Per coraggio, per paura, per amore

Transcript

Per coraggio, per paura, per amore
Astrid Rosenfeld
Per coraggio,
per paura, per amore
romanzo
Traduzione di Elena Broseghini
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 3
28/11/12 12.46
www.librimondadori.it
Per coraggio, per paura, per amore
di Astrid Rosenfeld
Collezione Scrittori italiani e stranieri
ISBN 978-88-04-61511-8
© Diogenes Verlag AG, Zürich, 2011
© 2013 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
Titolo dell’opera originale
Adams Erbe
I edizione gennaio 2013
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 4
28/11/12 12.46
Per coraggio, per paura, per amore
A Maria Paola Rosenfeld,
Detlef Rosenfeld
e Dagmar Rosenfeld
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 5
28/11/12 12.46
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 6
28/11/12 12.46
I
edward
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 7
28/11/12 12.46
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 8
28/11/12 12.46
Si inizia a scrivere perché c’è qualcuno a cui si vuol raccontare tutto?
Si inizia a raccontare perché il pensiero che tutto è destinato a
scomparire è intollerabile?
Amy, è a te che vorrei raccontare tutto.
Tu ora sei in Inghilterra e non so se e quanto mi è dato incrociare
i tuoi pensieri. Ma non riesco a dimenticarti.
Qui, su queste pagine, è anche una gelida notte di febbraio che
va salvata dalla sparizione.
Amy, tu e io non siamo che una piccola parte del tutto. Se questa
infatti è la storia di Adam, in una soffitta la storia di Adam e la mia
si sono strettamente intrecciate.
Adam mi ha lasciato in eredità i suoi occhi, la sua bocca, il suo
naso e una pila di fogli che non ha mai raggiunto il vero destinatario.
Amy, a volte penso che per poter accedere alla mia eredità dovevo prima incontrare te.
9
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 9
28/11/12 12.46
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 10
28/11/12 12.46
Mi hanno sempre raccontato che mio padre era morto, invece lui
ha semplicemente lasciato mia madre. Non si può nemmeno definirlo un “lasciare”, perché non sono mai stati insieme in senso proprio, non si conoscevano quasi. A voler essere precisi hanno dormito insieme un’unica volta. E quando mia madre ebbe la
conferma di essere incinta, mio padre aveva fatto ritorno al suo
paese da un pezzo.
Avevo otto anni quando una delle amiche della mamma la convinse che era estremamente importante per il mio sviluppo psichico che io venissi a sapere la verità sul mio procreatore. Quanto prima, tanto meglio.
La verità non era gran cosa. Mio padre si chiamava Sören o Gören
e veniva dalla Svezia o dalla Danimarca o dalla Norvegia. Di più
mia madre non era in grado di ricordare. «Eddy, piccolo mio, tuo
padre è sicuramente un uomo fantastico, e quella sera quando
noi… quando tu… insomma quel che è… Ecco, ci siamo piaciuti
tanto, davvero tanto.»
La variante con il padre morto mi era sempre andata più a genio
di quella con il fantastico Sören o Gören originario della Scandinavia.
Per quanto io debba il mio concepimento non all’amore di due
persone ma all’effetto disinibente di due bottiglie di vodka Gorbacëv
ghiacciate, per mia madre sono stato un figlio desiderato. Dall’età
di quattordici anni non aveva bramato altro che avere un bambi11
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 11
28/11/12 12.46
no. Aveva già passato i trenta quando le venne in soccorso lo sperma scandinavo. Al quarto mese di gravidanza – mio padre aveva ormai lasciato Berlino – si licenziò dalla libreria e tornò a casa
dei genitori. Le amiche compatirono la povera Magda Cohen che
aveva dovuto rinunciare alla carriera e all’indipendenza per il bastardo che si portava in pancia. Con pervicacia tentarono di convincere mia madre a continuare a lavorare nonostante il bambino.
Ma Magda Cohen era l’Anticristo del movimento femminista. E se
qualcuno l’avesse sposata e messa incinta per tempo, non le sarebbe passato nemmeno per l’anticamera del cervello di intraprendere una professione.
In un pomeriggio soleggiato di marzo Magda mi espulse e mi
diede il nome di uno dei protagonisti del romanzo di Jane Austen
che prediligeva in assoluto: Edward. In quel giorno di primavera
il mio aspetto era quello di tutti gli altri neonati, ma con il passare
degli anni la somiglianza aumentava. Gli occhi di Adam, la bocca
di Adam, il naso di Adam.
La cosa che mi piaceva più di tutte era giocare nel soggiorno davanti alla stufa. Era bianca, tutta orpelli, con in cima tre putti obesi che si tenevano per mano sorridendo melensi. Accanto alla stufa c’era una cesta piena di macchinine. Amavo le mie macchinine,
mi ritenevo uno specialista e, come quasi tutti i bambini di sei anni,
da grande volevo fare un mestiere che avesse a che vedere con le
macchine. In realtà ero un bambino tutt’altro che originale. E quando la Jaguar dorata, il gioiello della mia collezione, andò a sbattere
contro la Mustang bianca, sentii mio nonno singhiozzare. Era seduto sul pavimento dietro di me. Già questo era sconcertante perché normalmente mio nonno Moses stava seduto sul sofà o in poltrona, di certo non sul parquet. E poi le lacrime nei suoi occhi. Lo
abbracciai, ma lui dolcemente mi scostò e con mano tremante mi
accarezzò la testa.
«Adam» disse.
«Sì, nonno?»
12
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 12
28/11/12 12.46
Gemette o sospirò. «Molti, molti anni fa, qui stava seduto un ragazzo che ti assomigliava tantissimo. Non aveva macchinine ma
soldatini di piombo. Si chiamava Adam ed era il mio fratellino più
piccolo.»
«E adesso dov’è?»
Moses non rispose.
«Dove sono i suoi soldatini?»
«I soldati muoiono presto.» Si asciugò le lacrime passandosi una
mano sul viso. «Edward, preghiamo il Dio Unico che tu abbia ereditato solo l’aspetto di Adam e non il suo carattere.»
Il nonno pregava continuamente il “Dio Unico”, frequentava regolarmente la sinagoga in Pestalozzistraße e si atteneva rigorosamente al cibo kosher. La nonna e la mamma non pregavano quasi
mai, andavano solo raramente in sinagoga e mangiavano tutto
quello che gli faceva gola.
Eravamo accovacciati sul pavimento. Le preghiere ebraiche del
nonno assomigliavano al belare di una capra. Quando le lacrime
ripresero a scorrergli sulle guance, si bloccò in un punto, come se,
pensai, si fosse impigliato in qualcosa. Per fortuna la mamma tornò a casa e pose fine alla scena. «Papà? Che cosa fate qui?»
«Preghiamo, per via di Adam» risposi, perché il nonno, come in
trance, continuava a parlare con il suo Dio Unico.
La mamma sospirò, prese il nonno per un braccio e l’aiutò ad alzarsi. «Dài, papà.»
Si lasciò portare via senza opporre resistenza.
La Mustang si ribaltò. La ributtai nella cesta e tirai fuori una Land
Rover a cui ora toccava sfidare la Jaguar. Naturalmente non aveva la
minima chance, perché mai al mondo avrei fatto perdere la Jaguar.
La faccenda di Adam probabilmente l’avrei dimenticata subito, ma
quella sera il nonno non mangiò con noi. Rimase nella biblioteca,
come chiamavamo la soffitta pertinente al nostro appartamento.
Non era una vera e propria biblioteca. C’era sì uno scaffale con dei
libri, ma utilizzavamo l’enorme locale che si raggiungeva attraver13
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 13
28/11/12 12.46
so una scala a chiocciola come ripostiglio. Vecchie valigie, mobili
scartati da cui non ci si voleva separare per ragioni sentimentali,
scatoloni con foto, vestiti, la mia culla; roba così, insomma.
Moses Cohen, mio nonno, trascorreva molto tempo nella biblioteca. Per via del silenzio, diceva. Mi davano il permesso di salire lassù
ben di rado. Per via della polvere, diceva mia nonna, Lara Cohen.
Eravamo seduti quindi in tre al tavolo di cucina, e la nonna teneva il collo ben eretto. Aveva un collo di cigno di cui andava molto
orgogliosa. «Ma che cos’ha Moses?» le chiese mia madre.
«Adam» fu la risposta, non una sillaba in più.
Il collo della nonna si volse verso di me. «Ho sempre sperato che
con il tempo la ferita si rimarginasse, ma niente da fare…»
«Eppure, alla fine riuscirà a farsene una ragione» disse mia madre.
Lara Cohen scoppiò a ridere. La sua risata, fulminea e secca,
giungeva sempre puntuale e inesorabile. Non veniva dalla pancia
o dal cuore, era come il punto esclamativo su una tastiera. Si preme il tasto e via.
«Magda, dolcezza, tuo padre pensa sempre più ai morti che ai
vivi, se capisci quello che intendo.» La sua voce vibrava di amarezza.
«Adam è morto?» volli sapere.
«Si spera.» Di nuovo la sua risata.
«Mamma, non parlare così davanti al bambino.»
«Diciamo, Edward, che avrebbe meritato di morire. Era un uomo
cattivo, ha…»
«Mamma, per favore smettila.»
«Ha fatto qualcosa di brutto?»
«Oh sì, ha fatto fuori sua nonna e sua madre.»
«Mamma.» Mia madre picchiò il pugno sul tavolo, cosa che non
faceva mai.
«Magda, dolcezza, non è un buon motivo per sfasciare i mobili.»
Mia madre si alzò e sparecchiò, sebbene non avessimo ancora
finito di cenare. Io avevo cominciato a prenderci gusto, qualcuno
che aveva fatto fuori la propria madre e la propria nonna non era
cosa da tutti i giorni.
14
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 14
28/11/12 12.46
La nonna indossò il soprabito e si congedò, andava a teatro o a
un concerto. Qualche volta io e la mamma la accompagnavamo,
mentre il nonno non si univa mai a noi. Lasciava l’appartamento
molto di rado.
Quella notte rimasi sveglio. Sentii rientrare la nonna, poi silenzio. Solo di sopra scricchiolavano le assi. Avevo atteso quel momento. Scivolai furtivo fuori dalla mia stanza, salii per la scala a
chiocciola e aprii la porta. Moses era seduto in una vecchia poltrona, aveva in grembo un libro spalancato ma non leggeva, si limitava a guardare fisso davanti a sé. Mi misi accanto a lui, passai le
mani sulla spalliera e presi a muovere la poltrona per attirare la
sua attenzione su di me. Il nonno sorrise con aria triste. «Non dovresti dormire, Eddy?»
«Non ci riesco.»
«Ti capisco, anch’io spesso non ci riesco.»
E prima che tornasse a fissare il vuoto e potesse dimenticare la
mia presenza, lo tirai per la manica. «Nonno, raccontami di Adam.»
Ci volle un bel po’ prima che incominciasse a parlare. Raccontò
di Hitler e della guerra, che per gli ebrei le cose si erano messe male
e tutta la famiglia voleva emigrare. Avevano bisogno di documenti, che erano costosissimi. E poco prima del giorno della partenza
Adam era sparito con l’intero patrimonio di famiglia. Avevano i
documenti, ma quasi niente altro. La nonna e la madre di Moses e
Adam rimasero a Berlino, non vollero partire per l’Inghilterra. «Penso che abbiano aspettato che Adam tornasse. Ma lui non tornò.»
«La nonna dice che le ha fatte fuori. Come c’è riuscito se non era
neppure lì?»
«Si possono far fuori un sacco di cose non facendone determina­
te altre.»
«Allora non l’ha fatto?»
«Non direttamente.»
A questo punto la storia cominciò ad annoiarmi e lasciai il nonno­
tutto solo nella soffitta.
15
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 15
28/11/12 12.46
Con gran cruccio di Lara Cohen, Magda non aveva ereditato né il
suo acume né il suo collo di cigno. A dar retta alla nonna, la mamma
non aveva una forte volontà ed era troppo sentimentale. E mentre la
nonna, per quanto non più giovanissima, assolveva a una dozzina
di incarichi onorifici e dava prova di considerevoli interessi culturali, Magda Cohen non aveva un solo hobby e non capiva un’acca
di arte. Mozart, Elvis o Roland Kaiser, romanzi spazzatura,­Goethe
o Thomas Mann, li suddivideva in due semplici categorie: mi piace
o non mi piace. Fossero pure premi Nobel, per lei non faceva differenza. Non era in grado di distinguere nemmeno uno spumante
dozzinale dallo champagne. Ma se qualcosa le piaceva, la sua venerazione non conosceva limiti. Se prediligeva qualcosa, allora era
con tutto il cuore. Mia madre sapeva amare.
Magda aveva molte amiche. La consideravano tutte una sempliciotta, ma venivano a trovarla in continuazione e nel nostro soggior­
no si confidavano con lei aprendole il proprio cuore, perché Magda
aveva tempo e sapeva ascoltare. Sono convinto che abbiano tutte
sottovalutato mia madre.
Il primo uomo che mi presentò fu Hannes, un tipo che abitava nel
quartiere di Wedding. O almeno fu il primo di cui riesco a ricordarmi. Hannes faceva il macellaio e aveva sei anni meno di mia madre,
ormai vicinissima ai quaranta. Ma la mamma aveva sempre un che
di fanciullesco, una sorta di innocenza che non avrebbe perduto mai.
Hannes se ne stava seduto in soggiorno con lo stesso sorriso un
po’ beota degli angeli di pietra in cima alla stufa. Qualsiasi cosa venisse detta, lui inarcava le sopracciglia e si stupiva. Tutto sembra­
va sorprenderlo.
«Hannes, le andrebbe una tazza di caffè?» E Hannes rimaneva
di stucco.
«Un macellaio, che cosa fantastica, Magda» disse la nonna, dopo
che Hannes se ne fu andato.
La mamma passò sopra ai commenti taglienti di sua madre, o
forse ormai era diventata insensibile a quelle frecciate. Il nonno non
proferì verbo ma si ritirò in soffitta.
16
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 16
28/11/12 12.46
«Eddy, piccolo mio, ti è piaciuto Hannes?» chiese la mamma con
voce così trepidante che non potei fare altro che rispondere «Sì»,
anche se del barbuto macellaio non pensavo proprio niente.
La sera dopo, Hannes invitò la mamma e me a cena e lì venne a
galla il vero problema di quella relazione appena agli esordi. Tutti
e tre perdemmo il dono della parola. Mia madre era un’ascoltatrice nata, io un bambino e Hannes sapeva parlare solo di carne. Ma
in presenza della mamma, «in presenza di una signora», si trattenne dal diffondersi su questo tema. Dopo che ebbe buttato lì qualche frase sulla preparazione del sanguinaccio, sul nostro tavolo
calò il silenzio. Mi sentivo almeno in parte responsabile di quella
serata perché avevo insistito per la pizza e quindi eravamo seduti
in un ristorante italiano, che in realtà era gestito da un greco. Forse
in una “Casa della Bistecca” tutto sarebbe stato più semplice. Forse un pezzo di manzo cotto alla griglia avrebbe ispirato Hannes
a raccontare ancora qualcosa sulla macellazione. Allora mi venne
in mente di domandargli: «Hai mai sparato a un animale?». Così,
solo per spezzare quel faticoso silenzio.
«Sì.»
«Anche a un cervo?» Pensavo al padre di Bambi.
«Oh sì, anche a uno gigantesco.»
«L’hai mangiato?»
«Sì che l’ho fatto.» Rideva, e la sua pancia sussultava.
«A me non piace il cervo, sa di funghi ammuffiti.»
Ora Hannes era nel suo elemento e ci spiegò da che cosa dipendeva il sapore di muffa della selvaggina. Dipendeva dalla raggiunta maturità sessuale e da qualcos’altro ancora che non riesco più a
ricordare, perché a quel punto avevo già smesso di ascoltare. Stavo disegnando con i pastelli a cera che il greco italiano mi aveva
messo sul tavolo insieme a un blocco di fogli.
Dopo quella sera loro si sono incontrati ancora un paio di volte.­
È stato Hannes a lasciare mia madre. Come tutti gli uomini che prima o poi l’avevano lasciata. Lei era sempre pronta a vuotare il calice, amaro o insipido che fosse.
17
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 17
28/11/12 12.46
Avevo otto anni e avevo appena scoperto la verità sul mio procreatore
scandinavo quando comparve all’orizzonte un altro uomo. All’epoca, le cose con il nonno stavano già precipitando. Ormai non abbandonava quasi più la soffitta. Ci dormiva perfino. Quanto più Moses
cadeva in uno stato di confusione e prostrazione, tanto più la nonna,
che peraltro era sempre stata una schiacciasassi, sembrava farsi severa. Una volta, mentre lui stava faticosamente scendendo la scala a
chiocciola, la sentii dire: «Lavati, puzzi. Datti una regolata, Moses».
Lui non rispose, si limitò a guardarla con un’espressione così triste da farti barcollare. Si voltò e tornò di sopra.
La nonna non mi permetteva di andarlo a trovare nella biblioteca. «Edward, sei grande abbastanza per capire che se ti vede si agita troppo. E se avesse voglia di vederti, può sempre venire giù lui.
Non è così?»
Ma qualche volta, quando Lara Cohen non era a casa, trasgredivo il suo divieto. Il nonno perlopiù stava seduto nella vecchia poltrona o era in piedi accanto alla finestra. Quando bussavo e sporgevo la testa chiedendo se potevo entrare, sorrideva.
«Qui sopra un tempo abitava la tua trisavola, la mia nonna.»
Qualche anno dopo la fine della guerra i miei nonni avevano fatto ritorno a Berlino con la loro figlioletta Magda. Non esisteva ancora il Muro, ma la città era già divisa. La casa, che aveva resistito a tutti i bombardamenti, si trovava nel settore americano. Dopo
un lungo tira e molla Moses rientrò in legittimo possesso dell’appartamento. Lara avrebbe preferito rimanere in Inghilterra, come
aveva fatto sua sorella, ma il nonno provava nostalgia per la vecchia terra natia. Per il suo focolare.
«La tua trisavola era una donna orgogliosa. E la persona a cui
voleva più bene di tutti era Adam.» Opa, il nonno, mi accarezzava
la testa e io, Edward, scomparivo dietro il passato.
La tenerezza che ancora poco prima aveva brillato negli occhi
del nonno si tramutò in rabbia. Non vedeva più me, ma Adam,
l’amato, l’odiato fratello. Sentii dabbasso i passi della nonna e me
la filai. Sollevato.
18
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 18
28/11/12 12.46
La faccenda di Adam cominciava a darmi sui nervi. I geni di Sören
o Gören avevano subìto una totale disfatta. Davanti a Adam il patrimonio ereditario scandinavo aveva capitolato su tutta la linea.
Ancora prima che spuntasse il nuovo amico della mamma, fecero
il loro ingresso nella nostra casa la televisione via cavo e un pianoforte. Secondo la nonna, era ormai tempo che suo nipote imparasse uno strumento. Era la mamma, in realtà, che ogni giorno strimpellava il pianoforte. «Come sarebbe bello saper suonare davvero»
diceva. Ma a Magda Cohen non sarebbe mai passato per la mente
che fosse una cosa fattibile. Per tutti gli altri forse sì, ma non per lei.
Il pianoforte non mi attirava per niente. Ma su ordine della nonna due volte alla settimana marciavo impavido alla volta di Frau
Nöff, la mia insegnante di piano. Aveva lunghi capelli neri striati di
grigio che le cadevano tristemente sulle spalle. Sebbene fosse più
giovane della mamma, sembrava già una vecchia. Frau Nöff aveva dei baffi che mi urtavano enormemente e, per quanto cercassi
di evitarlo, non potevo fare a meno di fissarli in continuazione. Era
l’unica donna con i baffi che avessi mai incontrato.
La prima lezione di pianoforte si concluse con queste parole:
«Non sei minimamente portato, Eduard. Non hai orecchio. Senso
della musica, zero».
Annuii e le ficcai in mano i ventitré marchi. All’inizio le facevo
ancora notare che mi chiamavo Edward e non Eduard, in seguito
ci rinunciai.
Nell’appartamento della Nöff, due locali in un vecchio edificio,
aleggiava un tanfo di sogni perduti, e intendo in senso letterale.
I sogni hanno un odore. Inconfondibile.
La Nöff era soggetta a forti sbalzi d’umore. Qualche volta, quando era su di morale, preparava un tè che sapeva di piscio. Col rum,
per lei. Senza, per me. Allora si metteva a raccontare dei tempi del
Conservatorio in quel di Vienna. Quando il rum cominciava a fare
effetto, dopo aver frugato a lungo tirava fuori un vecchio articolo
dal titolo: Christina Nöff. Una nuova bambina prodigio? Di quel che
c’era scritto non mi importava un fico secco. Ma ogni volta osserva19
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 19
28/11/12 12.46
vo la foto in bianco e nero malamente stampata per scoprire se già
a quindici anni aveva i baffi. Dopo la seconda tazzina di rum senza tè il profluvio delle sue parole diventava inarrestabile, Chopin
di qui, Chopin di là.
«E una volta un calzolaio, un nuovo arricchito…» Si fermò a riflettere. «Com’è che si chiamava?» Si mise a mugolare, indispettita per la propria cattiva memoria. «Fa niente. A ogni modo, questo
calzolaio esorta Chopin a sedersi al piano dicendo: “Non c’è bisogno che lei suoni a lungo, carissimo. Un po’ di lallallà tanto per vedere come si fa”.
«Qualche tempo dopo Chopin invita questo calzolaio a una cena
e, finito di mangiare, gli porge martello, chiodi, cuoio per suole e
una vecchia scarpa dicendo: “Ebbene, caro mastro calzolaio, vorrebbe darci un saggio della sua abilità? Non c’è bisogno che risuoli l’intera scarpa. Un po’ di bum-bum-bum è sufficiente. Tanto
per vedere come si fa”.» La Nöff sorrise. E il modo in cui sorrideva
mi faceva pensare che fosse stata presente a quella cena. «Insomma, Chopin al cento per cento, proprio da lui» diceva oscillando il
capo. «Proprio da lui.»
Mi ci volle un sacco di tempo per capire che Chopin era un compositore morto da lunga pezza e non il miglior amico della mia insegnante di piano.
Quando era giù, la Nöff non diceva una parola e stava in ascolto
del mio pietoso strimpellio. Muta, mi faceva sentire il suo profondissimo disprezzo e quanto avrebbe voluto mozzarmi le dita, tutt’e dieci.
Non facevo progressi grandiosi, ma dopo tre mesi fui pur sempre in grado di insegnare a mia madre un valzer. A differenza della Nöff, lei era profondamente impressionata dalle mie capacità.
«Eddy, piccolo mio, senti un po’.» Tremando per l’eccitazione
pestava sui tasti. «Era giusto così?»
«Mmh, sì, non malaccio» rispondevo io, con aria critica. La verità era che lei suonava meglio di me, ma a dirglielo non mi avrebbe creduto. Avrebbe pensato che la prendevo in giro.
20
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 20
28/11/12 12.46
Il successore di Hannes fu la nonna a portarlo in casa: l’esimio
dottor professor Strombrand-Rosselang. Il suo nome di battesimo
non lo conosco, non l’ho mai saputo perché, pur essendo durata
la liaison con mia madre alcuni mesi, si era rimasti al “lei”. Sia io
che mia madre.
«Oggi pomeriggio viene a prendere il caffè l’esimio dottor professor
Strombrand-Rosselang» disse la nonna con un sorriso.
«È un medico?» chiesi.
«Sì.»
«Il nonno sta male?»
«Ma no, che dici. L’esimio dottor professor Strombrand-Rosselang
è un ginecologo.»
Non ho la più vaga idea di quanti ragazzini di otto anni sappiano
che cos’è un ginecologo. Io comunque non lo sapevo.
«Un ginecologo visita le donne, Edward, è il medico delle donne»
mi spiegò la nonna in tono sbrigativo.
Mamma e io venimmo a sapere che la nonna aveva incontrato
l’esimio professore nel corso di una qualche attività benefica e che
l’esimio professore era celibe, e che l’esimio professore era profondamente rammaricato di non avere figli e che l’esimio professore
ardeva dal desiderio di conoscere la mamma e me.
«Magda, l’esimio dottor professor Strombrand-Rosselang è un
uomo meraviglioso, davvero meraviglioso. Colto. Cosmopolita. Divertente.» Tenendo ben eretto il collo di cigno, la nonna mi guardò
e disse ancora una volta, con insistenza perché anch’io capissi: «Un
uomo meraviglioso, davvero meraviglioso, più che meraviglioso».
Il professore era un uomo alto, semicalvo, con capelli grigi lasciati lunghi sulla nuca. La fronte tutta lustra si estendeva su
un’enorme superficie. Di un delicato color rosato, striata di venuzze azzurrogno­le. Parlava a voce altissima scandendo con forza le
parole. E per ostentare quanto possibile l’intera vastità del suo sapere saltava da un argomento all’altro: l’attentato a papa Giovanni
Paolo II, che l’aveva enormemente impressionato. I prezzi degli immobili in Florida, che lo mettevano in folle fibrillazione. Wagner,
21
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 21
28/11/12 12.46
che idolatrava. Margaret Thatcher, che lo insospettiva. Planò infine
sull’utero.
Mentre la nonna, instancabile, era in grado di seguire le sue tirate, buttando là di quando in quando un’osservazione o una domanda, la mamma e io eseguivamo i nostri affondi nel dolce.
«È stato questo il tema della mia tesi di dottorato» disse a conclusione del suo discorso sull’utero. Dopo essersi schiarito la voce
guardò mia madre: «Signorina Cohen, ha delle mani fantastiche.
Fantastiche».
La mamma arrossì e la nonna sorrise soddisfatta. Per un secondo calò il silenzio. Ora toccava a mia madre dire qualcosa.
«Non è una cosa bizzarra scrutare ogni giorno le parti intime
delle donne?» chiese, invece di ringraziare per il complimento. Sul
collo di cigno della nonna comparvero tutt’a un tratto delle chiazze rosse. «Voglio dire, ormai non c’è più nulla di misterioso da scoprire e quindi si dovrebbe…»
«Magda…» la interruppe la nonna.
«No, no, signora Cohen, la signorina Cohen ha perfettamente
ragione. La vagina come oggetto del desiderio ha perduto di fascino. Una mano fa vibrare il mio lato romantico più di qualsiasi
vagina.»
A quel punto Moses fece la sua comparsa in soggiorno. Nessuno l’aveva sentito arrivare. Lo sguardo della nonna migrò dalla
sua camicia spiegazzata ai peli della barba selvaticamente incolta.
«Volevo solo prendermi qualcosa da mangiare» disse il nonno.
«Non sapevo che avessimo visite.»
Oma, la nonna, fece le presentazioni, ma non lasciò che i due
uomini si scambiassero anche solo dei convenevoli, mi intimò invece di riaccompagnare il nonno con la sua fetta di dolce su in soffitta.
Lassù, seduto nella sua poltrona, spilluzzicò la torta. «Non sapevo davvero che avessimo visite» disse, in parte parlando fra sé e
in parte rivolgendosi a me, ma in realtà alla nonna, che non lo poteva sentire perché era un piano più sotto.
22
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 22
28/11/12 12.46
Quel giorno, prima di congedarsi, il professore, con grande sollievo
di Lara Cohen, propose a mia madre di rivedersi.
«Non è meraviglioso?» chiese la nonna, esausta e felice.
Mamma si strinse nelle spalle e questa palese indifferenza fece
esplodere la nonna. La sua voce solitamente così controllata si fece
stridula: «Magda, che cosa aspetti? Non sei più una ragazzina. Il
professore è il partito migliore che ti potesse capitare. Non puoi restartene qui in eterno e Edward ha bisogno di un padre». A poco
a poco si fece strada nella mia mente il pensiero che Oma volesse sbarazzarsi di noi. «Forse potrei avere anch’io qualche progetto per gli anni che mi restano da vivere.» E aggiunse che il suo sogno era vendere tutto e trasferirsi in Inghilterra.
«E il papà?»
«A tuo padre farebbe bene lasciare finalmente questo maledetto
paese, questa maledetta città e questo maledetto appartamento. Non
avremmo mai dovuto far ritorno. Ricordi avvelenati, avvelenati.»
«Ma è troppo vecchio, non lo puoi…»
«Basta» disse la nonna, si alzò in piedi, prese il soprabito e uscì.
Con gli occhi fissi sul pavimento, la mamma sospirò. Poi, tanto per fare qualcosa, sparecchiammo la tavola e lavammo le stoviglie con ridicola gravità. Quando tutto brillò, la mamma prese due piattini e finimmo il resto del dessert. Eravamo nauseati,
tuttavia ci ingozzammo di quella roba dolce. Totalmente concentrati. La torta era sparita, ma ora c’era di nuovo della porcellana da lavare. Lentamente, con accuratezza procedemmo alla seconda passata.
Dopo non c’era proprio più nulla da fare. Ce ne stavamo lì in piedi
nella cucina come due cani abbandonati che sperano nel ritorno del
loro padroncino. Solo che noi non aspettavamo niente di preciso.
Tre giorni più tardi l’esimio dottor professor Strombrand-Rosselang
bussò alla nostra porta per portare fuori a cena la mamma.
«Fiori per la signora Cohen, fiori per la signorina Cohen e cioccolato per la progenie» disse porgendo i doni con un leggero inchino.
23
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 23
28/11/12 12.46
«Professore, ma non era il caso.» La nonna era raggiante. «Che
fiori incantevoli. Incantevoli.»
E il professore si inchinò di nuovo.
La nonna e io dalla soglia seguimmo con lo sguardo i due che
scendevano le scale. Mia madre si girò ancora una volta e sorrise
mestamente. Avrei voluto rincorrerla per riportarla indietro, ma prima che le mie gambe si mettessero in moto la nonna mi tirò dentro e chiuse la porta.
«Ecco, speriamo in bene» disse.
Oma e io mangiammo in cucina. Per festeggiare la giornata c’era
il mio piatto preferito, capelli d’angelo in brodo. Ma quella sera
sapeva di piscio, proprio come il tè dell’insegnante di pianoforte.
Continuavo a pensare alla mamma.
«Edward, non ti piace?» chiese la nonna irritata.
«Ma sì.»
«Bene, allora, perché tu…»
Si bloccò. Un effluvio di dopobarba e di bagnoschiuma invase la
cucina. Moses era vestito di tutto punto, camicia con il collo inamidato, scarpe lucidate fino a farle risplendere, cravatta accuratamente annodata, rasatura perfetta. A passi esitanti si avvicinò al tavolo.
«Posso?»
Si sedette. Per un momento la durezza si dileguò dal volto della
nonna. Si alzò e gli portò un piatto di minestra. La mano del nonno tremava, i capelli d’angelo non volevano saperne di restare sul
cucchiaio.
«Piano, Moses, piano» disse la nonna e gli sfiorò il braccio in una
rapida carezza. Solo quando lo fece una seconda e una terza volta capii che il tutto non era casuale. La mano di Moses si calmò e i
capelli d’angelo restarono sul cucchiaio.
Dopo mangiato la nonna accompagnò il marito in soffitta. Io ero
accovacciato sull’ultimo gradino della scala a chiocciola, tutto teso
a origliare. Ma non fu fatta parola del progetto di Lara Cohen di andare in Inghilterra e di sbarazzarsi della mamma e di me. Dapprima fu solo silenzio. Poi insieme pregarono il Dio Unico di Moses.
24
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 24
28/11/12 12.46
La cantilena ebraica mi ronzava nelle orecchie e anch’io cominciai
a pregare, o meglio, a supplicare. «Fa’ che il professore sparisca.
Fa’ che la mamma e io restiamo qui.»
Ero coricato nel mio letto in attesa che la mamma tornasse. Finalmente sentii il rumore della chiave e corsi alla porta. Magda Cohen
aveva l’aspetto di chi avesse combattuto una battaglia. Stremata, i
capelli scompigliati.
In situazioni normali mi avrebbe sgridato un po’ perché in realtà a quell’ora avrei già dovuto dormire, invece mi cinse con il braccio dicendo: «Eddy, Dio mio».
Seguii la mamma nella sua stanza.
«Parla, parla, non la finisce più… uno strazio» disse, e si buttò
sul letto.
«Mamma, non ho bisogno di un padre.»
«Lo so, piccolo mio, lo so.»
«E adesso cosa facciamo?» Non glielo chiesi come un bambino
lo chiede alla mamma, ma come un soldato a un suo commilitone.
«Se solo lo sapessi.»
Le mie speranze che il nonno, comparendo altre volte con la camicia stirata e tutto strigliato, intenerisse il cuore della nonna e le facesse magari dimenticare i suoi progetti, non si realizzarono.
Il professore ora veniva a prendere la mamma regolarmente e a
un certo punto anch’io fui coinvolto nella faccenda. In una gelida
domenica l’esimio dottor professor Strombrand-Rosselang trascinò me e la mamma allo zoo. Eravamo praticamente gli unici visitatori in quel pomeriggio d’inverno. Risoluto, il professore camminava davanti. Noi lo seguivamo incespicando nella neve che era
tutta una poltiglia.
«I panda» sospirò.
La coppia di panda era una donazione del governo cinese all’ex
cancelliere Schmidt. La cosa diede la stura al professore. Seguì una
conferenza sulla Cina, la Repubblica federale tedesca, tutto quello
25
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 25
28/11/12 12.46
che c’era stato prima e tutto quello che, a suo parere, sarebbe venuto dopo.
Forse il secondo panda era già morto, perché io me ne ricordo uno
solo. Per un’ora intera ci concesse la vista del suo dorso fino a quando, con un movimento indolente, si voltò e ci squadrò con sguardo
assonnato. Puzzava di piscio di scimmia. Il professore pontificava,
il panda si ingozzava di bambù e la mamma e io restavamo muti.
«Mi scappa» interruppi il professore, che mi guardò dapprima
incredulo, poi inviperito.
La mamma mi prese per mano e con un cenno di assenso l’esimio
dottor professor Strombrand-Rosselang ci concesse di allontanarci.
«Aspetto qui» disse picchiettando contro il vetro della gabbia del
panda e continuando a concionare.
«Parla da solo» mi bisbigliò la mamma.
Sorrise con aria stanca. Un vento gelido ci schiaffeggiava la faccia.
«Non è vero che mi scappa» le confessai.
«Lo so, piccolo mio. Lo so.»
Vagammo senza meta in mezzo al freddo.
«Mamma, non mi piace.»
«Se solo non parlasse così tanto.»
«Dài, filiamocela.»
«Dove, piccolo mio?»
«A casa.»
Per un momento la indussi in tentazione e gli occhi le si illuminarono al pensiero. Ma poi il suo sguardo si spense e lei scosse il capo.
«No, non possiamo farlo.»
Magda Cohen vuotava ogni volta l’amaro calice.
Il barrito di un elefante lacerò il silenzio. Oggi direi che non fu
un caso. Oggi direi che fu un richiamo rivolto a me.
«Mamma, posso aspettare qui dagli elefanti?» supplicai.
Mentre la mamma tornava di corsa dai panda, io mi incamminai­
nella direzione opposta.
Quando entrai nella Casa degli elefanti, per prima cosa sentii il
suo canto. Poi lo vidi. Era seduto su una panchina. La sua figura
26
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 26
28/11/12 12.46
era avvolta nella nuvola di fumo della sigaretta. Una parte di me
voleva correre via, l’altra voleva avvicinarsi all’uomo che stava
cantando. Prevalse la curiosità. Si accorse di me solo quando fui a
pochissima distanza da lui. Senza interrompere il canto o levarsi
la sigaretta dall’angolo della bocca, si scostò un poco e mi invitò a
prendere posto sulla panchina.
Assomigliava all’Elvis dei bei tempi, l’eroe della mamma quando era giovane. In camera teneva ancora i suoi dischi. In un certo
qual senso, Elvis era riuscito ad accattivarsi persino la nonna, che
una volta, quando la mamma aveva messo su un suo disco, aveva
preso in mano la copertina e aveva definito The King “un uomo
maledettamente bello”.
«Sono Jack» disse lo sconosciuto con accento americano, e mi
porse la mano.
«Io mi chiamo Edward.»
«Vuoi?» Jack mi mise sotto il naso il pacchetto di sigarette.
«Sono ancora un bambino e qui non si può fumare.»
Sorrise e se ne accese una.
«Sei qui tutto solo?»
«No, la mia mamma è dai panda.»
«Con tuo padre?»
«No, con l’esimio dottor professor Strombrand-Rosselang. Mio padre è in Svezia o in Danimarca o in Norvegia. Non si sa di preciso.»
«Be’, con la biografia che ti ritrovi, puoi tranquillamente fumarti una sigaretta.»
Avevo otto anni e il sapore della mia prima sigaretta mi fece
quasi vomitare.
«E il dottore con tutti quei nomi, è un medico?»
«Sì, delle donne. Solo delle donne.»
Jack intonò una canzone triste mentre mi sforzavo di soffocare
il mio accesso di tosse.
«Bisogna cantare per gli elefanti, porta fortuna» disse.
«Lo fai di mestiere?»
«No, è la mia religione» rispose Jack.
27
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 27
28/11/12 12.46
«Noi siamo ebrei. Noi diciamo preghiere.»
Il sapore della seconda sigaretta era già meglio e mi rese più
audace. Osai porre le domande che mi passavano per la mente, rapidissime. Era americano, era viaggiatore, musicista e uomo d’affari. Nessuna parentela con Elvis. Né moglie né figli. Era a Berlino
da un paio di settimane, prima era stato ad Amburgo, prima ancora a Kiel e prima ancora in Italia.
Si chiamava Jack Moss, e fui preso all’istante da grande ammirazione per lui.
Dopo la terza sigaretta la mia audacia si trasformò in inquietudine. Presto la mamma e il professore sarebbero venuti a prendermi. Con tutta probabilità non avrei mai più rivisto Jack. E invece
io volevo che quella persona non scomparisse dalla mia vita. Ma
lui, come mi avesse letto nel pensiero, disse che si sarebbe fermato
un bel po’ a Berlino e ogni prima domenica del mese avrebbe fatto visita agli elefanti.
Sentii dei passi e lasciai cadere a terra la sigaretta.
«Eddy, piccolo mio.»
Jack e io ci voltammo contemporaneamente. Un’improvvisa
vampa di rossore investì il viso della mamma, che prima appariva smorto e stremato. Glielo leggevo negli occhi, era affascinata da
quell’uomo bello quanto Elvis. Jack si alzò e con passo leggero si
diresse verso la mamma e il professore.
«Buongiorno, Jack Moss.» Il suo accento americano, in cui si mescolava anche qualcos’altro, era seducente da morire.
Mentre la mamma si faceva sempre più radiosa, il professore
squadrò il falso Elvis con aria sospettosissima.
«Lei lavora qui, signor Moss?» chiese.
«Sì, e la domenica mi vesto sempre di tutto punto prima di rimuovere il letame dalle stalle» rispose Jack strizzando l’occhio alla
mamma.
«Lei è proprio un burlone, signor Moss.» Il professore fece di tutto
perché le sue parole risuonassero quanto più sprezzanti possibile.
«Qualche volta.»
28
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 28
28/11/12 12.46
«E anche inglese» stabilì l’esimio dottor professor StrombrandRosselang.
«No, americano con qualche radice italiana e foltissime radici
irlandesi.»
«Vedo, vedo. Vogliamo andare?» Il professore afferrò la mano
della mamma. «E ancora buona giornata, signor Moss.»
«Anche a lei.» Jack mi diede un colpetto sulla spalla. «A presto,
Ed.» Strizzò l’occhio alla mamma un’ultima volta.
Lasciammo lo zoo in silenzio. Appena giunti sul Ku’damm, il
professore si sfogò e predisse a Jack Moss una lunga carriera da
delinquente.
Mamma e io non dicemmo una parola, sorridendo ciascuno fra
sé e sé.
Quella sera Magda Cohen mise su i vecchi dischi di Elvis, ancheggiando a suon di musica e cantando in duetto con The King.
Il suo buonumore destò i sospetti di Lara Cohen.
«Allora, avete passato una bella giornata allo zoo?» chiese.
«Non so.» Istintivamente trovai più opportuno non menzionare Jack Moss.
«Edward, ma che razza di risposta è “Non so”? Avete passato
una bella giornata, sì o no?»
«Mmh» feci io.
«E tua madre? Cosa sta succedendo a tua madre?»
«Non so.»
«E dov’è il professore? Pensavo che avrebbe mangiato con noi,
stasera.»
«Non so.»
La nonna mi squadrò scettica, ma prima che mi torchiasse mi ritirai nella mia stanza.
La settimana dopo imparai a conoscere un terzo stato d’umore
della mia insegnante di piano. Prendemmo il tè, ma lei non parlò.
Quando proposi di farle sentire il Lied che mi aveva dato per esercizio, scosse il capo.
29
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 29
28/11/12 12.46
«Ti prego, no, Eduard» disse in un soffio la Nöff.
«Non sta bene oggi?» chiesi cauto.
Scoppiò in una risata isterica. «Io non sto bene da quel dì, bambino mio.»
Fissai la mia tazza di tè e mi chiesi se sarebbe stata una scortesia
ficcarle in mano i ventitré marchi e battersela. Quando sollevai lo
sguardo, due gocce di rum le imperlavano i baffi.
«Eduard, non smettere mai di dubitare.» Si versò ancora un sorso
di superalcolico. Di solito lo faceva di nascosto in cucina, ma quel
giorno la bottiglia era piazzata sul pianoforte. «Hai capito? Dubita quando tutti ti mandano al diavolo e dubita allo stesso modo
quando ti fanno pat pat sulla spalla.»
Annuii.
«Cerca di non mettere a tacere i tuoi dubbi, ma non lasciare che
ti divorino. Capisci cosa voglio dire?»
Annuii ancora una volta senza avere la minima idea di quel che
intendesse la mia insegnante ormai sbronza.
«Non portare le pecorelle all’asciutto. Lasciale fuori e va’ a prendere qualcosa per ripararle. Oppure semplicemente sopporta quella dannata pioggia. Prima o poi passa. Perché dentro, dentro non
c’è nulla da andare a prendere, Eduard. Io sono dentro. E qui non
c’è nulla.»
La Nöff si alzò, prese la bottiglia e passò nell’altra stanza. La sentii chiudersi la porta alle spalle. Poi fu silenzio. Aspettai che trascorresse la mia ora, posai i soldi sul tavolo e sparii.
Questo terzo stato d’animo della Nöff rimase un evento unico. Seguirono le ore di lezione solite. Il mio strimpellare di ragazzo senza talento o i suoi sproloqui a base di Chopin. Né le pecorelle né i dubbi furono più menzionati e lei continuò a versarsi il
rum solo in cucina.
Arrivò il mese successivo e con esso la sua prima domenica. Fu l’esimio dottor professor Strombrand-Rosselang a rovinarmi il giorno
che avevo atteso con tanta bramosia.
30
ROSENFELD_Per coraggio, per paura, per amore.indd 30
28/11/12 12.46