleria di Bari gestito da Francesco Santalucia, ad esempio, nel 2013 si è inaugurata una nuova sala prevalentemente per questi eventi. Con soli 56 posti è il luogo deputato per eventi privati, nato dalle richieste de- taglio della torta o la proiezione riservata. C’è anche chi, come nei Cinema Ferrero di Roma (18 compleanni organizzati nel solo mese di ottobre), può limitarsi a prenotare i biglietti per spettacolo e snack, da ritirare entro 20 minuti dall’inizio del film. O chi alle location particolari vuole comunque aggiungere un tocco in più. Nelle strutture che cura Nicola Grispello, i Cinema di Napoli, ci sono spazi all’aperto panoramici, come quello sul Golfo di Pozzuoli del Multisala controcorrente, come la struttura di Fiorenza che, sebbene dedicata al pubblico dei bambini, “non è un festificio - come dice il gestore - ma un cinema. Le feste non sono il nostro mestiere. Ci battiamo per far rispettare la dignità della sala. Dentro si vede solo il film, tutto il resto avviene fuori, in una cornice, Villa Borghese, che non teme confronti”. Uno sforzo da parte dell’esercizio che sembra ripagato. C’è chi ne fa una questione di “investimento sul pubblico del futuro Organizzare il compleanno dei bambini in una sala cinematografica non è solo di moda ma sta cambiando anche spazi interni e utilizzi delle strutture. E può essere un investimento sugli spettatori del futuro. 30 COSA MI PIACE DEL CINEMA ITALIANO GRAINNE DIRETTRICE DEL DUBLIN S INTERNATIONAL FILM FESTIVAL i terrà dal 19 al 29 marzo 2015 la tredicesima edizione del Dublin International Film Festival, affermatosi negli anni come il più importante evento cinematografico irlandese, che presenta oltre 100 titoli in anteprima in diverse sale sparse per la capitale, oltre che interviste pubbliche, workshop e masterclass. Da sempre molto attento al cinema italiano, il DIFF è diretto dal 2007 da Grainne Humphreys, che ha lavorato nella programmazione per oltre vent’anni contribuendo al successo, tra gli altri, dello Stranger Than Fiction Documentary Festival e del Dublin French Film Festival. 32 Il Dublin International Film Festival offre sempre molto spazio al cinema italiano... Mi piacciono la ricchezza e la diversità del cinema italiano attuale, i suoi molteplici generi e la capacità di sfruttare molte qualità del cinema tradizionale: tecnica e casting di alto livello si combinano con interessanti esperimenti narrativi e di racconto non lineare. È un cinema potente, politico, moderno, impegnato rispetto alla società contemporanea. E accanto agli autori, propone anche commedie molto popolari che attirano un ampio pubblico e intrattengono spettatori in tutto il mondo. di Michela Greco COSA MI PIACE DEL CINEMA ITALIANO HUMPHREYS, Quali sono i criteri con cui il DIFF seleziona i titoli italiani? Non c’è un comitato di selezione, sono io a decidere tutto! Il nostro è un festival per il pubblico e ogni anno cerco di creare una selezione di film che in qualche modo includa il cinema italiano contemporaneo, vedendo i lavori di nomi consacrati così come di talenti emergenti. Cerco titoli che provochino, intrattengano, sfidino ed educhino il pubblico irlandese. L’anno scorso avete proposto Via Castellana Bandiera, Salvo e Anni felici: tre tipi di cinema molto diversi. Molto, molto diversi. Ho cercato di mescolare i generi e gli stili presenti nel festival. Salvo è un thriller eccezionale che usa la sua ambientazione specifica per creare un effetto potente. Via Castellana Bandiera è una satira meravigliosamente intelligente, la cui stravagante logica interna mi ha divertito e turbato contemporaneamente. Anni felici conferma una volta di più il piacere genuino di guardare un melodramma ben fatto, che ti rimane dentro ben oltre la fine del film. Tutti e tre avevano ottimi cast e qualità tecniche eccezionali. A Dublino sono stati molto ben accolti. una cosa molto naturale. I suoi film reinventano costantemente il cinema e il suo linguaggio, è un modernista le cui opere risvegliano i nostri sensi alle possibilità del cinema. Con destrezza e talento crea e scolpisce il tempo e lo spazio come un maestro. I suoi capolavori sono Le conseguenze dell’amore, Il divo e La grande bellezza. E poi ha ottimi collaboratori come Luca Bigazzi e Toni Servillo. Le sembra che il cinema italiano proponga un’ondata di talenti giovane o già matura? Come per molte cinematografie nazionali, le ondate si infrangono continuamente sulla spiaggia. Personalmente riesco a vedere molti lavori dei giovani registi, ma non quanti vorrei. Ho comunque la sensazione che ci sia un importante slancio creativo tra i cineasti che oggi hanno intorno ai 40 anni e credo che nel giro di qualche anno Avete celebrato Paolo Sorren- assisteremo a un’età dell’oro del tino come Miglior Regista nel cinema italiano. 2009 e recentemente avete presentato un’intervista pubblica Quali sono secondo lei i registi con il suo direttore della foto- italiani del futuro? grafia, Luca Bigazzi. Secondo Molti di loro sono già consacralei cosa rappresenta Sorrentino ti, penso a Michelangelo Frammartino, Alice Rohrwacher, Luca per il nostro cinema? Da quando ho visto Le conse- Guadagnino, Fabio Grassadonia guenze dell’amore in concorso a e Antonio Piazza, Sydney Sibilia. Cannes ho capito che Paolo Sorrentino era un nuovo autore im- E per quel che riguarda gli attori portante e che presto sarebbe e le attrici? diventato uno dei fari del cinema Direi senz’altro Toni Servillo, Elio italiano. Il suo talento è senza li- Germano, Riccardo Scamarcio, miti, ho percepito la sua abilità Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, nel destreggiarsi tra le numero- Laura Morante, Alba Rohrwacher, se responsabilità di un regista Margherita Buy, Isabella Rossellini sul set, pur facendola sembrare e Monica Bellucci. La maggior sorpresa del cinema italiano recente? Non vorrei tornare su Sorrentino, ma è emerso come un maestro del cinema ed è riconosciuto internazionalmente. Fu un piacere vedere Il divo ai suoi inizi. Quali festival italiani frequenta o osserva con particolare attenzione per scoprire le nuove tendenze del nostro cinema? La Mostra di Venezia ha sempre una selezione interessante. Mi piacerebbe frequentare Roma, con l’evento autunnale e il festival indipendente in primavera, e ho sentito grandi cose di Torino. Mi piacciono molto anche i programmi italiani che passano a Toronto e a Londra. Fino a che punto il cinema italiano arriva al pubblico irlandese? Molto, molto poco. A parte i limitati accordi di distribuzione inglesi, la maggior parte dei film italiani vengono proiettati ai festival. Ma la presenza ai grandi festival aiuta davvero i film? Assolutamente sì, i premi a Venezia e Cannes, così come gli Oscar, alzano il profilo del cinema straniero a livello mondiale. 33 INNOVAZIONI Il feticismo del nuovo IL FETICISMO DEL NUOVO di Gianni Canova 34 INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo S e non ti piace, rischi di passare per un rudere archeologico. Se osi anche solo azzardare che non è detto che sia il meglio, la possibilità di veder crollare il tuo indice di popolarità è molto alta. Eppure, non tutte le epoche hanno condiviso quel dilagante “feticismo del nuovo” che sembra dominare il nostro tempo. Ci sono state epoche e culture - come è noto - che hanno esorcizzato il disagio del presente appoggiandosi alla tradizione, all’eredità del passato, ai canoni e ai codici collaudati di presunte età dell’oro. Ora invece, finita l’epoca del buonismo, è il nuovismo l’imperativo categorico che orgasmizza opinion leader e analisti di trend, politici ed artisti, sociologi e gossippari. A qualunque cosa venga asso- ciato, l’aggettivo nuovo pretende di essere garanzia di qualità e sinonimo di valore. È talmente solida, la dittatura del nuovismo, che anche il vecchio, per sopravvivere, spesso è indotto a indossare nuovi abiti di scena, o a cambiare perfino il proprio nome. Crowfunding, fundraising, found footage, remix: le parole sono nuovissime, fanno tanto “in”, ma designano fenomeni antichissimi dai nomi tristemente provinciali come “colletta”, “sottoscrizione”, e così via. Ma tant’è: è almeno dai tempi di Aristotele che la nostra storia culturale è fatta di mascheramenti e smascheramenti successivi, di è vecchio il film d’autore che si ammanta di un’aria austera, disdegna le emozioni facili, inarca le sopracciglia e si mette a pontificare con tono solenne e preoccupato sui destini ultimi dell’universo mondo. Ma è vecchio anche il cinema che si crede importante solo perché affronta temi socialmente nobili. È vecchio il sistema dei festival, con i suoi rituali eternamente identici a se stessi, i suoi red carpet sempre più patetici e i suoi premi sempre più ininfluenti; vecchia la critica convinta che il suo compito sia quello di distribuire con olimpico sussiego palline e stellette; vecchio il compiacimento dei trolls del web che godono come ricci nello schizzar veleno su tutto ciò che ha successo; vecchio l’atteggiamento di chi ri- IN UN PAESE DA SEMPRE MISONEISTA COME L’ITALIA, D’IMPROVVISO no i prati di Ermanno Olmi. Cioè un film che rievoca avvenimenti di cent’anni fa, realizzato da un regista che di anni ne ha 83. Ma il nuovo non lo si misura all’anagrafe. L’anagrafe vale per i talebani del nuovismo. Per gli altri, per tutti gli altri, il nuovo vale se e nella misura in cui indica un percorso diverso, si assume la responsabilità del cambiamento, riesce a sollecitare un cambio di paradigma mentale. È di questo che ci piacerebbe iniziare a discutere su questo numero di 8½. Nelle pagine che seguono, alcuni protagonisti del cinema italiano cominciano a esporre il loro punto di vista. Ma l’auspicio è che questi interventi non siano che l’inizio di una riflessione e di un confronto più ampi. Non ci sarebbe novità più importante, per l’Italia, di un cinema che riprende a ragionare collettivamente su di sé, sul nuovo e sul vecchio che lo attraversano, e sulle strategie che gli possono aprire per davvero le porte del futuro. SEMBRA CHE SOLO CIÒ CHE È ETICHETTABILE COME “NUOVO” ABBIA QUALITÀ E VALORE. È DAVVERO COSÌ? COSA È VECCHIO E COSA È NUOVO, OGGI, NEL CINEMA ITALIANO? rinominazioni, di vocaboli nuovi escogitati per designare fenomeni antichi. E tuttavia, in questa marea di finto-nuovo-che-maschera-il vecchio, di vecchio-chesi-traveste-da-nuovo, di nuovo-che-si-autoproclama-tale e di vecchio-che-nega-di-esserlo, cos’è davvero “nuovo”? Per limitare il campo al territorio su cui si concentra l’attenzione di questa rivista: cosa è nuovo e cosa è vecchio nel cinema italiano? È questa la domanda che ci poniamo - e vi poniamo - in questo numero di 8½. Domanda semplice semplice, ma risposta tutt’altro che scontata. Soprattutto in un Paese misoneista come da sempre è l’Italia. Io, ad esempio, faccio molto meno fatica a ragionare su ciò che a me appare “vecchio” che a definire esattamente i confini del “nuovo”. Per me, ad esempio, tiene che il proprio film (e solo il proprio…) meriti il finanziamento pubblico per investitura divina; vecchio chi dà del vecchio a tutto ciò che è diverso da sé. Scenario decrepito, visto da questa prospettiva. Eppure. Eppure, il nuovo qua e là si intravede. E non è detto che coincida con ciò che è recente. Con ciò che è giovane. Se dovessi indicare il film italiano più nuovo fra quelli che ho visto negli ultimi due mesi, confesso che il primo titolo che mi viene in mente nuovissimo per come disarticola la struttura narrativa, per come lavora di sottrazione sui canoni della messinscena tradizionale, per come sa non assomigliare a nessun altro film di guerra e sulla guerra già visto in precedenza, per la forza con cui rivendica il suo essere più simile a un oratorio che a un racconto - è Torneran- 35 INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo o t t u t i d a m i r P a i r o t s a l e r p c’è sem otagonisti que pr parlano cin di Gida Salvino che il “nuovo” re l’impressione l web sembra da - canale distributivo alternativo te provenga dalla re olta nascono commistioni lv ta sì continuare alla sala - e co tori preferiscono au i gl rò pe o, anche rm he di linguaggi, sc r il grande pe a m ne ci il ire della produzione à. a concep tico, vera fucina ris ta en m nga serialit cu do quello splosione della lu l’e è c’ i po E a. contemporane e e comunque e conta è sempr Ma alla fine ciò ch ssioni. appa un racconto che I 36 INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo Ciro De Caro REGISTA DI SPAGHETTI STORY Spaghetti story è stata un’opera prima che ha lasciato molti senza parole. Come si fa in Italia a realizzare un progetto ‘nuovo’? Per quel che mi riguarda, non ho esordito secondo i canoni classici: per me non è stato difficile perché mi sono messo in gioco in prima persona. Ho venduto la macchina e, con circa 15mila euro in undici giorni, insieme a una squadra di persone che credevano nel progetto, ho portato a casa la realizzazione del film. Spesso oggi chi vuole fare questo lavoro non lo fa perché ama raccontare una storia ma perché ama ‘giocare con i dolly’ e dimentica che solo chi ha qualcosa da dire può creare qualcosa di nuovo. Non dico che la tecnologia non sia una grossa opportunità, anzi. Ma ciò che conta è la storia. Quali sono le regole da cambiare nel sistema cinema? Partirei dal meccanismo che consente di accedere ai finanziamenti per realizzare un film: normalmente, il punteggio aumenta se al progetto partecipano sempre le stesse facce. È un serpente che si morde la coda. Ecco, questo definire un film ‘piccolo’ solo se non viene riconosciuto nella tabella dei soliti noti, per così dire, penalizza molto la possibilità di creare cose nuove al cinema. Ovviamente, sono i registi giovani a pagare le spese di questo meccanismo contorto. La commistione fra generi web, serie tv, cinema - può rappresentare un luogo di sperimentazione del ‘nuovo’? Non so se le serie tv possano rappresentare qualcosa di nuovo, certo è vero che in America in questo settore si investe molto sui nuovi autori e forse è per questo che nascono prodotti d’eccezione come True detective. Ci tengo però a specificare che, per quel che mi riguarda, web, tv e cinema sono linguaggi diversi, l’uno non può sostituirsi all’altro. Non solo difendo l’autonomia dei generi - anche perché la maggior parte delle web series non sono belle ma solo divertenti - ma dico forte che i film devono essere visti sul grande schermo. Cos’è per lei il ‘nuovo’? Secondo me il ‘nuovo’ nel cinema è una storia, un personaggio, un’immagine che sorprende ed entusiasma l’autore prima ancora del pubblico. Si può raccontare anche una storia non nuova, ma se lo sguardo dell’autore è nuovo, se è come quello di un bambino che si entusiasma di fronte ad un nuovo gioco fino a perderci il sonno allora sarà la stessa cosa anche per il pubblico. 37 INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo L’innovazione ha più a che fare con le idee, col ricambio generazionale o con le possibilità offerte dall’industria cinematografica del momento? L’innovazione ha a che fare con la coscienza dei mezzi che si hanno a disposizione, è innanzitutto una questione culturale. Precede l’invenzione di nuove tecnologie e con la rete non è ancora nata una cinematografia veramente di rottura, forse qualcosa si muoverà nell’ambito del ‘multimediale interattivo’. Quali sono le regole da cambiare nel sistema cinema per ‘aggiornarlo’? Bisogna ampliare l’offerta e razionalizzare i canali distributivi. È sotto gli occhi di tutti il fatto che in Italia ci siano regioni in cui il rapporto fra numero di abitanti e schermi cinematografici è quantomeno sbilanciato. L’altra questione è legata alla ricalibrazione dei diritti televisivi: il fatto che ci sia un mercato asfittico, infatti, fa sì che i produttori abbiano una limitata scelta per finanziare i film. Infine, c’è la questione legata alla formazione dei nuovi cineasti. Per ora l’identikit del cineasta in Italia è il seguente: maschio, adulto, ricco, bian- Daniele Vicari DOCUMENTARISTA E REGISTA 38 co. Ed è una foto spietata di una cinematografia che si ripiega su se stessa. I cineasti devono far parte del mondo, e non solo di un’élite per far sì che possano raccontare la realtà. Per questa ragione i nuovi cittadini del mondo non possono non entrare a far parte della compagine. L’innovazione passa attraverso queste aperture. C’è un settore del cinema italiano che è, per così dire, più a stretto contatto col ‘nuovo’? C’è un numero crescente di cineasti che fanno documentari, in Italia - Paese fra i più importanti del mondo in questo campo - se ne producono 600 l’anno. Tutti i critici, peraltro, considerano questo settore come quello più innovativo della nostra cinematografia. E questo perché la libertà espressiva nel documentario è pressoché totale. Cos’è per lei il ‘nuovo’? Quello che noi definiamo ‘nuovo’ ha a che fare con la capacità che una determinata opera ha di spiazzarci: accadono cose che non avevamo considerate valide in quel contesto lì. Penso, per esempio, a Europa di Lars Von Trier: un film forse non perfetto ma nel quale si sentiva chiaramente che stava nascendo un nuovo modo di fare cinema, anticipava Dogma 95. INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo articolato e l’abbiamo realizzato con delle collaborazioni molto importanti per una serie web, a partire dal cast. Il ‘nuovo’ non deve andare per forza d’accordo con la scarsità di mezzi, semmai innovare è andare contro gli standard. Le opere prime che ho prodotto non sono state mai sacrificate dal punto di vista del budget: un esordiente ha bisogno di mezzi tanto quanto un regista affermato. Francesca Cima PRODUTTRICE E FONDATRICE INDIGO FILM fronti del cinema italiano. Se si vuole far crescere il risultato ottenuto negli ultimi tempi bisogna crederci e pensare davvero che il L’innovazione ha più a che fare cinema possa essere un motore con le idee, col ricambio ge- di sviluppo per tutto il Paese. nerazionale o con le effettive possibilità offerte dall’industria Lei, tra le tante cose, ha procinematografica del momento? dotto Una mamma imperfetta, La cosa più importante è la ca- la web serie che ha innovato pacità di raccontare belle storie al punto da diventare un caso e l’industria deve essere a sua editoriale. Che cosa l’ha spinta volta capace di supportare que- a realizzare un progetto che era ‘nuovo’ ma all’inizio non aveva sto processo. garanzie di successo? La voglia di innovazione nel La forza dell’idea di Cotroneo, la nostro Paese si scontra spesso voglia di raccontare quel tipo di con l’immobilismo in vari set- mondo, e la capacità di pensare tori. Da fondatrice della Indigo che quel tipo di rappresentazioe presidente della sezione pro- ne della donna era totalmente duttori ANICA, quale potrebbe nuovo, non esisteva nell’audioessere la soluzione per dare visivo. Dal punto di vista realiznuova linfa vitale al settore ci- zativo, poi, abbiamo deciso di dare subito vita a un progetto nematografico? Più che una soluzione unica c’è un presupposto da cui partire: l’atteggiamento positivo nei con- Lei ha prodotto Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores. Anche in questo caso, il ‘nuovo’ ha molto a che fare con il film: una storia di supereroi in Italia praticamente non si è mai vista. Perché ha scelto di produrlo? E, in genere, cosa la spinge verso l’innovazione? Abbiamo voluto provare a fare un film per il pubblico dei ragazzi, quelli che sono i nostri figli e che oggi sono molto evoluti, cresciuti con i film della Pixar. Abbiamo poi proposto agli sceneggiatori di scriverlo e Gabriele Salvatores ne ha fatto un film molto suo, molto personale. Ed è stato davvero divertente costruirci intorno iniziative collaterali, dalla graphic novel al libro, fino al concorso musicale per ragazzi, per individuare fra le loro creazioni alcuni brani della colonna sonora. Ecco, a contatto con i ragazzi ti rendi conto subito di cos’è ‘nuovo’, di come sarà il futuro. Cos’è per lei il ‘nuovo’? È quello che si vive ogni giorno, è il presente con tutte le domande e le sorprese che porta con sé ogni momento che si vive. 39 INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo The Pills è una web serie profondamente innovativa. Da dove viene quell’idea? E, più in generale, da dove viene un’idea per una serie o un film? Non c’è molto pensiero dietro un format come The Pills. C’è solo un gruppo di amici che spara cazzate. Spesso articolate. Ma pur sempre cazzate. Penso che le nuove generazioni abbiano la stoffa e la capacità di cambiare le cose. È che spesso e volentieri si perdono in un bicchier d’acqua arrendendosi alle prime difficoltà. The Pills Dylan Dog - Vittima degli eventi nasce grazie al crowd-funding, un metodo assolutamente nuovo di produzione, specialmente in Italia. Ci raccontate com’è andata? Abbiamo utilizzato - con poca consapevolezza, ce ne rendiamo conto - un nuovo sistema social (perché sempre di social network COLLETTIVO DI AUTORI COMICI WEB, CO-CREATORI DI DYLAN DOG - VITTIMA DEGLI EVENTI stiamo parlando) che si sta facendo strada in merito alla produzione indie, svincolata dai canonici metodi. Una sorta di equivalente ‘bio’ dell’intrattenimento più recente: dal produttore al consumatore. A nostro avviso, una vera e propria rivoluzione che permette inoltre di bypassare tutta una serie di passaggi che potrebbero contaminare e snaturare l’idea originaria dell’artista. Inizialmente ci siamo scontrati con una certa diffidenza da parte degli utenti. Poi, man mano che il progetto prendeva piede, l’utenza si è appassionata contribuendo generosamente e permettendoci di raggiungere quasi la somma che ci eravamo prefissati in partenza. Da dove arriva il ‘nuovo’ innanzitutto? Dalle nuove tecnologie o dalle nuove idee? Difficile parlare di nuove idee dopo centinaia di anni di audiovisivo… forse dovremmo semplicemente dare una svecchiata al modo che abbiamo di comunicare, sperimentando sempre più, anche a spese nostre, e cercare di uscire fuori dal nostro giardino diventando competitivi anche all’estero. Solo in questo modo diventi davvero detentore di una risorsa e alla stregua di canoni non soltanto nazionali. Cos’è per voi il ‘nuovo’? Forse quello che non tutti capiscono e che viene messo in discussione. Qualcosa che divide l’opinione pubblica. E qualcosa su cui lavorare. 40 INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo Il nuovo cinema è quindi su internet, dove c’è spazio per tutti? Il nuovo cinema è sinonimo di convergenza. Internet non sostituisce la sala cinematografica, ma crea un’integrazione di mezzi. È il fatto di poter fruire un’opera in diversi momenti e in diverse situazioni. Il nuovo cinema è il cinema come l’abbiamo sempre visto, con un diverso il modello di fruizione. La voglia di innovazione nel nostro Paese si scontra spesso con l’immobilismo in vari settori. Quale potrebbe essere la soluzione, secondo lei, per dare una nuova linfa vitale al settore cinematografico? Abbiamo bisogno della banda larga. La chiave di tutto è questa: la velocità. La tecnologia 4k, ad esempio, sarebbe fruibile attraverso internet con una banda adeguata. Invece, attraverso il sistema digitale terrestre, non è possibile trasmettere a pari condizioni. Tutto questo potrebbe andare a discapito delle sale cinematografiche? Non c’è competizione. Questo progresso non toglierà alle sale perché il modello di fruizione è diverso. Allo stesso tempo è fondamentale l’aggiornamento delle sale, dove si deve puntare al miglioramento dei confort, alle tecnologie e ai servizi. Gianluca Guzzo AD MY MOVIES My Movies ha inventato, per così dire, una nuova modalità di distribuzione. Come nasce questa idea? L’idea nasce un po’ per caso nel 2010 in occasione del lancio di un documentario intitolato La bocca del lupo che aveva vinto il Festival di Torino e inizialmente non riusciva a trovare una distribuzione adeguata. Un capolavoro che rischiava di venire diffuso solo in Home Video, da lì è nata l’idea di renderlo disponibile in una sala virtuale, utilizzando le grandi capacità della rete. In pratica, si tratta di promuovere soprattutto quei film che non troverebbero spazio al cinema a causa della sovraproduzione. La novità, quindi, sta nel canale distributivo alternativo offerto da internet. Cos’è per lei il ‘nuovo’? Il ‘nuovo’ è rappresentato dalla grande rivoluzione nelle tempistiche del cinema. In particolare, da due eventi che sono un po’ in contraddizione fra loro: film che durano tantissimo e, dall’altra parte, serie tv, e cioè film che vengono realizzati con tempi ridotti. La rivoluzione è quella di concentrare un concetto anche in un filmato di soli 3 minuti. Questo perché per tenere incollato uno spettatore allo schermo occorre la velocità e la brevità. Cinema d’autore a parte. 41 INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo QUANDO L VECCH O ERA NUOVO. Qual era il cuore del progetto? Si basava su una scelta netta di tendenza, il nuovo cinema nel segno di quelle che erano allora le Nouvelle Vague. La Nouvelle Vague francese, il Cinema Nôvo brasiliano, il New American Cinema, la Nova Vilna in Cecoslovacchia. Volevamo fare una manifestazione che servisse a scoprire, discutere e valorizzare i film, ma anche a promuoverli socialmente e culturalmente. Era una mostra molto selettiva e molto diversa da quelle che c’erano. Avete fatto subito delle scoperte? Il primo anno volevamo I pugni in tasca di Marco Bellocchio che ci aveva già fatto vedere il girato, poi purtroppo non è riuscito a finirlo in tempo e la Mostra di Venezia, benché diretta da Chiarini, lo rifiutò. Poi Lino ha telefonato al direttore di Locarno, gliel’ha segnalato, e il film ha vinto il Pardo d’argento come miglior opera prima. In Italia all’epoca c’erano pochi festival, quindi lavoravamo con una certa tranquillità. 42 Un’altra caratteristica di Pesaro sono sempre stati i dibattiti. Già il primo anno abbiamo fatto un convegno importante su funzioni e responsabilità della critica, perché sentivamo che il nuovo doveva manifestarsi Come venne recepito il Festival? Trovammo consenso più all’estero che in Italia. Tanto che dopo due anni il MoMA di New York, nel gennaio del 1967, ci rese omaggio proiettando una serie di film presentati a Pesaro Pesaro per contestare la Mostra ‘dei socialisti’. La giunta di sinistra di Pesaro portò gli operai dalle fabbriche alle assemblee per mettere in minoranza gli studenti che erano un po’ sbalestrati dal fatto che l’offerta filmica Sul concetto di “nuovo cinema” cinquant’anni fa nacque in Italia un nuovo festival destinato a vivere una storia avvincente, la Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, la cui prima edizione si svolse dal 29 maggio al 6 giugno del 1965. Venne fondata da Lino Miccichè e Bruno Torri, allora appena trentenni. anche nel modo di fare critica. A questo convegno sulla critica, Pier Paolo Pasolini fece la famosa relazione sul cinema di poesia. C’era anche Christian Metz, un semiologo giovane ma già famoso in Francia. Un altro convegno fu dedicato alla diffusione del nuovo cinema. Lì avevamo come padrini - diciamo così - Roberto Rossellini e addirittura l’Unesco, rappresentata da Enrico Fulchignoni. come esempi di ‘cinema nuovo’. In Italia il fatto che fossimo targati, essendo nati su iniziativa del ministro Achille Corona, socialista, ci portava attacchi da destra e da sinistra. Ma in realtà noi avevamo la massima libertà ideativa e operativa, nessun condizionamento dal Psi. Poi arrivò il ’68. Cosa accadde? A maggio gli studenti avevano fatto interrompere il Festival di Cannes e il movimento studentesco italiano decise di venire a fosse tutta orientata a sinistra, quell’anno c’era ad esempio L’ora dei forni di Solanas. Infine accettarono il compromesso di cogestire la Mostra. Quali considera le più importanti scoperte di Pesaro? Sono veramente tante. Robert Kramer dagli Stati Uniti, Evald Schorm dalla Cecoslovacchia, dalla Francia Jean Eustache - su segnalazione di Godard abbiamo dato il suo primo mediometraggio, molto bello, Le Père INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo INTERVISTA A BRUNO TORRI di Cristiana Paternò Noël a les yeux bleus - Lo spirito dell’alveare di Victor Erice, C’era una volta un merlo canterino di Iosseliani, Tropici di Gianni Amico e molti altri ancora. Qui sono passati tutti i grandi autori. Andavi a passeggiare in piazza e incontravi Godard, Umberto Eco e Jack Nicholson, che era attore in un film di Monte Hellman, The Shooting; Bogdanovich ha dato qui il suo primo film Target, Delvaux per L’Homme au crâne rasé. Jean-Marie Straub che aveva portato Non riconciliati. Tutti i latino americani: Raul Ruiz, Miguel Littin, Gutierrez Alea con Memorie del sottosviluppo, i polacchi Skolimovski e Zanussi, lo jugoslavo Dušan Makavejev. Oggi che cos’è nuovo cinema? È difficile definirlo, essendo il cinema molto cambiato: è totalmente dentro l’audiovisivo e si avvale di nuove tecnologie che possono influire sui modi di espressione, sui modi di produzione e sui modi di fruizione. Il nuovo cinema oggi si può trovare, oltre che nei film a soggetto, nei documentari, nella sperimentazione, nella videoarte, tutti fenomeni che peraltro anche noi a Pesaro abbiamo pedinato. I primi a discutere film e video di Alberto Grifi, negli Anni ’70, siamo stati noi: negli Anni ’90 abbiamo valorizzato l’opera di Gianni Toti. Un tempo il nuovo cinema si identificava con il cinema d’autore, erano quasi sinonimi. Si trattava di film firmati da registi che avevano uno sguardo, una visione del mondo, una poetica e riuscivano a restituirla sullo schermo attraverso uno sti- le personale, come facevano già quelli affermati: Bellocchio, Bertolucci, Ferreri, Pasolini, i Taviani. Oggi elementi di novità li trovi in film mainstream, in Gravity ad esempio o, secondo alcuni, nelle nuove serie televisive americane. Il nuovo cinema bisogna reinventarlo concettualmente e riscoprirlo in sedi forse impensabili, perché un tempo era un’idea precisa, oggi è qualcosa di più indefinito, spurio e contaminato. Ci sono fenomeni sempre più frequenti di ibridazione. Penso a un film italiano come Piccola patria, che ha avuto una circolazione molto marginale, che racconta una storia d’invenzione girata come se fosse un documentario e gli stessi personaggi sono inquadrati come figure della realtà. In questo senso la Mostra di Pesaro ha bisogno di ripensarsi, di rifondarsi a tutti i livelli. E di ringiovanirsi. (testo raccolto a giugno 2014) 43 INNOVAZIONI II Un caso di crowdfunding riuscito STIAMO TUTTI CON LA SPOSA di Alice Bonetti 2.617 produttori che “dal basso” hanno finanziato il film, 100.000 euro raccolti sulla piattaforma Indiegogo. Cifre da record per Io sto con la sposa , documentario approdato fuori concorso alla 71 Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti. Ne parliamo con Antonio Augugliaro, autore del progetto insieme al giornalista Gabriele del Grande e al poeta Khaled Soliman Al Nassiry. G razie all’originalità del progetto, e alla delicatezza e profondità con cui viene trattato il tema dell’immigrazione e delle frontiere chiuse, Io sto con la sposa si è aggiudicato il Premio FEDIC, il Premio della Critica Sociale e l’HRNs - Premio al Cinema dei Diritti Umani. Infine è arrivato anche il premio Leonia assegnato da una prestigiosa marca di vini al film italiano più audace dell’anno. Com’è nata l’idea del crowdfunding? È stata una scelta economica o politica e culturale? Direi entrambe. In primis, è stata un’esigenza economica: i costi del film sarebbero stati troppo esosi da sostenere da soli. Alcune associazioni che avrebbero dovuto aiutarci si sono tirate indietro e così ci siamo rivolti alla rete. Abbiamo subito capito che il crowdfunding sarebbe stato un ottimo strumento per avvicinare le persone alla tematica del film. Abbiamo voluto scommettere che esistesse una comunità che la pensava come noi e che volesse contribuire a finanziare il progetto. 44 Io sto con la sposa è il film italiano con maggiori finanziamenti mai ricevuti dalla rete. Perché ha ottenuto un tale riscontro tra i sostenitori dal basso rispetto ad altri? Penso che il successo sia dipeso soprattutto dalla rete preesistente. Abbiamo, infatti, potuto contare quasi su 20.000 contatti che già seguivano il blog di Gabriele Del Grande, “Fortress Europe”. Molti crowdfunding vengono lasciati a se stessi: noi abbiamo lavorato costantemente sulla comunicazione, rendendo disponibili in rete clip del film, fotografie e aggiornamenti continui. Infine, penso che la tematica, il modo irriverente in cui è stata trattata e il fatto che partecipando al crowdfunding si sostenesse un ideale e una precisa posizione politica, abbia influenzato positivamente la riuscita del progetto. Avete raccolto quasi 100.000 euro. In che percentuale ha, in generale, contribuito ciascun sostenitore? Per la maggior parte le donazioni sono state di 10, 20 e 30 euro. Seguono quelle di 250 - 500 euro ma c’è chi è arrivato a donare perfino 1.000 euro. Il crowdfunding ha il vantaggio di lasciare agli autori una maggior libertà e indipendenza creativa. Come ha influenzato questo la realizzazione del film? Il fatto di non avere vincoli imposti dalla casa di distribuzione e dai produttori è una cosa meravigliosa. Il lavoro è stato influenzato esclusivamente dalla nostra libertà e creatività, sen- INNOVAZIONI II // Un caso di crowdfunding riuscito za alcuna pressione esterna: ci confrontavamo serenamente sulle scelte del film, cercando di raggiungere il risultato più onesto e somigliante a noi. ¤ Il confronto diretto con il pubblico è stato uno dei fattori che vi ha spinti a scegliere il crowd-funding? Secondo lei questo metodo determina un cambiamento nella relazione tra pubblico e regista? Sì, assolutamente. Permette al pubblico di diventare parte integrante di un progetto e questo è straordinario. Durante le proiezioni percepiamo il forte coinvolgimento delle persone: vogliono conoscerci, parlarci, condividere con noi esperienze e progetti. Troppo spesso si cerca di confezionare i film in modo da venderli più facilmente e ci si dimentica della gente, che invece vuole delle storie oneste in cui immedesimarsi e che smuovano le coscienze. ¤ Più che un film di denuncia lo si può definire un film di speranza, di una rilevante impor- tanza politico-culturale per il periodo storico in cui viviamo. Qual è l’obiettivo ultimo del vostro progetto? Portare uno sguardo diverso sul tema dell’immigrazione. Solitamente se ne parla solo con un’accezione negativa, mentre noi vogliamo mostrare l’umanità e la bellezza che esiste in questo fenomeno raccontando una piccola storia per poi rivelare l’universo che c’è dietro. La metodologia scelta non è quella della critica, della denuncia o della compassione ma, al contrario, cerchiamo di trasmettere la speranza per un mondo migliore e per una nuova estetica della frontiera. Il finto corteo di nozze è un espediente molto cinematografico. Numerosi sono i film in cui lo stratagemma della messinscena, del mascheramento per raggirare un nemico, ne costituisce il motore narrativo. Penso a Train de vie di Mihăileanu o al più recente Argo di Ben Affleck. Com’è nata questa idea? In realtà, l’idea è nata prima del film. Dopo il naufragio avvenuto il 3 ottobre 2013 a Lampedusa abbiamo capito che dovevamo fare qualcosa. La Stazione Centrale di Milano è sempre affollata di siriani che tentano di raggiungere il Nord d’Europa e noi volevamo aiutare almeno qualcuno di loro. Ci serviva un sotterfugio per eludere i controlli ed evitare di essere arrestati come contrabbandieri. Quasi come scherzo, è saltata fuori l’idea del finto matrimonio e mi è rimasta talmente impressa l’immagine della sposa che attraversa i confini seguita da un intero corteo che ho deciso di realizzarla veramente e farne un film. Chi, secondo te, non sta con la sposa? Spero nessuno. Non posso pensare che esista davvero qualcuno che voglia un mondo in cui viaggiare sia un crimine e in cui si debba morire in mare per scappare da una guerra. Voglio credere che tutti, in fin dei conti, stiano con la sposa. 45 DISCUSSIONI PER VINCERE L’OSCAR NON BASTA ESSERE BELLI di Fulvia Caprara N on basta essere belli. E nemmeno ricchi. E nemmeno intelligenti. Del cocktail che rende un film italiano il candidato ideale da designare alla gara annuale degli Oscar devono far parte tanti, diversi, sapori, in percentuali accuratamente dosate, sempre suscettibili di aggiunte, cambiamenti, miglioramenti. Insomma, una ricetta fissa non c’è, e per questo la discussione sul tema è sempre aperta e vivace, soprattutto adesso che, dopo la vittoria dell’anno scorso de La grande bellezza di Paolo Sorrentino, la possibilità di portare a casa una statuetta è tornata ad essere un sogno realizzabile e non, come per tanto tempo, una lontana chimera. Vincere si può, basta scegliere bene. Ma come? “Quest’anno - recita il comunicato diffuso nello scorso settembre dalla Commissione di selezione istituita presso l’Anica - è stato particolarmente difficile indicare un solo film che rappresenti il nostro Paese agli Oscar. Abbiamo amato e ci sentivamo rappresentati da molti dei film iscritti”. La discussione finale ha riguardato la terna composta da Anime nere di Francesco Munzi, Le meraviglie di Alice Rohrwacher e Il capitale umano di Paolo Virzì, vincitore della votazione 47 DISCUSSIONI conclusiva, quindi lanciato nella campagna per l’Oscar 2015 al miglior film in lingua non inglese. Della squadra di selezionatori, formata su invito dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, facevano parte Gianni Amelio, Tommaso Arrighi, Angelo Barbagallo, Nicola Borrelli, Caterina D’Amico, Maria Pia Fusco, Barbara Salabè, Gabriele Salvatores e Niccolò Vivarelli: “Con il passare degli anni - osserva il Presidente della Fondazione Cinema per Roma, Paolo Ferrari, forte della lunga esperienza alla guida di Anica e di Warner Italia - la composizione è molto mutata, e adesso è giusto che sia così, mista, con registi, giornalisti, e diverse figure rappresentative dell’industria cinematografica”. In passato, aggiunge Ferrari, il pericolo delle “cordate” era frequente, così come quello di scatenare contrapposizioni e compiere errori: “È accaduto di mandare in America un film senza chance, lasciandone a casa un altro che invece ne aveva”. Mancano, per la designazione agli Oscar, “criteri oggettivi fissi”, e non potrebbe che essere così, perché un film è un prodotto artistico che può essere amato, odiato, condiviso, discusso, rifiutato. E anche questo, in fondo, è il bello del cinema: “Non è necessario designare il miglior film italiano dell’anno - dice ancora Ferrari - l’importante è che l’opera abbia la possibilità concreta di essere vista negli Stati Uniti”, dal maggior numero possibile di spettatori, addetti ai lavori e naturalmente membri dell’Academy. Per questo ci vogliono soldi, organizzazione, tenacia: “Si può mandare il film più bello del mondo, ma se gli americani non lo vedono, non lo voteranno mai”. 48 Opinione condivisa da Riccardo Tozzi di Cattleya, presidente dell’Anica al secondo mandato, che subito denuncia una cattiva abitudine: “La Commissione si riunisce a fine settembre, ed è tardi perché, in USA, all’inizio di ottobre, la campagna per gli Oscar è già partita, la macchina è in movimento, i migliori uffici stampa hanno già firmato contratti, quindi bisognerebbe fare tutti un sacrificio e anticipare la data della designazione al 31 agosto”. Per ovviare al problema dei film in concorso (e non) alla Mostra di Venezia (quindi non ancora visti dai membri della Commissione, dato che il Festival si svolge tra fine agosto e inizio settembre) basterebbe, dice Tozzi, organizzare invii di link e DVD. Ma non è tutto: “Ridurrei ulteriormente il numero dei partecipanti alla Commissione, a mio parere un gruppo più ristretto è più libero da eventuali pressioni”. Fondamentale, raccomanda Tozzi, anche la cautela nei confronti dei temi tabù: “Bisogna evitare film che contengono elementi sgraditi, per esempio l’antisemitismo, anche solamente accennato, oppure la violenza sulle donne. Mi viene in mente La sconosciuta di Tornatore, che aveva questo secondo problema e che quindi non sarebbe mai stato accettato. Bisogna tener conto di specifiche sensibilità, magari diverse dalle nostre, e stare attenti a non urtarle”. Una volta individuato il titolo adatto, la corsa può iniziare, ma se i fondi mancano, è come partire con l’handicap: “L’elemento finanziario - dice Tozzi - è di enorme importanza. Per fare una buona campagna promozionale bisogna disporre di almeno 500mila euro, basta pensare che i francesi spendono circa il doppio. Da qualche anno il nostro Ministero si è impegnato e so che, per la campagna de La grande bellezza, è stata per la prima volta stanziata una cifra pari a circa 400mila euro”. La strada che porta al fatidico “the Oscar goes to”, è lunga e tortuosa, lastricata di scontri, polemiche, valutazioni discutibili. C’è anche chi, come Vieri Razzini e Cesare Petrillo della prestigiosa Teodora, marchio di qualità legato a successi come Amour di Michael Haneke, e ad autori come Susanne Bier e François Ozon, pensa che sarebbe utile una vera rivoluzione, a partire proprio dalla composizione della Commissione: “Da noi - dice Petrillo - succede che il film designato a rappresentare l’Italia agli Oscar sia autenticamente istituzionale, perché la Commissione che lo sceglie è, appunto, istituzionale. Bisognerebbe cambiarla, inserendo membri fuori dai giochi, facendo scelte trasversali che presuppongano culture cinematografiche vere. Penso a studiosi come Adriano Aprà, Patrizia Pistagnesi, Davide Turrini, Alberto Abruzzese, Enrico Ghezzi”. Insomma, intellettuali super-esperti, completamente al di fuori delle logiche dell’industria e del mercato. Una posizione che Razzini condivide solo in parte: “Escludere gente del mestiere non è del tutto giusto. Gli intellettuali sono talmente slegati da tutto che rischiano di giudicare i film come si faceva trent’anni fa. Non è sbagliato, invece, che ci siano produttori, registi, magari affiancati da direttori di festival che in genere si muovono in un’ottica internazionale”. Petrillo è più polemico: “La Commissione è istituita dall’Anica, e tutti sanno che alcuni distributori non vengono chiamati a farne parte perché non rientrano nell’organismo dell’Anica. DISCUSSIONI La Commissione di selezione dell’Anica va bene così com’è o andrebbe rivoluzionata? Ne parliamo con Paolo Ferrari, Riccardo Tozzi, Tilde Corsi, Cesare Petrillo e Vieri Razzini Mi riferisco, ad esempio a Donatella Botti”. Esperti e non esperti, uomini di pensiero e uomini d’azione non sono comunque, mai, garanzia di successo. Chiunque abbia vissuto, anche una sola volta, l’esperienza della designazione del titolo italiano agli Oscar, ricorda confronti all’ultimo sangue e clamorosi errori, battaglie infuocate e scivoloni imperdonabili. Razzini cita l’esclusione di Habemus papam di Nanni Moretti: “Una tale assurdità... se c’è un personaggio che sicuramente viaggia in tutto il mondo, superando qualunque tipo di confine, quello è il Papa”. E poi rievoca il caso Vincere, regia di Marco Bellocchio, scartato in favore di Baarìa di Giuseppe Tornatore: “Non si poteva certo dire che in America non sapessero chi era Mussolini, e invece il film di Bellocchio non fu scelto, forse perché proponeva una rappresentazione di italianità sbagliata, meglio continuare a mandare pellicole che si tuffano nel Mediterraneo...”. Certe “miopie” si sono ripetute: “Un altro errore clamoroso - rincara Petrillo - fu quello di mandare La prima cosa bella di Virzì invece di Io sono l’amore di Guadagnino, che in America aveva avuto successo e infatti vinse ai Golden Globe”. Paolo Ferrari ricorda l’anno in cui “Berlinguer ti voglio bene stava per battere La leggenda del santo bevitore” e quello in cui “doveva andare Mio fratello è figlio unico e invece andò La bestia nel cuore”. La produttrice de Le fate ignoranti, e di tanti altri film di Ferzan Ozpetek, Tilde Corsi, più volte membro della Commissione, aggiunge alla serie altre sviste celebri: “Era l’anno del Pinocchio di Roberto Benigni. Mandammo quello, al posto di Respiro di Crialese, che invece all’estero raggiunse ottimi risultati. Si fece un discorso di logica industriale, il film di Benigni costava di più e quindi valeva di più, ma il ragionamento non funzionava affatto”. Quella tra Il divo e Gomorra fu una contrapposizione dolorosa, tra due opere di grande valore, ambedue premiate al Festival di Cannes: “Si pensò che Gomorra avesse una tematica più comprensibile all’estero, ma alla fine non entrò in cinquina, mentre Il divo andò meglio ovunque”. Fortemente contraria all’ipotesi di inserire studiosi in Commissione (“bisogna sgombrare il campo dal mito dell’intellettuale duro e puro”), Corsi è convinta che sia necessario “fare squadra, tenendo ben presente il fine da raggiungere, e ricordando che spesso siamo proprio noi i più incapaci nel difendere le cose nostre”. Le due parole chiave, per Corsi, sono “coesione e risorse”, perché “una volta designato un film, bisogna essere in grado di promuoverlo e per questo ci vuole sostegno da parte delle istituzioni”. Un nodo cruciale del dibattito riguarda poi l’immagine, quella famosa cartolina del Paese che, attraverso un film made in Italy, viene spedita in America con lo scopo di incantare pubblico e membri dell’Academy: “Noi italiani - osserva Razzini - siamo sempre stati obbligati alla regola ‘pizza e mandolini’, all’estero siamo ancora considerati colonia, citati solo e unicamente per Ros- sellini e per il Neorealismo...”. Al contrario, Petrillo sostiene che lo stereotipo non funziona più: “Che vuol dire? Quando vince Susanne Bier con In un mondo migliore significa che hanno vinto le aringhe danesi? No, non è così”. Anche per Tilde Corsi l’epoca del cliché italiano è finita. Bisogna puntare, invece, seguendo l’esempio dei francesi, sull’ “eccezione culturale”, ovvero su quella diversità che ci contraddistingue: “L’Oscar al miglior film straniero, ormai si è capito chiaramente, va al prodotto autoriale”. Dagli altri Paesi del mondo gli americani si aspettano opere differenti da quelle che sforna la loro industria enorme, potentissima, ma anche pericolosamente ripetitiva. Opere speciali, non certo fatte di mare, sole e panni stesi. Almeno in questo, per fortuna, qualcosa è cambiato. 49 FATTI Dossier di DG Cinema e ANICA IL MERCATO AUDIOVISIVO E LA REGOLAMENTAZIONE: UN'INDUSTRIA AL BIVIO diFederica D’Urso, Iole Maria Giannattasio, Francesca Medolago Albani Nei giorni 23 e 24 ottobre ha avuto luogo a Roma la Conferenza Internazionale “Audiovisual Market and Regulation: an Industry at a Crossroads”, a cura della Direzione Generale Cinema-MiBACT: si è trattato dell’evento pubblico di punta per il settore audiovisivo organizzato nell’ambito della Presidenza Italiana del Consiglio dell’Unione europea. L’evento è stato co-finanziato dal Programma Europa Creativa dell’UE. nella sua recente Comunicazione “Cinema europeo nell’era digitale - Creare un ponte tra diversità culturale e competitività”, aveva sostenuto che L’ obiettivo, ambiziosissimo, della Conferenza svoltasi il 23 e il 24 ottobre presso l’Auditorium Parco della Musica in occasione del Festival internazionale del film di Roma, era quello di stimolare un ampio e approfondito dibattito sul riesame dell’attuale quadro normativo europeo sui servizi di media audiovisivi, alla luce delle recenti sfide a cui il settore è chiamato a reagire, che derivano dalle ingombranti ricadute dell’evoluzione tecnologica sugli equilibri del mercato internazionale. Il focus della discussione si è quindi centrato sull’evoluzione delle tecnologie e del contesto economico, sul ruolo dei nuovi player, sui relativi modelli di business e sulle linee guida su cui fondare una possibile revisione dei criteri dell’intervento pubblico in materia. «La rivoluzione digitale offre più possibilità e una maggiore flessibilità di distribuzione e sta avendo un’influenza fondamentale sul comportamento del pubblico. È quindi indispensabile adattarsi all’era digitale e sfruttare il suo potenziale per raggiungere un nuovo pubblico, oltre a conservare quello esistente, e per creare un ponte tra la diversità culturale e la competitività. Questo comporterà delle sfide: da un lato, l’industria dovrà sperimentare nuovi modelli commerciali e strategie di ampliamento del pubblico e, dall’altro, dovranno essere elaborate politiche pubbliche a livello regionale, nazionale ed europeo». La peculiarità e il forte impatto sulla società che l’industria audiovisiva porta con sé rendono la riflessione su modalità e misure dell’intervento normativo sovranazionale particolarmente urgente e al tempo stesso delicata: si tratta infatti di una materia che si colloca al crocevia fra diverse aree di competenza - differentemente regolamentate - da quella più strettamente economico-finanziaria, a quella tecnologica, a quella più tipicamente culturale, includendo tematiche complesse relative alla formazione, alla conservazione del Il confronto che ha avuto luogo durante la Conferenza si colloca patrimonio, alla promozione dell’identità culturale. all’interno di un dibattito da tempo in corso presso le maggiori istituzioni comunitarie. A tale proposito, la Commissione europea, Questo il punto di partenza. 50 FATTI // Dossier di DG Cinema e ANICA PROGRAMMA DELLA CONFERENZA AUDIOVISUAL MARKET AND REGULATION: AN INDUSTRY AT A CROSSROADS Apertura della Conferenza Nicola Borrelli, Direttore Generale per il Cinema - Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo / Presidente AVWP Sessione 1: I NUOVI MODELLI DI BUSINESS IN UN MERCATO AUDIOVISIVO IN EVOLUZIONE Presiede la sessione • Alberto Pasquale, Professore a contratto di Economia e Organizzazione dello Spettacolo, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Esperti •A ndré Lange, Head of the Department for Information on Markets and Financing, Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo • Michael Gubbins, Partner Sampomedia • Thomas Paris, Professore presso HEC, Parigi Relatori • Marco Chimenz, Vice Presidente, European Producers Club • Christopher Dodd, Amministratore Delegato, MPAA Motion Picture Association of America • Maria Ferreras, Director Partnership, YouTube • John Higgins, Direttore Generale, DIGITALEUROPE • Lucia Recalde Langarica, Head of Unit Creative Europe Media Sub-programme, Direzione Generale Istruzione e Cultura (DG EAC) - Commissione europea • Christoph Schneider, Managing Director, Amazon Instant Video Deutschland • David Wheeldon, Director of Policy and Public affairs, BSkyB Rapporteur • Mario La Torre, Professore Ordinario di Economia degli intermediari finanziari, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” • Bruno Zambardino, Professore a contratto di Economia del Cinema e della Televisione, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Sessione 2: SUPPORTO PUBBLICO E QUADRO REGOLATORIO Presiede la sessione • Maja Cappello, Head of the Department for Legal Information, Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo Keynote Speech • Silvia Costa, Presidente Commissione Cultura ed Istruzione del Parlamento europeo Esperti • Jonathan Olsberg, Presidente, Olsberg SPI • Eugenio Prosperetti, Professore di Competition Law & Policy, Università di Siena Relatori • Charlotte Appelgren, Segretario Generale, Cineregio • Ross Biggam, Direttore Generale ACT, Association of Commercial Television in Europe • Lorena Boix Alonso, Head of Unit Converging media and content, Direzione Generale Reti di Comunicazione, Contenuti e Tecnologie (DG Connect) - Commissione Europea • Cécile Despringre, Executive Director, SAA - Society of Audiovisual Authors • Emmanuel Gabla, Commissioner for European Affairs, CSA / Representative of European Regulators Group for Audiovisual Media Services (ERGA) Presidency • Annika Nyberg Frankenhaeuser, Head of Media Department, EBU - European Broadcasting Union Rapporteur • Ernesto Apa, Avvocato - Partner, Studio Portolano Cavallo • Roberto Mastroianni, Professore Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università di Napoli, “Federico II” Focus: La prospettiva italiana Intervento di apertura/ Rapporteur • Nicola Borrelli, Direttore Generale per il Cinema - Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo / Presidente AVWP Relatori • Rodolfo De Laurentiis, Presidente, Confindustria Radio Televisioni • Marco Follini, Presidente, Associazione Produttori Televisivi, APT • Antonio Marano, Vice Direttore Generale, RAI - Radio Televisione Italiana • Gina Nieri, Consigliere di Amministrazione, Mediaset • Luca Sanfilippo, Executive Vice President and General Counsel, Sky Italia • Riccardo Tozzi, Presidente, Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e multimediali, ANICA Intervento di chiusura • Antonio Nicita, Professore di Economia Politica, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”/ Commissario, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, AGCom 51 FATTI // Dossier di DG Cinema e ANICA Sessione 3: PROSPETTIVE FUTURE E DIBATTITO Presiede il dibattito • Antonello Giacomelli, Sottosegretario di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico Report Sessione 1 Introduzione • Alberto Pasquale, Professore a contratto di Economia e Organizzazione dello Spettacolo, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Report • Mario La Torre, Professore Ordinario di Economia degli intermediari finanziari, Università di Roma “La Sapienza” • Bruno Zambardino, Professore a contratto di Economia del Cinema e della Televisione, Università di Roma, “La Sapienza” Report Sessione 2 Introduzione •M aja Cappello, Head of the Department for Legal Information, Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo Report • Ernesto Apa, Avvocato - Partner, Studio Portolano Cavallo • Roberto Mastroianni, Professore Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università di Napoli, “Federico II” • Nicola Borrelli, Direttore Generale per il Cinema - Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo /Presidente AVWP CAC / AudioVisual Working Party - Comunicazione della Presidenza •N icola Borrelli, Presidente AVWP/Direttore Generale per il Cinema - Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo European Film Forum •E mmanuel Joly, Principal administrator, Direzione Generale Istruzione e Cultura (DG EAC) Commissione europea Dibattito aperto •D elegati dei 28 Stati Membri dell’Unione europea, rappresentanti della Commissione europea e del Consiglio dell’Unione europea. Discorso di chiusura • Dario Franceschini, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo NUOVI MODELLI DI BUSINESS NELLA PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE DELLE OPERE La Conferenza si poneva quindi come obiettivo immediato quello di promuovere una discussione attiva e ad ampio raggio tra i delegati degli organi competenti in materia di tutti gli Stati Membri dell’Unione europea, sui nuovi modelli di business nella produzione e nella distribuzione delle opere e sulla necessità di assicurare un level playing field per tutti gli attori dell’industria audiovisiva, siano essi fornitori di contenuti, operatori di rete o anche “Over-the-top” player. Tenendo in considerazione il ruolo e la voce degli autori e dei produttori dei contenuti audiovisivi, rappresentati dalle loro associazioni europee. Oltre ad un dibattito aperto tra i delegati degli Stati Membri, la Conferenza ha accolto le posizioni di alcuni tra i maggiori esperti e studiosi del settore, oltre all’esperienza e al punto di vista dei più importanti stakeholders dei media e del mercato audiovisivo e di numerosi rappresentanti di istituzioni sovranazionali. e delle conseguenti trasformazioni nelle modalità di consumo del prodotto da parte dell’utente finale, ha visto espandersi il suo perimetro in modo straordinario negli ultimi anni. L’analisi si è focalizzata su come il processo di digitalizzazione e la convergenza delle piattaforme di distribuzione stiano generando un nuovo contesto per l’intera catena del valore e per lo sviluppo di nuovi modelli di business. Le testimonianze di alcuni rappresentanti dei cosiddetti OTT (Youtube, Amazon) hanno offerto l’inedito punto di vista di quelli che sono destinati a essere il vero motore nella distribuzione dei contenuti audiovisivi del futuro. La promozione di un dibattito di livello europeo su questi temi è stato il vero valore aggiunto della Conferenza, che ha permesso di offrire spunti inediti e informazioni di respiro largo e internazionale su temi spesso citati solo in sedi nazionali, evidenziando un chiaro impegno di tutti i partecipanti a elaborare riflessioni in un’ottica La seconda sessione di lavoro, di interesse comunitario. intitolata “Supporto pubblico e La prima sessione di lavoro, in- quadro regolatorio”, ha visto intitolata “I nuovi modelli di busi- vece la risposta delle istituzioni ness in un mercato audiovisivo europee, proponendo un excurin evoluzione”, è stata dedicata sus su punti di vista e politiche Il tema è stato esplorato da due al mercato audiovisivo interna- di intervento in corso di analisi, differenti prospettive: il mercato zionale, che alla luce delle evo- alla luce dei modelli di business luzioni tecnologiche ormai note emergenti e dell’impatto econoe la normativa. 52 mico dei nuovi players. Partendo dal presupposto che l’obiettivo primario della politica dell’Unione europea è quello di raggiungere un pubblico più vasto per le opere audiovisive europee, sono stati in particolare due gli aspetti sottoposti a dibattito: l’adattamento del supporto pubblico alle nuove dinamiche di mercato e l’aggiornamento del quadro normativo in un’ottica di complementarietà fra livello sovrana zionale, nazionale e regionale. La terza sessione di lavoro, a valle delle prime due, ha visto un confronto attivo sulle tematiche e le proposte emerse, che ha visto il coinvolgimento dei 22 delegati degli Stati Membri, di un delegato di un paese europeo non membro e dei rappresentanti della Commissione europea e del Consiglio dell’Unione Europea. FATTI // Dossier di DG Cinema e ANICA DIRETTIVA 2010/13/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 10 marzo 2010 relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (Direttiva sui servizi di media audiovisivi) SERVIZI LINEARI VS SERVIZI NON LINEARI: ALCUNI ESTRATTI Considerando (11) È necessario, per evitare distorsioni della concorrenza, rafforzare la certezza del diritto, contribuire al completamento del mercato interno e facilitare la realizzazione di uno spazio unico dell’informazione, applicare almeno un complesso minimo di norme coordinate a tutti i servizi di media audiovisivi, sia ai servizi di radiodiffusione televisiva (cioè ai servizi di media audiovisivi lineari) che ai servizi di media audiovisivi a richiesta (cioè ai servizi di media audiovisivi non lineari). Considerando (24) La caratteristica dei servizi di media audiovisivi a richiesta è di essere comparabili ai servizi televisivi, vale a dire che essi sono in concorrenza per il medesimo pubblico delle trasmissioni televisive e, date la natura e le modalità di accesso al servizio, l’utente sarebbe ragionevolmente portato ad attendersi una tutela normativa nell’ambito della presente direttiva. In considerazione di ciò e al fine di impedire disparità riguardo alla libera circolazione e alla concorrenza, il concetto di programma dovrebbe essere interpretato in maniera dinamica per tener conto degli sviluppi della radiodiffusione televisiva. Articolo 13 1. Gli Stati membri assicurano che i servizi di media audiovisivi a richiesta forniti da un fornitore di servizi di media soggetto alla loro giurisdizione promuovano, ove possibile e con i mezzi adeguati, la produzione di opere europee e l’accesso alle stesse. La promozione potrebbe riguardare, fra l’altro, il contributo finanziario che tali servizi apportano alla produzione di opere europee e all’acquisizione di diritti sulle stesse o la percentuale e/o il rilievo delle opere europee nel catalogo dei programmi offerti dal servizio di media audiovisivi a richiesta. PRINCIPIO DEL PAESE DI ORIGINE: ALCUNI ESTRATTI Articolo 2 1. Ciascuno Stato membro provvede affinché tutti i servizi di media audiovisivi trasmessi da fornitori di servizi di media soggetti alla sua giurisdizione rispettino le norme dell’ordinamento giuridico applicabili ai servizi di media audiovisivi destinati al pubblico nello Stato membro in questione. […] 3. Ai fini della presente direttiva un fornitore di servizi di media si considera stabilito in uno Stato membro nei casi seguenti: a) il fornitore di servizi di media ha la sua sede principale in tale Stato membro e le decisioni editoriali sul servizio di media audiovisivo sono prese sul suo territorio; b) se un fornitore di servizi di media ha la sede principale in uno Stato membro ma le decisioni editoriali sul servizio di media audiovisivo sono prese in un altro Stato membro, detto fornitore si considera stabilito nello Stato membro in cui opera una parte significativa degli addetti allo svolgimento dell’attività di servizio di media audiovisivo. Se una parte significativa degli addetti allo svolgimento dell’attività di servizio di media audiovisivo opera in ciascuno di tali Stati membri, il fornitore di servizi di media si considera stabilito nello Stato membro in cui si trova la sua sede principale. Se in nessuno di tali Stati membri opera una parte significativa degli addetti allo svolgimento dell’attività di servizio di media audiovisivo, il fornitore di servizi di media si considera stabilito nel primo Stato membro in cui ha iniziato la sua attività nel rispetto dell’ordinamento giuridico di tale Stato membro, purché mantenga un legame stabile e effettivo con l’economia di tale Stato membro; c) se un fornitore di servizi di media ha la sede principale in uno Stato membro ma le decisioni sul servizio di media audiovisivo sono prese in un paese terzo, o viceversa, si considera stabilito in tale Stato membro purché una parte significativa degli addetti allo svolgimento dell’attività di servizio di media audiovisivo operi in quello Stato membro. 53 FATTI // Dossier di DG Cinema e ANICA REVISIONE DELLA DIRETTIVA SERVIZI MEDIA AUDIOVISIVI Fra i temi intorno ai quali si è maggiormente concentrato il dibattito va, non sorprendentemente, citato quello relativo a una profonda revisione della regolamentazione europea in materia di sostegno alla produzione e diffusione di opere audiovisive europee (la Direttiva 2010/13/UE “Servizi Media Audiovisivi” è la fonte normativa di riferimento), che riconosca la funzione attuale e prospettica degli OTT sul mercato: in quanto distributori di contenuti - generalmente a richiesta - su piattaforme che raggiungono gli utenti europei, questi soggetti sono sottoposti alla giurisdizione in vigore nel paese in cui hanno stabilito la propria sede. Il tema è delicato, se si considera che molti di questi soggetti hanno la propria sede principale in paesi che non appartengono all’Unione Europea, o a paesi europei che offrono particolari vantaggi fiscali alle imprese residenti. Come meglio esplicitato nella scheda di approfondimento, i punti cruciali su cui si sviluppa il confronto in relazione alla eventuale revisione della Direttiva riguardano due questioni principali: • • Mentre sul primo punto si è trovato facilmente un accordo fra i delegati dei Paesi membri presenti alla Conferenza, sul principio del paese d’origine il dibattito è stato più acceso: una proposta alternativa sottoposta a dibattito consiste nella sostituzione di questo principio con quello del “paese di destinazione”, ipotizzando che la giurisdizione a cui deve rispondere il soggetto erogatore di servizi audiovisivi debba essere piuttosto quella del Paese in cui viene erogato il servizio. Molto rilevante, inoltre, è stato un aspetto più volte toccato nella sessione sulla regolamentazione: la necessità di ricondurre alle medesime regole (assumendo quindi i medesimi principi) i fornitori di servizi della società dell’informazione (diversi dai servizi media), attualmente regolati da altra Direttiva (la Direttiva 2000/31/CE “Direttiva sul commercio elettronico”). Quali, ad esempio, i distributori di contenuti che non svolgano anche funzioni editoriali. È evidente che l’impatto sul mercato audiovisivo di una eventuale revisione in questo senso della Direttiva su quest’ultimo tema assumerebbe una notevole rilevanza: colossi come Youtube, Netflix, l’equiparazione del trattamento riservato ai fornitori di servizi me- Amazon e altri dovrebbero sottostare a vincoli da cui fino ad ora dia audiovisivi lineari (la televisione di flusso) e ai fornitori di ser- non sono stati toccati. Le ricadute sulle scelte strategiche di questi vizi a richiesta, ovvero di servizi non lineari (le piattaforme che soggetti sarebbero forse imprevedibili. offrono contenuti in modalità Video on demand); il principio del paese di origine, secondo cui, appunto, il soggetto fornitore di servizi audiovisivi deve rispettare la giurisdizione in vigore nel paese in cui è stabilita la sua sede principale. IDENTIFICATE LE AREE CRITICHE DEL QUADRO NORMATIVO EUROPEO Quanto emerso al termine della Conferenza è confluito in un documento, presentato al Consiglio EYCS “Istruzione, gioventù, cultura e sport” (Consiglio dei Ministri della Cultura dei Paesi Membri) del 25 novembre 2014 a Bruxelles. Tale documento è finalizzato ad identificare le aree critiche del quadro normativo europeo attualmente in vigore, suggerendo aggiornamenti ed eventuali revisioni. L’aggiornamento e la costante attualizzazione della regolamentazione europea relativa al settore audiovisivo costituiscono una priorità 54 per ogni Stato Membro e per l’intera Unione Europea. I media rappresentano infatti lo strumento più efficace per la promozione e la protezione dell’identità culturale europea, per far fronte in modo efficace alle nuove sfide della competizione con altre aree del mondo politicamente ed economicamente forti o emergenti. Del resto, l’industria della comunicazione è un settore di fondamentale importanza per il dibattito culturale su scala globale. Gli atti della Conferenza, la registrazione video degli interventi e i materiali presentati dai relatori sono disponibili sul sito della Direzione Generale Cinema del MiBACT: www.cinema.beniculturali.it/ presidency-audiovisual-conference.aspx FATTI // Dossier di DG Cinema e ANICA Il semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea Il Consiglio dell’Unione europea è una delle principali istituzioni dell’Unione insieme a Parlamento europeo, Consiglio europeo, Commissione europea, Corte di Giustizia dell’Unione europea, Corte dei Conti europea e Banca centrale europea. Insieme al Parlamento e alla Commissione, il Consiglio compone il triangolo decisionale con competenze di determinazione delle politiche comuni. In particolare, alla Commissione spetta l’iniziativa legislativa mentre il Consiglio, in rappresentanza dei governi dei singoli Stati, e il Parlamento, in rappresentanza dei cittadini dell’Unione, svolgono la funzione legislativa di adozione degli atti proposti e del bilancio nel quadro della procedura della co-decisione, detta “ordinaria”. Il Consiglio, inoltre, ha il compito di definire e coordinare le politiche degli Stati. Il Consiglio dell’Unione europea è anche detto Consiglio dei Ministri perché espressione diretta dei governi degli Stati membri dell’Unione. A farne parte, infatti, sono i vertici dei ministeri che compongono i governi dei vari paesi. La formazione del Consiglio nelle riunioni varia quindi in funzione delle materie all’ordine del giorno, vedendo avvicendarsi i rappresentanti dei governi responsabili dei dicasteri sotto cui ricade la gestione della sfera trattata. Ogni Stato delega quindi un rappresentante che coincide con il Ministro competente per materia. Allo stato attuale sono previste dieci formazioni del Consiglio: 1. Affari generali 2. Affari esteri 3. Economia e finanza (compreso il bilancio), “ECOFIN” 4. Giustizia e affari interni (compresa la protezione civile), “GAI” 5. Occupazione, politica sociale, salute e consumatori, “EPSCO” 6. Competitività (mercato interno, industria, ricerca e spazio) 7. Trasporti, telecomunicazioni e energia, “TTE” 8. Agricoltura e pesca 9. Ambiente 10.Istruzione, gioventù, cultura e sport (compresi gli audiovisivi) La presidenza del Consiglio è esercitata dagli Stati membri in turni semestrali. Ogni sei mesi, pertanto, in base al sistema di rotazione paritaria e secondo un ordine adottato dal Consiglio stesso (2007/5/CE, Euratom), i governi dei paesi membri assumono la presidenza del Consiglio dell’Unione europea. In base alla decisione del Consiglio europeo, inoltre, (2009/881/UE) la presidenza del Consiglio è esercitata da gruppi predeterminati di tre Stati membri per un periodo di 18 mesi secondo il meccanismo cosiddetto della troika che prevede il coordinamento fra presidenza in carica, presidenza uscente e presidenza immediatamente successiva. Durante ciascun semestre, il governo che ha assunto la presidenza presiede le riunioni nell’ambito del Consiglio, ad eccezione della formazione “Affari esteri” presieduta dall’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. L’Italia ha assunto la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea per il secondo semestre del 2014 dal 1° luglio al 31 dicembre. Il ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, presiede la formazione del consiglio “Istruzione, gioventù, cultura e sport” - nell’abbreviazione inglese “EYCS” - nelle riunioni che attengono alle materie di sua competenza. Durante il semestre, il Consiglio EYCS si riunisce più volte in via informale e in via formale. Nell’ambito delle competenze del Consiglio EYCS rientrano anche le tematiche inerenti all’audiovisivo. In occasione del semestre, pertanto, il MiBACT, tramite la sua Direzione competente in materia, la Direzione Generale per il Cinema, presiede il gruppo di lavoro specializzato sull’audiovisivo, l’Audiovisual Working Party (AVWP) del CAC, il Comitato Affari Culturali. Il CAC è uno degli organi preparatori del Consiglio, ossia dei comitati altamente specializzati che coadiuvano il Comitato dei Rappresentanti Permanenti dei governi degli Stati membri dell’Unione europea (“Coreper”), assistiti dal Segretariato Generale del Consiglio. Il compito del CAC è quello di valutare le proposte in materia di cooperazione culturale, preparando i lavori del Consiglio sulla base dell’agenda culturale europea e del piano di lavoro triennale. In questo quadro, l’AVWP prepara i lavori del Consiglio in materia di audiovisivo e quindi in relazione alla discussione sul quadro regolatorio di riferimento, sulle politiche di sostegno al settore, sul monitoraggio e valutazione dei programmi già in atto e sulle questioni relative alla media literacy, alla diffusione dei contenuti creativi e culturali sul web e all’evoluzione del contesto digitale. Eventi collaterali ai lavori del semestre sono le conferenze internazionali organizzate dalla presidenza di turno che hanno lo scopo di approfondire i temi di maggior rilevanza per il settore trattato attraverso un confronto pubblico con gli operatori. Nel semestre di Presidenza italiana, in materia di audiovisivo, la DG Cinema-MiBACT, oltre a guidare i lavori dell’AVWP, ha quindi organizzato la conferenza internazionale dal titolo Audiovisual Market and Regulation: an Industry at a Crossroads che si è tenuta a Roma il 23 e 24 ottobre alla presenza dei delegati dei ministeri competenti degli Stati membri e di cui si dà conto in queste pagine. 55 CINEMA ESPANSO YIDDISH YIDDISH YIDDISH YIDDISH YIDDISH YIDDIS HOME MOVIE HOME HOMEHOME HOME HOME MOVIE MOVIE MOVIE MOVIE MOVIE di Stefania Miccolis 56 CINEMA ESPANSO È il riso della sposa quello che più emoziona, è quel riso colmo di pudore e timidezza, dolce, e radioso; il velo corto sulla testa, un vestito bianco semplice, un bacio breve e dolcissimo che la imbarazza davanti alla cinepresa. La sposa è la protagonista di un filmato del 1923, ma è una protagonista vera non un personaggio inventato, e le immagini sono quelle girate al suo matrimonio - lei, Iole Campagnano, sposa il cugino Silvio Della Seta - e non scene di film, per il quale potrebbe tranquillamente essere scambiato. Davanti agli occhi la vita quotidiana di una famiglia ebraica, quella dei Della Seta e Di Segni. Una delle tante famiglie felici in un giorno di festa, ancora ignare di quello che sarebbe avvenuto di lì a pochi anni. Le scene avanzano, si vede l’intera famiglia al mare, forse ad Anzio, numerosi i bambini, le donne vestite sulla spiaggia; e poi sulla neve, forse all’Aprica, tutti passano guardando sbalorditi quell’enorme marchingegno di cinepresa a manovella dello zio Salvatore Di Segni che li sta riprendendo. La sfera emozionale che questi spezzoni - 11 rulli su negativo da 35mm - ricoprono, è variegata. L’emozione del ritrovamento: i negativi erano rimasti chiusi in scatole di cartone nella cucina in casa della nonna di Claudio Della Seta e poi erano finiti in casa dello zio. Non è facile che i nipoti conservino e si interessino a qualcosa di vecchio, impolverato, sicuramente rovinato, nell’era in cui tutto è possibile comprare ed è più facile buttare e non conservare per fare spazio. Un rischio di rottamazione enorme e una scarsa educazione a mantenere la memoria è sempre in agguato. Emozione perché quelle immagini sono riuscite a vivere, a venir fuori dopo 91 anni di oscurità, come il treno dei fratelli Lumière. Immagini in movimento, fotogrammi che nonostante il ma- teriale altamente infiammabile e pericoloso, nonostante il tempo che lo ha sottoposto a inevitabili deterioramenti, sono state ridate agli occhi e catapultate nell’era digitale grazie all’opera di restauro del Centro Sperimentale di Cinematografia (Csc), sotto la supervisione di Mario Musumeci, e dall’Istituto centrale per il restauro archivistico e librario (Icrcpal), la cui direttrice è Maria Cristina Misiti. Per la digitalizzazione sono state unite una tecnologia avanzata insieme ad attrezzature dell’artigianato industriale della CIR (Costruzioni incollatrici Rapide). Emozione perché finalmente si pensa a salvare la memoria e a conservare la nostra storia anche con gli “home movies”. Questi filmati appartengono a una famiglia ebraica italiana di prima della guerra, materiali rarissimi, gli unici in Italia: lo Yad Vashem (Museo dell’Olocausto), che alcuni anni fa ricercò in tutta Europa filmati riguardanti la vita delle famiglie ebraiche prima della Shoah, solo in Italia non riuscì a rintracciare nulla. Queste immagini sono indispensabile testimonianza di un’epoca: in una scena al mare qualcuno porta “Il Messaggero” e i membri della famiglia si passano fra loro il giornale col titolo in prima pagina del 1° settembre 1923 “lo sbarco delle truppe italiane a Corfù” (è stato ingrandito il fotogramma). E testimoniano la vita quotidiana e intima di una famiglia ebraica con determinate usanze e costumi, abbigliamento dell’epoca, e in questo caso, uno stato sociale agiato, sia per i viaggi e le vacanze che si potevano permettere - mare, montagna, scampagnate - sia perché, se si considera che nel 1923 le riprese cinematografiche amatoriali “home movies” erano agli inizi, il 35mm in formato professionale poteva essere appannaggio solo di pochi e facoltosi appassionati, e lo zio Salvatore Di Segni era certamente al passo con le tecnologie. Emozione perché alla mente tornano subito i filmati di Charlie Chaplin, o di Buster Keaton, o di Georges Méliès. Per chi ama il cinema, il bianco e nero, il muto, quel candore dell’antico danno la palpitazione dei primi albori del cinema, con quelle persone dai volti antichi, con quelle strade (chi è di Perugia riconosce anche le vie della città in cui i due nonni si sposano) e i paesaggi di un’epoca che non ci appartiene più. Si ha nostalgia, si prova melanconia, si assapora qualcosa che sai tristemente non ci sarà più. I fotogrammi avanzano veloci, identici ai film muti e come sonorizzazione di sottofondo si sente la preziosa raccolta di musica del bisnonno Di Segni, lasciata all’I- stituto per i beni sonori e audiovisivi (Icbsa). Infine emozione perché i bisnonni Samuele Della Seta e Giulia di Segni presenti nei filmati verranno catturati durante la retata del 16 ottobre 1943 e deportati ad Auschwitz e non faranno più ritorno. E questo colpisce tristemente non solo le famiglie dei diretti interessati, ma tutti coloro che vivono quei terribili anni come un’ignominia per l’Italia. Ecco il valore forse più importante dei filmati, la presa di coscienza storico civile collettiva, che servirà a migliorare gli italiani, e soprattutto quelli del futuro. Ora le bobine originali sono state donate alla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano e le copie allo Yad Vashem, al Museo ebraico e alla Fondazione Museo della Shoah di Roma. E come una sorpresa, pare che 30 rulli, di poco successivi, siano stati ritrovati presso la famiglia a Buenos Aires. Altre emozioni arriveranno. 57 CINEMA ESPANSO G litch. Interferenze tra arte e cinema in Italia, la seconda mostra voluta dal nuovo comitato scientifico del Pac di Milano guidato da Massimo Torrigiani, si muove nel segno della contaminazione tra arte e altri linguaggi della contemporaneità e si fregia del piccolo grande primato di collettiva italiana dedicata interamente all’Art Cinema, un territorio di sovrapposizione tra arte e film che, negli ultimi quindici anni e grazie alle più immediate possibilità produttive e distributive offerte dal web - YouTube in primis - ha notevolmente esteso i propri confini. Un tipo di pratica che non va confusa con la videoarte, come ha sottolineato in più occasioni Davide Giannella, curatore della mostra. Classe 1980, Giannella ha con- 58 cepito Glitch come una galleria di film e opere che rendessero conto del passaggio epocale vissuto dalla sua stessa generazione, nata sotto l’analogico e diventata adulta tra la vertigine del digitale e la catastrofe (in) filmabile dell’11 settembre. Sotto il denominatore comune di una “distorsione” o interferenza - da qui il termine glitch - che di volta in volta rivela inaspettate connessioni tra il territorio dell’arte contemporanea e quello del cinema, le opere dei cinquanta artisti che figurano in Glitch inseguono uno storytelling lineare o disturbato - talvolta disturbante - e si negano a una fruizione puramente contemplativa. ti riconfigurati come ambienti di ricerca, di dibattito, di relazione tra gli stessi artisti e, soprattutto, di esperienza filmica per il visitatore. Alcune parti del museo, ad esempio, sono state riconvertite a mini-sale cinematografiche, riproducendo ciascuna le condizioni essenziali alla base del tradizionale moviegoing: la separazione dallo spazio della vita quotidiana attraverso tendaggi rossi, pareti nere, oscurità, file di sedute, proiettori celati magicamente alla vista. Un invito a riflettere su come, in tempi di crossmedialità, la sala cinematografica possa essere ancora sede di esperienza solo in virtù di una precisa scelta individuale. Ben 64 sono i film proiettati a giorni In accordo con questo presup- alterni nelle sale, e divisi in due posto, gli spazi del Pac sono sta- programmi differenti da due ore ciascuno. Così collocate, le pellicole si prestano a una visione a puntate, favorita dalla possibilità di sostituire il biglietto con un abbonamento che consente più ingressi alla mostra. Da Yuri Ancarani ad Adrian Paci, da Gianluca e Massimiliano De Serio ad Anna Franceschini, dai Turbo Film di Alterazioni Video fino ad Alice Guareschi, sono innumerevoli i contributi che attestano quanto differenti possano essere le modalità e i percorsi che conducono a lavorare fuori dagli schemi e dai formati tradizionali. Così, tra i tanti artisti emergenti formati alla videoarte, può trovare spazio anche una figura di primo piano dell’avanguardia italiana come Paolo Gioli, che declina il tema della mostra alla luce del suo Anonimatografo, CINEMA ESPANSO IMMAGINI DISSONANTI di Francesca Monti Glitch. Interferenze tra arte e cinema in Italia: collettiva italiana dedicata interamente all’Art Cinema, in mostra al Pac di Milano fino al 6 gennaio. 59 CINEMA ESPANSO rianimazione di immagini provenienti da alcuni rulli di pellicola, acquistati da uno straccivendolo, di un anonimo dei primi del Novecento. L’altra area in cui si articola il progetto espositivo è quella dedicata alle installazioni: in questo caso, Giannella ha preferito evitare opere audio-video, riservando alle sale di proiezione l’esclusiva sulle immagini in movimento. Rimangono però dei legami tra le installazioni e i film dei rispettivi autori. Come nei lavori che Rossella Biscotti dedica alla figura di Joseph D. Pistone, ex agente FBI e principale ispirazione del protagonista di Donnie Brasco. Il film del 2008 The Undercover Man sconfina infatti in due installazioni basate sul recupero di materiali d’archivio originali dell’FBI, che pongono il visitatore nella condizione di sorvegliante e di sorvegliato. Altre opere indagano invece il nostro immaginario cinematografico e come il nostro pensiero visuale si sia articolato attorno alla fabbrica dei sogni, come il Tiberio ricamato di Francesco Vezzoli, o il progetto del 2010 di Rä Di Martino No More Stars (Abandoned Movie Set, Star Wars), che documenta le rovine dei set abbandonati nel deserto come fossero i siti di un’archeologia antichissima. I “quadri cinetici” di Rosa Barba, Color Clocks: Verticals Lean Occasionally Con- 60 sistently Away from Viewpoints, sembrano invece provocare la riflessione teorica che ha legato il cinema al tempo, proponendo il falso movimento di una pellicola 35 millimetri all’interno di tre sculture metalliche, in cui questa va a descrivere una traiettoria che sfugge sia la linearità che la circolarità. La terza parte della mostra, riservata alle performance, segue lo stesso principio delle installazioni, riassemblando le opere filmiche di riferimento attraverso un differente linguaggio. Nella consapevolezza dell’ambiguità di queste forme espressive, sospese tra la solidità della materia e dei dispositivi e l’evanescenza del movimento. Un andamento diseguale che caratterizza tutto il percorso espositivo, a tratti quasi caotico, ma aderente nello spirito a una corrente carsica di artisti e videomaker che si oppone all’eccesso della classificazione onnicomprensiva. Proprio come dovrebbe essere il cinema, specie se vicino alla contemporaneità. CINEMA ESPANSO PACE FATTA TRA CINEMA E TEATRO. NEL NOME DI GREENAWAY di Luca Lucini Goltzius and the Pelican Company sta circolando non nelle sale cinematografiche ma nei teatri. È una nuova ipotesi di distribuzione promossa da Lo Scrittoio assieme a Maremosso, la piccola casa di distribuzione fondata dal regista Luca Lucini, che ci spiega le motivazioni di una scelta coraggiosa e innovativa. P di copie conta spesso più della qualità, per cui molti prodotti più di nicchia sono di fatto penalizzati. Sfruttando invece la bellezza del teatro e dei suoi spazi stiamo cercando di aprire nuove strade. Il primo esperimento è andato bene: a Milano c’è A me il film piaceva tantissimo, stato il tutto esaurito la prima provavo un vero dispiacere non settimana, e anche a Napoli, rispetto alle aspettative, il risulvedendolo distribuito. Così abbiamo cercato in tutti i tato è stato più che buono. modi di costruire qualcosa per cui si riuscisse a godere di que- Il cinema di Greenaway si basa sto spettacolo, in cui tra l’altro sulla contaminazione di generi. c’è tanta Italia: Pippo Delbono, I suoi prodotti sono già un’eFlavio Parenti, il Quintetto Ar- sperienza sensoriale a più livelli chitorti. Distribuito in lingua ed il teatro è lo spazio più adatoriginale e sottotitolato, per to per fruire di opere di questo dare una fruizione più coerente, genere. Il film che abbiamo grazie al Teatro dell’Arte della distribuito è un’esplorazione Triennale di Milano, all’Argentina di nuovi linguaggi indirizzata di Roma e al Bellini di Napoli, a un pubblico che è abituato a siamo riusciti a far partire que- prendersi il tempo necessario per godere di un’opera in una sto esperimento. certa maniera. Il film rielabora È un nuovo modo di provare a e mescola forme d’arte di sointercettare un pubblico che in lito estranee al cinema: archisala avrebbe più difficoltà, un po’ tettura, pittura, retorica, danza, per l’eccesso di offerta (10 film musica… è come una lezione a settimana) e un po’ perché il di storia delle arti fatta utilizlancio pubblicitario e il numero zando il linguaggio del cinema. resentato al Festival del Cinema di Roma l’anno scorso, il film di Greenaway non aveva trovato mercato in Italia. Un certo tipo di cinema, nel nostro Paese, fatica molto ad avere successo in sala. Abbiamo già un altro progetto di distribuzione a teatro, c’è interesse e vogliamo continuare questa sperimentazione. È l’inizio di un nuovo percorso. In questo momento lo scopo è far circolare dei film che diversamente in Italia non avrebbero vita, ma la speranza è che nel futuro diventi una scelta editoriale e distributiva ben precisa, una modalità di circuitazione che funzioni anche per numeri più importanti. Certo non tutti i film sono adatti ad essere distribuiti in teatro, ma se si crea una cultura visiva differente, grazie anche alla tecnologia, allora davvero il teatro è già pronto ad affiancare il cinema e ad aiutarlo nel campo in cui questo ora è più debole, cioè quello della distribuzione. È la pace tra il cinema e il teatro: e il pubblico c’è, risponde. Anche i giovani sono attratti e interessati. Forse perché sono più sensibili alla cultura delle contaminazioni. (testo raccolto da Sara Giudice) 61 CINEMA ESPANSO Viaggio nell’avanguardia americana di Giulio Bursi P iù citato che letto, Expanded Cinema di Gene Youngblood è negli anni diventato uno dei capisaldi teorici per i film studies, gli studi sui new media e l’intermedia art, così come uno dei must-read per ogni appassionato dei rapporti tra cinema, video, arte, media e tecnologia. Senza ombra di dubbio, il volume, pubblicato dall’americana E. P. Dutton & Co nel 1970, rappresenta uno dei contributi più importanti per comprendere l’avanguardia filmica americana del dopoguerra, il rapporto fra cinema sperimentale e video, e le trasformazioni dei dispositivi di visione a cavallo di un decennio di cambiamenti decisivi come furono i ’70. Nonostante gli enormi sviluppi nei media studies, ancora oggi il libro di Youngblood si trova senza sostanziali eredi, ed è circondato da un’aura mitica. Ma cosa rimane oggi, a distanza di quasi quarantacinque anni dall’uscita, di questo imprescindibile contributo sulla storia dei media? Prima di tutto la sua natura di “strumento”, e la sua importanza “documentaria”. Ricordiamo che, se pur ampliato, aggiornato, e in gran parte riscritto, 62 Expanded Cinema è prima di tutto l’insieme degli articoli apparsi nella rubrica Intermedia del giovane giornalista Youngblood per l’indipendente “Los Angeles Free Press” dal 1967 al 1969, e ha quindi una natura di diario di viaggio nella scena d’avanguardia e sperimentale americana. Il teorico e critico losangelino ha infatti frequentato, e per diversi anni, gli spazi off, i teatri di posa e i laboratori più all’avanguardia delle due coste, conoscendo di persona registi, tecnici e artisti, e partecipando a una serie di show tra cui i primi spettacoli intermedia della storia, per poi ampliare la ricerca attraverso una capillare raccolta di documentazione spesso fornita dai protagonisti stessi, e presente copiosamente nel libro. In questo senso, la resistenza di alcuni dei suoi esegeti ad inserirlo nell’orizzonte di matrice sottoculturale a cui appartiene è quantomeno indice di una lettura distratta. Pur coi suoi limiti storici (ad esempio non rilevare il decisivo valore dei sistemi di multivisione industriali sviluppati per fiere ed esposizioni universali, sia prima che dopo la seconda guerra mondiale), se vogliamo che questo libro abbia Il testo-culto Youngblood, Anni ha ’70 dagli studiosi italiana: tradotta Fadda, Giuseppe visive - un’edizione ottimamente da Simonetta l’aiuto Baresi, risulta un cineasta come graficamente poco dell’autore più anche con però e troppo italiani arti finalmente di - conosciuto di Gene pubblicato negli poco di rispettosa originale iconograficamente povera pubblicazione della prima statunitense. CINEMA ESPANSO ancora un’importanza, un motivo di essere letto, tradito e ripubblicato, sarebbe utile accompagnarlo, offrendo al lettore una chiave di lettura storico-filologica seria e puntuale. Inoltre, per non far sembrare Expanded Cinema “antico” e “fuori scala”, la sua lettura andrebbe presentata in quanto narrazione, alla stregua del Film Journal di Mekas, non assecondando troppo l’ambizione tipica dei ‘60 di unire più o meno organicamente McLuhan, il post-umanesimo, l’ecologismo di matrice buckminsterfulleriana, l’intermedialità, le “reti”, la sinestesia, i computer, l’espansione e il ripensamento/riconfigurazione del soggetto umano. Andrebbe messo in chiaro che Expanded Cinema non è solo un libro teorico, un saggio per certi versi anticipatore di molte tendenze, ma anche e soprattutto un libro utile, in quanto lungo report sulla “scena” della seconda avanguardia filmica americana, resoconto di esperienze visive che hanno incrociato storicamente l’inglobamento dell’happening nelle forme dell’intermedialità filmica attraverso la danza, la musica live (free jazz, elettronica, microtonale, noise, sperimentazione), il video, il computer. Le sue pagine sono un archivio pressoché inesauribile di possibili riscoperte puntualmente attuate dai curatori, storici e musei più attenti (pensiamo a Jordan Belson, ai fratelli Whitney, a Stan VanDerBeek, USCO, Jackie Cassen e Rudi Stern, il recentemente scomparso Jud Yalkut o Aldo Tambellini), e che pochissimi studiosi e appassionati italiani conoscono. In un senso sicuramente opposto a queste nostre riflessioni va l’edizione italiana, recentemente uscita per i tipi di Clueb e ottimamente tradotta da Simonetta Fadda con l’aiuto di un cineasta come Giuseppe Baresi. Se da una parte va encomiata, senza mezzi termini, l’idea di Pierluigi Capucci (direttore della collana Clueb Mediaversi e autore dell’introduzione) e Francesco Monico (autore di un Glossario in chiusura del volume e di una lunga nota all’edizione italiana), occorre altresì lamentarsi del pessimo impianto grafico, che riflette la supponenza editoriale (tutta italiana) di un progetto in cui al centro di un’imbarazzante copertina, in bella vista, stanno i nomi dei “curatori”, ovvero i docenti che faranno vendere a Clueb il volume, e dall’altra (in alto, seminascosto), il nome del povero Youngblood, già asfissiato da prefazioni, postfazioni, glossari e note. Oltre alla copertina va segnalato un apparato iconografico interno che riprende decine e decine di immagini presenti nel testo originale in una risoluzione addirittura peggiore rispetto alla prima edizione del 1970 (come se una ricerca iconografica, e magari un aggiornamento a colori di molte delle immagini dei film, oggi tutte facilmente reperibili, fosse un compito non spettante ad una casa editrice seria nell’era digitale). A chiudere - simbolicamente - il volume, le bio dei due “curatori” e del “glossarista”, che dimenticandosi del gesto, umile e utile, di fornire ai lettori italiani uno strumento indispensabile come l’indice degli autori citati, dei film e delle opere (peraltro presente nell’edizione originale), preferiscono ribadire la forte vicinanza al detto di Bianciardi… “come si sa, tradurre è un po’ tradire”. 63 NEL MONDO IVANO & JESSICA, A BUSAN DIARIO DI BORDO DAL 19° BUSAN INTERNATIONAL FILM FESTIVAL di Ivano De Matteo 2 ottobre Parto per Busan con un volo notturno della Korean Air. Sono un po’ stanco dopo il tour de force veneziano e la promozione del film in giro per l’Italia, crollo subito e riesco a dormire per tutto il volo, non tocco nemmeno il cibo che mi hanno portato! Una volta arrivato a Seoul devo aspettare la coincidenza per Busan, che si trova nella Corea del Sud ed è la seconda città del Paese. Finalmente arrivo a destinazione, la mia stanza si trova proprio di fronte all’oceano. Dalla finestra vedo un palco sulla spiaggia con molte luci e musica e una folla in visibilio. Non ho cenato e decido, nonostante sia già tardi, di raggiungere altre persone della delegazione italiana alla festa di inaugurazione del Festival, in un grande albergo vicino. Ho perso l’elegante red carpet perché sono arrivato troppo tardi, ma mi dicono che c’era Asia Argento, qui da ieri, in rappresentanza dell’Italia. C’è gente di ogni nazionalità e da subito entro nel “girone” delle feste. Subito conosco Paola Bellusci, volitiva e bravissima direttrice dell’ICE di Seoul, i rappresentati di European Film Promotion, che si prenderanno cura di me e del mio film assieme a Luce Cinecittà qui a Busan, e il direttore del Festival Lee Yong-kwan, con cui scambio una serie di inchini (come tutti qui). 64 NEL MONDO 3 ottobre 5 ottobre 6 ottobre 7 ottobre A pranzo mi portano nella “food court” sotto il centro commerciale Centum City (secondo il Guinnes dei primati il più grande del mondo) dove tra un paio di giorni ci sarà la mia proiezione, in una sala con lo schermo più grande dell’Asia (di 27 metri): non vedo l’ora di vederlo! Nel pomeriggio vedo dalla mia finestra un incontro sul palco della spiaggia di cui è protagonista Asia Argento, accolta da centinaia di giovani coreani, e mi dicono che il giorno dopo sul quel palco ci salirò anch’io… La sera posso abbracciare Asia, con cui ho recitato parecchi anni fa in uno dei miei primi film da attore (Le amiche del cuore, ndr), alla fine della sua proiezione che è andata molto bene. 4 ottobre Nel pomeriggio abbiamo un incontro informale con la quindicina di registi ospitati da European Film Promotion, ci presentiamo e io inizio subito a parlare con un regista sloveno che era come me a Venezia, molto simpatico e che parla italiano. Dopo poco, ci scortano verso il palco sulla spiaggia: con nostra grande sorpresa, anche noi siamo accolti da una folla di giovani ragazzi cinefili che ci accolgono come veri divi! Come mi confermeranno le reazioni e le domande che mi faranno durante l’incontro al termine della mia proiezione, mi rendo conto che qui in Corea c’è una grande attenzione al lontano cinema europeo e una “fame” culturale davvero entusiasmante… Sul palco ognuno di noi deve presentarsi, e io per “ingraziarmi” il pubblico racconto che il mio legame con la Corea nasce dal fatto che mio padre è stato un insegnante di Taekwondo, l’arte marziale coreana per eccellenza, e… dal fatto che possiedo uno scooter Kymco. La mattina andiamo a visitare un meraviglioso tempio, che deve essere molto famoso perché c’è una moltitudine di gente locale in visita. Sulla strada del ritorno mi offrono da bere una sorta di “spremuta” di radici, in realtà è molto buona ed energetica. Nel pomeriggio facciamo un salto all’Asian Film Market, dove incontriamo Catia Rossi di Rai Com, che è qui per vendere il mio film ai distributori orientali (ci è già riuscita con Taiwan!): mi presenta un distributore turco, anche lui ha comprato il mio film. Ci facciamo una foto abbracciati ed è molto simpatico. Finalmente alle 20 c’è la mia prima proiezione, in una sala grande (più di 400 posti) e con lo schermo strabiliante… non posso perdere l’opportunità di vedere I nostri ragazzi qui, è davvero emozionante. Alla fine, durante l’incontro con il pubblico, mi fanno delle domande profonde, scavano nel mio rapporto con gli attori, con la storia, soprattutto sul finale del film che lascia aperte tante emozioni… Ho notato una grande attenzione. Infine faccio una foto circondato da questi stupendi ragazzi coreani. Subito dopo io e la delegazione italiana raggiungiamo la festa dell’Asian Film Market, che si tiene proprio nel giardino del nostro hotel: conosco molti selezionatori e direttori di festival, distributori internazionali, e parlo con Soue Won-Rhee, la programmer del Festival che ha selezionato il mio film per Busan. Siamo gli ultimi ad andare via. Alle 17 andiamo ad un cocktail, l’evento finale per noi registi di EFP, e tutti insieme facciamo una foto con il direttore, che avevo conosciuto il primo giorno. Conosco anche un regista colombiano che sarebbe interessato a fare un film tratto da The Dinner, il libro olandese a cui mi sono ispirato per il mio I nostri ragazzi. Glielo consiglio vivamente. La sera vorremmo andare all’ennesima festa, questa volta tedesca, ma il jet lag ha la meglio sulla mondanità. Alle 13 c’è la seconda proiezione del mio film: anche questa è strapiena, ha grande successo. Ho dimenticato di dire che la ragazza coreana che mi fa da interprete, Jessica, parla con un forte e divertente accento fiorentino, ma soprattutto insieme sembriamo una gag di un film di Verdone…”Ivano e Jessica”! La sera si chiude in bellezza con la reception italiana, organizzata dall’Ice di Seoul: c’è anche l’Ambasciatore Mercuri venuto espressamente dalla capitale, mentre io, come unico rappresentante della delegazione artistica, sono la star della serata. Tra un piatto di spaghetti e di melanzane alla parmigiana (buoni) conosco un po’ di distributori coreani e cinesi, e li presento alla mia “venditrice” Catia: alla fine di questa lunga settimana raccolgo i frutti della partecipazione a così tante feste. 8 ottobre La sveglia suona prestissimo, poco prima alle 5: sono felice di tornare dalla mia famiglia ma anche di aver partecipato a questo Festival lontano. (a cura di Rossella Rinaldi) Luigi Sassoon (Cesare Zavattini) Film veloce ed esatto da “Cinema Illustrazione”, 1933. L a seduzione tra il cinema e il corpo condenserebbe fatalmente il paradigma germinale (ed essenziale) di un nuovo inizio, nel quadro di una storia delle immagini volta agli effetti di realtà. Il dispositivo cinematografico novecentesco dischiude qui la sua sfavillante precisione tecnico-scientifica, insieme alle prodigiose micro/macroscopiche gittate delle sue ottiche, ma svela anche le sue caliginose ambiguità, insolvibili tra documento e fantasia, realismo e astrattismo, senza evocare poi quelle tra carne e celluloide, pelle e pellicola. A fornirne una lettura singolare, sebbene non precoce, è proprio chi, della ricerca del reale nel cinema, ha fatto la chiave di volta di quella che è passata per la rivoluzione del cinema moderno: Cesare Zavattini, penna di De Sica e teorico della camera pedinatrice del Neorealismo cinematografico. Film veloce ed esatto è pubblicato nel 1933 sulla rivista mensile “Cinema Illustrazione”, dove di lì a poco il giovane Zavattini, redattore e correttore di bozze, avrebbe sostituito il direttore Giuseppe Marotta. Nascosto dall’abituale pseudonimo di Luigi Sassoon, dà testimonianza - più che una lettura critica - della visione stupefatta di un film chirurgico (parrebbe trattarsi dell’estrazione di un calcolo: “una specie di ciottolo informe”). Solo un paio d’anni dopo, Ernesto Cauda dedicherà al cinema scientifico un contributo fondamentale e sistematico (per quanto pragmatico), che fin dal titolo consacrava il cinematografo al servizio della scienza; ma la testimonianza di Zavattini ci offre spunti del tutto diversi. Del film non si dice nulla: nessun titolo, nessun nome, tanto che vien da prenderlo quasi come un modello archetipico. E tuttavia è l’anonimato ad attrarre immediatamente l’entusiasta spettatore: posta a perpendicolo sul paziente supino, la macchina da presa “non ha bisogno dell’operatore perché funzionerà automatica IN QUESTO NUMERO UN ARTICOLO ESTRATTO DALLA RIVISTA CINEMA ILLUSTRAZIONE del 6 giugno 1933 articolo a firma di Luigi Sassoon (Cesare Zavattini) mente”; e poco prima, le battute d’apertura descrivevano una sorta d’inviolabile panottico cristallino: “una stanza dalle pareti di vetro (…) Sembra di essere, quando s’è là dentro, nella vetrina di un museo scientifico”. Non c’è intromissione, non c’è trucco alcuno a corrompere la scena, “visioni nette, di una precisione, alle volte, sconcertante”: un dispositivo perfetto per una restituzione “esatta”. La testimonianza non ci rende però solo un asettico documentario, la descrizione si carica di fascino e fantasia: i medici - coperti da camici e mascherine - sono “bianchi fantasmi”, le mani - inguainate di nero latex - sono “macchine infallibili” e il torso del paziente “un paesaggio desolato”. In un climax precisissimo (carico di suspense, dove solo alla fine è svelata la natura del film), l’operazione diventa prima un’appassionante dramma e quindi un’elegante visione astratta, dove la progressiva focalizzazione sull’area dell’incisione chirurgica esclude l’occasione contingente ed eleva le forme a un’attraente coreografia. di Andrea Mariani di Angela Prudenzi 69.700 km2 4.935.880 70,8/km2 Tbilisi Lari Georgiano (71%) Repubblica semi presidenziale SUPERFICIE POPOLAZIONE DENSITÀ CAPITALE VALUTA LINGUA UFFICIALE FORMA DI GOVERNO FOCUS // Dove il cinema sta meglio I l primo film georgiano, Il viaggio di Akaky Tsereteli lungo la Racha e la Lechkhuma di Vasily Amashukeli, girato nel 1912, assieme a African Hunt e One Hundred Years of Mormonism, è considerato uno dei primi documentari lunghi in assoluto. L’interesse del film, primati a parte, risiede però nel fatto che immor- di Alaverdoba di Giorgi Shenghelaya, vero e proprio manifesto poetico della nuova onda georgiana. A Shenghelaya si affiancano subito altri autori quali Otar Iosseliani, Tengiz Abuladze, Rezo Chkheidze, Lana Gogoberidze, Irakli Kvirikadze. I loro film sono la prova di come si possa mostrare la situazione nazionale eluden- UN CINEMA PATRIOT TICO tala uno dei tanti viaggi effettuati dal poeta Tsereteli, vissuto tra il 1840 e il 1915, riferimento politico oltre che culturale per l’intero popolo georgiano. Fu infatti tra coloro che introdussero il concetto di “patria” in senso nazionalistico, motivo per cui ancora oggi la sua opera è molto amata e rispettata. Il viaggio di Akaky Tsereteli era, e resta, un inno alla libertà e all’indipendenza. Parole che tornano con prepotenza ogni volta che si parla di cinema georgiano, da sempre influenzato dalle vicende del Paese. Libertà e indipendenza, dunque e non a caso, perché la storia della Georgia è marcata da una ininterrotta colonizzazione durata dal 1700 al 1991. Ininfluente la breve parentesi di libertà all’indomani della Rivoluzione di Ottobre del 1917, giacché nel 1921 il Paese è di nuovo annesso all’Unione Sovietica, fin poco dopo la caduta del Muro di Berlino. Un periodo in cui gli artisti, nonostante la repressione, la censura, la limitazione della libertà creativa, non hanno mai smesso di avere contatti e scambi con la scena europea e americana. Settanta lunghi anni durante i quali la cultura, malgrado le spinte esterne a volerne mutare i tratti, resta impermeabile a cambiamenti profondi e sostanziali. Lo spirito georgiano, intriso di visionarietà e ribellione, ha avuto la meglio nel non far spegnere la voce di artisti e intellettuali. Per quanto riguarda il cinema, gli Anni ’60 sono stati la stagione di maggior fermento e agitazione. Il 1962 è considerato un anno fondamentale grazie alla produzione 70 do la censura. La chiave viene trovata nel raccontare la verità in modo allegorico, affidando la narrazione a un linguaggio poetico e all’andamento della favola. Nonostante la forma infatti, film come Pirosmani di Shenghelaya, Foglie d’autunno (1966) di Otar Iosseliani, La grande valle verde (1967) di Merab Kokochashvili, Il matrimonio (1964) e Ombrello (1967) di Mikheil Kobakhidze sono esempi di un cinema in grado di astrarsi dalla realtà pur restando fortemente ancorato ad essa. L’universo cinematografico è certamente metaforico, simbolico, tuttavia lascia filtrare i problemi nazionali, i temi sociali e morali, l’importanza dell’individualità, il valore delle scelte personali. I fattori poetici ed estetici dei maestri degli Anni ’60 si sono riverberati sulle scelte dei registi delle generazioni future che però, avendo raccolto l’eredità in un momento di forte disagio sociale e di perdita di speranze nel futuro, hanno portato questo malessere nelle opere prodotte durante gli Anni ’70 e ‘80. I loro film riflettono difatti problemi reali: le difficoltà della vita di tutti i giorni, la violenza, i soprusi verso i più deboli, l’aggressività trionfante, la perdita dei valori. Di conseguenza il cinema da poetico si fa via via più prosaico. Una tendenza che dilaga fino a tutti gli Anni ’80 e che, per quanto possa risultare strano, non si inverte nemmeno dopo la caduta del Muro e il ritorno della libertà nel 1991. Indipendenza momentanea però, perché il Paese si ritrova subito dopo nel mezzo di una guerra civile causata da FOCUS // Dove il cinema sta meglio dispute etniche e territoriali nonché segnato da una pesantissima crisi economica. È in questo scenario che molti autori si ritrovano stabilmente a lavorare fuori dai confini nazionali, come Dito Tsintsadze in Germania e Otar Ioseliani, Mikheil Kobakhidze e Nana Jorjadze in Francia. E proprio la Jorjadze, che nel 1987 aveva vinto la Caméra d’Or a Cannes con sti, anziché tornare in patria, avevano continuato la loro attività all’estero. Una situazione che il Georgian National Film Center ha contribuito a cambiare, permettendo a nuovi autori di esprimersi senza bisogno di espatriare. La cifra annuale a disposizione della struttura per aiutare le produzioni è bassa, circa 1.800.000 euro, ma è pur vero Robinzonada, o il mio nonno inglese, nel 1996 arriva a una nomination agli Oscar con la coproduzione franco-georgiana. che i budget medi dei film sono in linea e ridotto è il numero delle opere destinate a vedere la luce ogni stagione. Attualmente si producono 4 o 5 film di finzione, mentre più alta è la media dei documentari. Il Georgian National Film Center favorisce lo sviluppo di nuovi progetti, promuove il cinema all’estero, appoggia gli scambi con altri Paesi e sta sempre più familiarizzando con le organizzazioni europee. Una politica che ha portato il Centro a essere membro effettivo di Eurimages, Film New Europe ed European Film Promotion. Passi fondamentali, benché la Georgia non faccia parte della Comunità Europea, che hanno permesso a molti giovani filmmaker di crescere anche grazie alla partecipazione ai workshop dei progetti MAIA e EAVE. Un ponte gettato verso quell’Europa. Bisogna aspettare il 2003 perché la Georgia, dopo la Rivoluzione delle Rose, sia davvero indipendente e il cinema possa finalmente provare a uscire dalla crisi che lo attanaglia, cercando nuovi modi e forme di espressione. Un lungo processo che va di pari passo con la definitiva ricostruzione del Paese. Di grande importanza per la rinascita è la fondazione nel 2001 del Georgian National Film Center, organismo nato per finanziare e promuovere la produzione nazionale. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica la cinematografia aveva infatti attraversato un periodo di enorme sofferenza. Conseguentemente molti regi- 71 FOCUS // Dove il cinema sta meglio Le coproduzioni, nell’ottica del rilancio nazionale e internazionale, sono un obiettivo strategico, di questo è convinta la direttrice del Georgian National Film Center Nana Janelidze, che spiega: “Anche se il nostro bilancio è la stesso dello scorso anno, intendiamo aumentare il finanziamento delle coproduzioni, per noi la coproduzione è l’unico modo realistico per raggiungere milioni di spettatori. Inoltre ci aiuterà a unirci alla grande famiglia cinematografica europea e internazionale. È stival internazionali, una nuova generazione di cineasti attenti ai problemi del Paese e alla sua storia, e al contempo legati alla tradizione letteraria, alla pittura e alle arti in generale; promuovono una rinnovata maniera di fare cinema che tiene conto dell’estetica dei grandi maestri come Shenghelaya, Iosseliani e Gogoberidze, ma che non meno ha fatto propria la lezione dei cineasti più disincantati e ribelli. Sono autori che in molti casi hanno conosciuto la sofferenza, l’isolamento, il conflitto territoriale, fondamentale questo scambio. Cofinanziamento significa aprire i nostri confini e siamo pronti ad accettare le altre culture e a condividere le nostre idee e i problemi con gli altri. Questo processo porterà alla formazione di una società unificata, seppur costituita da una polifonia di culture”. la rinuncia e che anziché essere frenati dalle difficoltà hanno saputo trovare in esse l’essenza di una vitalità diventata il filo rosso di molte opere. Per invogliare gli investitori stranieri sono stati messi a punto dei programmi specifici che comprendono, tra l’altro, la restituzione del 20% del budget investito, speciali aiuti dalle Film Commission, benefit per chi utilizza tecnici e infrastrutture locali. Il tutto accessibile senza troppa burocrazia. Investimenti sul definitivo sviluppo della cinematografia, apertura verso l’estero e principalmente l’Europa, agevolazioni fiscali per i produttori e aiuti ai filmmaker sono le chiavi per assecondare il cambiamento. Certamente lento, che tuttavia da qualche stagione ha cominciato a dare i suoi frutti. Nell’ultimo decennio si è imposta con forza, a livello di fe- 72 Si parte spesso dalla Storia, e da una sua rilettura. Viaggio a Karabach (2005) di Levan Tutberidze, ad esempio, ripercorre le tensioni tra Georgia, Armenia e Azerbaigian attraverso le vicende di due giovani di opposte etnie. The Other Bank (2009) di Giorgi Ovashvili racconta invece di un piccolo profugo georgiano che fugge dall’Abkhazia lasciando il padre. Diventato adulto torna a cercarlo e viene accolto da un abitante del luogo, ignaro della sua vera identità etnica. In Blind Dates (2013) di Levan Koguashvili al centro vi sono le disavventure amorose del giovane Sandro, raccontate con toni da commedia. La leggerezza di fondo facilita le dinamiche di comprensione a qualsiasi latitudine e proprio per questo il film, in concorso al Festival del cinema europeo di Lecce, ha sedotto la giuria e FOCUS // Dove il cinema sta meglio vinto il primo premio. Il tema dell’accettazione dell’altro torna invece con prepotenza in Mandarini (2013) di Zaza Urushadze, presentato con successo all’ultima edizione del Bif&st, dove si è imposto nella sezione Panorama internazionale. La vicenda è di per sé semplice: un mercenario ceceno e un volontario georgiano si ritrovano a superare la reciproca inimicizia sotto lo sguardo di un contadino estone. L’uso di un occhio terzo e di spazi neutri aiuta a raccontare come superare le conflittualità, a mettere in le partecipanti ridotte a oggetto e umiliate nel nome dell’audience. Divise pur di accaparrarsi il premio finale, 25.000 dollari e un appartamento, le dieci madri al momento giusto ritrovano il valore della sorellanza e si ribellano al sistema. Il tono è agrodolce, la messa in scena essenziale, eppure il film pone con successo l’accento sui rischi di una società che uniforma e mercifica gli individui annientandone le personalità. Di maggior peso sicuramente In Bloom (2013) di Nana Ekvtimishvili e Simon Gross, che dopo primo piano i valori condivisi e a sottolineare i motivi di unione anziché di divisione. La visione tuttavia non è affatto edulcorata, e non potrebbe essere altrimenti visto che rappresenta la rivisitazione di traumi vissuti a lungo dal popolo georgiano. l’anteprima al Festival di Berlino ha rastrellato premi ovunque nel mondo; fotografa con attenzione le vicende personali delle quattordicenni Natia ed Eka e al contempo la Storia. Ambientato nel 1992, anno che avrebbe dovuto segnare il raggiungimento della piena indipendenza dall’Unione Sovietica, è l’ennesima prova di quanto il privato possa essere specchio dei grandi accadimenti, per ribadire che diventare adulti, e indipendenti, costringe a pagare un prezzo molto alto. Molto significativo all’interno del nuovo cinema georgiano anche il motivo del ruolo della donna. Fulcro della società, nei film torna come figura centrale e portatrice di positività. Keep Smiling (2012) di Rusudan Chockonia, in anteprima alle Giornate degli Autori di Venezia e in seguito selezionato per rappresentare la Georgia agli Oscar come miglior film straniero, racconta in chiave tragicomica le avventure di un gruppo di donne giovani e meno giovani chiamate a contendersi in tv il premio di migliore mamma georgiana dell’anno. Amori, rancori, delusioni segnano le vite del- Estremamente vitale il panorama del documentario. Il racconto legato alla presa diretta della realtà si è infatti sviluppato con forza negli ultimi vent’anni, fermando passo dopo passo la nascita della democrazia e il suo assestamento. Niente più del cinema del reale ha fotografato la rinascita del Paese, contribuendo al formarsi della coscienza sociale e culturale delle giovani generazioni. Molte sono le nuove case di produzione specializzate e già molto attive in fatto di lavori realizzati con capitali totalmente georgiani o coprodotti. Tra i titoli da segnalare senza dubbio English Teacher (2013) di Nino Orjonikidze, su un giovane che cerca di realizzare una singolare rivoluzione linguistica insegnando l’inglese agli abitanti in un piccolo villaggio. E i maestri? Continuano a lavorare e molti a muoversi ancora tra la Georgia e i Paesi che un tempo li avevano visti esuli. Emblematica l’attività di Iosseliani, che a 80 anni è ancora in grado di disegnare film di estrema leggerezza e arguzia. Chantrapas (2010), sua ultima fatica, è un’opera a tal punto autobiografica da parlare di un giovane regista costretto negli anni bui e censori del regime sovietico a emigrare in Francia pur di realizzare un film. Resta il problema che molte delle pellicole girate hanno difficoltà a essere viste all’interno del Paese. Gli schermi si sono infatti considerevolmente ridotti e da oltre 120 sono passati a poco più di 20, di cui 19 totalmente in mano ai privati che applicano prezzi dei biglietti troppo alti per gli stipendi medi. Quella che era un’arte alla portata di tutti è purtroppo diventata per pochi. Un problema che il governo sta affrontando, soprattutto nell’ottica di riportare i giovani in sala strappandoli allo schermo del computer. 73 FOCUS // Dove il cinema sta meglio SESSO DEBOLE, FILM FORTI di Lela Ochiauri* L e registe, in Georgia, ci sono sempre state, ma all’inizio del XXI secolo il loro numero è cresciuto vertiginosamente. Se un tempo c’era un problema di parità, oggi sembra essere sparito. Anzi, uno dei segmenti più significativi del cinema georgiano del presente è quello dei “female films”, non solo perché diretti da donne e di successo, ma perché incentrati su protagoniste femminili e sulla la loro vita quotidiana. Non pensiamo che il cinema delle donne sia una realtà separata o fuori contesto rispetto al cinema georgiano nel suo complesso. I film realizzati dai due sessi hanno molti aspetti in comune e sono parte di uno stesso insieme. Aspetti comuni e tendenze condivise sono la società che si confronta con stili di vita diversi e contraddittori; il rapporto conflittuale con la realtà; il tema della crisi; le scelte delle giovani generazioni. Ma prima di parlare del presente, diamo uno sguardo al passato. La prima cineasta georgiana è Nutsa Gogoberidze (1902-1966), autrice nel 1934 di Febbre. Il destino di Nutsa (come per altri artisti sovietici) fu drammatico. Una delle sue opere, il documentario Buba (1930), è potuto tornare alla luce solo 82 anni dopo, scoperto per caso in un archivio nel 2012. Questo perché Nutsa Gogoberidze fu esiliata in Siberia nel 1937 e trascorse die- 74 ci anni in un gulag solo perché suo marito Levan Gogoberidze aveva un ruolo di spicco durante il periodo bolscevico e quando la Rivoluzione d’Ottobre iniziò a divorare i suoi stessi figli, Levan e la sua famiglia divennero vittime del partito. In quell’epoca l’arte e le produzioni culturali dei cosiddetti “nemici del popolo e della patria” vennero bandite. Buba non contraddiceva le idee del Realismo Socialista, tutt’altro. Era un docu-drama nella linea dei Film Culturali, categoria che comprendeva film educativi e di propaganda realizzati in base a un programma specifico e su larga scala, in questo caso su Racha, regione montuosa della Georgia (“Buba” è il nome di una delle cime della catena), parlando della natura ma anche della dura vita degli abitanti e, metaforicamente, della dura vita della vecchia Georgia. Mostrare i contrasti tra il vecchio e il nuovo era obbligatorio nel cinema sovietico di quei primi anni. Nonostante ciò Nutsa Gogoberidze fu spedita ai lavori forzati sul fiume Pechora. Tornata a casa non toccò mai più la macchina da presa. Con la repressione persino i registi uomini avevano problemi a realizzare film. Il regime sovietico usava il cinema come arma ideologica di propaganda e non tutti potevano far parte di questo meccanismo. Le donne venivano discriminate, si diceva che la regia non era un lavoro per loro. Filo diretto da Tbilisi. Il punto di vista critico. mi Anni ‘60 (il cosiddetto periodo “ottepel” in cui molte restrizioni vennero mitigate), emerse un’altra donna, Lana Gogoberidze, figlia di Nutsa, nata nel 1928. I film di Lana parlavano essenzialmente dei destini femminili, del ruolo delle donne nella vita sociale, del loro agire pubblico o privato in situazioni estreme. Come è stato spesso sottolineato, attraverso i suoi film si possono esplorare passioni, interessi ed emozioni dell’essere umano moderno penetrando nel suo mondo interiore. Sono titoli come Sotto la stessa pelle, TrasfiDopo qualche decennio, nei pri- gurazione, Io vedo il sole, Intervi- ste su problemi personali, Valzer sul fiume Pechora. Tra le registe della stessa generazione citiamo Leila Gordeladze (1927-2002), la cui arte spazia tra i generi con commedie e musical; adattamenti letterati di testi classici o moderni; biografie di personaggi contemporanei. Coetanea è Nana Mchedlidze che si è dedicata soprattutto a descrivere la società contemporanea attraverso storie di singoli personaggi piuttosto che discorsi generali. I suoi film sono principalmente commedie o FOCUS // Dove il cinema sta meglio tragicommedie come The First Swallow del 1975 che ha ottenuto il Premio speciale della giuria al Teheran International Film Festival e il Gran Premio e il Fipresci all’Oberhausen International Sport Film Festival; trasposizioni di racconti per bambini; film per l’infanzia; infine film su giovani che si confrontano con scelte e dilemmi morali. A metà degli Anni ’70 e ’80, è apparsa una nuova generazione di registe georgiane che si distinguono per lo stile personale, l’impegno civile, i nuovi interessi e un pensiero artistico originale. Sono Nana Janelidze e Nana Jorjadze. Nana Jorjadze ha attratto l’attenzione fin dal suo debutto - Trip to Sopot (1980) in cui, per la prima volta nella storia del cinema sovietico, mostra la vita dei vagabondi, che non erano considerati membri della società. In seguito ha continuato ad occuparsi di argomenti “proibiti” e di personaggi mai apparsi nei film sovietici, ad esempio aggiungendo dettagli politici sulla sovietizzazione della Georgia all’interno di una storia romantica nel film Le mille e una ricetta del cuoco innamorato con la partecipazione di Pierre Richard (grazie a cui è divenuta la prima autrice a realizzare una coproduzione in Georgia). Nana Janelidze occupa un posto speciale nella cinematografia georgiana. È stata co-regista del film più popolare della Perestroika Pentimento di Tengiz Abuladze. Il suo film di finzione Lullaby (1990) si distingue per stile poetico, estetica romantica e visione metaforica. Anche i suoi documentari si caratterizzano per gli stessi aspetti con la descrizione degli eroi che hanno creato le tradizioni folcloriche nazionali condividendo i tragici destini del paese. La professione di produttrice è piuttosto nuova in Georgia. La nostra storia culturale ha portato a considerarlo un mestiere non adatto alle donne ma le georgiane si sono distinte anche qui. Oggi, grazie a una decina di energiche giovani autrici che hanno arricchito recentemente il gruppo delle veterane (ancora attive insieme ai colleghi uomini), il cinema georgiano è entrato in una nuova fase. Bisogna notare che praticamente tutti i filmaker elencati sopra hanno vinto pre- mi in festival internazionali. E tra i film premiati ci sono anche Smile (2012) di Rusudan Chkonia (anche produttrice), Long Bright Days (2012-2013) di Nana Ekvtimishvili (coproduttrice con Simon Gross) e il documentario Machine that Vanishes everything (2011-2012). Altri film di successo sono One Ticket from Dream Bank (2011) di Ketevan Machavariani; Susa (2010) di Rusudan Pirveli (anche produttrice); Born in Georgia (2011) di Tamar Shavgulidze; Brides (2013) della regista esordiente Tinatin Khajrishvili (che è anche una delle produttrici di maggior successo); Grenade’s Brother (2013) di Teona Mghvdeladze. E i documentari Bahmaro (2011) di Salome Jashi; Chechnian Lullaby (2002), Pipeline Next Door (2005), Durakovo (2008) e Something about Georgia (2008) - tutti di Nino Kirtadze (attrice, giornalista, regista, produttrice, premiata in vari festival internazionali). Così la generazione emersa all’inizio del XXI secolo è entrata a pieno titolo nella cinematografia mondiale raccontando personaggi che esprimono qualcosa di nuo- (*Doctor of Art Studies, Full Provo e allo stesso tempo questioni fessor, Shota Rustaveli Theatre and Film Georgia State University). universali. 75 RICORRENZE Una delle storie simbolo dello spaghetti western anzi il primo action movie moderno compie 50 anni ,, ,, , , . di Marco Giusti N on finiremo mai di stupirci. Lavorando a una special di Stracult sui cinquant’anni di Per un pugno di dollari di Sergio Leone e intervistando quindi attori, tecnici, amici che ebbero qualcosa a che vedere con la lavorazione del film, qualche scoperta l’ho fatta. Intanto, è venuto fuori un breve backstage, credo sia davvero l’unico che sia mai stato girato. È un 8 mm in bianco e nero del truccatore Rino Carboni, conservato dal figlio Adriano, anche lui truccatore, che documenta l’inizio della lavorazione con le prime scene a Roma, alla Elios. Si vedono sia Clint Eastwood che Gian Maria Volonté che Leone. Niente di eccezionale, se non fosse eccezionale il film e totalmente unico il materiale girato da Carboni, allora giovanissimo - come gran parte del cast - che si adoperò da subito per il trucco del volto tumefatto di Clint Eastwood. E si adoperò anche per la trasformazione in messicano di Gian Maria Volontè. Per Carboni, come per Leone, era il primo western. Carboni aveva già lavorato per i mostri da peplum nel cinema. Anche per Giovanni Corradori, che firma come John Speed gli effetti speciali del film, era il primo western e il primo incontro con Leone. Credo che 76 RICORRENZE Vent’anni dopo. Proprio come i tre moschettieri di Dumas, anche i tre protagonisti di Il buono, il brutto e il cattivo rivivono ora in un libro (Il buono, il brutto e il figlio del cattivo, Bompiani 2014) che riprende la loro chanson de geste esattamente là dove si era fermato il film di Sergio Leone. L’autore, Nelson Martinico, è un nom de plume dietro cui si nasconde un misterioso ex-calciatore nonché poeta siciliano. Che una volta tanto inverte la tendenza: dopo tanti film tratti da libri, ecco un libro tratto da un film. Omaggio un po’ gaglioffo e un po’ nostalgico al mito e alla memoria degli spaghetti western. (G.C.) non abbia mai parlato di fronte a una telecamera. Lo fa quasi distrattamente davanti alla bacheca che conserva con cura la pistola con i serpenti intarsiati nel calcio che aveva Clint Eastwood nel film. Da qualche parte ha pure il fucile di Gian Maria Volontè che domina la grande scena finale. “Al cuore, Ramon! Se devi uccidere un uomo lo devi colpire al cuore!”. Aveva cercato di regalare le pistole a Clint, ma Clint non volle. Era più giusto rimanessero a chi le aveva realizzate. Corradori mi racconta con emozione, e un po’ di strafottenza romana, il loro viaggio in Spagna, la loro scoperta di un mondo. “Guarda che con noi non c’era proprio nessuno, eravamo soli”. Mi spiega anche come scelsero il poncho in un mercatino. Crederci? Non crederci? Ci sono tante storie a riguardo. Come per il sigaro di Clint. È un film che ha una mitologia tutta sua. Ha ragione Quentin Tarantino, con Per un pugno di dollari nasce l’action movie moderno. Lo ha detto a Cannes per celebrarne i cinquant’anni. E ha detto una cosa che ora ci appare ovvia, ma che certo allora nessuno in Italia percepì. Tranne quelli che quel film lo avevano fatto e gli amici e colleghi, da Alberto De Martino a Enzo G. Castellari, da Romolo Guerrieri a Mario Caiano, che da subito si accorsero di quali incredibili innovazioni erano stati capaci Sergio Leone, Ennio Morricone e tutti gli uomini che ci avevano lavorato. Sergio D’Offizi mi mostra il documento della Jolly Film che lo impegna come operatore alla macchina sul film dal titolo provvisorio Il magnifico straniero per la regia di Sergio Leone, dal 31 marzo 1964 per una settimana. In totale guadagnò 98.272 lire. Niente male nel 1964. Mi racconta anche che girarono da subito le scene di interno, la locanda, la casa dei Baxter, e le scene della caverna, alle Grotte di Solone, proprietà di Alvaro Mancori, grande amico di Leone, che gli aveva aperto le porte della Elios senza chiedergli nulla. E Leone si sentirà per tutta la vita debitore verso Mancori, perché fu il primo a credere davvero a quel film. Un giorno andarono a prendere gli attori spagnoli, anche la grandiosa Margarita Lozano. L’ho recuperata in Spagna. Non ha mai rilasciato un’intervista tv, mi dice, e lo fa perché sarebbe stato poco gentile farci arrivare fino a casa sua, una bella casa azzurra sul mare della Murcia, per non dirci nulla. Fu quella la prima volta che venne in Italia, per girare con Clint Eastwood. Lei allora era famosa per aver interpretato Viridiana di Luis Bunuel. Inoltre è una delle poche attrici spagnole altissime, e poteva non sfigurare accanto a Clint Eastwood. Si ricorda però che il primo coproduttore spagnolo non era Jaime Comas, come leggiamo ovunque, ma José Frade, che uscì presto dal film, visto che non aveva pagato nessuno, al punto che era stato ribattezzato José Fraude. Questa storia non viene riportata da nessuna parte, ma la dice lunga sulla lavorazione del film, che non fu facilissima per nessuno. Potremmo riempire pagine e pagine sulla stesura della sceneggiatura - ci sono almeno dieci sceneggiatori - sulla costruzione della musica di Morricone. Mi soffermo solo su piccole storie che mi sono molto piaciute. Robert Woods, che era cresciuto alla Universal come cowboy da tv assieme a Eastwood, ricorda bene che lo incontrò in Spagna mentre stava girando Per un pugno di dollari. Robert stava girando con i Balcazar uno dei suoi primi western. Clint non sembrava affatto contento del suo set e odiava davvero il suo sigaro. Erano solo due americani che si ritrovano in mezzo al nulla, tra spagnoli arruffoni e italiani un po’ fanatici. Pochi anni dopo Robert incontra un Charles Bronson furioso. Il compenso di Clint Eastwood era salito in modo assurdo grazie a Per un pugno di dollari e lui aveva rifiutato i 15.000 dollari offerti dalla Jolly Film. Adesso avrebbe potuto essere lui la star del momento. L’ultima storia riguarda Carlo Monni, vecchio socio di Roberto Benigni da poco scomparso. Avevo visto un suo bellissimo monologo, ripreso in video da Giuseppe Bertolucci, Figlio di puttana, figlio di Sergio Leone. Finiva con Monni che andava a vedere Per un pugno di dollari in mezzo a tanti ciechi e ripeteva le battute celebri del film. “Al mio mulo non piace che si rida, perché pensa che si rida di lui…”. I suoi più cari amici, Franco Casaglieri, il Grezzo e Massimo Ceccherini, mi hanno detto che è un testo autobiografico, perché Monni era proprio fra i primissimi spettatori in quella saletta di Firenze dove dal 12 settembre del 1964 nacque il vero successo del film, che da lì scoppiò in tutta Italia e contagiò poi il mondo. Alla domanda cosa ci resta dello spaghetti western, la mia risposta è: tutto. Un genere libero e meraviglioso di fare cinema. 77 ANTROPOLOGIE A I G O L O N E M O N E F DELL di Ilaria Ravarino Le quattro regole auree per essere “accreditato” come imbucato: ex giornalista svampita, professoressa aggressiva, pensionato curioso, queste alcune delle “star” delle anteprime cinematografiche di Roma e Milano, a cui anche i defunti talvolta partecipano. 78 I ndro Montanelli lo amava, il cinema. Aveva pure girato un lungo da regista. E scritto alcune sceneggiature. Sarà per questo che, quando ha chiesto di accreditarsi per la prima di My Little Pony - Equestria Girls, nessuno ha avuto niente da ridire. Una decisione bizzarra, certo, ma pur sempre rispettabile. Non fosse che il grande giornalista, quando ha chiesto l’accredito, era già morto. Da dodici anni. ANTROPOLOGIE L’autore di questa piccola truffa, o clamoroso imbuco, riuscì ad accreditarsi a un’intera manifestazione culturale spacciandosi non per Montanelli, ma per il giornalista di una testata free press. Solo che “l’ufficio stampa a un certo punto mi ha chiesto il numero di iscrizione all’ordine - disse, infilandosi al collo il badge stampa davanti a un paio di “colleghi” - e allora cercando in rete ho trovato quello di Montanelli e gliel’ho dato. Tanto è morto, no?”. È la prima regola fondamentale dell’antica e nobile arte dell’imbuco: chiunque voglia intrufolarsi a un evento di qualsiasi genere, sa che il primo alleato su cui può contare è l’inerzia di chi dovrebbe fare i controlli. Nessuno, per dire, andò mai a verificare le credenziali del redivivo Montanelli, nato ben più a Sud di Fucecchio e molto poco interessato alle sorti del giornalismo italiano. Come nessuno, mente giovani e, a differenza dei colleghi romani, sono più interessati al cinema che ai benefit gastronomici del post-proiezione. Solo che non sono giornalisti, ma studenti e fan. E non delle star del cinema, ma dei critici famosi: “Morando Morandini, Paolo Mereghetti e Maurizio Porro si siedono in sala sempre agli stessi posti, di solito a sinistra dello schermo spiega una giornalista milanese - I saccoapelisti arrivano e li cercano con lo sguardo, si siedono vicino a loro, provano a fare amicizia. Alla fine poverini non fanno niente di male. Vengono una volta e poi non tornano più”. Seconda regola, l’imbucato non deve mai esagerare. Se proprio ci si vuole spacciare per il gior- mio: non intendeva mica il “Corriere della Sera”.... Per un po’ è andato avanti così, inventandosi un “Corriere” diverso per ogni ufficio stampa, finché non l’abbiamo buttato fuori dal circuito delle anteprime”. Terza regola: se proprio vuoi esagerare, allora fallo fino in fondo. Trasformati in personaggio. Diventa una macchietta: l’ex giornalista svampita, la professoressa aggressiva, il pensionato curioso. Solo così non si potrà più fare a meno di te. Perché l’imbucato star è una persona O T A C U B IM per lungo tempo, ha mai davvero controllato il misterioso proliferare di testate online dai fantasiosi domìni cinephile accreditate alle anteprime cinematografiche milanesi e romane. “C’era questa testata web che mi bombardava con i link dei pezzi che pubblicava, insistendo perché accreditassi i suoi giornalisti ai nostri film - racconta un ufficio stampa - Poi un giorno, per scrupolo, ho cliccato su uno di questi collegamenti. Gli articoli non esistevano. Ma soprattutto non esisteva il giornale”. A Milano, gli imbucati via web, li chiamano “i saccoapelisti delle anteprime”. Accedono alle proiezioni accreditandosi con fantomatici blog, sono media- nalista di una testata realmente esistente, meglio volare basso. “C’era questo giornalista, un signore di mezza età. Carino, gentile. Sapevo che lavorava per la Rai, anche se ogni volta cambiava testata - dice un ufficio stampa romano - Rai 5, Rai International, Rai qualcosa. A Natale ha anche spedito dei piccoli pensierini agli uffici stampa. Molto educato. Ho scoperto mesi dopo che di mestiere non fa il giornalista, ma l’imbucato. È una presenza fissa nei giri della tv”. Città che vai, esagerazione che trovi: spacciarsi per un inviato Rai a Roma è un po’ come improvvisarsi del “Corriere” a Milano. “Invitavo sempre questo ragazzo che mi diceva di collaborare per il “Corriere”. Quando è diventato chiaro che non lavorava affatto per loro, mi ha fatto notare che l’errore era arrendersi. Se si viene respinti una volta, non è detto che la seconda non vada meglio. Insistere è il segreto del successo. Magari non si verrà accreditati al blockbuster stagionale, ma per un piccolo film disertato dalla stampa professionale le porte sono sempre aperte. Perché il cinema, si sa, ha bisogno del suo pubblico. E al mondo non esiste spettatore più fedele, spregiudicato e appassionato di chi, per mestiere, fa l’imbucato. che non resta sullo sfondo, che non si accontenta di sedersi al buffet o di strappare il gadget in edizione limitata. Si sente divo, e in quanto tale pretende non solo di esserci, ma anche di fare. Roma ne è la patria d’elezione: qui, l’imbucato star, non ha solo il potere di partecipare alle proiezioni stampa. Ha il potere di farle fallire. Con domande spesso fuori contesto, dotate di premessa autobiografica e conclusione polemica, lunghissime, soporifere, tautologiche. Approccia il film appena visto con lo stesso sdegno con cui ripone sul tavolino un vol-au-vent al salmone perché “il ripieno è secco”. Lasciarli fuori dalla porta, dopo anni, è praticamente impossibile: “Io ormai li invito, li ho messi regolarmente nella mailing list - spiega un noto ufficio stampa - Non ho voglia di litigare. In fondo poi non sono così molesti. Vogliono solo vedere i film e mangiare”. Quarta regola: mai 79 ANTROPOLOGIE 80 ANTROPOLOGIE 81 GEOGRAFIE “ L ’ostinata nera barbara malinconia” di Recanati è quella provata da Giacomo nel suo “ermo colle”, luogo natìo che, per bocca di Elio Germano, brama di lasciare, constatando lo stato dei fatti che non favoriscono la libertà: “se solo fossi mio, volerei”, così si esprime - ingabbiato sotto la volontà paterna di Monaldo Leopardi (Massimo Popolizio), nobile autoritario e di idee conservatrici, fermo nel borgo marchigiano - sognando di raggiungere l’amico, poeta, Pietro Giordani (Valerio Binasco) che lo invita a Milano. È una notte intorno ai suoi venti cagionevoli anni di età - quella in cui Giacomo Leopardi, al “vai”, imperativo e straziato dell’amata sorella Paolina (Isabella Ragonese), scende claudicante, frettoloso, le scale della loro casa, alla sola luce di una candela, per scappare: “La decisione di fuggire l’ho concepita fin da quando io capii la mia condizione”; eppure severo cocchiere della carrozza si rivela subito Monaldo, che così abortisce la fuga, ancor prima che possa essere intrapresa, convinto che “quella canaglia ha eccitato … i loro doveri”, in riferimento al Giordani. Giacomo lascia definitivamente Recanati - “io non voglio vivere in Recanati, non mi sono fatto né creduto di morire come i miei antenati” - conoscendo a 82 IL VIAGGIO FAVOLOSO di Nicole Bianchi Firenze un amico fraterno, Antonio Rinaldi (Michele Riondino), patriota, poeta e senatore napoletano, che si prenderà cura di lui fino alla sua fine; nel capoluogo toscano Giacomo e Antonio vivono in una soffitta pur frequentando la nobiltà fiorentina, e in particolare Fanny Targioni Tozzetti (Anna Mouglalis), vivace sostenitrice delle lettere, ma anche “Aspasia”, di cui Leopardi infatti dissimulò l’identità nell’omonima sua poesia, celebrativa della sapiente, concubina, moglie di Pericle: nella biografia di Giacomo, lei fu amante di Rinaldi e amore non corrisposto di Leopardi, che nel film è magistralmente incarnato da un Germano a fil d’Arno, contratto come una larva agonizzante di dolore nell’erba incolta, nel contrasto esaltante di una musica dalle dichiarate sonorità contemporanee, curate da Sascha Ring. È Giacomo, a questo punto, a voler partire di nuovo, per Napoli, passando per Roma, in sosta presso lo zio, marchese Antici. Ma è la città del Vesuvio, “una città dominata dalla natura”, quella in cui Giacomo si rasserena del poter “finalmente vivere a caso”, la Napoli che - tra colera e una sorella (di Antonio) Paolina ritrovata - si fa luogo di avvicinamento al punto di approdo della sua vita, Torre del Greco, “in questo globo ove l’uomo è nulla” - presso Villa Ferrigni, poi diventata Villa delle Ginestre, poiché ivi scrisse, La ginestra dove il 14 giugno 1837, all’età di 39 anni, muore. Questo il viaggio che Mario Martone, con Il giovane favoloso Elio Germano, fa compiere al suo Giacomo. GEOGRAFIE FIRENZE TORRE DEL GRECO NAPOLI ROMA RECANATI PH Mario Spada (immagini originali a colori) 83 INTERNET E NUOVI CONSUMI Il 2015 sembra essere l’anno d’esordio sul grande schermo dei protagonisti delle serie web italiane più seguite: L’italiano medio di Maccio Capatonda, il film dei The Pills, il progetto dei The Jackal. Divi della rete sperimentano percorsi alternativi per arrivare all’industria cinematografica tradizionale e provano a portare in sala la loro carica di innovazione e creatività. di Carmen Diotaiuti 84 INTERNET E NUOVI CONSUMI C osa succede se uno dei gruppi di videomaker più geniali del momento incontra la serie tv cult dell’anno? Ne viene fuori una trilogia per il web, Gli effetti di Gomorra La Serie sulla gente, che spiazza di colpo le classifiche della rete, registrando ascolti che finora in Italia si erano raramente visti. Più di tre milioni e mezzo di visualizzazioni per una sola puntata, migliaia di condivisioni e commenti su tutti i social network. I video si basano su una ricostruzione meticolosa delle battute di Gomorra La serie recitate da un unico personaggio e inserite in un contesto che le rende surreali. L’effetto è talmente dirompente che alcune delle frasi sono diventate tormentoni: da “sta senza pensier”, a “deux frittur”, a “e nun me piace, s’adda cagná”. Dopo il successo del primo episodio, ai successivi hanno preso parte ospiti d’eccezione: l’interprete di Gomorra - La serie Salvatore Esposito e lo scrittore Roberto Saviano, che ha ammesso di aver accettato l’insolito ruolo per entrare in contatto con un pubblico estraneo dai circuiti solitamente frequentati. Ma anche perché ridere della camorra è un modo per smitizzarla. Un esperimento di crossmedialità riuscita che si è guadagnato, a ragione, l’attenzione della stampa e degli addetti ai lavori. Una serie di case di produzione si sono fatte avanti per far realizzare un lungometraggio ai napoletani The Jackal, gli autori della trilogia che non sono nuovi ai successi della rete: sono loro, infatti, i re- alizzatori di Lost in Google e Gay ingenui, ma anche di vari video pubblicitari virali con bambini protagonisti. La maggior parte dei produttori sembra però aver chiesto loro di fare un film ironico sulla camorra, una trasposizione per il grande schermo del successo web. Ma per avere qualcosa di innovativo bisognerebbe osare di più, lamentano i The Jackal. “Non ci sarà niente di nuovo fino a quando le case di produzione non daranno possibilità concrete ai giovani. Che non vuol dire andarli a cercare dal web e inserirli in un contesto tradizionale, come fanno ultimamente le tv pubbliche, né prendere il fenomeno YouTube di turno e portarlo a tutti i costi sul grande schermo così com’è, credendo che basti questo per spostare spettatori”. Alla fine sembra che una produzione interessante i The Jackal l’abbiano trovata, e al momento si dicono in trattative per definire i dettagli del loro primo film, in cui avranno modo di mettere alla prova il talento raffinato e coinvolgente finora mostrato nelle narrazioni brevi per il web. È già terminata, invece, la sceneggiatura firmata dai The Pills per il loro esordio al cinema. Trio di trentenni romani popolari per le loro serie per il web, estrose e surreali, che parlano di amicizia, rapporto con l’altro sesso, problemi e manie di una generazione disillusa di trentenni cresciuti a televisione e videogiochi, che si ritrovano oggi a vivere in sovrappopolati appartamenti per universitari con poche certezze per il futuro. Il loro linguaggio, ricco di citazioni cinematografiche, è condito da neologismi romaneschi e capitolina ironia, e stupisce quanto, ai tempi della globalizzazione, siano invece fortemente localizzati i video che hanno successo sul web. A produrre il film, che arriva in sala nel 2015, la Ascent Film di Matteo Rovere (quella che ha prodotto anche l’esordio di Sydney Sibilia) e la Taodue di Pietro Valsecchi. Crede in loro anche Enrico Vanzina che, all’incontro organizzato da Wired Next Cinema durante lo scorso Festival di Roma, ha dichiarato di vederli come i possibili eredi della nuova commedia all’italiana, che in questo momento ha il difetto di non parlare più veramente delle nuove generazioni. “La commedia degli ultimi anni tende ad essere moralistica e distante dai personaggi che racconta. Voi invece siete dissacratori e al contempo volete bene ai personaggi che mostrate, a cui si vede che siete vicini. Guardate senza dare giudizi, come la grande commedia che ama anche i personaggi peggiori”. Perché in fin dei conti i temi della comicità sono un po’ sempre gli stessi; a cambiare sono i linguaggi e la velocità della narrazione. “La bravura sta nel rifare cose già fatte con la grazia e il tocco che le rende originali. Dichiarando, magari anche apertamente, i propri idoli e le fonti d’ispirazione. Per far capire sempre al pubblico da che parte si sta”. Sta sicuramente dalla parte dell’uomo comune Maccio Capatonda, che a marzo porta al cinema con Medusa il suo Italia- no medio. Ha ispirato le nuove generazioni di YouTuber con i suoi finti trailer cinematografici, resi celebri in tv dalla Gialappa’s Band e approdati al web grazie ai fan che li hanno pubblicati e condivisi. Le sue gag sgangherate e demenziali giocano con gli eccessi della vita quotidiana e la parodia del linguaggio, mischiando i registri e facendo del trash la chiave estetica del contemporaneo. “Il trash aiuta a capire dove la realtà va a finire e nel mischiare l’estremamente brutto al bello, ciò che era sgradevole diventa comico”, spiega. Come cantano le streghe del Macbeth, può succedere che anche nella fenomenologia dei nuovi media “è brutto il bello, è bello il brutto”. Così il cinema ha bisogno del brutto per sperimentare nuove forme. Un percorso alternativo e divergente per arrivare all’industria cinematografica tradizionale, quello dei divi del web, a cui sarebbe un peccato non dare fiducia. Come ammonisce padre Maronno: “E se poi te ne penti?” GUARDA LA TRILOGIA DELLA FRITTURA: http://goo.gl/pgVQMs 85 PUNTI DI VISTA D ove prendono spunti le industrie dell’economia simbolica per una creatività fresca e per una innovazione più radicale? Sicuramente non nel loro ambiente tradizionale e canonico, che sovente imprigiona a pensare in modo convenzionale e inerziale. Occorre spingersi fuori dal seminato e una buona pratica è quella di lasciarsi contaminare dal linguaggio cinematografico (dalle trame, dalle immagini, dai montaggi, dai ritmi, dalle sincronie musicali). Infatti le cosiddette industrie creative - siano esse l’editoria, la musica, la moda, il design, l’enogastronomia, le auto o la nautica di alta gamma - devono cavalcare le opere contemporanee di qualità e dimostrare di saper interpretare lo spirito del tempo. E l’ambiente cinematografico possiede la capacità profetica di anticipare la crisi e l’evoluzione della società (si pensi alle visioni anticipatrici di Moretti con Il Caimano o con Habemus Papam oppure alle evoluzioni urbanistiche di Playtime di Tati, ancora alle sensibilità estetiche di In the Mood for Love di Wong Kar-wai o de L’arte del sogno di Gondry). L’avanguardia filmica vaccina dal trauma del presente e propone il futuro in anticipo. In un certo senso il cinema fornisce un’anteprima dello smarrimento dei valori che sono in agguato. E gli artisti ci aiutano a trasformare il nostro patrimonio cognitivo, sia esteticamente che cerebralmente. Essi producono nuove forme espressive, che poi - magari in modo subliminale - si introiettano nei prodotti economici, che mai come oggi necessitano di contributi simbolici ed evocativi, tipici della stagione della post-modernità. Ciò vuol dire che la classe imprenditoriale (come elemento fondamentale della più ampia classe dirigente) ha la responsabilità di saper riconoscere queste nuove onde di senso. Di saperle soste- 86 ti, definiti dalla loro prestazione funzionale, come faceva la prima modernità (l’automobile acquistata per le sue prestazioni meramente motoristiche; la scarpa per la sua resistenza alle intemperie; la bevanda per la sua capacità di dissetare; l’apparecchio telefonico per le sue caratteristiche di comunicazione; e così via). Quelle imprese oggi producono e vendono prima di tutto status e senso (un telefono cellulare di design di avanguardia; un paio di scarpe dove il colore è tendenza di moda; una motocicletta che dignifica il proprietario in un gruppo sociale; ecc.). Tutte le imprese - anche quelle che sembrerebbero immuni da queste mutazioni - devono oggi fare i conti con questi elementi “alti”, derivanti dal’inclusione nell’oggetto di un ingrediente di Made in Italy. nere e valorizzare, perché esse sono input culturale per i nuovi prodotti. Un esempio significativo di contaminazione tra arti e imprenditoria si legge nella recente biografia dell’imprenditore Steve Jobs, quando racconta l’impressione che gli fece una visita ad una mostra di Andy Warhol a New York negli Anni ’70: i colori psichedelici dei quadri e dell’inizio della Pop Art se li portò dietro fino a tramutarli in una delle caratteristiche più rilevanti del suo lavoro. Chi dirige le imprese oggi (e i massimi responsabili delle aziende creative sono proprio la punta di diamante di questo ceto sociale) dovrebbe sostenere il più possibile i breakthrough dei prodotti, uscendo dal contesto consolidato del proprio settore, attraverso una orizzontalizzazione delle Assistiamo così ad un vero e viene presentata al pubblico in circostanze artistiche tali da essere quasi un servizio culturale). La catena del valore che definisce i processi di generazione del surplus economico delle imprese del lusso e di prestigio si origina nei processi di produzione di senso che sono tipici delle arene attente alla bellezza. E ciò spiega anche il perché molte imprese di questo segmento sono correlate nelle proprie dinamiche di attività con il mondo del cinema. Da queste considerazioni deriva conseguentemente la grande rilevanza che le imprese creative giocano sulla società in questo pe- CONNETTERE IL SAPERE DEL CINEMA C O N L E A LT R E I N D U S T R I E C R E AT I V E di Severino Salvemini conoscenze. La frequentazione e il sostegno delle arti contemporanee hanno l’obiettivo non solo di sponsorizzare l’evoluzione artistica e/o di trarre personale godimento dalla fruizione intellettuale, ma anche lo scopo di mantenere alta una curiosità nei confronti dell’avanguardia che - molto più di quanto superficialmente si possa pensare - può essere integrata nel prodotto e nel servizio di alta qualità. L’intangibilità dei valori presenti nei prodotti e nei servizi orienta il mercato, condiziona le organizzazioni, influisce sul contesto italiano e internazionale. Conta sempre meno il “valore d’uso” dei prodotti e conta sempre più la valenza evocativa che esprimono e raccontano i beni e le esperienze di servizio. Alcune delle imprese più evolute hanno imparato ad abitare in questo ambiente di postmodernità, dove non si producono e vendono semplicemente ogget- proprio rovesciamento della relazione cultura-economia: da una situazione in cui la produzione del reddito era responsabilità esclusiva dell’impresa, la quale decideva se dedicare alla cultura parte delle proprie eccedenze finanziarie (l’imprenditore mecenate o l’imprenditore sponsor di processi o eventi artistici), si passa a una situazione in cui il focus culturale non è più periferico rispetto al core business aziendale, bensì centrale, perché stimolo tra i principali per comprendere le avanguardie del benessere e dello sviluppo umano. riodo: tanto più capitale simbolico è consapevolmente presente tra i consumatori e tra i professionisti che operano in azienda, tanto maggiore sarà la tappa evolutiva della società. E Dio solo sa, nel nostro mondo di oggigiorno dove primeggia l’egemonia sottoculturale e dove tutto è assediato da comportamenti gratuitamente volgari, da valori diffusi prepotenti e cafoni, da atteggiamenti che non riescono a percepire le mezze verità e i timbri intermedi e dove invece cultura e stile possono offrire un ancoraggio robusto per far fronte allo smarrimento della crisi, quanto le responsabilità di imprese che sostengono quotidianamente il bello e il ben fatto (il kalos kagathos di greca memoria) sia indispensabile. Qualcuno azzarda il termine di capitalismo culturale (imaginary economics), sottolineando i significati che gli oggetti incorporano (si pensi ai beni di abbigliamento e di design, dove il differenziale di Ricordiamo cosa predicava Don stile consente un rilevante valore Puglisi: i Paesi più brutti sono aggiunto incrementale rispetto quelli segnati dalla mafia. a beni simili ma esteticamente meno innovativi oppure si pensi a offerte di ristorazione o alberghiere dove l’aura del servizio PUNTI DI VISTA HO FATTO UN SOGNO di Giulio Base H o sognato che il cinema italiano era in piena salute, florido, vivace, riconosciuto nel mondo, pieno di estro e genialità, di risate e di lacrime, insomma pieno di emozioni. Ho sognato che i cineasti italiani si sforzavano di avere idee originali, senza ripetere gli stessi schemi, senza cedere a facili scorciatoie. Ho sognato che i registi e gli sceneggiatori si incontravano fra loro, si scambiavano idee e consigli senza invidia, senza risentimento, con sincera volontà di aiutarsi vicendevolmente. Nessuno se la tirava, nessuno aveva atteggiamenti di superiorità, nes- attori migliori e non i soliti nomi. Nel sogno si vedeva anche qualche storyboard, addirittura!, ma non riuscivo a vedere bene se fossero a colori o in bianco e nero. Vedevo che la cosa primaria per tutti era fare un buon film, non sgraffignare qualche soldo o piazzare qua e là nel cast o nella trousuno voltava lo sguardo dall’altra pe amici o amici degli amici. parte quando passava un altro. Tutti componenti di una stessa Ho sognato che il periodo delle rifamiglia. Certo, c’era quello più di prese era una specie di festa del talento o quello più bravo ed in- lavoro. Mi ricordo che vedevo tutgegnoso, ma non lo faceva pesa- te queste persone liete, felici, conre, anzi, si prodigava per aiutare sapevoli della fortuna di fare uno dei mestieri più belli del mondo. quelli meno fortunati. A un certo punto c’era uno in un Ho sognato che i produttori leg- angolo, triste, un altro gli chiedegevano i copioni. Davvero, non va cosa avesse, lui rispondeva di se li facevano raccontare bre- essere un militante, di essere uno vemente. Non si preoccupava- impegnato, uno che non poteva no solo se nel cast c’era qualche sorridere, l’altro gli spiegava che nome famoso. Non si chiedeva- stavano facendo del cinema, non no ancor prima di capire di che stavano salvando il pianeta dalfilm si trattasse “quanto costa?”. la fame nel mondo e allora anCercavano di innamorarsi di un che quell’altro sorrideva. Ho soargomento, di un tema, di far- gnato che gli attori sapevano dire lo loro, di partecipare attivamen- bene le battute, che si capivano, te alla realizzazione di un’opera. arrivavano puntuali e non se la tiSi interessavano realmente se ci ravano. Non dicevano mai “sono fosse una buona storia da rac- stanco”, anzi uno sì, lo diceva e contare, qualcosa di nuovo, fre- tutti lo spernacchiavano di brutsco, che il pubblico potesse gra- to, allora lui capiva di aver detto dire. E allora intervenivano sulle una fesseria e rideva pure lui. scelte artistiche, ma senza arroganza, senza credere di saperla più lunga, con vera voglia di partecipare alla creazione. Ho sognato che il periodo della preparazione di un film era una cosa seria. Mi ricordo che vedevo i costumisti, gli scenografi e tutti gli altri, fare delle ricerche, documentarsi, gli attori prepararsi ai ruoli, studiare, approfondire, fare prove fra di loro. Ci si applicava davvero a selezionare location adatte, senza accontentarsi del bar sotto casa o del ristorante dove poi si mangiava gratis per un mese. Ci si sforzava di fare dei provini per scegliere gli Ho sognato che la post-produzione veniva considerata come una parte importantissima del processo della realizzazione di un film. Non la si faceva in quattro e quattr’otto, di fretta, perché bisognava uscire, andare in sala, consegnare. Ci si dedicava molto al montaggio, si riguardava con calma tutto il materiale, si provavano idee differenti di edizione, si appoggiavano musiche diverse, poi si cambiava, si riprovava. Il musicista del film non veniva avvisato all’ultimo momento su ciò che doveva fare, no no. Aveva già composto qualcosa da far sentire al regista ancor prima delle riprese. Da mesi aveva il copione, non solo lui, ma tutti, tutti, avevano cercato di farsi un’idea del film. Ho sognato che i giornalisti vedevano i film. Davvero. Fino alla fine. Senza alzarsi a metà, senza tenere in mano il telefonino aperto su Twitter, senza parlare d’altro fra di loro durante le proiezioni. Erano attenti, portavano rispetto a quelle centinaia di persone che avevano partecipato a quel progetto. Anche quando il film non piaceva, ne avevano “pietas”, non lo sbeffeggiavano, non lo pre-giudicavano, avevano del tutto messo da parte l’odio. Ho sognato poi che il pubblico si preparava un minimo prima di scegliere un film. Che si arrischiava ad andare a vedere qualcosa che non fosse il solito supereroe, che capiva che un film ti può insegnare tantissimo, emozionare, divertire, commuovere, in sintesi ti può fare crescere come e più di un libro, di un viaggio, di un’esperienza. Ecco, ho sognato che tutti avevano capito che vedere un film è come fare un’esperienza che magari nella vita non potrai mai fare. E con tante esperienze, le più svariate e distanti, si diventa più ricchi, si diventa persone migliori. E allora mi sono svegliato, anch’io deciso di mettercela tutta per fare del cinema italiano un cinema migliore. 87 Capitolo 6 ANNIVERSARI // 90 anni Istituto Luce - Capitolo 6 DUE NOTTI INSONNI E UN’AVVENTURA INIZIATA E FINITA CON ANTONIONI E WENDERS Il giorno stesso in cui ricevetti la telefonata del mio vecchio amico, il critico Giovanni Grazzini, che mi proponeva di diventare l’amministratore delegato dell’Istituto Luce, promisi al regista tedesco che avremmo coprodotto Al di là delle nuvole. Otto mesi dopo, bocciato il progetto dal CdA dell’Ente Cinema, rassegnai le dimissioni. Il Luce perdette un grande film, Premio Fipresci alla Mostra di Venezia ’95, e un grande affare che incassò nelle sale italiane 12 miliardi di lire di Felice Laudadio * L a telefonata di Giovanni Grazzini mi svegliò in piena notte. Ero in California, dove coordinavo la sezione dei film italiani ed europei da me selezionati per il Palm Springs International Film Festival. Il presidente dell’Ente Cinema mi chiamava da Roma, dove erano le 11 del mattino. “Vorremmo proporti di fare l’amministratore delegato dell’Istituto Luce”, disse il mio vecchio amico Grazzini senza troppi preamboli. “Possiamo vederci nel pomeriggio? Abbiamo un Consiglio d’Amministrazione”, aggiunse. Un po’ frastornato e sorpreso, farfugliai che mi trovavo negli Stati Uniti dove sarei rimasto per almeno un’altra settimana e che comunque avevo bisogno di un po’ di tempo prima di accettare la proposta. Ma vorrei prima sapere chi sarà il presidente, chiesi. “Alberto Lattuada. Ti va bene, no? Sbrigati a tornare, è urgente”, concluse l’insigne critico. Mi riaddormentai a fatica. Ma il cellulare suonò di nuovo. Ancora Grazzini, pensai. Invece era Wim Wenders. Anche lui - col quale stavo progettando un’iniziativa comune fra la European Film Academy di Berlino, di cui era il direttore, e il festival EuropaCinema di Viareggio da me diretto - pensava che fossi a Roma e mi cercava per avere degli aggiornamenti su quel progetto. Glieli detti ma, un attimo prima di chiudere la telefonata, gli chiesi: “A che punto siete con la produzione del film diretto da te e Michelangelo Antonioni?”. Carlo di Carlo, l’ombra di Michelangelo, 89 ANNIVERSARI // 90 anni Istituto Luce - Capitolo 6 mi aveva informato di serie difficoltà. Wenders fu prodigo di informazioni: “Abbiamo la copertura della Francia e della Germania ma, incredibile!, non riusciamo a trovare il coproduttore italiano per un film di un grande regista italiano”. “L’avete trovato - dissi - lo produrrà l’Istituto Luce”. E fui così perentorio che Wim non ebbe tempo e modo per sorprendersi ma solo per chiedere: “E tu come lo sai?” Gli dissi della telefonata del presidente dell’Ente Cinema e della sua proposta di assumere l’incarico di CEO del Luce. “Lo accetterò - conclusi - e produrremo il vostro film”. Quella notte non riuscii più a prender sonno. La sera successiva, rientrando nell’accogliente albergo di Palm Springs con il produttore Fulvio Lucisano, il portiere mi consegnò un fax. Era la lettera ufficiale con la quale il CdA dell’Ente Cinema mi nominava consigliere e amministratore delegato dell’Istituto Luce. Grazzini non aveva neppure aspettato la mia risposta. Erava- e un po’ foriero di molte possibili e positive novità. Poi como a metà gennaio del 1994. minciarono le mie consultazioni Il 1° febbraio “presi servizio”, con quegli autori e produttori come si dice. L’incontro con Lat- che stavano mettendo insieme, tuada - che avevo lungamente spesso con fatica, le idee e le forintervistato per l’Unità qualche ze per un nuovo film. anno prima - fu affettuoso e addirittura tenero. Il terzo con- Alcuni di quegli autori erano sigliere era Giuseppe Sangiorgi giovani, altri, la più parte, erano (non lo conoscevo) che era stato già noti o molto noti ma non il mio predecessore nell’incarico per questo in minori difficoltà. di amministratore delegato. Mi In quegli anni era in crisi - una passò le consegne. L’intesa fra crisi permanente, per altro - tutnoi tre fu immediata, non diver- to il cinema italiano. Fu così che samente da quella con l’allora ricercai Marco Bellocchio che direttore generale, Bruno Torri, stava lavorando su Il sogno della un altro mio vecchio amico cri- farfalla; Alessandro D’Alatri che tico che stimavo (e stimo) mol- aveva un po’ di problemi per to. Sangiorgi ebbe il compito di Senza pelle; Luigi Magni che faoccuparsi dell’Archivio e della ticava a trovare la distribuzione produzione dei documentari, io per Nemici d’infanzia; Sergio Citti che tentava di chiudere il di tutto il resto. “pacchetto” per I magi randagi; Ebbe inizio un lavoro forsen- Peter Del Monte per Compagna nato. Per prima cosa volli co- di viaggio; Giacomo Campiotti e noscere uno per uno i dirigenti Domenico Procacci impegnati del Luce e poi, sempre insieme nei Due coccodrilli; Ettore Scola a Torri, ogni singolo dipendente alle prese con il Romanzo di un e collaboratore dell’Istituto. A giovane povero interpretato da ciascuno chiedevo che cosa non un inquietante Alberto Sordi; funzionasse e come riteneva Enzo Monteleone al suo debutpotesse funzionare meglio. Dai to con La vera vita di Antonio colloqui emerse un quadro allo H.; e un’altra mezza dozzina di stesso tempo un po’ allarmante registi, sceneggiatori, produttori 90 che si erano rivolti direttamente Luce come tutti gli altri film soal Luce, un tantino sorpresi dal pra citati, e quasi tutti invitati nei maggiori festival internazionali. suo inedito attivismo. Fra questi c’erano due altri miei vecchi amici: il produttore Amedeo Pagani e il regista Theodoros Angelopoulos. Theo avrebbe voluto conoscere Gian Maria Volonté per proporgli il ruolo da protagonista del suo film accanto a Harvey Keitel ma aveva difficoltà a chiamarlo avvertendo, mi confessò, una forte soggezione verso il grande attore. Che però per me era come un fratello maggiore. Lo chiamai a Velletri e fissai un appuntamento fra lui e Angelopoulos. A differenza di quanto pensava il regista, Volonté fu lusingato dalla proposta. Letta la bellissima sceneggiatura, accettò la parte. Malauguratamente per lui. Pochi giorni dopo l’inizio delle faticosissime riprese sul teatro di guerra di Sarajevo e un ancor più faticoso e avventuroso viaggio in Grecia, a Gian Maria scoppiò il cuore. Aveva solo 61 anni. Non mi sono mai perdonato d’averlo fatto incontrare con Angelopoulos per Lo sguardo di Ulisse (Premio speciale della giuria al festival di Cannes 1995), distribuito dal E Antonioni e Wenders? La mia avventura alla testa dell’Istituto Luce comincia e finisce con loro. La delibera con cui in febbraio il CdA del Luce approvò con entusiasmo il film Al di là delle nuvole fu inoltrata per l’approvazione definitiva al CdA dell’Ente Cinema, poiché l’importo impegnato era di 3 miliardi di lire. Per tutti gli altri film da noi coprodotti e distribuiti (e solennemente annunciati nel corso di una affollatissima conferenza stampa che si tenne alla Sala Umberto in maggio) questa procedura non era stata necessaria giacché l’impegno del Luce era stato di gran lunga inferiore ai 3 miliardi, cifra che invece implicava un passaggio obbligato dal CdA dell’Ente Cinema. Il quale - dopo mille tergiversazioni, dopo infinite riunioni durate mesi, dopo una serie innumerevole di ni (mai un no, per pudore; ma mai neanche un sì, per mancanza di coraggio) - se ne venne fuori il 19 settembre 1994, a poche settimane dall’inizio delle riprese fissato per i primi di novembre, INNOVAZIONI ANNIVERSARI // I nuovi // 90compositori anni IstitutodiLuce colonne - Capitolo sonore 6 con un’ennesima assurda ri- la Sunshine di Parigi partì il fax. chiesta di completion bond che Il cast era questo: John Malkoavrebbe bloccato la produzione. vich, Fanny Ardant, Irène Jacob, Sophie Marceau, Vincent Perez, Passai un’altra notte insonne, Jean Reno, Inés Sastre, Peter come già era avvenuto in genna- Weller, Jeanne Moreau e, per la io a Palm Springs: e sempre per coproduzione italiana, Marcello lo stesso film. Al mattino del 20 Mastroianni, Kim Rossi Stuart, settembre, all’alba, scrissi una Chiara Caselli. Il produttore rilettera di dimissioni irrevocabili mandò un altro fax con una sola che alle 10 consegnai all’Ente parola: accetto. Cinema e alle 11 lessi ai dirigen- L’accordo con Michelangelo e ti del Luce. Alle 13 mi presentai Wenders fu di annunciare insienella redazione spettacoli di Re- me a Viareggio a fine settembre, pubblica, dove mi aspettavano durante l’EuropaCinema che nel Orazio Gavioli e Paolo D’Agostini frattempo aveva perfezionato che poco prima avevo preavverti- l’accordo con la European Film to della mia visita. Il giorno dopo Academy, che il film era salvo esplose il finimondo. L’articolo grazie a quel produttore italiano. del quotidiano, durissimo - ripre- Era Vittorio Cecchi Gori. Onore so il giorno successivo da tutte le al merito. Il 3 novembre iniziarotestate italiane e da molte stra- no le riprese. niere -, riportava le dichiarazioni, durissime anch’esse, di Enrica L’anteprima mondiale avvenne Antonioni che parlava per Miche- alla Mostra di Venezia nel settembre 1995. Fuori concorso, of langelo, e di Wim Wenders. course, e alla presenza del PreNella stessa mattinata chiamai sidente della Repubblica, Oscar un produttore che conoscevo Luigi Scalfaro. La Fipresci attriappena. Il tempo era tiranno, buì ai due registi il suo prestiavevo assunto fin da gennaio un gioso riconoscimento, il primo impegno preciso che ora rischia- di una lunga serie. Al di là delle vo di non poter mantenere, e bi- nuvole incassò nelle sole sale itasognava decidere ad horas. Quel liane 12 miliardi di lire, come mai produttore mi chiese soltanto prima un film di Antonioni. E fu una cosa: un fax con il cast. Dal- venduto in moltissimi Paesi. Il Luce perdette un grande film e un grande affare, e io perdetti il Luce e anche l’antica amicizia con Giovanni Grazzini, presidente di quell’Ente Cinema poi ribattezzato Cinecittà Holding che è toccato proprio a me, ironia della sorte, presiedere dal 1999 in poi. * Ha diretto la Mostra di Venezia, il TaorminaFilmFest, EuropaCinema, il MystFest, il Premio Solinas, il RomaFictionFest. Dirige il Bif&st. È stato AD dell’Istituto Luce e presidente di Cinecittà Holding. Ha ideato e diretto la Casa del Cinema di Roma. Ha scritto e prodotto Il lungo silenzio e Das Versprechen di Margarethe von Trotta. Produttore associato di Al di là delle nuvole di Antonioni-Wenders, nel 2001 ha ideato e prodotto il primo film italiano in digitale, Sei come sei. Ha pubblicato il volume Fare festival e il romanzo Il colore del sangue. Giornalista professionista, ha lavorato all’Unità. 91 INNOVAZIONI// ANNIVERSARI //90 I nuovi anni compositori Istituto Luce di - Capitolo colonne 6sonore LA BELLEZZA DI UN ARCHIVIO SE DIMENTICHIAMO LA SUA ORIGINE Negli anni Duemila è nata una generazione di registi che ha reinventato un approccio al presente e al reale a cui non è rimasto estraneo l’utilizzo delle potenzialità narrative delle immagini Luce. È stato sorprendente vedere con quanta attenzione e professionalità chi pratica l’Archivio storico conduce le ricerche. Ciò è molto sano, e fa pensare che da questa bellezza si può immaginare il futuro di questo gigante che ha la sua parte migliore nella cura e nella gentilezza. Quando si scorda il suo mito fondatore: la forza. di Costanza Quatriglio * 92 L eggendo nei precedenti numeri di questa rivista memorie condivise e ricordi personali di chi ha fatto la storia del Luce, non posso non esprimere il piacere per essermi trovata di fronte al desiderio di raccontare a chi, per età o semplicemente per background, non può sapere cos’è stato - e, forse, cosa è - questo colosso, in termini di travagli editoriali e politici susseguitisi nei decenni. Certamente, destinatarie privilegiate di questa collezione di ricordi, non possono che essere le generazioni successive, prima fra tutte quella che ha cominciato a fare cinema agli inizi degli anni Duemila. In quel tempo era ancora tutto molto incerto, di sicuro rispetto alla direzione che avrebbe preso la politica culturale nel nostro Paese. Ed è in questo contesto di confusione diffusa che è nata quella nuova generazione di cineasti che ha rivitalizzato dall’interno forme e contenuti della nostra cinematografia, reinventando un approccio al presente e al reale a cui non è rimasto estraneo l’utilizzo delle imma- ANNIVERSARI // 90 anni Istituto Luce - Capitolo 6 gini d’archivio e delle sue potenzialità espressive e narrative. Appare all’esterno che la sempre crescente attenzione per la valorizzazione dell’Archivio storico del Luce e la parallela costituzione di nuovi e differenti archivi, come quello nazionale dei film di famiglia con sede a Bologna, siano da considerarsi un tutt’uno con ciò che è successo in questi ultimi dieci anni nel cinema italiano, senza che ci sia stato un evidente disegno politico volto alla tutela di tanto patrimonio, se non il naturale processo della storia. Oggi possiamo fare il punto della situazione dicendo che il nostro cinema è esportabile quando si fonda su una relazione forte con il reale, basata sull’esperienza come veicolo per interrogarsi sul presente e sulle grandi trasformazioni. Una cinematografia parallela a quella cosiddetta industriale si è sviluppata, in questi dieci anni, come antidoto allo sradicamento umano e culturale, il cui vero e proprio antidoto può essere solo l’appropriarsi del senso di cittadinanza e la presa di possesso della memoria. Ecco perché, se il cinema documentario si è addestrato a interpretare le istanze di comprensione del presente, è con il sempre più diffuso utilizzo dei materiali di repertorio che si è affrancato dal timore reverenziale nei confronti dell’immenso patrimonio iconografico italiano. Sempre più frequentemente siamo al cospetto di narrazioni capaci di reinterpretare la nostra storia e mettere le mani nella coscienza collettiva costruendo un legame diretto tra lo spettatore e il materiale stesso. Una specie di viaggio d’andata e ritorno: ciò che l’archivio offre non è ciò che viene restituito perché, trasformatosi attraverso l’attribuzione di senso, è frutto dell’elaborazione di quella relazione pregressa che costituisce la memoria visiva di ogni singolo spettatore. Questo, sostanzialmente, significa che la maggior parte dei film con materiali d’ar- 93 ANNIVERSARI // 90 anni Istituto Luce - Capitolo 6 chivio realizzati dai cineasti della mia generazione lungo l’arco di questi dieci anni, parla, in egual misura, anche di cinema, inteso come scoperta, gioco, memoria e relazione tra memoria e individuo e tra memoria e comunità. L’immagine custodita e scovata ha talmente tanti significati ed è portatrice di talmente tanti strati di complessità, che oggi non ci si può sottrarre alla sfida dell’interpretare e del rielaborare. Mi spingo oltre: è proprio nella rielaborazione di ciò che è profondamente radicato nell’esperienza al pari di una sequenza o un’immagine ritrovata, che si riesce a varcare quella soglia che separa il filmabile dalla sua rappresentazione; e chi è addestrato a costruire percorsi semantici sul superamento dei limiti del reale può sentirsi libero di spaziare in 94 lungo e in largo. In quel deposito d’oro puro che è l’Archivio Luce, non c’è singolo fotogramma che non porti con sé anche tanto altro. È un po’ quello che diceva Kieslowski a proposito della differenza tra la realizzazione di un film documentario e uno di finzione: così come entrare nel territorio della finzione è indispensabile per riempire quello spazio vuoto eppure concreto tra ciò che chiamiamo realtà e la rappresentazione di essa, nell’utilizzo del materiale d’archivio il procedimento è il medesimo, solo che lo spazio vuoto lo si riempie con la costruzione del senso del discorso. In sintesi o più semplicemente, in questi dieci anni ci si è allontanati dall’uso illustrativo dei repertori perché la possibilità del riuso è connaturata ANNIVERSARI // 90 anni Istituto Luce - Capitolo 6 all’immagine stessa e ogni vocazione illustrativa, negli anni Duemila, sembra depauperare le immagini d’archivio della loro stessa natura. Così come sorprendente è stato anche vedere con quanta cura e attenzione chi pratica l’Archivio storico conduce le ricerche, conoscendo alla perfezione sequenze e fotogrammi; con quale perizia e professionalità e amore per il proprio lavoro. Questo è molto sano, e fa pensare che da questa bellezza si può immaginare il futuro di questo gigante. È un gigante che ha la sua parte migliore nella cura e nella gentilezza, quando si dimentica del suo mito fondatore, che è quello della forza. La scoperta dell’Archivio Luce fa parte integrante di queste riflessioni: lavorare a Terramatta; mi ha permesso di porre al centro della costruzione drammaturgica l’aspetto ludico del montaggio; poter utilizzare quell’immenso materiale nato per scopi di propaganda e piegarlo al senso del discorso di un analfabeta che riscrive la storia di noi tutti, superando così il contenuto del- Niente forza, quindi, ma attenle immagini stesse, è stato dav- zione e gentilezza. Il futuro è tutto qui. vero sorprendente. * Esordisce con il pluripremiato L’isola, presentato al Festival di Cannes 2003 alla Quinzaine des Réalisateurs. Tra i suoi film documentari, presentati nei maggiori festival internazionali: Ècosaimale? (2000), L’insonnia di Devi (2001), Racconti per l’isola (2003), Il mondo addosso (2006), Il mio cuore umano (2009), Terramatta; (2012) - presentato ai Venice Days 2012, designato ‘Film della critica’ dal SNCCI e Nastro d’Argento per il miglior documentario 2013 -, Con il fiato sospeso Premio Arcobaleno Latino alla Mostra di Venezia 2013 e Triangle premiato al Torino Film Festival 2014. Le immagini che illustrano la sezione 90 anni Istituto Luce provengono dall’Archivio Storico Luce e si ringrazia per la collaborazione Paola Angelucci, Emiliano Guidi e Luigi Oggianu. Pagina 88 Ugo Tognazzi e Mara Berni in una scena del film I baccanali di Tiberio di Giorgio Simonelli, settembre 1959 (Fondo Vedo); pag. 89 Michelangelo Antonioni e Wim Wenders alla Mostra di Venezia 1995; pag. 90 Catherine Spaak e Alberto Lattuada sul set del film I dolci inganni, 1960; pag. 91 Michelangelo Antonioni, Monica Vitti e Lello Bersani alla consegna dei Nastri d’argento, gennaio 1961 (Fondo Vedo); pag. 92 Pier Paolo Pasolini e Bernardo Bertolucci alla presentazione di un libro di poesie di Pasolini, giugno 1962 (Fondo Vedo); pag. 93 Walter Chiari e Liliana Bonfatti sul set del film Donatella di Mario Monicelli, Roma 1956; pag. 94 Nino Manfredi sul set del film L’impiegato di Gianni Puccini e la cantante Mina negli stabilimenti De Laurentiis per un provino, 1959 (Fondo Vedo); a pag. 95 Anita Ekberg sul set de La dolce vita, 1959 (Fondo Vedo). 95 BIOGRAFIE R GIULIO BASE egista, attore e scrittore. Diplomato in teatro con Vittorio Gassman, laureato in Storia del cinema, esordisce subito con successo dirigendo Crack (1991), miglior opera prima al Festival di San Sebástian. Tra gli altri, nel 2000 dirige per la tv Padre Pio - Tra cielo e terra con Michele Placido, e diverse sue fiction sono state distribuite nelle sale americane dalla 20th Century Fox. Il suo ultimo film per il cinema, Mio papà, ha aperto la sezione Alice nella città del Festival del Cinema di Roma 2014. Il suo articolo è a pag. 87 P SILVIA COSTA arlamentare europea, Presidente della Commissione CULT - Istruzione e Cultura. Giornalista professionista. Nel suo mandato da europarlamentare 20092014 è stata membro dei Comitati Istruzione e cultura, Diritti delle donne e parità di genere e Libertà civili. È stata rapporteur del Parlamento Europeo per il programma Europa Creativa 2014- 2020. Già assessore regionale all’Istruzione, al Diritto allo studio e alla Formazione della Regione Lazio, presidente della Commissione nazionale Parità, consigliere CNEL, sottosegretario Università e Ricerca nel Governo Ciampi, deputata, consigliere comunale di Roma, presidente dell’Accademia di Belle Arti. Il suo articolo è a pag. 16 C MARCO GIUSTI ritico, saggista, autore tv e regista. Ha realizzato diversi programmi televisivi, tra cui Blob, Fuori Orario, Stracult. Nel 2004 ha curato la retrospettiva Italian Kings of the B’s - Storia segreta del cinema italiano per la Mostra del cinema di Venezia; nel 2007, la rassegna sul western all’italiana e nel 2010 La situazione comica. Tra i suoi saggi, quello dedicati alla storia di Carosello, le biografie di Moana Pozzi, Laurel&Hardy, Roberto Benigni e Totò. Il suo ultimo lavoro editoriale è Vedo... l’ammazzo e torno. Diario critico semiserio del cinema e dell’Italia di oggi. Il suo articolo è a pag. 76 C MAURIZIO PORRO ritico cinematografico. Ha lavorato con diverse funzioni al Piccolo Teatro dal ’64 al ’70, alla Ferrania 3M, dal ’69 al ’70, iniziando poi a collaborare con il “Corriere della Sera” dove entra nel 1974 dopo due anni a “Il Giorno”. Professore di Storia della Critica dello Spettacolo all’Università Statale di Milano dal 2002, ha pubblicato tra gli altri un Quaderno del Piccolo Teatro (1967), Il cinema vuol dire (1979), Alberto Sordi (1980), La cineteca di Babele (1981), Alida Valli (1996), Dizionario dello spettacolo del ’900 (1998), Fine del primo tempo (1999), Il Melò (2008). È stato curatore dei fascicoli della collana dei DVD Garinei e Giovannini e ha collaborato per la collana I Grandi sceneggiati. Il suo articolo è a pag.12 E SEVERINO SALVEMINI 96 conomista e docente, laureato all’università Bocconi, dove insegna dal 1993, avendo fondato anche il Cleacc, Corso di laurea in Economia per le arti, la cultura e la comunicazione, disciplina di cui è considerato un eccellente esperto. Presidente di Telecom Italia Media. Editorialista del “Corriere della Sera” e “l’Espresso”, co-autore della rubrica bimestrale “Fotogrammi” per la rivista “Economia e Management” dedicata al tema dell’integrazione tra cinema e economia. Tra le sue pubblicazioni più recenti: È tutto un altro film. Più coraggio e idee per il cinema italiano, Il Manager al buio e Management delle istituzioni culturali. Il suo articolo è a pag. 86 SUL PROSSIMO NUMERO IN USCITA A MARZO 2015 SCENARI Cinema e fumetto in Italia INNOVAZIONI Cinema&Fiction FOCUS Il cinema in Polonia CINEMA ESPANSO Truffaut a Parigi I bambini (...) fanno la spia, non sanno ammirare che l'autorità, si vendono per una caramella! (Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi, 1972, di Bernardo Bertolucci) Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale -70% - Aut. GIPA/C/RM/04/2013 "I bambini puzzano!" (Sam Neill in Jurassic Park, 1993, di Steven Spielberg)