Franco Lorenzoni

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Franco Lorenzoni
Documentaria
4° Salone di idee, progetti e servizi per la scuola
Modena, 3 settembre 2003
COSÌ LIBERI MAI
Percorsi, scoperte, possibilità aperte
dalla narrazione orale nelle scuole di Modena
Pialisa Ardeni, Antonella Bottazzi, Barbara Castagnetti,
Elena Guidotti, Bruna Montorsi, Edda Reggiani, Marina Sirotti
Sperimentazione guidata da Franco Lorenzoni
Centro Documentazione Educativa
Insegnanti per una cultura di pace
COSÌ LIBERI MAI
Percorsi, scoperte,
possibilità aperte
dalla narrazione orale
nelle scuole di Modena
a cura di
Maria Teresa Goldoni
e
Pialisa Ardeni, Antonella Bottazzi, Barbara Castagnetti, Elena Guidotti,
Bruna Montorsi, Edda Reggiani, Marina Sirotti
Sperimentazione guidata da Franco Lorenzoni
SOMMARIO
PREFAZIONE
INTRODUZIONE
Storia di un’esperienza
Uno spazio per sfogare rabbie, dolori e… anche per divertirsi
Cos’è il cerchio magico?
LA CREAZIONE DEL CONTESTO
Lo spazio
Il rito e la magia
Patti per narrare
Le regole del cerchio magico
L’ARTE DELLA NARRAZIONE
Come sciogliere il ghiaccio
Alla notte dormi o continui?
I temi e le storie
I bambini raccontano
Tracce che restano
I bambini ricordano
L’ASCOLTO
Quando l’ascolto funziona…
Il racconto a coppie
I bambini ascoltano?
IL SENSO DELL’ESPERIENZA
La sperimentazione su di noi
La sperimentazione nelle classi
l punto di vista dei bambini
QUELLA VOLTA CHE…
Giochiamo alla narrazione
Sembravo Ronaldo
Tommy piange
Il riscatto
L‘operazione di Filippo
Storie d’aria
L’accoglienza
Una persona diversa da me
Il Natale più bello
Nave grande… Mare tanto
Morti tutti, anche il gatto
Il ricordo sotto la cenere
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APPENDICE
Il progetto educativo
Percorsi nella scuola elementare
Percorsi nella scuola media
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PICCOLA BIBLIOGRAFIA
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PREFAZIONE
di Franco Lorenzoni
Penso che l'attività magica sia utile, che ti tolga lo stress
di cinque giorni di scuola di dosso... A volte si scoprono
lati dei compagni che non ci sogneremmo mai o cose così
divertenti da far lacrimare gli occhi dal ridere. (Chiara, 13)
I gatti non conoscono i week-end. Come gli altri animali, non sanno che il tempo si
può scandire, interrompendo per uno o più giorni le attività quotidiane. Questa la grande
differenza con noi umani, oltre all’uso della lingua per raccontarsi esperienze ed emozioni
passate.
Fin da epoche remote, ben prima dell’invenzione della scrittura, donne e uomini
hanno scrutato il cielo per dare un ritmo al proprio tempo. L’invenzione del calendario
aveva la caratteristica cruciale di tentare di dare senso allo scorrere della vita, attraverso
pause e cerimonie. Attraverso momenti in cui si interrompeva il flusso quotidiano e ci si
trovava in luoghi di incontro collettivo, dedicati alla comunicazione reciproca o a tentativi
di comunicazione con qualcosa di misterioso ed invisibile.
Si può essere credenti o non credenti, ma è evidente l’enorme importanza che ha, per
ciascuno di noi, scandire la nostra vita con momenti di pausa e di riflessione, con momenti
di ricerca e di comunicazione non finalizzati ad alcuno scopo immediato.
L’aspetto felino della scuola, che talvolta arriva ad essere ferino e assai poco umano, sta
nel non trovare spazi e tempi liberi, da dedicare all’ascolto, alla condivisione di esperienze,
alla comprensione reciproca.
Questo libro si apre con l’emozione provata da una insegnante e dai suoi allievi di
una prima media, di fronte al racconto di una ragazza che parla dei momenti che hanno
preceduto la morte di sua nonna. La narrazione è stata così profonda ed intensa da restare
scolpita nella loro memoria.
Come è stato possibile parlare della morte e condividere le lacrime di una compagna,
creando un momento collettivo di silenzio e di ascolto, capace di una così profonda
compassione collettiva?
Il libro che avete in mano racconta numerosi percorsi, sperimentati in diverse
scuole elementari e medie di Modena, che hanno portato a realizzare la pratica dei cerchi
narrativi. Attraverso dialoghi, frammenti di narrazioni di ragazze e ragazzi, schede che
indicano le diverse strategie, abbiamo voluto documentare una ricerca che ci ha
appassionato e che riteniamo utile per tutte e tutti coloro che credono che la scuola debba
essere un luogo in cui, chi vi abita, debba poter sostare, riflettere e costruire
collettivamente il senso di ciò che fa.
Questo senso non può essere rintracciato che nell’incontro reciproco.
Eppure la scuola, che dovrebbe caratterizzarsi come luogo costante di incontro con se
stessi e con le diverse culture umane presenti e passate, spesso trova difficoltà a creare
momenti di comunicazione reciproca sincera ed aperta, momenti in cui ci si possa
confrontare senza paura di essere giudicati. Accade così, paradossalmente, che gli episodi
più profondi e significativi che accadono nella vita di bambini e ragazzi restino fuori dalla
porta, privando compagni ed insegnanti di quella condivisione di esperienze così essenziale
alla creazione di una comunità.
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In cosa consistano questi cerchi narrativi è raccontato nelle pagine che seguono.
Vorrei fare qualche accenno, tuttavia, alla storia di questa ricerca ed ai motivi per cui la
sento così necessaria oggi.
La ricerca sull’oralità di cui si narra cominciò, venti anni fa, presso la casa-laboratorio di
Cenci, che è un centro di ricerca educativa ed artistica che si trova nella campagna umbra,
vicino ad Amelia. Il gruppo che la promosse era composto da insegnanti del Movimento di
Cooperazione Educativa. In quella ricerca, durata anni, si misero a punto alcune tecniche,
si diede forma a uno stile di lavoro e si sperimentarono narrazioni su di sé, scandagliando
alcuni temi cruciali dell’esistenza. Parlavamo, allora, di narrazione come grado zero del
teatro, perché ci sembrava evidente che l’atto di raccontare qualcosa di fronte ad altri
evoca e, in qualche modo precede, l’azione teatrale.
Ciò che ricordo con più intensità di quegli appuntamenti residenziali di tre giorni, che
realizzavamo tre volte l’anno, è stata la fatica della differenza ed il reciproco educarci alla
vulnerabilità. Ci raccontavamo a coppie storie della nostra vita assai profonde, a volte
struggenti o drammatiche, e dovevamo poi riraccontare al gruppo ciò che avevamo
ascoltato, dando corpo e voce all’esperienza di un altro. Questo continuo sperimentare
possibilità e limiti dell’immedesimazione reciproca, ci ha costretto a confrontarci con
grandi domande riguardo all’unicità di ciascuno di noi e alla necessità di allargare la nostra
sensibilità, per arrivare a comprendere gli altri.
Quando, anni dopo, il Comune di Palermo mi chiese di progettare un percorso
formativo per insegnanti su temi interculturali, desiderai sperimentare se ciò che avevamo
elaborato e praticato in un piccolo gruppo protetto, poteva avere senso anche in una
istituzione come la scuola, generalmente assai poco propensa all’ascolto.
Formammo allora, a Palermo, un gruppo di oltre venti operatrici e operatori, composto per
metà da siciliani e per metà da stranieri immigrati, provenienti da tre continenti.
Sperimentando tra noi diverse pratiche di oralità, fondate sull’ascolto e la narrazione
reciproca, elaborammo una proposta interculturale che chiamammo cerchio narrativo. In
tre anni furono coinvolti oltre trecento insegnanti e furono molte le scuole dove, con l’aiuto
di operatori esterni o per iniziativa diretta degli insegnanti che avevano frequentato i corsi,
furono avviate sperimentazioni, che proseguono ancora oggi.
Quando mi fu chiesto di cominciare a Modena una sperimentazione sulla
narrazione, fu per me naturale fare riferimento all’esperienza siciliana. Nato dal bisogno di
far sentire a casa i ragazzi immigrati, il progetto palermitano si era rivelato
particolarmente efficace nelle numerose situazioni di disagio che caratterizzano molte
scuole di quella città. Nei cerchi narrativi i tanti ragazzi che la scuola emargina e troppe
volte espelle, una volta tanto erano diventati protagonisti di momenti collettivi di incontro,
che non prevedevano giudizi e bocciature.
La sperimentazione palermitana ci ha mostrato quanto la scuola, spesso senza rendersene
conto, sia poco capace di cura riguardo alle relazioni. Siamo partiti dal desiderio di
contrastare sul nascere la discriminazione riguardo agli studenti immigrati e, via via che
andava avanti il progetto, ci siamo accorti che di questo tipo di cura, fondata sull’ascolto,
avevano straordinario bisogno tutti i bambini e i ragazzi, sia quelli che incontravano
maggiori difficoltà che tutti gli altri. E la cosa più interessante, per noi, è stata di scoprire
che proprio gli animatori stranieri, talvolta accolti all’inizio con diffidenza, si sono rivelati
ottimi maestri di ascolto. In un progetto fondato sul valore delle proprie esperienze e della
propria biografia, le animatrici e gli animatori stranieri hanno potuto finalmente narrare le
loro lunghe peregrinazioni, le incertezze, le ferite e le tante discriminazioni vissute sulla
loro pelle, trovando ascolto pieno e riuscendo a dare ascolto ad altre discriminazioni, forse
più segrete e sottili, ma altrettanto dolorose.
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Dopo Palermo era ormai chiaro, per me, che la narrazione orale a scuola fa bene.
Al gruppo di insegnanti di Modena ho dunque offerto la mia esperienza, lasciando che
fossero loro ad elaborare percorsi, che potessero adattare le mie proposte alla realtà delle
loro scuole.
Il progetto di Modena aveva caratteristiche diverse perché non potevamo contare sulla
presenza di operatori esterni. Le insegnanti si sono trovate così ad affrontare, da sole, i
tanti ostacoli che comporta ogni innovazione vera nella scuola. Credo, tuttavia, che proprio
affrontando queste difficoltà siano nate le tante idee che hanno reso l’esperienza di
Modena così significativa e innovativa. Il fatto di non potere contare su alcun aiuto esterno
ha costretto le insegnanti a inventarsi personaggi immaginari, espedienti misteriosi e
persino maghi che spedivano lettere. Sono state stimolate, inoltre, a curare in ogni dettaglio
i luoghi dove si proponeva il cerchio narrativo, illuminando lo spazio con candele e
usando incensi ed altri odori. In più occasioni, la presenza di tutti questi particolari, ha
colpito così profondamente l’immaginario dei partecipanti che un giorno un bambino,
passando di fronte ad un negozio di incensi, ha affermato: “Qui c’è puzza di narrazione!”
Credo che quel bambino avesse proprio ragione. La narrazione orale ha un odore e un
sapore particolare. Stabilisce legami tra l’ordinario e l’eccezionale e apre le porte a territori
che la sola logica razionale tenderebbe ad escludere. Il suo carattere fluido ci permette,
inoltre, di accogliere cose che insieme capiamo e non capiamo, e questo ci è di grande
aiuto nel difficile compito di sospendere il giudizio.
La narrazione orale, quando vive in un territorio protetto, permette un incontro
profondo con il silenzio, alleato così prezioso per ogni conoscenza interiore e così raro nel
nostro tempo. Porta inoltre a rispettare il mistero che circonda tutte le cose, anche quelle a
noi più vicine. Dà infine spessore al sentimento dell’attesa. Attesa che ogni parola
pronunciata porta con sé, nell’incertezza di non sapere mai se troverà un orecchio attento
nel quale possa approdare e riposare.
I racconti orali vivono in piena luce, ma si nutrono di ogni sfumatura e si avventurano con
coraggio nelle zone più oscure del mondo e di noi stessi. Forse è intuendo la delicatezza di
quel processo che porta alla costruzione della fiducia reciproca, che le insegnanti hanno
posto particolare cura all’illuminazione degli spazi e alla scelta dei luoghi.
Non so se siano stati alcuni di questi accorgimenti o l’uso di stimoli che stupivano e
parlavano profondamente alla fantasia di bambini e ragazzi, fatto sta che la narrazione,
nelle scuole di Modena, è stata vissuta come una esperienza magica e il cerchio narrativo,
nella migrazione dalla Sicilia all’Emilia, si è fatto cerchio magico. Varrebbe la pena di
riflettere come mai, quando la scuola incontra una attività che affonda le radici in pratiche
umane antiche e naturali, si stupisca a tal punto da considerarla magica.
Siamo tutti figli del nostro tempo. “Solo un’epoca superficiale come la nostra poteva
inventare la psicologia del profondo” ironizzava ottanta anni fa Robert Musil. Così per
parlare di noi, per indagare sul senso di ciò che ci accade, sembra che dobbiamo attendere
di crescere, ammalarci e magari andare da uno psicoanalista, per trovare qualcuno che ci
ascolti senza superficialità. Eppure da sempre, in tutte le latitudini, il narrare e l’ascoltare
storie di vita ha costituito, per tutte le età, una fonte imprescindibile di conoscenza e di
esperienza, talvolta anche di saggezza e di cura.
Di fronte ad una crescente difficoltà nelle comunicazioni reciproche la scuola non
può tirarsi indietro. Non può continuare a tagliare i tempi di apprendimento, in una visione
perversa di efficienza mutuata dall’impresa.
No, la scuola è un’altra cosa. La scuola è un luogo di elaborazione culturale e, perché ci sia
vera costruzione di cultura, la prima cosa di cui prendere cura sono le relazioni reciproche.
Ma per curare le relazioni ci vuole tempo, bisogna essere disposti a perdere molto tempo.
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Mi è venuto in mente il tempo della festa, cominciando a ragionare intorno a questa
esperienza di Modena, perché penso davvero che il cerchio narrativo costituisca una sorta
di festa e di cerimonia laica, che cerca di affrontare e di dare spessore al grande bisogno di
ascolto e di democrazia che c’è nelle nostre scuole.
Democrazia in senso pieno, come quella richiamata dalla nostra costituzione, che invita a
rimuovere tutti gli ostacoli che determinano le piccole e le grandi discriminazioni di cui
sono oggetto i cittadini, fin dalla più tenera età.
Tutti sappiamo come il bisogno di ascolto, se frustrato, generi chiusura, arroccamento,
sfiducia. Ed è proprio questa sfiducia verso gli adulti che si frequentano più a lungo, cioè i
genitori e gli insegnanti, che sta alla radice di tante crisi esistenziali e di tanti insuccessi
scolastici.
A un certo punto del libro una insegnante racconta: “In generale i ragazzi non intervengono
mentre il compagno sta parlando. Si ha l’impressione che abbiano ben acquisito il concetto
di rispetto, anzi è notevole la differenza in confronto alle normali ore di lezione. Hanno
chiara l’importanza del patto”. Soffermiamoci un momento sulla natura di questo patto. Un
patto che genera ascolto reciproco non può nascere da regole astratte dettate dall’alto. Può
nascere solo da una pratica di condivisione.
L’insegnante riesce a trovare quella qualità di ascolto rara perché lei, in prima persona,
mostra, nel tempo della narrazione, la sua capacità di ascolto. È testimoniando la sua
presenza, mostrando quanto crede davvero in ciò che fa, che rivela a tutti gli appartenenti
del gruppo che ci si può mettere in gioco e che mettersi in gioco è bello.
E quando ci si mette in gioco davvero, tutti insieme, si crea quel calore, quella accoglienza
e quella protezione che rende possibile parlare della morte e della vita, di gioie intense
come del più minaccioso sconforto.
Pensando al calore che genera la narrazione, mi torna in mente il racconto di una
insegnante, poco più anziana di me, che ci ha narrato del tempo della sua infanzia, quando
la sua grande famiglia contadina si riuniva d’inverno alla sera, nella stalla. Scaldati dal
calore degli animali, in quel luogo protetto, vecchi e giovani si scambiavano racconti nella
penombra.
Questa testimonianza ha richiamato in me tanti altri racconti, ascoltati dai miei amici
immigrati a Palermo, su pratiche analoghe vissute nei più disparati angoli della terra, dai
paesi delle Ande a Bagdad, dalle campagne del Senegal alle coste del Madagascar.
Appena quattro generazioni fa, quando nel mondo la stragrande maggioranza della
popolazione era contadina e abitava le campagne, la narrazione orale costituiva un
potentissimo mezzo di comunicazione e di crescita individuale e collettiva.
Ogni nostalgia è fuori luogo, eppure penso che la pratica della narrazione, se per
migliaia di anni ha costituito un terreno di scambio interumano così fecondo, perché non
dovrebbe sopravvivere anche in un mondo in cui prevale la comunicazione audiovisiva ed
informatica? La scuola ha il dovere di allargare gli orizzonti e di educare al futuro,
evitando di schiacciarci nell’adulazione passiva del presente. Riprendere le potenzialità di
questo straordinario strumento di comunicazione e di condivisione che è la parola parlata,
credo faccia parte dei nostri compiti.
Le insegnanti di Modena, che in questo libro raccontano il loro percorso, intrapreso
con tanta passione, ci indicano non solo che è necessario, ma che è anche possibile.
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INTRODUZIONE
Andiamo a fare il cerchio magico, perché noi non
abbiamo mai fatto cose così libere! (Riccardo, 11)
Storia di un’esperienza
Questo libro raccoglie i materiali di diverse sperimentazioni educative sulla
narrazione orale attuate dal 1999 al 2003.
L’esperienza, nata da una proposta dell’Associazione “Insegnanti per una cultura di pace”
e realizzata grazie alla volontà di un piccolo gruppo di docenti della scuola dell’obbligo, ha
coinvolto sette scuole di Modena (quattro elementari e tre medie) e un buon numero di
classi, alcune delle quali hanno attuato il percorso per un triennio.
Grazie al contributo del Centro di Documentazione Educativa di Modena, che ha
sostenuto la sperimentazione fin dall’inizio, il gruppo ha potuto contare anche
sull’esperienza di Franco Lorenzoni, che da anni ricerca intorno all’arte del narrare in
diversi contesti educativi e sociali. La sua presenza a Modena, tre volte l’anno, ha
permesso al gruppo di partecipare a numerosi laboratori di approfondimento e a stages
residenziali.
Parallelamente a questi momenti, il gruppo ha dato continuità alla ricerca
incontrandosi regolarmente ogni mese, per condividere problemi e scambiarsi suggerimenti
e proposte. La costanza e lo spirito di cooperazione che lo hanno animato hanno permesso
alla ricerca di crescere e di arrivare a risultati e proposte in gran parte originali.
Il libro intende documentare l’insieme dei percorsi, nati dall’intreccio tra la ricerca
condivisa e le differenti sensibilità dei partecipanti. Per rispetto verso la moltiplicazione
delle storie verificatasi in questi anni, si è cercato di mantenere i diversi aspetti e punti di
vista. La documentazione è dunque frutto del lavoro collettivo di un gruppo che ha
elaborato una metodologia e uno stile che si ritiene possano essere utili anche per altre
colleghe e colleghi.
I diversi capitoli in cui è raccolto il materiale raccontano le tappe di ciò che è stato
sperimentato.
Le riflessioni vengono presentate in forma di dialogo, perché è in questo modo che
il gruppo ha sempre proceduto in questi anni. Al lettore potrà forse apparire un po’
sovrabbondante, anche dal punto di vista formale, questo modo di raccontare l’esperienza,
ma si è preferito mantenere la pluralità dei punti di vista e le caratteristiche del linguaggio
orale, piuttosto che sintetizzare la ricerca in forma di saggio.
Insieme alle discussioni, sono state raccolte molte frasi dette o scritte dai bambini e
dai ragazzi che sono stati protagonisti della sperimentazione e sono stati narrati alcuni
momenti di lavoro particolarmente significativi per il gruppo.
L’uso di differenti caratteri grafici nasce proprio dall’intento di facilitare l’individuazione
di queste diverse voci.
L’appendice, infine, riporta il progetto educativo alla base di tutta l’esperienza ed
alcuni percorsi, sperimentati nelle otto classi della scuola di base.
La sperimentazione, rivolta a bambine, bambini, ragazze e ragazzi di diversa età, ha
mostrato quanto l’azione del narrare e l’arte dell’imparare ad ascoltarsi possano dare un
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grande aiuto alla scuola nei suoi vari livelli. È infatti convinzione del gruppo che la pratica
del cerchio narrativo contribuisca ad approfondire la conoscenza reciproca e a migliorare
il delicato sistema di relazioni su cui si fonda ogni processo di crescita e di apprendimento.
Questa pubblicazione non ha certo l’intenzione di fornire ricette prefabbricate.
Nasce piuttosto dal desiderio di far conoscere e diffondere una pratica educativa che
appare significativa, profonda, e insieme semplice, alla portata di tutti.
Ha coordinato il percorso di formazione e la redazione del libro
Maria Teresa Goldoni dell’Associazione “Insegnanti per una cultura di pace”.
Hanno attuato la sperimentazione e collaborato alla stesura del libro:
Pialisa Ardeni, Antonella Bottazzi, Barbara Castagnetti, Elena Guidotti, Bruna
Montorsi, Edda Reggiani, Marina Sirotti
Hanno inoltre partecipato alla formazione e alla sperimentazione in classe gli insegnanti:
Loretta Beccantini, Enrica Biagi, Paola Borghi, Lara Cavazzoli, Claudia Corradi,
Sonia Galatioto, Cinzia Losi, Raffaela Pommella, M. Rita Quattrini, Franca Rolla,
Anna Soresina, Silvia Tioli, Federica Vallini, Rossella Vezzalini, Paolo Zanni.
Hanno dato il loro contributo con suggerimenti e proposte :
Maria Llimpe e Roberta Passoni
Un ringraziamento a Mario Agati per la simpatica collaborazione nella definizione
dell’impaginazione.
Un grandissimo grazie a tutti i bambini e i ragazzi!
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Uno spazio per sfogare rabbie, dolori e… anche
per divertirsi
Quel giorno sarebbe iniziata Magica (così dopo ci abituammo a chiamare
l’attività di narrazione) per la prima volta nella nuova classe prima.
C’era molta aspettativa perché non avevo detto che cosa avremmo fatto
esattamente anche se qualche allieva più curiosa e pettegola aveva chiesto informazioni
alle ragazze di terza. Io ero ansiosa perché era la prima volta che avrei potuto portare
avanti l’attività fin dalla prima media; avevo in mente un percorso di sperimentazione
ben strutturato e temevo che l’esperienza potesse bruciarsi al primo impatto.
Creammo l’atmosfera rituale. Io diedi il tema “Una volta che mi sono sentito/a
protetto/a”. Dopo il mio breve racconto, che feci a titolo esemplificativo, diedi la parola
alla bambina che mi stava a fianco. Melania iniziò a raccontare dei momenti che
avevano preceduto la morte della nonna con una narrazione così bella e coinvolgente
che poche volte in seguito nella classe si è ripetuta.
Tutti eravamo totalmente coinvolti nell’oscurità e nel silenzio e in un crescendo
di intensità emotiva Melania cominciò a piangere e gradualmente la seguirono le sue
amiche più care. Io ero presa dal racconto ed ero commossa, ma nello stesso tempo
pensavo alle critiche di eccessiva drammaticità che a volte diamo all’attività di
narrazione e pensavo “Se cominciamo così la prima volta in una classe prima con la
prima persona che parla, cosa succederà in seguito? Come potrò arginare un fiume in
piena di questo tipo?” Tra l’altro Melania, che è una ragazzina molto intelligente, nel
concludere cercò di arrampicarsi sugli specchi per collegare la sua narrazione al tema
proposto, poi disse “Scusatemi, ma avevo dentro una grande urgenza di parlare del mio
dolore e questa attività mi ha permesso di sfogarmi.”
Alcune altre compagne toccarono temi simili con mia grande preoccupazione
che il bell’effetto del racconto di Melania diventasse un melenso e non sentito
piagnisteo, ma per fortuna Andrea, che aveva il dono di saper raccontare in modo
divertente, fece morir dal ridere tutti narrando di quando era finito in modo
rocambolesco con la testa nel water.
La tensione si attenuò, tutto si riequilibrò, si capì che ognuno poteva raccontare
come voleva e quello che voleva, che c’era spazio per sfogare rabbie, dolori, ma anche
per divertirsi a ricordare e per far divertire narrando: magica era partita nel modo
migliore!
A distanza di due anni dalle interviste ai ragazzi il racconto di Melania è quello che è
rimasto più impresso nella loro memoria ….e anche nella mia!
Pialisa Ardeni
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Cos’è il cerchio magico?
È un mondo fantastico che ci fa raccontare le nostre storie brutte, belle….. e
le cose più belle del mondo. Mi viene in mente il colore azzurro e bianco.
(Giovanni, 11)
Per me la narrazione è un vuoto dove io lascio i miei pensieri che in quel
momento mi fluttuano nella mente e poi la mente è vuota e quindi tutti gli altri
pensieri prendono il biglietto per entrarci, però non tutti possono! Infatti
quelli brutti vengono espulsi dai buttafuori-pensieri tipo Ercules che con tutti
quei muscoli butterebbe fuori tutto e altri tanti e tanti. Poi li racconto e loro
escono dalla bocca, ma a volte essa si ferma per l’emozione, quindi l’omino della
mente deve andare a riazionare i comandi. Poi tutti, quando ho finito di
raccontare, commentano anche se non si dovrebbe. (Gabriele, 11)
È un momento di gioia, di felicità. Quando un bambino racconta una storia
sembra di esserci dentro e viverla tu in quel momento. ( Jessica, 10)
Per me il cerchio magico è stata un’emozione che mi ha fatto star bene,
sorridere. È stata un’emozione unica, che non puoi avere tutti i giorni.
(Andrea, 9)
È come un gioco da giocare tutti insieme. Altrimenti rischi di rovinare tutto.
(Chiara, 11)
Il cerchio magico è un incontro, un conoscimento, un ricordo passato, un sole
indimenticabile, un sentimento che passa tra il cuore di molti e porta
conoscenza, ricordi, felicità. La musica fa pensare a tanti messaggi, a un volo
dentro di te. Il messaggio più bello è che tutti hanno una storia e che la
ritrovano anche se è triste o se è bella e pensierosa. (Elena, 9)
A me piace fare l’attività della narrazione per tanti motivi. Prima di tutto
perché certe volte non riesco a confidarmi coi miei genitori e, nel cerchio
magico, riesco a confidarmi con i miei compagni. (Silvia, 8)
Per me la narrazione significa esprimere le proprie emozioni, i propri
sentimenti, tirare fuori le storie che non riusciamo a dire. (Riccardo, 9)
10
Il cerchio magico è il grande oceano dei ricordi dove puoi immergerti. Il
cerchio magico mi piace perché mi permette di aprirmi. È come un cielo
stellato (Tommi, 8)
Mi piace di più esprimere i racconti a voce che sullo scritto perché ti senti
quasi più libero di dire le cose e non devi impegnarti a correggere gli errori
vari e qualche volta puoi dire parole dialettali (più divertenti). (Nico,13)
Io stavo molto bene, specialmente quando mi sfogavo a dire delle cose che non
avevo mai tirato fuori dal mio cuore. (Anna, 10)
La narrazione è bella perché mi fa tanto rilassare e poi è bella perché
dobbiamo raccontare le mie avventure. (Joe, 11)
L’attività magica mi piace molto perché è una delle pochissime volte in cui
parliamo senza prenderci in giro e riusciamo a scoprire cose dei nostri
compagni che in altro modo non si sarebbe riusciti a sapere. (Salvatore, 11)
Per me il cerchio magico è un momento di pace tra noi, momento di solidarietà,
momento di storie belle e brutte, momento di un silenzio profondo, momento di
un cerchio magico perché tanti bambini come me… lo formano. (Ilaria, 8)
È un momento dove si cerca nel cuore e nella mente i nostri pensieri (Marco, 8)
È un cerchio di amici: ci sono tante cose che uno non vorrebbe dire, ma se le
dici è perché capisci che intorno ci sono tante persone che ti vogliono bene.
Ecco il cerchio degli amici: fuori c’è nero, dentro è pieno di luce. (Vincenzo, 9)
La narrazione è un modo per conoscersi meglio, capire gli altri, non all’esterno
ma all’interno. Interno per me significa sentimento, vita.
Per capire gli altri serve conoscersi e perciò la narrazione è molto importante.
Nella narrazione si scopre la vera identità degli amici, delle persone che non
conosci molto bene.
Narrare è una cosa che detta così sembra non voglia dire niente, ma
scendendo nel particolare ha un significato speciale: fa uscire emozioni dal
cuore di ognuno. Io mi ricordo che, quando abbiamo fatto per la prima volta
narrazione, ho provato un’emozione fortissima.
Il cerchio magico è un posto in cui tutti i sentimenti che si provano, si dicono
senza vergognarsi. (Erica, 11)
11
capitolo uno
LA CREAZIONE DEL CONTESTO
Per proporre la narrazione non è necessario saper narrare
bene, bisogna essere buoni creatori del contesto.
12
Lo spazio
Per me bisognerebbe stendere un velo o qualcosa
sopra il pavimento e portare i cuscini. (Francesca, 13)
Quest’anno l’atmosfera mi è sembrata ancora più magica
Perché, con uno sfondo come quello del laboratorio
di scienze, eravamo solo noi a “crearla”. (Paolo, 12)
Franco: La scuola è uno spazio pigro. Sembra quasi disabitato. Ragazze e ragazzi vivono
una quantità impressionante di ore della loro infanzia e giovinezza in luoghi spesso
anonimi e quasi abbandonati. Se confrontiamo le scuole alle nostre case e ad altri spazi del
nostro abitare quotidiano è impressionante constatare come gli spazi della scuola siano
simili tra loro, anche in quartieri e città diverse. Questa pigrizia nell’uso dello spazio
rivela, a mio avviso, una ancor più grave pigrizia riguardo alle cura delle relazioni
reciproche.
Quando tentiamo di introdurre pratiche ecologiche fondate sulla relazione e l’ascolto
reciproco sentiamo, istintivamente, che è necessario ripensare agli spazi in cui lavorare.
Del resto, in molte tradizioni, l’arte del narrare è legata a luoghi particolari.
Nella vostra ricerca intorno alla narrazione mi sembra che l’invenzione dello spazio abbia
sempre costituito un punto importante da cui partire. Vi propongo di cominciare il racconto
della vostra esperienza raccogliendo storie su come avete scelto e modificato alcuni
ambienti, nelle vostre scuole, per dare spazio alla pratica del cerchio narrativo.
Antonella: Nella mia scuola guadagnarsi uno spazio è una continua lotta, quindi per avere
un luogo per la narrazione abbiamo fatto un progetto ed abbiamo lavorato con diverse
classi: questo ci ha consentito il diritto ad avere uno spazio.
Inizialmente ho ritenuto importante che l’ambiente fosse diverso dagli altri e lo stesso ogni
volta, però mi piaceva anche il fatto che crescesse insieme alle nostre storie, quindi per
scelta sono partita senza creare troppo contesto, che era dato soprattutto dalla luce fioca e
in generale dal rito.
Era un’aula quasi completamente vuota, sgombra dai banchi, nella quale l’unica cosa
creata era un tappeto fatto con materiale di fortuna (era infatti il rivestimento di plastica
con tante vescichette, che era servito a proteggere un divano nuovo durante il trasporto),
che avevo ricoperto con un telo molto grande, utilizzato per spettacoli teatrali.
Questo era inizialmente lo spazio creato, poi di volta in volta sono stati aggiunti oggetti
vari in relazione alle attività che man mano venivano fatte: una volta erano i teli sui quali i
bambini lasciavano le tracce delle loro storie, altra volta oggetti realizzati con la creta, altra
ancora una ragnatela costruita con del filo di lana e che è rimasta appesa al muro.
Quindi la stanza della narrazione cambiava fisionomia col procedere del lavoro e questo
per me è l’aspetto interessante più che far trovare un contesto pronto.
Franco: È stato dunque più un lavoro di svuotamento che di riempimento…
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Barbara: Noi lo spazio ce lo siamo inventate, ricavandolo da un sotterraneo dove c’era
un’aula molto grande che è stata suddivisa in due parti, una delle quali viene ora utilizzata
per la narrazione.
Si è cercato di creare uno spazio un po’ più caldo all’interno della scuola, dove i contesti
sono tutti abbastanza spogli e freddi. Abbiamo perciò rivestito il pavimento di linoleum,
abbiamo sistemato dei paraventi e i genitori di una classe coinvolta hanno colorato le pareti
in un modo meno anonimo. La scelta del giallo e dell’azzurro ha creato un’atmosfera
leggermente ovattata, che non mi soddisfa del tutto, però il risultato è quello di un
ambiente caldo e raccolto che non si trova in altre parti della scuola.
La realizzazione di questo spazio è stata seguita con grande curiosità dai bambini e dagli
adulti; si respirava quasi un’aria di mistero quando scendevamo nel sotterraneo per fare
attività di narrazione, tanto che una volta hanno bussato i bidelli per vedere cosa succedeva
di strano là dentro.
Io ho avuto la fortuna di poter lavorare con tempi abbastanza rilassati per cui lo spazio l’ho
sempre pensato prima e l’ho sempre preparato in funzione proprio dei bambini che
sarebbero arrivati come se fosse un invito a cena. Mi piaceva la cura particolare che
mettevo nel preparare l’attività.
Elena: Aggiungo a quanto detto da Barbara che avevamo fatto dei progetti su come
pitturare le pareti e in un primo momento avevamo anche pensato di farlo fare ai bambini,
ma, essendo in corso d’anno, diventava complicato gestire il lavoro che alla fine è stato
fatto da due genitori.
I bambini sono stati comunque coinvolti nella scelta del progetto; ad esempio durante una
verifica, nella quale avevo chiesto cosa poteva far funzionare meglio l’attività, alcuni
hanno espresso il desiderio di dipingere delle bolle, così ora nell’aula di narrazione c’è una
parete azzurra con tante bolle.
La luce, che entrava da alcune finestrelle poste in alto, non era eccessiva e quindi non
disturbava mentre infastidivano i rumori provenienti dal piano di sopra.
Durante l’attività abbiamo usato delle candele poste dentro una bacinella: in questo modo
avevamo sempre a disposizione dell’acqua per spegnere eventuali incendi che avrebbero
potuto dar fuoco alla scuola!
Alla fine i bambini facevano a gara per spegnere le candele e nella stanza si diffondeva un
acre odore, che veniva chiamato la puzza della narrazione.
Raffaela: Come spazio ho utilizzato la sala video, perché è un’aula scura, dove ho
sistemato una lucina. Ora non uso più le candele dato che fanno un brutto odore e nella
stanza; che ha solo due finestrini, è difficile avere un buon ricambio dell’aria.
I ragazzi mi hanno fatto capire che amano questa oscurità, che li fa sentire sereni e lo stare
bene è un punto di partenza molto importante.
Edda: Io ho usato l’aula magna e per me era fondamentale far sì che i ragazzi sedessero in
modo diverso.
Nella mia classe ci sono ventisette alunni che siedono in uno spazio ristretto e vedono
sempre e solo le schiene dei compagni. Avevo fatto vari tentativi per cambiare la
disposizione dei banchi, ma erano tutti falliti; ad esempio quella in quadrato si era rivelata
poco funzionale ai compititi in classe, specialmente di matematica. Per questo la grossa
novità, legata alla narrazione, doveva essere quella di permettere a tutti di vedere il viso
delle altre persone.
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Inizialmente ci sedevamo sulle sedie in cerchio e mettevo al centro un bastoncino
d’incenso, chiedendo ai ragazzi di aspettare un po’ affinché il profumo si diffondesse e si
creasse una certa atmosfera. Non accendevo i neon per cui la stanza era illuminata dalla
luce naturale e diffusa dei finestroni. Chiedevo inoltre che ci fosse un momento di
raccoglimento ogni volta che uno finiva la propria storia perché avevo detto loro che si
trattava di un regalo che ci facevamo l’un l’altro.
In un secondo momento ho usato sempre l’aula magna, ma ci sedevamo per terra, a stretto
contatto di gomito, nello spazio del palcoscenico.
In questo secondo modo il racconto diventava più confidenziale, ma al tempo stesso
sembrava perdere di importanza. Per questo quando voglio far fare un racconto importante,
scelgo la disposizione delle sedie; se invece voglio che i ragazzi si lascino andare e
raccontino cose anche divertenti, preferisco che si siedano in cerchio per terra, perché si
ricrea una dimensione vicina a quella delle vacanze.
Quando non è stato possibile utilizzare l’aula magna ed abbiamo dovuto ricorrere ad altri
ambienti, l’attività inizialmente è stata più faticosa poi si creava l’atmosfera della
narrazione e il lavoro procedeva normalmente.
In conclusione ritengo importante che venga utilizzato uno spazio diverso da quello
dell’aula, che i ragazzi possano vedersi e che ci sia una certa solennità, la quale permette
che scaturiscano le storie più corpose e più intime.
Franco: Secondo te cosa può dare questa solennità di cui parli?
Edda: Intanto il tono che si dà al lavoro. Io ho chiarito coi ragazzi che la narrazione non
comporta giudizi, ma è un momento in cui ci regaliamo delle storie che non conosciamo
normalmente. Ho cercato di far loro capire che è una cosa importante ed emozionante, è
un’apertura verso l’altro, è proprio un regalo che ci facciamo.
Quest’anno i ragazzi della nuova prima mi hanno chiesto: “Andiamo ancora a fare il
cerchio magico, perché noi non abbiamo mai fatto cose così libere?” Nonostante che fin
dalle elementari abbiano svolto attività varie, l’hanno sentita come un’attività dove si
potevano esprimere liberamente.
Una volta ho chiesto di raccontarmi come è nato secondo loro il mondo. All’inizio i
ragazzi hanno opposto una certa resistenza, affermando di sapere scientificamente come è
nato il mondo, poi sono scaturite venti storie incredibili di mitologie diverse con semi che
volavano, personificazioni, ecc. Quando ho chiesto loro dove era finito il big ben, mi
hanno risposto: “È venuta così!” Questa risposta vuol dire riconoscere la magia insita nel
cerchio e nell’atmosfera d’intimità che si crea raccontando.
Con l’ultima classe ho introdotto anche il rituale di una canzoncina, che abbiamo inventato
insieme e che cantiamo come intervallo tra una storia e l’altra per dare importanza alla
storia appena conclusa.
Pialisa: Anche per me il luogo migliore è l’aula magna perché non dobbiamo spostare
troppi oggetti e c’è già una luce non troppo forte che è adattissima.
Quando però è occupata ci dobbiamo spostare in squallidi laboratori spesso freddi, oppure
dobbiamo rimanere nell’aula dove spostiamo tutti i banchi alle pareti e formiamo un
cerchio con le sedie. Questo comporta una perdita di tempo, inoltre si sta molto stretti.
Fuori dalla porta mettiamo un cartello con scritto: “Vi preghiamo di non bussare” per
evitare interruzioni inopportune.
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Le cose essenziali sono: lo stare in cerchio seduti sulle sedie (ho sperimentato anche lo
stare per terra su cuscini portati da casa, ma non ha funzionato bene perché comporta
maggiore dispersione), una musica di ambiente in sottofondo, il semibuio.
Ho delle riserve sulle candele sia per problemi di sicurezza sia per il fatto che qualcuno
entrando potrebbe pensare che stiamo facendo riti magici (o messe nere come qualche
ragazzo ha suggerito). Per questi motivi non sempre usiamo le candele, però ultimamente è
successo che ho proposto ai ragazzi di provare ad addobbare un’aula sconosciuta e
nascosta come spazio per la narrazione ed essi hanno portato di tutto, ma soprattutto
candele di tutti i tipi, colorate e decorate, così le abbiamo disposte in cerchio ed il risultato
è stato bellissimo. Mi è piaciuta l’idea che fossero loro stessi ad organizzare lo spazio per
l’attività magica.
Franco: Nella nostra società sono ormai scomparsi i luoghi della narrazione orale. E anche
l’organizzazione delle nostre giornate raramente contempla possibilità collettive di
dedicare del tempo ad ascoltare racconti.
Uno dei motivi per cui risulta così difficile lavorare sulla narrazione nella scuola credo
riguardi proprio l’organizzazione del tempo. Per ascoltare con profondità bisogna darsi
tempo.
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Il rito e la magia
Quando siamo in cerchio sembra che facciamo
una seduta spiritica (Stefano, 9)
Io non avevo niente da raccontare, però ascoltando
la musica mi è venuta subito una storia (Matteo,9)
Mi piace il profumo dell'incenso, la musichina, i racconti… (Teresa, 8)
Franco: Una cosa mi incuriosisce da tempo: come mai tutte quante voi chiamate magica
l’attività narrativa?
Marina: Per me è un’attività che esula così tanto dalla quotidianità che deve avere
qualcosa di magico.
Nello spazio dell’aula, nel tempo dell’aula hai i bambini che fanno gli sciocchi per cui devi
alzare la voce, riprenderli, mentre nei momenti di narrazione ho la sensazione di una
magia: raramente è capitato di dover allontanare un bambino dal cerchio.
Franco: La parola, secondo te, nasce allora da vere e proprie magie relazionali che
accadono nel cerchio…
Pialisa: Magica anche nel senso di bella, di una cosa bella che ci concediamo.
Magica perché si vive un’atmosfera incredibile, che non si crea in nessun’altra attività e
che porta un po’ di umanità nella scuola. Tutti quanti i ragazzi vengono trascinati a parlare,
a dire delle cose anche molto private.
A volte mi chiedo come sia possibile che ragazzi, che hanno problemi con i compagni e
fino a poco tempo prima hanno litigato o sono stati derisi, parlino lo stesso.
Nel contesto della narrazione si crea uno spazio in cui non esiste la derisione e niente di
quello che viene detto è poi riportato fuori.
Edda: Io pensavo anche al concetto di raccontare, proprio delle favole. A me la narrazione
ricorda quando ero piccola, nelle stalle a Cognento, dove non c’era cinema, dove non c’era
niente e l’unica attività di divertimento era il ritrovarsi la sera al calore delle mucche per
raccontarsi delle storie.
Si chiamava andare alla veggia, termine che in modenese vuol dire fare veglia, vegliare
insieme e qui si raccontavano storie strane, che spesso spaventavano o che trattavano
argomenti proibiti (tabù).
Rammento la storia di una ragazza che stava andando in bicicletta da Modena a Cognento
e aveva davanti un camion dal quale si staccò una ruota, che continuò a correre finché non
investì la ragazza che poi morì.
Questo nella narrazione non era solo un incidente, ma diventava una cosa magica.
Oggi gli incidenti sono diversi e vengono comunicati come un elenco di azioni; sui giornali
leggiamo: “Questo usciva di lì, l’altro di là, uno non ha dato la precedenza, ….”, e tutto è
detto.
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Un tempo il fatto, raccontato nella stalla, si rivestiva di magia: la ragazza non era morta per
un incidente, ma per la seconda ruota del camion che andava da sola fino a quando non le
era saltata addosso: era la ruota del destino.
Franco: Ho la sensazione che nei cerchi narrativi noi ridiamo vita, attraverso un artificio,
ad una pratica che in molte regioni d’Italia c’era e che ora non c’è più. Mettendo le
candele, attenuando la luce, è come se ricreassimo una veggia, una stalla, ridando spazio ad
una atmosfera di calore e di magia che alcuni ancora covano nei loro ricordi d’infanzia.
Marina: Ricordo una volta nell’aula di psicomotricità, al buio, in silenzio, con le candele
accese… Bussarono alla porta: era la bidella con una circolare: sul suo viso lessi sorpresa,
curiosità, imbarazzo. Fu un attimo, poi rientrai nel cerchio interrotto e qualcuno divertito
disse: “E se arriva il direttore ?”
Loretta: Ci sediamo per terra nell’aula di psicomotricità, dove non ci sono sedie, quasi al
buio e usiamo come testimone (dono) una candela. Ogni bambino ha la sua candela spenta,
il primo che inizia a parlare l’accende e, quando finisce, accende la candela del compagno
che vuole raccontare e che perciò l’ha sistemata con la punta rivolta verso il centro (se non
ha nulla da dire tiene la punta della candela verso di sé).
Claudia: C’era una musica di sottofondo, tutto era stato oscurato e i ragazzi avevano
portato dei pacchettini per il dono. Uno in particolare aveva portato un pacco enorme in
una scatola da stivali e abbiamo dovuto metterlo nell’armadio perché non stava in nessun
posto.
Bruna: In seconda, siccome i bambini piccoli fanno fatica ad entrare in contatto con le
emozioni, ho affiancato l'attività del cerchio magico con attività di tipo sensoriale legate
alla natura. Avevamo scelto un albero nel parco vicino alla scuola e, una volta al mese,
andavamo a trovarlo. C'era un rito di saluto, l'osservazione dell'albero per qualche minuto
in silenzio, i disegni, contatto con l'albero anche attraverso esperienze sensoriali come:
toccare l'albero ad occhi chiusi, accarezzare le foglie, ascoltare i suoi messaggi
appoggiando l'orecchio alla corteccia, abbracciarlo, farsi sostenere, appendersi, annusarlo,
ascoltare in silenzio il suono dei piedi sulle foglie secche, ascoltare il suono delle fronde
mosse dal vento; seguiva l'invenzione di storie legate alla natura e alle stagioni.
Maria: Era una classe molto movimentata, bambini di prima che non si conoscevano. Noi
abbiamo lavorato subito sugli zaini: dato che arrivavano con questi zaini pesanti, abbiamo
pensato di farli mettere tutti al centro, poi ogni bambino riprendeva dal centro il proprio, si
metteva seduto e raccontava.
Qualsiasi cosa può diventare un momento rituale: anche il fatto di tirare lo zaino verso di
sé prendendolo dal mucchio comune.
Un’altra volta abbiamo fatto portare una tazza. I bambini chiedevano il motivo, ma noi non
lo dicevamo perché è importante creare l’aspettativa, il mistero. Al momento dell’attività li
abbiamo invitati a mettere le tazze al centro e, mentre raccontavano le storie, continuavano
a chiedersi il perché delle tazze.
Solo alla fine abbiamo dato dei biscotti e del tè che alcuni di loro non conoscevano.
Pialisa: In terza media non ho utilizzato rituali particolari perché li ho ritenuti troppo
infantili. C’era ugualmente sospensione e attesa perché i ragazzi temevano di non saper
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raccontare. È stato sufficiente portarli in un ambiente diverso, tutto predisposto, per creare
emozione.
Edda: Anch’io non ho utilizzato rituali, ma l’attività è stata magica ugualmente, c’era il
silenzio assoluto, non ho dovuto sgridare. Penso che in terza media un momento come
questo sia veramente un regalo.
Barbara: È importante creare uno stacco tra una storia e l’altra e far capire che il silenzio
deve esistere prima della parola.
È altrettanto importante far diventare magico ogni incontro, in modo che per i bambini sia
una cosa veramente nuova. Per creare mistero occorre preparare molto bene l’ambiente e
non dire mai prima cosa si andrà a fare.
Marina: Presento il canto di una tribù africana, in cui le parole non hanno per noi
significato. Il testo viene memorizzato e cantato in coro sottovoce con un ritmo ben
scandito e ripetitivo: zuva buda tiende – kamusha oa kamuna ama – zedu zose.
Il canto può essere accompagnato da una sequenza di movimenti delle gambe oppure, se
siamo seduti, con il busto. Mentre pronunciamo le parole ci teniamo per mano.
Il canto dà il via e conclude l’attività.
Franca: Per evitare il più possibile momenti di imbarazzo, utilizzo un elemento colorato
posto al centro del cerchio, che chiamo fuoco, su cui convergono gli sguardi dei presenti,
così chi parla non si sente osservato da tutti gli altri.
Franco: Se c’è un rito che protegge la narrazione e la alimenta, la custode del rito conta
moltissimo. Sappiamo molto bene che, se noi siamo stanchi, trasmettiamo stanchezza.
Forse, per proporre quei salti emotivi di cui avete parlato, dobbiamo davvero essere un po’
maghi…
Silvia: A volte succede che tra le persone riunite insieme si accenda la magia; allora ogni
parola, ogni sguardo, ogni gesto diventa importante, da non perdere, da ricordare.
Nel nostro cerchio magico siamo riusciti ad accendere la magia.
Barbara: Si crea un luogo dove tutte le cose esterne restano fuori e dentro è qualcosa di
diverso. Evidentemente vengono soddisfatti dei bisogni…
Bruna: La cosa più magica per i bambini è l’ascolto che un adulto presta loro, cosa che
avviene di rado nella scuola.
Elena: Per me la magia, al di là dell’atmosfera che ritengo comunque molto importante, è
avere uno spazio-tempo in cui poter far fluire liberamente i nostri sentimenti.
Nella vita di tutti i giorni ci vengono richiesti soprattutto fatti e poche sono le persone che
riescono a condividere i nostri sentimenti senza sentire il bisogno di offrirci suggerimenti o
darci saggi consigli.
Franco:. Momenti di ascolto tra due persone ci sono, sia tra bambini che tra adulti, mentre
è assai più raro che si crei un contesto collettivo capace di ascolto, perché per parlare in
gruppo è necessario che si stabilisca un patto, magari implicito, che sostenga l’ascolto
reciproco.
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Eliminato: Ciò che mette in
risalto Edda mi sembra
particolarmente importante
Mi piacerebbe ragionare sul rapporto che c’è tra sacralità e democrazia. La
narrazione è un’attività democratica, perché risponde al bisogno e al diritto che tutti hanno
di essere ascoltati. In particolare, in un luogo educativo come la scuola, l’ascolto dovrebbe
essere alla base di ogni attività. Ma nel dare corpo a questo diritto trovo che, nella vostra
esperienza, voi avete creato una certa sacralità, seppure laica. Nei vostri cerchi narrativi
valgono, infatti, delle regole speciali, non quotidiane, che è ciò che a mio avviso definisce
un luogo come sacro. Un luogo destinato a che vi accada ciò che altrove non può accadere.
In definitiva due concetti apparentemente lontani, come sacralità e democrazia, mi sembra
si intreccino nelle attività portate avanti dal vostro gruppo.
Va considerato, poi, che il cerchio narrativo è un po’ come una struttura vivente. È fragile
e il suo equilibrio è precario. Non c’è niente di automatico né un tracciato sempre uguale
da seguire. È una pratica che si deve nutrire, ma sempre con l’incertezza di non sapere
quello che succederà. È un po’ come quando pianti un seme: tu non sai mai se nascerà la
pianta.
Anche per questo penso sia tanto importante un certo suo aspetto rituale. È importante,
infatti, che il cerchio venga fatto tante volte, a scadenze regolari. Qualche volta riesce
bene, qualche volta no.
A differenza di altre esperienze conoscitive, dove si progredisce man mano, nel cerchio
narrativo ogni volta si ricomincia da capo...
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Patti per narrare
Un giorno un bambino mi ha detto: “Non so se te lo posso dire”
Io gli ho risposto di stare tranquillo, perché nessuno avrebbe
riferito quanto ascoltato: la complicità è protetta dal cerchio.
(Barbara Castagnetti)
Franco: Mi piacerebbe cercare di ricostruire quali sono le principali regole che vi sono
apparse efficaci e come le avete date.
Edda: La prima volta ho assegnato come tema “La porta” e ho detto che si trattava di
raccogliere i ricordi del nostro vissuto; ho aggiunto che sarebbe stato un momento serio,
che avrebbe potuto portare ad emozionarsi e a ridere. Per questo ho messo la regola che, se
a qualcuno veniva troppo da ridere, poteva uscire per non disturbare il lavoro dei
compagni. In conclusione chi non riusciva a stare nel cerchio doveva allontanarsi piuttosto
che impedire agli altri di svolgere l’attività.
Direi che in due anni di narrazione solo un pomeriggio è capitato che un ragazzo non
riuscisse a stare fermo, fosse molto nervoso, continuasse a dare gomitate rovinando
l’atmosfera. Così con garbo, con un modo diverso da quello che uso in classe, gli ho
chiesto di uscire e di rientrare dopo dieci minuti. Così è stato; quando è rientrato ha trovato
l’atmosfera già calda dei racconti e non c’era più spazio per ridere.
Quando si raccontano storie i ragazzi si emozionano e di conseguenza si crea un’atmosfera
particolare. Basta anche il normale racconto di una bimba, che è andata a sciare e che
rivive le impressioni del panorama tutto bianco, che le è rimasto negli occhi, o l’ebbrezza
della discesa, perché l’aria si carichi di emozioni.
I primi tempi, prima di ogni incontro, ricordavo le regole, in seguito non ce n’è stato più
bisogno. Se qualcuno aveva proprio bisogno di uscire dal cerchio (l’attività si svolgeva le
ultime due ore del pomeriggio), lo faceva, poi rientrava in silenzio.
Bruna: Dentro al pacco, spedito dal Mago della narrazione, c’era anche un rotolino con le
regole del cerchio magico, che la prima volta sono state lette ad alta voce.
Nel tempo non è stato necessario rileggerle. Qualche volta, alla fine dell’attività, chiedevo
ai bambini se, secondo loro, i patti stabiliti all’inizio erano stati rispettati ed erano proprio i
bambini a rimarcare se qualcuno non lo aveva fatto.
Quindi più che rinfrescare le regole prima dell’attività, due o tre volte in due anni ne ho
parlato alla fine.
Pialisa: Io le regole le do quando siamo già in situazione.
La prima volta informo che faremo un’attività magica, qualcosa di misterioso, ma non
spiego niente e solo quando entriamo nello spazio organizzato, comincio a dirle.
Il buio della stanza, la musica di sottofondo, il modo in cui parlo (a voce molto bassa)
creano un’atmosfera che permette di vivere le regole non come imposizione, ma come un
aiuto per condividere questo gioco molto bello.
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Franco: Tu, come insegnante, hai cambiato la tua maschera, il tuo personaggio, e hai usato
un tono di voce e un modo che non è quello abituale.
Pialisa: Sì, è vero, anche se rimango sempre l’insegnante a cui spetta la tutela delle leggi.
Infatti abbiamo stabilito anche la regola che, se qualcuno impedisce agli altri di fare
l’attività, viene allontanato dal cerchio; per fortuna questo è successo molto raramente.
Un problema invece è stato quello del ridere o meglio quello del distinguere tra ridere e
deridere, dato che un altro patto impone di non prendere in giro i racconti dei compagni e
di non dare giudizi.
Talvolta occorre riprendere le regole, soprattutto quelle che riguardano l’ascolto poiché
alcuni ragazzi sono ascoltati con maggior attenzione di altri.
Antonella: Noi le regole le abbiamo date in modo abbastanza semplice la prima volta.
Eravamo in seconda elementare ed allora è capitato di doverle riprendere qualche volta, ma
non tantissimo.
Ricordo che una volta è bastato dire ad un bambino: “Adesso tu ti giri con la schiena al
cerchio per qualche minuto, perché non stai partecipando” e la cosa è rientrata in modo del
tutto naturale.
Io credo effettivamente che si crei un contesto tale per cui non occorre ritornare spesso su
quanto stabilito inizialmente.
L’anno scorso, quando abbiamo ripreso l’attività, abbiamo richiamato le regole
raccontando la storia della dea delle fiabe, nella quale si narra di un re che non sa ascoltare
le fiabe fino in fondo e per questo viene punito dalla dea fino a quando non capisce che
bisogna seguirle dall’inizio alla fine.
Loretta: La prima volta ho notato ragazzi che si muovevano, parlavano, altri che non
riuscivano a trattenersi dal chiedere spiegazioni al compagno o dall’intervenire.
Durante gli incontri successivi erano più contenti, più controllati e addirittura si
prenotavano dicendo che avevano tante storie da raccontare…
Raffaela: Io ho raccontato in classe quello che avevo intenzione di fare e ho detto che per
me era molto importante per cui chiedevo un certo comportamento. È vero che
normalmente non ho molti problemi per cui non ci sono state differenze sostanziali.
Ho notato invece che la solennità del lavoro è stata colta ed esternata attraverso un
atteggiamento di interesse da parte dei ragazzi.
La prima volta ho spiegato come si doveva fare: abbiamo portato le candele, ci siamo
messi in cerchio, poi ho iniziato io raccontando qualcosa di mio, di strettamente personale
e questo li ha colpiti molto. Ho detto anche che doveva parlare chi si sentiva perché non
era una costrizione.
Una cosa significativa è il silenzio che si crea tra una narrazione e l’altra: a volte dura
qualche minuto ed io non lo interrompo.
Quando mi sembra opportuno riprendere qualcuna delle regole lo faccio alla fine
dell’attività, dopo essere ritornati in classe.
Barbara: Io con i bambini ho fatto fatica ad ottenere il silenzio tra un racconto e l’altro,
perché spesso di fronte alle emozioni reagiscono proprio facendo rumore.
Quando qualcuno racconta, gli altri ascoltano, però la regola per cui è bene lasciare del
tempo affinché la storia entri prima che ne arrivi un’altra, è difficilmente rispettata.
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Bruna: A volte bisogna ricorrere a qualche artificio sia per avere silenzio nei momenti di
pausa, sia per evitare che parlino contemporaneamente. Noi abbiamo usato il piattino, che
ha un suono lungo, così aspettiamo almeno la fine di questo suono.
Marina: Probabilmente alcuni elementi materiali possono aiutare i bambini. Anche noi
abbiamo utilizzato i piattini oppure il bastone della pioggia, qualcosa di tangibile, che
permetta di percepire veramente il momento dello stacco.
Noi adulti abbiamo la capacità di rispettare il silenzio che permette alla storia di passare, il
bambino forse ha una necessità quasi fisica di sentire scorrere il tempo: mentre la ghiaia
corre dentro il bastone, passa il tempo necessario perché la storia entri dentro.
Pialisa: Io non sono d’accordo che i ragazzi parlino dei temi trattati nell’attività magica al
di fuori in altro contesto. Solo nel caso in cui qualcuno proprio non abbia capito ciò che è
stato detto, do uno spazio per i chiarimenti alla fine o addirittura fuori dall’ambiente, una
volta usciti dall’atmosfera.
Temo che dare la possibilità di esprimere opinioni scateni una serie di commenti tali da
limitare la libertà di espressione per paura delle critiche. Ritengo quindi opportuno
chiudere il discorso con la fine del laboratorio.
Raffaela: Se c’è qualcosa da discutere, io preferisco parlarne dopo essere rientrati in
classe. Ricordo che una volta, di fronte al fatto che alcuni non erano intervenuti, anziché
chiedere loro spiegazioni, ho scelto di discutere con tutta la classe sul significato del
partecipare, del mettersi in gioco.
Franca: Il far sì che tutti parlino è un obiettivo a lunga scadenza che si pone l’insegnante,
non una regola da esplicitare ai bambini.
Maria: Ricordo che quando ero piccola una maestra pretendeva che noi bimbi andassimo
davanti alla lavagna e leggessimo forte e a testa alta delle frasi che lei scriveva. Io avevo
paura di quel momento, facevo fatica anche se mi ero esercitata a casa a ripetere ad alta
voce la frase. Quando penso ai bambini che non parlano, immagino che possano avere
paura come avevo io da piccola.
Antonella: Una bambina non era mai intervenuta, poi col sistema del testimone, che
veniva rilanciato dai bimbi, ha cominciato a parlare e, quando si è sbloccata, ha voluto
raccontare due volte. Qualcuno ha obiettato che la regola stabilisce una volta sola, ma un
compagno ha risposto: “Guarda che non aveva mai raccontato !”
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Le regole del cerchio magico
Il mago raccomanda di…
a) ascoltare con attenzione i compagni
b) evitare qualsiasi forma di giudizio
c) non intervenire quando un compagno parla
d) non fare domande
e) narrare esperienze vere
f) lasciare un tempo di silenzio tra un racconto e l'altro
(scuola elementare “G. Rodari” – classe prima)
Dalla pergamena di Tusitala, il narratore di storie
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Ognuno è libero di raccontare o di non raccontare una storia.
Ogni storia deve essere vera cioè realmente vissuta da chi la racconta.
Ognuno dovrà aspettare il proprio turno cioè che un compagno accenda la sua
candela.
Nessuno potrà dare giudizi o fare commenti sulle storie raccontate che dovranno
essere accolte come un dono così come sono.
Mentre qualcuno sta raccontando, gli altri dovranno ascoltare in silenzio, non
potranno parlare né fare domande per chiedere chiarimenti (lo potrà fare una volta
sciolto il cerchio magico).
I racconti di ognuno non dovranno essere troppo lunghi per permettere così a tutti
gli altri di offrire il proprio dono.
Se qualcuno creerà disturbo al cerchio, verrà spenta la sua candela e uscirà dal
cerchio stesso.
(scuola elementare “G.Rodari” – classe quinta)
La storia che ognuno di noi racconta è un dono e
come tale va accolta, quindi:
1) nessuno è obbligato a parlare
2) ognuno interviene quando pensa che sia il suo momento
3) non si può interrompere chi sta parlando
4) non si fanno domande, né commenti; un dono non può essere giudicato
5) si racconta qualcosa di vero
6) non si esce dal cerchio se non per seri motivi
(scuola elementare “C.Menotti” – classe terza)
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I segreti del narrare
"Cari bambini e care bambine,
vi voglio regalare qualche segreto per narrare….. sono sicuro che narrandovi storie, se
sarete bravi, riuscirete a creare il
CERCHIO MAGICO!
Rispettate le regole che ora vi dirò e il vostro cerchio sarà un bellissimo cerchio magico!
Ecco dunque i miei segreti…
Quando il narratore racconta tutti devono tacere, nessuno lo può interrompere con
domande, nessuno deve fare rumori!
Nel cerchio, in quel momento, regna la voce del narratore, regnano le sue parole, la sua
emozione, la sua storia che, se il narratore riesce ad incantare, diventano le parole, le
emozioni, la storia di tutti.
Chi narra deve narrare storie vere o storie che ha sentito raccontare. È importante
credere in ciò che si narra. Solo così chi ascolta potrà ascoltare con passione.
E poi… il silenzio e la calma: non raccontate storie in fretta, concedetevi delle pause,
usate la voce piano, forte, veloce, lenta… Colorate la vostra voce!
Lasciate un silenzio tra una storia e un'altra. Lasciate il silenzio perché tutti possano
gustare la storia appena sentita, farla entrare nel cuore e prepararsi a lasciare il posto per
una nuova storia che deve entrare….
Bambini e bambine, io vi ho regalato i miei segreti più importanti, ora tocca a voi.
A narrare si impara… e … che il cerchio cominci!
Buona narrazione, il vostro amico narratore
(Scuola elementare S.G.Bosco” – classi terze)
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capitolo due
L’ARTE DELLA NARRAZIONE
Io, nel cerchio magico, facevo correre libera la lingua, diceva lei ciò
che voleva. Raccontavo le mie paure, le mie emozioni. Nel cerchio magico
hai tempo per far sciogliere il ghiaccio che tiene ferma la lingua
e parlare, raccontare, descrivere… (Melania, 10)
26
Come sciogliere il ghiaccio
…Vorrei tanto rincominciare l’attività perché mi piaceva
sentire i profumi, il tappeto e cantare la canzone…
(Martina, 9)
Mi piace quando le maestre usano la voce mentre
raccontano la storia di Ulisse. Sono belle voci. (Matteo,10)
Franco: Nella tradizione orale la narrazione è anonima. Chi racconta narra di cose che
sono avvenute in un tempo precedente e di cui non conosce l’origine.
E’ interessante notare che il vostro gruppo, per costruire un contesto narrativo, ha avuto
bisogno di far riferimento a qualcuno che abita lontano nel tempo e nello spazio. Era
questo personaggio misterioso il depositario delle regole del gioco. In questo modo voi
insegnanti, nel proporre una attività insolita, vi siete appoggiate ad una autorità nascosta,
che veniva da lontano…
Loretta: Per introdurre l’attività volevo tirarmi fuori dalla situazione, allora una mattina
ho fatto arrivare un pacco dentro il quale c’erano una cassetta con incisa la storia di
Tusitala (soprannome dato dai polinesiani all’autore de “L’isola del tesoro”), un
mappamondo con una croce sull’isola di Samoa, una specie di pergamena bruciacchiata
con le regole, una cassetta con un canto e delle musiche lente per il sottofondo, le parole
delle canzoni e i passi della danza. In questo modo nel pacco c’erano tutte le istruzioni che
noi insegnanti potevamo seguire pedissequamente e si era creata una situazione di magia.
Anche noi abbiamo chiamato l’attività il cerchio magico.
Subito i ragazzi volevano riconoscere la persona a cui apparteneva la voce registrata, poi
hanno ascoltato le istruzioni e l’entusiasmo era generale.
Ogni giovedì (dato che l’attività si svolgeva il venerdì) arrivava un nuovo pacco che
conteneva l’argomento del cerchio magico con alcune istruzioni.
Dopo la prima esperienza due bambine hanno detto che è stata bellissima, rilassante. Altre
due hanno aggiunto: “Io non avevo niente da raccontare, però ascoltando la musica mi è
venuta subito una storia.” Solo un bambino non ha raccontato.
Bruna: Durante l'anno precedente avevo svolto l'attività con una classe quinta e non
sapevo come avrebbero reagito dei bambini di prima. Sentivo che dovevo creare un alone
di mistero e di magia intorno al cerchio della narrazione, inoltre volevo condividere la
paternità di questo evento con qualcuno esterno all'esperienza scolastica.
Fu così che contattai un amico con una bella voce profonda da mago e gli feci registrare su
cassetta il messaggio da inserire nel pacco.
Oltre alla cassetta con la voce del mago misi nel pacco anche altre due cassette di musiche
magiche, che avevo preparato assemblando brani di vario genere, ma che avevano in
comune una certa atmosfera di intimità. C'erano inoltre le candeline nel vassoio e il rotolo
con le regole.
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A distanza di tre anni, i bambini ricordano spesso il messaggio del mago e chiedono a volte
di risentirlo. E ogni volta che entra in classe una persona di sesso maschile che non
conoscono chiedono con insistenza: “Ma… è il mago?”
Franco: L’idea che esista un luogo da cui arriva la proposta di raccontarsi delle storie è
molto interessante, così come l’invenzione di un cantastorie, perché è come se si creasse
una storia delle storie, un tessuto, una struttura narrativa dentro la quale collocare la storie
dei bambini e dei ragazzi. In tante collezioni di storie, sia tradizionali che letterarie,
avviene questo: dal Decameron alle Mille e una notte.
Marina: Nella classe terza abbiamo scelto di seguire, come filo conduttore per le nostre
narrazioni, il libro di R. Piumini “Il re dei viaggi: Ulisse” ed abbiamo cercato alcuni
capitoli che potessero offrire spunti per belle storie.
La mia collega ed io, prima di lavorare con i bambini, leggevamo il testo cercando di
coglierne le immagini più forti, che poi raccontavamo nel cerchio.
Lì nella penombra, attraverso la nostra voce, il re dei viaggi raccontava le sue avventure.
La partenza da Itaca, Polifemo, Eolo… diventavano di volta in volta storie di bugie, di
occhi e di venti …
Ad ogni incontro i bambini ritrovavano una guida, qualcuno di conosciuto che avrebbe
suggerito loro l’argomento. Poi andavano a ripescare nella memoria personale e
consegnavano la loro storia al gruppo e a Ulisse.
Federica: Noi abbiamo deciso di partire da un testo-stimolo da cui estrapolare delle storie.
Il libro, che si intitola “Una notte racconta”, era stato scelto per un’attività che i bambini
svolgevano con un’esperta di teatro, così pensammo di utilizzarlo come spunto per il
cerchio magico.
Il libro racconta le vicende di un cocchiere di Damasco, che ha ereditato dal nonno la
capacità di raccontare storie e di incantare gli uomini. Una notte gli appare in sogno la fata
custode della sua parola, la quale gli annuncia che è diventata troppo vecchia e di
conseguenza da quel momento non potrà più aiutarlo a cercare le parole che rendono
affascinanti i suoi racconti. Aggiunge che gli rimangono solo ventun parole per
comunicare agli amici quanto gli sta accadendo e che potrà riacquistare la voce se i suoi
sette amici gli faranno un dono, ma non precisa quale.
Così gli amici tenteranno a turno di trovare il mezzo idoneo per raggiungere lo scopo fino a
quando l’ultimo proporrà ad ognuno di donare il racconto di una storia.
Questi sette esperimenti sono diventati i sette argomenti per il laboratorio di narrazione.
Uno di essi, per esempio, consiste nel far prendere al cocchiere senza voce un grosso
spavento così abbiamo raccontato in cerchio storie sulla paura.
Un altro amico propone di fargli sentire sette profumi diversi e noi abbiamo fatto annusare
ai bambini sette profumi (aceto, spezie, alcool, rosmarino, lavanda, ecc.) poi abbiamo
chiesto loro di raccontare la storia di un’esperienza vissuta legata ad un odore (puzza o
profumo).
Un altro ancora suggerisce di fargli assaggiare sette vini diversi; noi abbiamo portato in
classe sette brocche contenenti bevande differenti (latte, coca cola, acqua, tè, ecc.) e i
bimbi dovevano sceglierne una a caso da cui bere prima di sedersi in cerchio e raccontare
le loro esperienze.
Il fatto che i bambini dovessero entrare uno alla volta in una stanza precedentemente
preparata senza sapere cosa avrebbero trovato, ha creato un’atmosfera di attesa e di
curiosità che ha caricato i ragazzi, quindi il cerchio ha funzionato molto bene.
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Cinzia: Quest’anno, per la prima volta, ho sperimentato con bambini di seconda
elementare un progetto di psicomotricità e narrazione che trovo, per bimbi piccoli, un
abbinamento particolarmente interessante in quanto permette loro di esprimersi con diverse
modalità e di alternare momenti di corporeità a momenti di rilassamento, concentrazione,
narrazione.
Maria: Alcuni anni fa ho lavorato con bambini di una seconda elementare, che erano un
po’ indietro ed avevano difficoltà nello scrivere ed anche nell’esprimersi. Ho portato in
classe dei fogli da pacco, li ho appoggiati per terra con un pennarello di fianco e ho
proposto di disegnare una storia su un argomento dato. A volte sullo stesso foglio
disegnavano due bambini, uno da una parte e uno dall’altra.
È emerso che i bambini, dopo aver disegnato, provavano anche il desiderio di raccontare
ciò che avevano rappresentato. Alla fine del laboratorio c’era un tappeto di racconti.
Avevo messo un tamburello da una parte e ogni volta che qualcuno voleva raccontare la
propria storia, batteva un colpo, poi ognuno scriveva il riassunto e metteva un titolo. Chi
scriveva bene aiutava quelli che non sapevano farlo.
Alla fine spontaneamente le storie si sono mescolate. Il risultato è stato che tutti hanno
raccontato qualcosa: il disegno stimola il racconto.
Antonella: Due anni fa avevamo deciso di partire da stimoli di tipo sensoriale e ricordo in
particolare quella volta in cui ho proposto ai bambini di lavorare con la creta.
Avevo preparato lo spazio in penombra e, quando i bambini entravano, si sedevano in
cerchio e ciascuno trovava davanti a sé una bacinella avvolta in un sacchetto di plastica
scuro. Li invitavo a praticare due fori nel sacchetto per introdurre le mani e scoprire cosa
c’era dentro, usando solo il tatto.
Mentre cominciavano a manipolare la creta raccontavo poi di Michelangelo e della sua
abitudine a stare di fronte al materiale che aveva scelto, per ascoltarlo. Michelangelo
sosteneva che l’artista non può far altro che tirare fuori dal materiale ciò che è già dentro di
esso. Perciò anche i bambini erano invitati a chiedere alla creta che cosa volesse diventare:
solo così avrebbero potuto aiutarla. Dopo aver dato una forma senza vedere, potevano
estrarre il pezzo di creta e apportare qualche piccolissima modifica. Infine ciascuno
mostrava la sua opera al gruppo dicendo: “La mia creta ha voluto diventare… perché…”
In seguito chi voleva poteva narrare una storia di terra, di fango…
Marina: Eravamo in quarta. Nell’aula di psicomotricità propongo un gioco: alcuni
bambini si sistemano carponi vicini vicini, spalla e fianchi sono a contatto, le schiene
formano quasi un piano unico. Un compagno adagio si stende sopra a questo strano
materasso, trova una posizione. Intanto gli altri, cercando di coordinare i movimenti,
cominciano a dondolare molto lentamente, senza strappi o sussulti, senza parole.
Il bambino disteso si lascia andare, si rilassa sul letto d’acqua. Tutti si alternano nei ruoli di
materasso e di dormiente.
Alla fine ognuno racconta la storia di ….. “Quella volta mi sono sentito coccolato”.
Barbara: Ho lasciato liberi i bambini di raccontare una storia senza dare alcun titolo.
Mentre erano sdraiati sulla loro coperta, possibilmente ad occhi chiusi, ho proposto un
brano musicale che riproduceva suoni di natura (uccellini, vento, ruscello,…..).
Terminato l'ascolto, ognuno ha raccontato la storia pensata (vera o di fantasia ).
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Franco: Alcuni hanno fornito dei suggerimenti o sono partiti da un racconto-pretesto come
l’Odissea. Questo è interessante perché nel narrare di sé una delle possibilità che abbiamo
è che emerga una visione epica della propria esperienza.
Le vicende vissute dai ragazzi; infatti, possono essere narrate come viaggi pieni di mostri
ed ostacoli da superare, al pari di molte vicende vissute da Ulisse. In ciascuna vita
avvengono cose memorabili. Sta a noi ripescarle e dargli valore. Questo aiuta a dare nomi
e forme alle nostre esperienze e alle nostre emozioni, costruendo metafore.
Nelle vostre classi, per dare valore al momento della narrazione, non avete esitato a
ricorrere a diversi espedienti, come la creazione di personaggi esterni a cui facevate
riferimento. È stata questa metafora, questo contesto straordinario che ha aiutato a creare
curiosità e aspettative nei bambini.
E per alcune di voi, probabilmente, questi stratagemmi hanno avuto anche lo scopo di darvi
maggiore sicurezza e superare una certa paura del vuoto.
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Alla notte dormi o continui?
corrispondenze con il mago
CARI BAMBINI,
io sono il MAGO DELLA NARRAZIONE.
Essendo un mago, posso sentire le storie che vengono raccontate da tutti i bambini del
mondo che formano il CERCHIO MAGICO…
Vi chiederete: cos’è il cerchio magico?
Sono delle persone in cerchio che, a turno, regalano agli altri una loro storia.
Io vi ho mandato questo pacco perché vorrei che anche voi, della classe prima C,
incominciaste questa attività con le vostre insegnanti. Così potrò sentire anche i vostri
racconti.
Vi chiederete: ma cosa dovremo raccontare?
Bene. Ogni volta che farete il cerchio magico vi arriverà una lettera con su scritto
l’argomento dei vostri racconti…
Vorrei tanto che incominciaste questa attività il prossimo venerdì, perché sono molto
curioso di sentire le vostre storie…
E ora vi spiego come si svolgerà il lavoro: avete visto le candeline che vi ho mandato?
Ognuno di voi ne prenderà una, accesa naturalmente, e quando sarà pronto per
raccontare, la porterà al centro del cerchio, dentro al vassoio.
La vostra insegnante, credo che si chiami…Bruna… sì… dovrà accendere delle luci
colorate e dovrà farvi ascoltare la musica magica che vi ho mandato… Vedrete, quella
musica vi aiuterà a ricordare tutte le storie della vostra vita!
Bene, credo di avervi spiegato tutto…
Ah, non dimenticate di leggere le regole che vi ho mandato! Se seguirete queste regole
vi usciranno le storie più belle che abbiate mai raccontato…
OK, ora vi saluto perché ho altri pacchi da preparare…
CIAO A TUTTI E…A VENERDI?
(Scuola elementare “Rodari” – classe prima)
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Caro mago della narrazione….
…Ce l’hai una mamma? Fai fatica a mandare le lettere in tutto il Mondo?
Alla notte dormi o continui? (Sara, 8)
…A me piaceva l’attività perché mi faceva venire dei ricordi belli e
perché mi piaceva sentire i racconti dei miei compagni. (Francesca, 8)
…La cosa che mi piaceva di più era raccontare, così tutti sanno le cose
degli altri senza aver paura di dirlo o vergogna…
(Christian, 8)
…A me piaceva la narrazione perché potevo sapere qualcosa del passato
dei miei amici. Ti vorrei fare una domanda: cosa ti ha ispirato a fare il
mago della narrazione? (Alexandra, 8)
…Mi piacerebbe che ci fosse un cambiamento: vorrei fare l’attività di
narrazione tutti i giorni e non smettere mai!!! (Daria, 8)
…Caro mago, io sono E. , a me piaceva l’attività del cerchio magico
perché ognuno raccontava le proprie emozioni o le proprie paure, e a me
piacerebbe ricominciarla… (Elia, 8)
…Caro mago come ti chiami? Chi sei veramente? Io credo che tu sei il
Direttore… (Enxhi, 9)
…Mi piaceva l'attività del cerchio magico perché mi metteva allegria
quando i miei compagni dicevano delle cose belle… (Francesco, 8)
…A me piace molto narrazione perché mi piaceva raccontare quando ci
sentivamo soli, oppure quando la maestra aveva raccontato che era
caduta dalla bicicletta… (Giada, 8)
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I temi e le storie
La narrazione è stata una grande esperienza: ci sono state
le storie che hanno fatto venire le lacrime agli occhi
e quelle che hanno fatto ridere tutti (Matteo, 9)
La narrazione è libertà di raccontare quello che si vuole.
(Giuseppe, 10)
Franco: Se la nostra memoria la paragoniamo alla terra, dove si sedimentano le
esperienze, la proposta di un tema ha la funzione dell’aratro, che è lo strumento che
permette di scoprire ciò che prima era celato, fendendo la terra e rendendola fertile.
Quando viene dato un argomento si mette in moto un processo in cui noi cerchiamo di
rintracciare dove sono riposti i nostri ricordi legati a quell’argomento. Quasi sempre,
all’inizio, si pensa di non avere nulla da raccontare. Poi, scavando, si trova sempre
qualcosa.
L’argomento proposto è ciò che ti guida nel cammino. E’ una bussola che orienta la
navigazione verso il tuo mondo interno, verso il tuo corpo-memoria. A volte l’argomento è
solo un pretesto per tirare fuori qualcosa di cui si ha necessità e urgenza di parlare, facendo
emergere ciò che più ci sta a cuore e magari non avremmo mai pensato di poter raccontare.
Nora Giacobini, che per me è stata un grande maestra di narrazione, diceva che le storie
arrivano da sole, che tu non puoi mai decidere quando raccontare una storia. È lei che a un
certo punto ti chiama.
Nella vostra esperienza, quali sono stati i temi che sono risultati più stimolanti e
significativi?
Antonella: Il tema che mi viene in mente è quello della morte, che chiaramente non avevo
proposto in maniera diretta ma che avevo fatto emergere lavorando con le foglie secche.
Prima avevo svolto all’esterno delle attività con le foglie, giocando, osservando, invitando
ognuno a scegliere la propria foglia, poi avevo lanciato una frase che i bambini dovevano
terminare: “Se fossi una foglia che sta per lasciare il suo albero, cosa farei o cosa direi
come ultima cosa?”
Quello che mi ha colpito di più nelle storie è stata forse la contraddizione rispetto alle mie
aspettative: di fronte ad un tema, anche per me tabù, ho avuto delle risposte rasserenanti,
molto più tranquille rispetto a quello che si potrebbe pensare. Ad esempio: “Mi specchierei
per vedere cosa sono diventato” oppure “Abbraccerei il mio albero e lo ringrazierei di
avermi nutrito”.
Più che dei racconti avevano pronunciato delle frasi, ma non per questo erano meno
significative e nessuna mi ha fatto pensare che i bambini vivessero con angoscia questo
momento di distacco: c’era sempre comunque un cercare qualcosa da dire o da fare per
concludere bene una vita bella, trascorsa attaccata all’albero.
Ne è uscita una visione della morte meno tabù di quella che avevo io.
Barbara: I temi che mi hanno maggiormente colpito sono stati quello del silenzio e quello
della porta, perché entrambi hanno permesso di andare molto in profondità. Certamente
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non è stato così per tutti i bambini con cui ho lavorato, ma sono legate a questi due temi le
storie più profonde che ricordo.
Sul tema del silenzio mi ha molto colpito il fatto che la maggioranza di storie raccontate
erano legate al silenzio come fatto negativo: impossibilità di parlare, morte, paura,
malattia, noia, solitudine. Pochi bambini hanno raccontato storie positive legate al silenzio.
Per questo immagino che il rapporto con il silenzio di adulti e bambini sia a volte
difficoltoso.
Bruna: Ricordo il tema del distacco, dell’abbandono, che ho affrontato sia in una quinta
elementare che in una seconda, perché sono sempre scaturiti dei racconti molto sentiti sulla
paura dell’abbandono e della perdita.
In seconda lavoravamo su Hansel e Gretel ed è noto che i bambini della fiaba vengono
ripetutamente abbandonati, per di più con l'inganno, e questo è un tema molto forte..
La lettera del mago proponeva questo input: "Quella volta mi sono sentito abbandonato/a".
Molti hanno chiesto di raccontare più di una volta ed hanno narrato di quando si erano
persi in spiaggia o al supermercato… Quasi tutti hanno avuto paura di non ritrovare mai
più i genitori e qualcuno ha creduto che i genitori l'avessero fatto apposta.
Allo stesso modo ha funzionato il tema dell'inganno: "Una volta mi sono sentito
ingannato/a" Anche in questo caso quasi tutti hanno parlato del rapporto coi genitori,
soprattutto di quando erano più piccoli, quando i genitori se ne andavano di nascosto, ad
esempio dopo averli portati all'asilo o dai nonni.
Il tema dell'abbandono e dell'inganno, anche se li ho proposti separatamente, sono stati
entrambi affrontati dai bambini in riferimento al rapporto con la famiglia.
In una quinta invece ho proposto il tema del distacco. Ricordo che, prima di iniziare, avevo
parlato di situazioni di distacco da luoghi, animali, oggetti o persone. Non pensavo uscisse
l'argomento morte, o forse speravo non uscisse… Invece, verso la fine, un bambino che
non aveva voluto raccontare, si è lasciato andare ad uno sfogo: tra lacrime e singhiozzi ha
raccontato della morte dei nonni e del gatto. Subito è scattata la solidarietà e la
condivisione del dolore da parte dei compagni che hanno lasciato andare altri racconti
simili. Ricordo lo sguardo di una bambina con problemi di mutismo elettivo (comunicava
soltanto con bigliettini), che mi venne vicino con gli occhi sgranati e mi passò un biglietto
piegato in quattro. C'era scritto: mio cugino di Carpi è morto a 17 anni in vespa.
Pialisa: L’argomento della porta è andato benissimo. È stato inteso sia come porta reale sia
come porta metaforica, quindi i ragazzi hanno parlato delle difficoltà, degli ostacoli
incontrati nella loro vita. Ho assegnato l’argomento, ho lasciato un minuto per pensare,
durante il quale mi hanno chiesto se potevano intendere la porta anche in senso metaforico,
poi sono usciti dei racconti molto belli.
Anche il tema, “Una volta che mi sono sentita protetto/o”, che è stato affrontato con varie
classi, ha sempre prodotto storie molto forti. Da qualcuno è stato anche interpretato come
la volta in cui non mi sono sentito protetto.
Edda: Anche nella mia esperienza il tema della porta è stato uno dei più riusciti che
abbiamo trattato, perché ha fatto emergere storie originali e molto sentite.
L’introduzione al tema ha riproposto un modello che avevamo già provato nel corso
d’aggiornamento per insegnanti. Abbiamo disegnato una porta-simbolo su un foglio di
carta bianca, poi l’abbiamo posto al centro del cerchio magico, quindi io ho strappato a
metà il foglio con uno schiocco e ho detto ai ragazzi: “Immaginiamo che questa sia una
porta che sbatte: che cosa ci riporta alla mente ?”
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Ci siamo seduti in cerchio, quindi Marcello ha raccontato di quella volta che aveva preso
insufficiente a scuola e sua madre ha cominciato a sbattere le porte perché non sapeva
come sfogarsi e lui aveva paura e non aveva mai visto sua madre così.
Un altro ragazzo ha raccontato dei denti da latte: per toglierli in casa sua si usava legare il
dente con una cordicella che finiva alla maniglia di una porta: il padre sbatteva la porta e il
dente saltava via. Altri ragazzi hanno descritto situazioni analoghe e qualcuno ha
completato il racconto col dente che veniva messo sotto al cuscino e al mattino si
trasformava in soldino. Ci sono poi state storie di incidenti collegati ad una porta che
sbatte: nasi, caviglie, dita schiacciate, per poi finire sulla porta chiusa, che ha portato storie
di punizioni, di liti con i fratelli o con i genitori, in ogni caso simbolo di rottura, di un
momento emozionante o significativo.
Barbara: Un altro tema che mi è piaciuto molto riguarda la parola sogno. Tanti bambini
hanno raccontato storie interessanti, ma in particolare ricordo quelle di Glorian e di Nicola.
Glorian viene dalle Filippine e non aveva mai parlato. Quando arrivò il suo turno, le chiesi
se voleva narrare la sua storia. Lei si avvicinò e mi disse in un orecchio: ”Io ho un
sogno….. di tornare nelle Filippine”. Rimasi colpita dall’intensità di quel brevissimo
racconto che racchiudeva in poche parole tanto della sua vita e Glorian, non appena ebbe
finito di parlare, scoppiò a piangere.
Anche la storia del bambino che non riusciva a sognare mi colpì molto e ancora adesso a
volte la racconto per introdurre la parola “Sogno”.
Nicola raccontò che una volta c’era un bambino che non aveva sogni e non riusciva a
sognare. Era la notte di Natale e questo bambino decise di non chiedere nessun regalo ma
solo di potere sognare: l'unico regalo che voleva era poter sognare.
Ad un certo punto, mentre era a letto, sentì dei rumori. Allora si alzò, andò in sala, vide un
signore e gli disse: "Ma… sai, io ho chiesto… non volevo dei regali…. volevo poter
sognare" E il signore gli rispose: "Stai tranquillo, vai a letto, vai a letto"… E da quel
momento lì, lui chiuse gli occhi e cominciò a sognare! Da quel giorno sognò tutte le notti e
sognò anche a occhi aperti.
Pialisa: Anche “Denti”, che apparentemente può sembrare banale, ha portato a racconti
interessanti. Ricordo quello di una ragazza che ha narrato la sua sofferenza per
l’apparecchio con parole così coinvolgenti che uno non può immaginare: per lei era
veramente una cosa terribile! Quel giorno scoprimmo una parte di lei che non
conoscevamo.
Franco: Nella mia esperienza ho constatato che certi temi funzionano sempre. Credo siano
quelli che hanno, allo stesso tempo, una grande concretezza e un forte valore simbolico,
come la porta, ad esempio.
Ci sono poi temi-sorpresa interessanti, come i capelli.
Ricordo che l’idea di questo tema mi è venuta in mente quando lavoravamo intorno alle
Metamorfosi di Ovidio. I capelli sono infatti la parte del nostro corpo più variabile, di cui
possiamo decidere qualcosa. Raccontando intorno al rapporto che abbiamo con i nostri
capelli è precipitato un mondo, il mondo di come noi appariamo agli altri, con tutti i
problemi connessi: dalle angherie dei genitori, a quelle dei mariti, delle mogli, dei figli
riguardo al taglio, alla forma, alla tintura…Sono incredibili le torture a cui molti sono
disposti a sottoporsi pur di essere accettati dagli altri! Ricce che desiderano i capelli lisci,
lisce che li vogliono ricci… Da un argomento apparentemente banale sono saltate fuori
storie di intensità e drammaticità inaspettate.
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Non c’è stato nessuno che non abbia vissuto qualcosa di veramente importante rispetto ai
capelli.
Marina: E’ vero! Da “I capelli”, argomento proposto in classe seconda, apparentemente
semplice, forse banale, sono uscite delle storie belle. Perché ? Cosa lo ha fatto funzionare
rispetto ad altri temi? I capelli non stanno fuori, non sono un elemento da osservare, come
la nebbia, il cielo… Sono qualcosa di fortemente personale. Si trasformano: corti, lunghi,
raccolti, acconciati, pettinati… ci accompagnano per tutta la vita. Rappresentano e
riportano alla memoria un vissuto, delle emozioni. E’ questo che fa funzionare un tema? Ci
sono temi dentro e temi fuori ?
Subito non avrei scommesso molto su quello che sarebbe potuto uscire dal tema dei
capelli, invece sono nate delle storie anche molto importanti. Ricordo quella di un bambino
che con grande fatica raccontò della mania della madre di tagliargli sempre i capelli a
caschetto col risultato che tutti lo scambiavano per una bambina e lui soffriva moltissimo.
Di conseguenza io non riesco a trovare delle costanti che mi permettano di affermare a
priori se un tema funzionerà.
Franco: Occorre provare!
Antonella: Forse il tema funziona se è accompagnato da qualche elemento fisico.
Ad esempio nel tema della porta c’è lo strappo del foglio simboleggiante l’apertura, che è
un gesto. La presentazione del tema del vento, poi, è stata preceduta dall’esperienza di
correre nel prato.
Barbara: Anche il tema della coperta è accompagnato dalla presenza tangibile di una
coperta portata da casa dai bambini, la quale oltretutto ha una sua storia. In molti casi, i
temi legati ad oggetti ricchi di storia hanno dimostrato di funzionare, soprattutto se questi
erano presenti al momento del racconto perché aiutavano i bambini a ricordare.
Antonella: Forse i titoli non troppo diretti e precisi offrono maggiori possibilità di evocare
emozioni, perché danno la possibilità di far parlare di sé i ragazzi senza che se ne
accorgano. Il descrivere un oggetto, che hanno costruito o che è affettivamente vicino,
permette di descrivere se stessi. Fabio, che ha fatto una porta tutta rotta, l’ha descritta
usando la parola terremoto ed effettivamente lui in quel periodo era così.
Bruna: Mi sembra che funzionino meglio gli argomenti tristi, come “Il pianto” o “Mi sono
sentito rifiutato”, perché permettono di far uscire i disagi, le difficoltà. La festa invece non
sollecita a riflettere più di tanto: “Sono stato contento, ho giocato, mi sono divertito
molto…” e finisce qui.
Forse la tranquillità , la normalità, non aiuta a crescere o siamo noi che non diamo
importanza a queste sensazioni?
Sembra che emozioni di più il racconto di una morte piuttosto di quello di una festa: la
gioia colpisce meno se non si manifesta in modo esplosivo.
Franco: A questo punto mi viene da chiedere quanto spazio abbia l’allegria all’interno
della scuola. Bambini e ragazzi ridono e scherzano molto tra loro ma, per farlo, spesso
sono costretti a trasgredire le regole e sono continuamente ripresi. Raramente sono abituati
a vedere ridere e scherzare i loro insegnanti, invece sarebbe così importante per loro poter
osservare noi adulti esprimere emozioni legate all’allegria e alla contentezza!
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Marina: Non solo gli argomenti tristi hanno funzionato, come ha dimostrato il tema
relativo a “La musica o la voce che mi ha emozionato”.
Ad esempio un bambino ha raccontato una storia sulla voce dolce del padre che fino a poco
prima la sera si metteva di fianco al suo letto, prendeva un libro a caso e leggeva.
Loretta: A volte anche un tema debole può far uscire una storia forte. Il tema della festa
non ha particolarmente entusiasmato, ma in una terza una bambina ha fatto emozionare
tutti gli ascoltatori raccontando la sua festa di compleanno, a cui aveva partecipato per
l’ultima volta una compagna russa che poi se ne era andata.
Marina: A questo proposito mi viene in mente il tema: “La nebbia”. Un argomento per me
intrigante perché poteva portare a storie di mistero. Lo sarebbe stato anche per i bambini?
Aspettai un giorno di nebbia e andai nel parco vicino alla scuola. Volevamo ascoltare,
vedere, annusare il mondo attraverso la nebbia. Fu un bel momento: ombre indistinte e
lontane che acquistavano nitidezza nei loro contorni man mano che si avvicinavano,
orizzonti chiari da raggiungere che si sostituivano ad altri opachi, rumori imprecisi di cui
non riuscivamo a scoprire l’origine … un sottofondo che una volta rientrati a scuola, nel
cerchio, ha portato alla memoria storie emozionanti.
Quella volta avevo toccato il tasto giusto !
Pialisa: Riguardo ai temi ho notato che alcuni ragazzi parlano sempre dello stesso
problema, qualunque sia l’argomento dato: sembra che nella loro vita vi siano delle cose
così importanti che emergono costantemente nei loro racconti. Ad esempio uno parla
sempre della sorella, di questa presenza inquietante nella sua esistenza: in un modo o
nell’altro riesce sempre ad inserirla in qualsiasi narrazione. Ritengo perciò che molte volte
il tema sia solo un pretesto per buttar fuori quello che ti urge dire.
Antonella: Non ci siamo mai posti il problema di ascoltare se i bambini hanno delle storie
urgenti da raccontare e potrebbe essere interessante trovare il modo di farle uscire.
Questa mia riflessione deriva dall’intervento di una bimba che mi ha chiesto: “Quando
parliamo di una storia di generosità, perché ne ho una”.
Cinzia: Chi ha qualcosa di urgente da condividere con gli altri, trova nel cerchio del
racconto il modo e soprattutto l’opportunità per farlo, al di là del tema proposto dall’adulto.
Un bambino è riuscito a raccontare per ben tre volte, nonostante gli argomenti fossero
diversi, un suo sogno (inserendolo comunque nel contesto del momento), che
evidentemente ancora gli pesa dentro.
Franco: Nella vita di ciascuno di noi sono avvenute esperienze memorabili, che spesso
rimangono esperienze mute, senza espressione. Dare dignità e forma alle nostre esperienze
e alle nostre emozioni è fondamentale per una crescita felice. Penso che uno dei problemi
della famiglia, oggi, sia quello di essere un luogo dove le emozioni ed i racconti delle
emozioni vissute non hanno spazio.
Se lavoriamo sulle storie personali, inneschiamo dei processi che portano a far uscire le
emozioni. Un tema è interessante quando porta a parlare di ciò che è importante per chi
racconta, rivelando nuove immagini di sé, che prima erano nascoste o sconosciute.
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I bambini raccontano
Il sogno
Io ho sognato che mio zio, che va in carrozzina perché non può camminare,
poteva camminare. Poi dopo un po’ mi sono svegliata perché era ora di andare a
scuola e dopo mi vi è venuto in mente che non era vero e quindi mi ha intristito.
Io avevo fatto un sogno che la zia, la zia di mio papà, fosse ritornata viva e …
ed è questo. Piccolo, ma bello.
Io ho sognato che avevo una sorella e adesso aveva un bambino. Io gli facevo
tutto, gli davo il latte, poi lo mettevo a letto.
Io ieri ho sognato che volavo in cielo e ho incontrato la Barbara che ci
dicevamo dei segreti del narrare. Allora poi venivano Caterina, Lucia e Erica e
giocavamo. Dopo sono venuti Giulio, Riccardo, Michael, Rahmil e Marco che
tutti insieme, uno alla volta, narravamo.
Io ho un sogno: tornare nelle Filippine
C’eravamo io e mio fratello e c’era un serpente grosso, molto grosso e c’era la
mamma e lei ha dato me e mio fratello da mangiare al serpente… ci ha dato al
serpente… poi la mamma rideva… rideva… rideva”
I suoni
Era estate e giocavo in casa della nonna. Avevo preso un flauto e un benjo.
Io non li so suonare, ma volevo provare.
Ho provato con il flauto, ma ero stonata… allora ho usato il benjo, ancora
peggio. Ho ritentato con il flauto e sono uscite delle belle note.
Ero contenta di me.
Quando ero più piccola, il papà alla sera mi leggeva delle storie. Prendeva un
libro a caso e cominciava piano. Non so dire perché, ma la sua voce mi
emozionava.
38
La porta
Per me la porta è soprattutto la porta del campo da calcio. Mi ricordo che una
volta giocavamo contro una squadra di ragazzi molto più grandi, per cui ci
sentivamo in difficoltà e in effetti avevamo cominciato a segnare e noi non
riuscivamo a concludere niente. Io ero proprio scoraggiato. Poi ad un certo
punto mi sono detto: “ Devo assolutamente fare goal, deve risolvere la
situazione perché non possiamo perdere”. Niente, ce l’ho messa tutta, ho
tirato e ho fatto goal. Tutti i miei amici mi sono saltati addosso eeeeeehh io
ho fatto l’eroe quel giorno.
Io ho un ricordo di quando andavo alla scuola elementare. Durante il momento
del dopo pranzo, quando c’era l’intervallo e si giocava, le mie compagne di
classe giocavano e per divertirsi avevano organizzato un gioco particolare per
cui andavano dentro un’aula, chiudevano la porta e mi lasciavano fuori. Io
bussavo e chiedevo: “ Posso venire a giocare anch’io con voi?” Loro dicevano: ”
La prossima volta, ora giochiamo noi.”
Io ho sofferto molto per questa cosa perché succedeva quasi sempre e dopo
mangiato non potevo andare a giocare con le amiche.
Ero in casa da solo e sentivo dei rumori fuori, cioè ero in una stanza e sentivo
che fuori c’erano dei rumori stranissimi, allora avevo una paura bestiale,
dicevo: “Ma, cosa faccio? Apro la porta o non apro la porta?”
Ho cominciato a girare, a pensare cosa poteva essere, poi alla fine ho preso il
coraggio a due mani e ho aperto la porta. Era un gattino nero, piccolino così,
che stava raspando contro il muro e sentivo questo rumore.
Questa porta si apre in un modo strano perché è la porta della pace, della
fantasia e della libertà e del calore. E quando tu entri in questa porta si apre
un posto meraviglioso.
C'è un grandissimo prato verde tutto circondato da un bosco e là si vede un
paesino tra due colline e in questo prato verde c'è caldo perché è estate. E' un
prato verde bellissimo, bellissimo, bellissimo dove si sta in pace, regna la
fantasia e regna la libertà. Ed è la mia porta preferita.
C’era una volta una bambina che aveva una porta tutta bianca.
Un giorno la porta si mise a piangere perché voleva cambiare il colore del suo
corpo. Allora le lacrime che cadevano e cadevano, cadevano nel suo corpo e
pian piano i colori cambiarono.
39
Un regalo
Un Natale fa, mio cugino aveva ricevuto regali che non poteva usare in quel
momento. Allora si mise a piangere perché non poteva giocare con i suoi regali.
Allora stava piangendo quando mi toccò regalargli uno dei miei a lui, tanto io ce
ne avevo due. Però dopo mi sono arrabbiato io perché in quel momento l'altro
ce li aveva a casa e allora la cosa succedeva per me e allora ho ripreso il gioco
di mio cugino e ci ho giocato io.
Era il giorno del mio compleanno e allora sono venuti tutti a casa mia solo che
non c’era mio nonno quindi ero triste. Aveva detto che faceva tardi quindi non
era venuto neanche all’ora che mi aveva detto. Dopo è venuto e mi ha portato
un regalo che mi ha colpito molto, solo che quando lo sono andata ad aprire non
andava, allora gliel’ho ridato. L’ha cambiato e anche quello non andava. Allora
ho dovuto tenere uno che non andava e ce l’ho ancora.
Era il mio compleanno. No, dovevo prendere la pagella, allora ci mancava solo
dieci giorni. Io e la nonna siamo andati alla Magica e volevo comprare una cosa,
ma la nonna mi ha chiesto se volevo la bici che me la doveva dare il giorno della
pagella; solo che me l'ha presa prima e da quel giorno ce l'ho sempre.
Un giorno che era il giorno del mio compleanno e compivo sei anni, per regalo la
mamma e il papà mi hanno fatto quattro tartarughine. Le siamo andate a
prendere e le abbiamo messe nella vasca però non c'era l'acqua, eravamo in
macchina e si poteva rovesciare. Allora loro scivolavano sulla vaschetta vuota.
Poi siamo venuti a casa e abbiamo riempito l'acqua con le tartarughine e
abbiamo messo una tartaruga per le vitamine bianca, di gesso, non so. Dopo un
bel po' sono diventate sempre più grandi, poi ne è morta una pian piano, due ne
son morte pian piano. Una poi era caduta giù dalla finestra ma dopo un bel po'
l'abbiamo ritrovata con una crepa sul guscio e ora sono diventate grosse così.
E poi, dopo, pian piano, che è ora, quella con la crepina sul guscio è diventata
cieca.
C'era una volta un mio amico che si chiama Simone e, prima del suo compleanno,
aveva tanti pensieri perché non sapeva che gioco volere, dire agli altri cosa
vorrebbe. Allora dice:" Fate quello che volete". Devo dire una cosa però: io non
ci sono in questa favola. Poi c'era mio cugino che si chiama Davide e che sapeva
cosa voleva, allora mio cugino insieme a me gli abbiamo portato quel regalo. Lui
era stato contento perché era quello che desiderava di più però non voleva
che glielo regalassero. Allora fa una promessa ai suoi genitori che è più buono,
che è più gentile con tutti. E così è. Fine.
40
I capelli
Un giorno che era il 27 gennaio, mio padre mi voleva tagliare i capelli. Prima
voleva vedere se funzionava la macchinetta, mi ha fatto un raso….. e poi me li
ha tagliati tutti perché …. non voglio dirlo!….. Dopo mi ha fatto pelato!
E io mi sono messo il cappellino sempre!
La mia mamma ha sempre avuto la mania di tagliarmi i capelli a caschetto.
Andavamo insieme dalla parrucchiera dove c’erano tante signore che
dicevano: - Che bel bambino! Però, quando andavo nel parchetto con la nonna,
alle quattro e mezza, dei bambini mi dicevano: - Ma tu sei un maschio o una
femmina?
Quei capelli lì proprio non mi piacevano.
C'era una volta una bambina che si chiamava Anna che aveva i capelli lunghi e
rossini e lei li voleva corti e neri. Una mattina si svegliò e aveva i capelli corti e
neri.
C'era una volta un bambino che aveva i capelli lunghi e biondi e lui si
vergognava ma soprattutto lui era molto triste perché a scuola lo prendevano
in giro perché aveva tutti i capelli lunghi e biondi.
Allora un giorno questo bambino molto triste va a casa dalla mamma e le dice:
"Mamma per favore tagliami i capelli!"
Allora la mamma gli taglia i capelli e il giorno dopo lui va a scuola e i suoi
compagni non lo prendono più in giro e lui è molto più felice.
C'era una volta un paese dove nessuno aveva dei capglli ed era sempre estate e
primavera. Solo che un giorno iniziò a venirci l'inverno.
Allora senza capelli la testa prendeva freddo, allora pregarono tutti gli dei
per far venire i ccpelli a quelli di tutto il villaggio e successe la cosa che
pensarono: gli vennero i capelli.
Io desideravo tanto tagliarmi i capelli però i miei genitori non mi volevano
portare dal parrucchiere.
Un giorno la mia mamma mi ha fatto una sorpresa: quando mi sono svegliata ho
visto lei vestita e mi aveva preparato i vestiti per andare dal parrucchiere.
Siamo andati dal parrucchiere, però dal parrucchiere c'era molta gente e
quando era arrivato il mio turno mi ero lavata i capelli, mi ero fatta le meches
bionde mi ero tolta i nodi.
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Gli occhi
Una mattina la mia nonna ha telefonato alla mia mamma e le ha detto che il
nonno era morto. Allora io avevo gli occhi tristi…..ero andata sul letto della
mamma a piangere e adesso mentre la racconto ho gli occhi tristi.
Una volta mi sono accorta che ero miope e avevo gli occhi tristi e una volta
sono andata dall'oculista mi aveva detto che alla sera mi doveva mettere delle
gocce sugli occhi però sono miope veramente e adesso sono miope veramente.
Io e mio padre siamo andati al mare e ho visto un miraggio che era uno squalo,
una montagna e quando mi sono avvicinato era una rana.
C'era una volta un bambino cinese che aveva gli occhi bassi e tutti lo
prendevano in giro perché aveva gli occhi bassi….
Il vento
Sul ponte della nave, quando sono andata in Sardegna, io volevo andare avanti,
ma il vento mi spingeva indietro. Mi piaceva.
Era carnevale. Volevo buttare i coriandoli in faccia a un mio amico, ma un colpo
di vento li ha mandati lontano.
Gli odori
Un giorno ero andata in bagno e mia madre mi ha detto: ”Vai a farti la doccia!”
Io sono andata dentro la doccia e non sapevo quale sapone usare: Ho visto un
bagnoschiuma, l’ho aperto e mi sono lavata: Mentre mi lavavo sentivo l’odore
buono. Il giorno dopo nella doccia c’era ancora l’odore.
42
Tracce che restano
Una cosa che abbiamo fatto insieme e che mi è piaciuta tanto
è stata la narrazione. C’erano le storie…., ma mi ricordo molto
il silenzio, era un silenzio strano, era bello: fatelo anche
con i bambini che verranno in prima. (Stefano. 10)
Secondo me questa attività serve a farci conoscere meglio e a
regalare agli altri una parte di noi, che per noi é importante,
lasciando un "pezzettino" di noi nella loro memoria. (Chiara, 13)
Franco: I racconti sono un po’ come la danza. Una volta trascorso il momento
dell’incontro e della condivisione non restano tracce visibili. Possono sedimentarsi dei
ricordi di coloro che hanno partecipato, ma come si fa a sapere, dopo, cosa è rimasto?
Pensando a questo oscillo tra due diversi estremi: da una parte mi sembra che voler
documentare e lasciare tracce delle narrazioni orali sia un po’ tradirle e nasconda un
bisogno di controllo ingiustificato, dall’altra sento che ci sono elementi preziosi che si
perdono e, talvolta, è davvero un peccato. Se avete aspettato quattro anni prima di
decidervi a raccogliere le storie che compongono questo libro, del resto, questo vorrà pure
dire qualcosa…
Quando proponiamo a scuola dei percorsi educativi, tuttavia, il discorso è un po’ diverso.
La memoria collettiva di ciò che si fa nel gruppo classe ha per me, infatti, un immenso
valore.
Come lasciare tracce di ciò che andiamo scoprendo nei cerchi narrativi è dunque un
problema aperto.
Bruna: Il primo anno, dopo lo scioglimento del cerchio della narrazione, consegnavo ai
bambini un piccolo bigliettino colorato, sul quale facevano un semplice disegno-traccia che
ricordasse il fatto appena raccontato. I vari bigliettini venivano poi incollati in un foglio
che riportava in alto la data e l'argomento della narrazione del giorno. I cartelloni venivano
poi appesi in classe.
Avevo notato che spesso i bambini andavano a riguardare i cartelloni, anche a distanza di
tempo, e dai loro scambi di impressioni, capivo che ricordavano gli episodi raccontati dai
compagni.
Durante l'anno successivo avevo pensato di modificare il rituale, quindi il modo per
lasciare le tracce dei racconti. Al centro del grande tappeto, sotto alla ciotola per le
candele, mettevo un lenzuolo o un grande foglio. Dopo la lettura della lettera del mago che
proponeva l'argomento del giorno, lasciavo un tempo perché i bambini potessero cercare
nella memoria la cosa che volevano raccontare, poi disegnavano o scrivevano un titolo.
Qualche volta, anche se raramente, capitava che un bambino raccontasse un episodio che
non corrispondeva al disegno, perché nel frattempo aveva cambiato idea. In quel caso
aggiungeva una traccia sul lenzuolo alla fine dell'attività.
Questi grandi teli raccoglievano le tracce di diverse sedute di narrazione e, anche in questo
caso, notavo che i bambini ricordavano i racconti a distanza di tempo.
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Pialisa: Quando tutti avevano finito di raccontare e tornavamo in classe, i ragazzi
scrivevano su un fogliettino adesivo una o più parole-chiave della storia raccontata e
facevano un piccolissimo disegno. I foglietti venivano incollati in un librone della memoria
delle storie della classe.
Ognuno inoltre scriveva in un foglio personale una brevissima sintesi della storia che
aveva raccontato e questa diventava la memoria personale di ognuno.
Claudia: Anch’io ho utilizzato modalità simili. I ragazzi, tornati in classe, scrivevano su
un foglietto adesivo una brevissima sintesi o anche una parola-chiave emblematica della
storia raccontata oppure potevano anche fare un piccolissimo disegno. I foglietti venivano
incollati su un cartellone della memoria delle storie della classe.
Verso la fine dell'anno avevo portato a scuola un grande lenzuolo bianco; i ragazzi lo
utilizzavano come contenitore della memoria delle loro storie scrivendo su di esso, al
termine della loro narrazione, frasi, parole-chiave o disegnando semplici schizzi della loro
storia. Nella mia idea il lenzuolo sarebbe dovuto diventare una tenda da appendere alle
finestre dell'aula in modo da costituire una sorta di memoria storica del cerchio magico, ma
ciò non è stato possibile per ragioni burocratiche.
.
Elena: Al termine di ogni narrazione cercavamo di trovare un titolo significativo per ogni
storia, questo ci permetteva di ricordare meglio.
Era un lavoro collettivo e in questo modo ognuno metteva in evidenza la parte della storia
che più l’aveva colpito. Alla fine, era il narratore che sceglieva il titolo che maggiormente
rappresentava la propria storia.
Antonella: Per ogni tema lasciavamo una traccia diversa. E mi stupiva sempre vedere gli
occhi dei bambini che, entrando nell’aula della narrazione, si illuminavano riconoscendo la
propria o l’altrui storia negli oggetti che col passare del tempo si accumulavano animando
sempre più la stanza.
La cosa difficile era spiegarlo a chi, adulto, mi chiedeva che cosa significassero quel
groviglio di fili appesi, le foglie secche o le lenzuola stese come in un quartiere popolare.
Forse può capirlo solo chi ha sperimentato la magia del gioco.
Edda: Quando ho cominciato l’attività del Cerchio Magico, sapevo bene che era una
attività di racconto orale e di ascolto, in cui non era prevista né la scrittura, né la
conservazione di quanto si andava dicendo; poi, al momento di realizzarlo con i ragazzi, mi
sono scattate dentro due paure: quella di non ricordare quanto si era detto per poi
ragionarci per conto mio e la paura, ancora più forte, di sbagliare, di condurre male
l’esperienza, per cui, senza la testimonianza, non sarei riuscita a correggerla e migliorarla.
E allora, ecco la boa di salvataggio: ho pensato che, registrando l’incontro con i ragazzi,
avrei potuto conservare le storie e migliorare l’organizzazione degli incontri. Avevo ancora
un timore: che la presenza del registratore bloccasse i ragazzi o li mettesse in imbarazzo,
invece, appena sono cominciate le storie, tutti, io per prima, ci siamo dimenticati della sua
presenza e abbiamo raccontato liberamente.
Oggi ho tre cassette registrate, poche in verità rispetto alla decina di incontri che ho fatto
con la prima classe, ma mi sono accorta molto presto che le registrazioni non servivano,
perché finiti gli incontri non sentivo l’esigenza di riascoltarle, né io né i ragazzi. Le storie
più belle non si dimenticano, perché sono quelle che hanno emozionato e il tramite per il
ricordo è proprio l’emozione. Le altre forse è giusto lasciarle andare per trovarne delle più
belle.
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La registrazione ci è servita in qualche modo all’inizio per impegnarci a dire bene le storie,
ma, appena ci siamo sentiti più sicuri ed esperti, nessuno ne ha rimpianto la presenza.
Mi sono chiesta come mai nessun ragazzo mi ha poi chiesto di risentirsi e mi sono risposta
che forse, come è successo a me, anche loro hanno sentito che la bellezza dell’esperienza è
nell’essere lì insieme a raccontarsi e questo non è riproducibile.
Barbara: Anch’io in una terza elementare ho usato il registratore e ho notato che non ha
creato alcun imbarazzo nei bambini. Ho sempre chiesto se desideravano che il registratore
fosse acceso o spento mentre raccontavano e tutti hanno scelto di tenerlo acceso. Alla fine
dell’anno ho fatto leggere ai bambini le storie sbobinate e ho chiesto se volevano che la
loro venisse incollata su un cartellone che raccontava il nostro percorso ai genitori.
Non tutti hanno scelto di pubblicare la propria storia ed ho rispettato questa decisione.
Ricordo un gioco divertente che i bambini mi chiedevano di fare con il registratore: alla
fine delle narrazioni volevano che io riavvolgessi il nastro e mi fermassi a caso per potere
riascoltare la voce e la storia di chi era capitato. Chissà perché quel gioco piaceva tanto,
forse perché era una specie di estrazione fortunata che permetteva di riascoltare la propria
voce… non so. Fatto sta che mi divertivo anch’io a fare con loro questo gioco.
In quarta, invece, per conservare la memoria delle storie, ho utilizzato sia il disegno dopo
la narrazione che la titolazione di gruppo delle storie ascoltate. Mi è molto piaciuto dare un
titolo alle storie: trovo che sia un modo molto utile per aiutare la memoria a non
dimenticare.
Marina: Il cerchio magico è sempre stato un momento speciale, che seguiva regole tutte
sue, quasi di non scuola. Ho avuto conferma di questo quando, durante l’assemblea di
classe di qualche anno fa, chiesi ai genitori che cosa raccontavano a casa i bambini sulla
narrazione.
I presenti caddero letteralmente dalle nuvole: nessuno sapeva del cerchio, del rito, delle
storie… niente di niente. C’era forse qualcosa sul quaderno che non avevano visto?
Raccontai loro il senso dell’esperienza, perché era stata proposta, come aveva funzionato e
dissi che l’attività non lasciava una traccia visibile come invece accadeva per la maggior
parte delle cose di scuola. Qualcuno domandò: “Anche le femmine non hanno detto nulla a
casa? Di solito loro parlano di più!” Stavolta anche le femmine non avevano detto niente.
Parlammo un po’ e venne fuori qualche domanda: Perché tutto era rimasto all’interno
dell’aula di psicomotricità? …Il non averne parlato a casa era da interpretare positivamente
o era un segnale negativo? Eppure i bambini erano contenti il martedì mattina ! (giorno del
cerchio)
Alla fine arrivammo alla conclusione che forse i bambini vivevano quel momento come un
bel segreto da tenere per loro, era una bella cosa da vivere in un certo tempo e in un preciso
spazio. Niente altro… Ai genitori bastava.
45
I bambini ricordano
Ricordo quando Sofia ha raccontato che si era legato il dente alla porta
e sua madre ha tirato e ha staccato il dente. (Stefania 12)
Io ricordo particolarmente la prima volta dell'anno scorso che Alberto
ha raccontato di quando da piccolo é caduto nel " cesso " anche se non ci
credo. (Francesco 12)
Mi ricordo che la Stefania ha detto che verso natale un ubriaco é
entrato nel suo giardino allora hanno chiamato la polizia che l'ha
picchiato e portato via. (Lorenzo 13)
Ricordo bene uno dei racconti di Davide, dove lui come Fantozzi prima di
urlare é dovuto correre in un posto lontano. (Chiara 12)
L'anno scorso durante questa attività ricordo il momento dove Martina
raccontava dei suoi nonni e si e messa a piangere. Mi é dispiaciuto molto
vederla triste, non so con sicurezza se quel momento gli é servito molto.
(Elena 13)
Mi ricordo il racconto della Chiara G., che aveva detto che durante una
gita in campagna é scivolata ed é rimasta appesa a un ramo. (Alberto 13)
Mi ricordo che avevo detto che un mostro mi inseguiva, e una volta avevo
portato due sassi bianchi, poi avevo raccontato… (Federico, 7)
Mi ricordo quando la maestra aveva raccontato che da piccola piangeva
sempre perché la mandavano in colonia… (Teresa, 7)
Grazie all’attività magica ho alcuni ricordi dei miei compagni che porterò
sempre con me. (Salvatore, 11)
46
capitolo tre
L’ASCOLTO
Per Serena è un momento particolarmente triste perché è morto suo
cugino in un incidente stradale. Si avvicina a Barbara e le dice:
“Sono venuta a parlare da te perché tu fai narrazione!”
(Barbara Castagnetti)
47
Quando l’ascolto funziona…
È stato un momento che è servito per imparare a stare bene insieme,
imparare e stare bene dentro me stessa, raccontare ed ascoltare,
un momento magico e silenzioso. Un momento in cui si ascolta
e si racconta il proprio essere. (Francesca, 10)
Per me la narrazione è un momento per conoscere i nostri
compagni e sentire i loro sentimenti più da vicino, se
sono raccontati bene si sente più forte, se invece sono
raccontati male non senti il suo sentimento. (Gianluca,9)
Franco: L’ascolto è una forma di partecipazione che, in certi momenti, diventa una vera e
propria esperienza, talvolta indimenticabile. È interessante, per noi insegnanti, imparare ad
osservare quando è che cresce la qualità dell’ascolto e capire qualcosa di più sulle
condizioni che rendono possibile l’apertura e l’attenzione verso le esperienze narrate da
altri.
Nei vostri percorsi, quando è che è scattato quel meccanismo in cui l’ascolto è stato
davvero una esperienza condivisa?
Pialisa: Tutto funziona bene quando si ha la fortuna che qualcuno inizi con un bel
racconto, perché le storie tirano: una bella storia tira una bella storia così come una storia
buttata là non richiama nulla di profondo.
Al contrario non funziona quando non si crea l’atmosfera, o perché l’ambiente non è adatto
o perché qualche elemento viene visto come negativo (ad esempio quando qualcuno
dimentica il regalino che mettiamo davanti ai nostri piedi nel momento in cui cominciamo
il nostro racconto).
Lo stesso atteggiamento dell’insegnante può diventare elemento di disturbo: mi sono resa
conto che in certi giorni, in cui mi sento meno in fase, sono proprio io ad influire
sull’andamento della narrazione.
Franco: Per me la bellezza del cerchio narrativo sta nell’autenticità che alle volte si crea,
generando una straordinaria intensità.
Barbara: Io ho notato che l’ascolto si è fatto esperienza nei casi di storie vere nelle quali il
narratore era profondamente coinvolto in quello che stava dicendo.
In questi casi la storia riusciva a coinvolgere tutti diventando una forte esperienza per il
gruppo; si creava quel silenzio pieno, segnale del fatto che si è in ascolto.
Marina: La volta in cui il cerchio magico ha funzionato meglio è stata quando abbiamo
tenuto come filo narratore la storia di Ulisse.
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Abbiamo cercato di capire come mai, cambiato input, qualche volta continuava a
funzionare bene, mentre qualche altra sembrava che l’essere fragile della narrazione si
rompesse. Siamo arrivati a ipotizzare che forse gli input proposti erano distaccati tra loro.
Noi avevamo un nostro filo conduttore, l’aspetto sensoriale, ma forse non lo avevano
altrettanto i bambini.
Con la storia di Ulisse si era creata invece una sorta di attesa tanto che i bambini non
volevano che ritornasse a casa e finisse la storia e con questa l’attività.
Pialisa: I ragazzi ricordano particolarmente i racconti che riescono a suscitare immagini
forti. Mi sono accorta che spesso collego un determinato ragazzo ad una storia che ha
raccontato e che mi è rimasta impressa.
Come a me anche ai ragazzi capita di fare riferimento alla storia di un compagno perché ha
commosso o ha fatto ridere, ecc.: si crea così una memoria collettiva della classe una
specie di lessico famigliare o di repertorio comune di storie.
Ho notato inoltre che, quando parla un leader, tutti sono pronti ad ascoltarlo, ma ascoltano
anche chi nel passato ha raccontato storie interessanti.
Edda: Ho notato che i ragazzi sono puntualissimi nei loro ricordi: questo l’ho ricavato non
tanto facendo una verifica, ma dai riferimenti alle storie raccontate che affiorano nei
momenti più diversi.
Marina: Ho l’impressione che i tempi di ascolto dei bambini più piccoli crescano col
procedere dell’esperienza. All’inizio l’attività può al massimo durare 45 minuti, in seguito
mi sembra che acquistino una maggiore resistenza, anche dal punto di vista corporeo.
Loretta: Si allungano i tempi di ascolto durante questa attività, mentre non si verifica un
atteggiamento analogo in altri momenti, in cui le discussioni continuano ad essere caotiche
e i bambini faticano ad ascoltare.
Ho notato inoltre che in generale imparano presto a non intervenire mentre un compagno
sta parlando. Si ha l’impressione che acquisiscano bene il concetto di rispetto, anzi è
notevole la differenza in confronto alle normali ore di lezione: hanno chiara l’importanza
del patto.
Antonella: Credo che alcune strategie abbiano facilitato il rispetto dei tempi di intervento:
alcuni bambini, infatti, sono riusciti, attraverso la ritualizzazione delle modalità (testimone,
candela, ecc.), a trattenere la loro impulsività e a rispettare di più l’ordine nel prendere la
parola.
Claudia: L’ascolto è difficile ed anch’io in certi momenti faccio fatica ad ascoltare tutti i
bambini, particolarmente quelli che non raccontano in modo coinvolgente, oppure ricordo
le storie che più mi hanno colpito. Penso che anche per loro sia molto difficile ascoltare per
tempi lunghi.
Franco: Io penso che si riesca ad ascoltare con attenzione poco più di una decina di
racconti, poi c’è il rischio che si finga di ascoltare, e a questo bisogna stare molto attenti.
La stanchezza arriva indipendentemente dalla lunghezza delle storie, riguarda piuttosto il
grado di coinvolgimento di ciascuno che, evidentemente, varia per motivi molto diversi.
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Bruna: I ragazzi ascoltano e ricordano molto più dell’insegnante. Ho notato che i bambini,
quando raccontano, cercano spesso con l’occhio l’adulto per capire se sta veramente
prestando attenzione al loro racconto.
Noi insegnanti parliamo sempre di ascolto, però l’ascolto reale, profondo dei bambini non
è altrettanto frequente. Noi chiediamo ascolto ma difficilmente lo diamo.
Claudia: Durante l’attività di narrazione ascolto volentieri cose che di solito i bambini non
dicono oppure, se le dicono, io non le ascolto e le censuro: se sto facendo lezione chiedo il
silenzio e soprattutto non accetto che parlino della nonna o di quando sono andati in
vacanza.
Elena: Proprio lunedì, durante un incontro a scuola tra colleghi, parlavamo
dell’importanza dell’ascolto come obiettivo transdisciplinare: alcuni sostenevano che, nella
scuola, ben poco è stato fatto fino ad ora per sviluppare tale competenza.
Alla fine, abbiamo concluso che, probabilmente, l’ascolto è una competenza che i bambini
possiedono, ma, forse anche per difendersi dai bombardamenti di informazioni-notizie cui
sono esposti, è necessario per loro fare una selezione. Quale filtro migliore se non
l’interesse e la motivazione?
Sicuramente la narrazione costituisce un ottimo allenamento per imparare a prestare
attenzione agli altri, ma anche a se stessi.
Paolo: La scuola non va nella direzione dell’ascolto perché ci vuole tempo. In realtà c’è un
forte bisogno di essere ascoltati (dal marito, dalla moglie, a volte dall’analista o dal
confessore), anche se ce lo concediamo sempre meno, a maggior ragione questo bisogno lo
provano i bambini.
In un mondo che va sempre più di fretta i ragazzi diventano più superficiali e si stanno
allontanando molto da se stessi. L’ascolto dell’altro, dei miei ricordi, dei miei sentimenti
dovrebbe perciò diventare un diritto nuovo dell’infanzia, che io chiamerei diritto alla
spiritualità, intesa in senso lato, diritto ad essere una persona.
Questo dovrebbe essere il compito prioritario della scuola primaria: l’educazione ad essere
persone, perseguito attraverso lo sviluppo della competenza all’ascolto ed all’espressione
dei propri sentimenti, della competenza comunicativa, della competenza a risolvere i
conflitti in modo adeguato.
Franco: L’obiettivo di arrivare ad un ascolto pieno è il più difficile ed importante. In
alcuni momenti i bambini si ascoltano di più, in altri siamo noi adulti, con la nostra
attenzione, a mantenere alta la concentrazione. Credo che l’educazione all’ascolto sia un
processo che non ha mai fine.
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Il racconto a coppie
“Mi è sembrato che Spotty, il mio cane, fosse anche un po’ suo
e quindi fosse diviso in due.” (Melania,9)
“A me è sembrato di avere veramente un cane e io non ce l’ho,
ma vorrei tanto averlo.” (Nizar, 9)
“Mi è sembrato di raccontare una bugia perché io tengo la
Juve e ho dovuto dire che tengo l’Inter.” (Paolo,9)
Franco: Per me il lavoro in coppia ha sempre rivestito una grande importanza nel
preparare i momenti narrativi collettivi. Quando due persone si ascoltano, si parlano, c’è
una disponibilità maggiore e si crea un legame particolare. Gli antichi greci, che più di
altri avevano capito l’importanza del dialogo, nella loro lingua avevano, oltre al singolare
e al plurale, il duale. Una idea straordinaria che non credo esista in altre lingue.
Quanto e come avete utilizzato il racconto a coppie nella vostra esperienza e che differenze
avete notato nell’ascolto?
Edda: Io ho scelto di far narrare le storie a coppie, perché pensavo che questa tecnica
creasse meno imbarazzo ai ragazzi delle medie. In seguito hanno raccontato in cerchio la
storia del compagno e non hanno incontrato problemi.
Anche il ragazzino in difficoltà, che ha lavorato in coppia con me, era preoccupato di non
ricordare la mia storia, invece ha ricordato parola per parola, quindi l’attività è stata per lui
un grosso stimolo.
Marina: Ho avuto l’impressione che nel lavoro a coppie facessero più attenzione alla
storia dell’altro ed anche nel gruppo grande c’era una tensione positiva, perché ognuno
aspettava di sentire come veniva raccontata la propria storia.
Mentre i bambini lavoravano a coppie ho notato che, prima di raccontare la storia di un
compagno, lo guardavano negli occhi e cercavano una conferma da parte sua. Chi poi
ascoltava il racconto della propria storia annuiva, alcuni poi facevano una gran fatica a non
suggerire. Si stabiliva così un legame molto forte.
È stato molto bello anche l’utilizzo dello spazio: chi era su una panca, chi seduto per terra,
chi si era accoccolato con l’altro. Parlavano fitto fitto a bassa voce e stranamente nessuno
guardava le altre coppie.
Maria: I ragazzini, soprattutto se adolescenti, si arrabbiano da morire se il compagno
cambia anche una sola parola, e questo aiuta a migliorare l’ascolto perché si sentono
impegnati a ripetere fedelmente quanto detto dall’amico.
Non avviene allo stesso modo con i bambini di prima/seconda/terza elementare perché
tendono ad aggiungere qualcosa di personale, fanno parlare i personaggi o gesticolano, poi
piano piano migliorano e diventano bravi anche ad ascoltare.
51
Barbara: In terza elementare ho scelto di fare raccontare in prima persona perché mi sono
accorta che i bambini faticavano molto a lavorare in coppia.
Alla fine di ogni incontro lasciavo però un tempo nel quale ognuno raccontava la storia che
l’aveva colpito di più. Qualcuno non ricordava niente, altri ricordavano qualche
particolare, qualcun altro sceglieva di narrare la storia del compagno preferito.
Non rifarei questa cosa finale perché ho notato che così come faceva molto piacere se
veniva scelta la propria storia, allo stesso modo restavano molto delusi i bambini la cui
storia non veniva ripresa da nessuno.
Pialisa: C’è qualcosa di bello nel sentire la propria storia riferita da un altro, nell’essere
spettatore. E poi è anche bello riproporre la storia di un altro, perché in quel momento ci si
sforza di entrare nella sua pelle.
Antonella: Avevamo un certo timore nel coinvolgere i bambini nell’esperienza del
racconto a coppie. Ci sembrava arduo pretendere da loro un ascolto così attento di una
storia, tale da poterla restituire poi al gruppo il più integra possibile. Pensavamo che
qualcuno avrebbe avuto difficoltà a comunicare in prima persona una storia altrui, ad
immedesimarsi. Comunque, abbiamo provato.
Quel giorno in particolare la proposta era stata fatta partendo da una forma di rilassamento
guidato (musica, incenso, supini con le teste al centro). L’invito dell’insegnante, dopo una
breve introduzione di presa di coscienza e rilassamento delle varie parti del corpo, era
quello di immaginare una situazione in cui si realizzava un nostro sogno nel cassetto, un
nostro grande desiderio. Poi con la musica che faceva da sottofondo, ognuno ha sognato,
cercando di vedere i particolari, i dettagli. Dopo che, non senza difficoltà, ci siamo
svegliati, a coppie ciascuno ha narrato la propria storia all’altro. Infine abbiamo riportato al
gruppo la storia del compagno, raccontando in prima persona.
La sorpresa è stata grande: l’ascolto era sicuramente stato più intenso del solito;
probabilmente la responsabilità di narrare la vicenda di un altro al gruppo ha fatto leva su
molti. E anche l’ascolto da parte del gruppo è apparso più profondo, forse perché stimolato
dalla curiosità di sapere di chi fosse la storia o divertito dalla strana sensazione e talvolta
emozione del gioco dell’immedesimazione.
Ci siamo lasciati con una traccia fatta con un filo intrecciato. Un bambino teneva in mano
un gomitolo e lo lanciava ad un compagno dicendo: - Che il tuo sogno si avveri! – Chi lo
riceveva, lo lanciava ad un altro e così via. Alla fine abbiamo appeso alla parete la nostra
ragnatela di sogni che per noi non era più solo un groviglio di fili.
Franco: Il lavoro a coppie funziona molto bene perché, quando ci si racconta a vicenda la
propria storia, c’è maggiore libertà, si crea un legame particolare e c’è una disponibilità
maggiore. Ci aiuta, inoltre, ad avvicinarci alla storia dell’altra o dell’altro con discrezione e
con una sorta di pudore. Sappiamo, infatti, che poi dovremo riraccontarla nel gruppo,
avendo di fronte a noi chi ci ha affidato la sua storia. La sfida di dare corpo e voce alle
emozioni di un altro ci rende allora più cauti e più attenti a rispettare ogni dettaglio.
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I bambini ascoltano?
Per me è stata un’esperienza bellissima perché ascoltando la storia di una
persona si riesce ad entrare in quel racconto, e quando mi esprimo io gli altri
entrano nel mio racconto. (Stefano, 10)
Per me è stata una cosa che serviva per ascoltare sia fuori che dentro di te.
(Andrea, 10)
È stato un momento particolare dove le proprie tristezze venivano ascoltate e
condivise con i compagni. Mi ha fatto capire che bisognava avere fiducia nel
prossimo. (Clelia, 10)
Secondo me la narrazione è una materia che quando uno racconta, se si
ascolta, si può immaginare tante cose belle su quel racconto. (Lucia, 8)
Per me la narrazione è una materia importante perché impari ad ascoltare le
persone e a raccontare. (Marisa, 8)
Mi ha fatto conoscere meglio i miei compagni e scoprire le loro passioni che
condivido. (Andrea G.,13)
Secondo me è servita per conoscere degli aspetti dei miei compagni che per
niente immaginavo (Andrea B., 13)
L'attività magica mi é servita e continuerà a servirmi per conoscere meglio i
miei compagni con tutte le loro mille sfaccettature, il loro carattere e i loro
sentimenti; non quelli che dimostrano ogni giorno, ma quelli che hanno dentro,
che fanno parte di loro, le loro cose magiche. (Chiara, 13)
Secondo me questa attività serve a essere più aperti verso gli altri ed essere
meno timidi e a capire i problemi altrui. (Fabio, 13)
L’esperienza della narrazione mi è piaciuta e la vorrei rifare perché è
divertente o triste ascoltare racconti di bambini. Avere una candela che
naviga nel mondo delle storie e anche ogni tanto fermarsi in un luogo per far
rifornimento di storie è bello. Questi pensiero mi porta alla mente una volta
che un mio compagno si era messo a piangere perché suo padre era morto.
(Michele, 11)
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capitolo quattro
IL SENSO DELL’ESPERIENZA
Il cerchio magico è come una mano che va dentro al tuo cuore
per prendere dei momenti della tua vita. (Rosa, 9)
Per me la narrazione è per conoscerci meglio. A me piace la narrazione perché è bello
stare in silenzio. La stanza della narrazione è di colore azzurro il mio colore preferito
e anche con le bolle. Io con i miei amici ho passato dei bei giorni, è bello stare in
compagnia degli altri. Grazie di tutto. Grazie per avermi accettato. (Florian,11)
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La sperimentazione su di noi
Eravamo a Maserno, il tempo stupendo, in un luogo dove gli elementi
della natura esercitavano una forte influenza a livello emotivo:
un’influenza fortemente consolatoria. Questo ci ha permesso di tirare
fuori e di condividere tanto dolore? Forse frequentare gli elementi
della natura è come frequentare l'arte, la musica, la letteratura?
Può essere considerata arte la narrazione? (Bruna Montorsi)
(Parole in libertà dopo lo stage sull’Appennino)
Franco: Leggendo le associazioni che avete raccolto dopo il laboratorio residenziale che
abbiamo tenuto a Maserno, risulta evidente che la ricerca sulla narrazione non ci riguarda
solo come insegnanti, ma è un momento di crescita che ci coinvolge globalmente come
persone tutte intere. Tanti anni fa, il Movimento di Cooperazione Educativa pubblicò un
bel libro intitolato “A scuola con il corpo”. Quel titolo, che riprendeva una felice
affermazione di quegli anni, sono convinto che abbia un grande valore ancora oggi.
Il corpo, il nostro corpo-memoria con i suoi movimenti, atteggiamenti, espressioni, con i
modi dello sguardo e i toni della voce, influenza grandemente ogni relazione con i ragazzi
a scuola. Se vogliamo migliorare la qualità della nostra presenza e rendere più autentiche
le relazioni che intessiamo nella scuola dobbiamo lavorare su noi stessi, rinunciando a
separare la nostra professione dal nostro essere.
Nel lavoro di ricerca che abbiamo condiviso in questi anni mi viene da dire che ci siamo
educati alla vulnerabilità, cioè alla capacità di mostrare le nostre gioie, le nostre sofferenze
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e i nostri punti deboli con meno paura. Abbiamo percorso insieme luoghi molto intimi
della nostra memoria, scoprendo talvolta tesori e potenzialità che erano assopite.
Sono convinto che è stato questo lavoro di scavo e di cura verso noi stessi che ci ha
permesso di chiedere autenticità alle ragazze e ragazzi con cui abbiamo lavorato a scuola.
Non si può chiedere ad altri di mettersi in gioco, infatti, se non ci mettiamo profondamente
in gioco anche noi.
Riguardo ai diversi momenti di formazione che abbiamo vissuto insieme e che avete
proseguito da sole nel gruppo, quali sono, a vostro avviso, gli elementi che maggiormente
hanno aiutato la vostra crescita?
Edda: I momenti di formazione mi hanno dato l’opportunità di sperimentare ciò che
provano i ragazzi: è stato un modo di apprendere facendo.
Penso che l’esperienza tra adulti sia una parte fondamentale del lavoro, perché permette di
mettersi in gioco, di vedere su di sé come funziona l’attività, scoprendo quali paure si
devono superare, che cosa si prova e che cosa si ha in cambio della fatica superata, per cui
si esce dall’atteggiamento distaccato che talora prende quando si insegna.
Pialisa: In questi cinque anni di sperimentazione spesso ho pensato che nei nostri incontri
c’è un’atmosfera diversa. Io faccio tante riunioni di vario tipo, ma quando sto per andare
ad uno degli incontri della narrazione, sono contenta: “Finalmente un posto in cui non c’è
da combattere, in cui non ci sono desideri inconsci di sopraffazione, in cui si è tutti alla
pari, alla ricerca di cose belle da trasmettere ai nostri allievi.”
Stranamente anche nel gruppo di adulti si crea un’atmosfera simile a quella della classe e
cioè una sensazione di relax, di comunicazione profonda. E come nella classe, si
raccontano cose forti. Nell’ultimo stage che abbiamo fatto sull’Appennino, quando Franco
ci ha dato come tema “Un’esperienza importante della nostra vita”, molti di noi hanno
parlato della morte come pericolo da cui si è usciti o come dolore per la scomparsa di una
persona cara. E nessuno è stato influenzato dal lavoro degli altri perché si è lavorato con il
metodo del racconto a coppie,in base al quale si riferisce al gruppo solo dopo il lavoro a
due. È una comunicazione in cui ci si mette in gioco senza riserve, anche se chi ti ascolta è
un estraneo, perché è unito a te dalla ricerca di autenticità. È indimenticabile per me il
racconto di una ragazza che ha descritto la luce e i colori della stanza in cui si trovava
quando è uscita dal coma.
Elena: Una cosa continua a stupirmi, ogni volta che mi ritrovo in cerchio per una
narrazione, magari con persone mai viste né conosciute: l’emergere del senso di
appartenenza ad un universo del quale ognuno di noi fa parte, ma che raramente riusciamo
a condividere con altri. Il senso della narrazione l’ho vissuto quando, a Maserno, di fronte
al sole che tramontava, eravamo tutti in silenzio, uniti dal ritmo confuso, ma allo stesso
tempo ordinato, degli strumenti che ognuno di noi suonava.
Bruna: Tra tutte le esperienze di narrazione con gli adulti del gruppo ricordo in particolare
quelle che scaturivano da esperienze sensoriali, specie se legate al rapporto con la natura;
in particolare ricordo l'esperienza a piedi scalzi, al parco della Repubblica.
Erano state formate delle coppie in base al colore degli occhi, poi, a turno, si doveva
accompagnare l'altro, che aveva gli occhi chiusi a toccare con mani e piedi i vari elementi:
erba, terra, alberi… Si poteva poi far sostare il compagno davanti a un'immagine e fargli
aprire gli occhi per qualche secondo, come se dovesse fotografarla.
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Ricordo ancora la sensazione dell'erba morbida e della terra ruvida sotto i piedi nudi,
l'emozione delle immagini che l'altra mi faceva fotografare, l'attenzione, l'ascolto
profondo, il silenzio dentro, il rapporto intimo che si veniva a creare con la natura e con gli
altri… Poi la storia raccontata sulla scia dell'esperienza appena vissuta e la discussione
finale, dove si parlava dell'assoluta mancanza di riti, di occasioni di oralità della nostra
società, del bisogno estremo di rallentare il tempo, di sostare e di entrare in un contatto
profondo con la natura, quindi con noi stessi. Le attività legate alla narrazione e all'ascolto
mi hanno permesso di trovare intimità con me stessa, e quindi una maggiore disponibilità
ad accogliere
Anche l'esperienza di Maserno, condotta tra i colori caldi di un assolato week-end
d'autunno, in una abbagliante cornice naturale, ha fortemente favorito uno scambio
profondo tra oltre venti persone, molte delle quali non si conoscevano. Ci siamo affidati
spontaneamente gli uni agli altri, in modo immediato e naturale.
Ricordo il primo pomeriggio, quando ci venne proposto il racconto a coppie sul tema
"Un'esperienza che ha cambiato la mia vita". Dopo il racconto tra le coppie, quando il
cerchio si era ricomposto, si era previsto di fare una pausa a metà del lavoro, per
permettere una maggiore concentrazione. Invece non c'è stata nessuna pausa: i racconti
emotivamente molto forti, si sono succeduti uno dopo l'altro per quasi tre ore, senza che
l'attenzione e la voglia di accoglienza del gruppo dessero mai segni di cedimento…
Anch’io non dimenticherò facilmente il tramonto del sole dietro al Cimone, accompagnato
dal suono degli angklung e di altri strumenti dai suoni dolci…
Barbara: Io ricordo la prima volta che incontrai Franco al corso del CDE sull’educazione
alla legalità. Entrai insieme a Sonia in un’aula dell’istituto “ Sigonio” e vidi tutte le sedie
disposte in cerchio. Non ricordo chi, tra il divertito e il preoccupato, sussurrò: “Facciamo
una seduta psicanalitica di gruppo!”.
Franco era inginocchiato per terra e stava preparando dei fogli di carta. Ogni tanto
guardava chi entrava e poi riabbassava lo sguardo continuando ad armeggiare con forbici e
carta. Cominciammo a sederci e mentre ci domandavamo cosa stesse facendo quello strano
conduttore; iniziammo a tacere. Quando ci fummo sistemate, Franco ci distribuì quei fogli
e ci disse di aprire una porta…
Per me è stata una porta che si è aperta piano piano e con il tempo mi ha permesso di
prendere fiducia e di uscire allo scoperto. Non è facile raccontare di sé, non è stato facile
per me. I miei racconti all’inizio erano veri, mi riguardavano da vicino, ma, in qualche
modo, potevo narrarli senza farmi prendere troppo dall’emozione. Con il tempo invece le
emozioni hanno preso il sopravvento e molti racconti sono diventati forti, a volte
drammatici. Ho narrato di me ciò che era necessario, ciò che aveva bisogno di essere
narrato. E mi è molto piaciuta la sensazione che ho provato dopo alcune di queste
narrazioni: quasi un senso di pace forse perché avevo dato voce a ciò che non poteva
restare nel silenzio.
Antonella: Mi è sempre piaciuto raccontare storie, ma non storie mie, personali. Mi
piaceva inventare racconti, interpretarne altri, ma era per me molto faticoso consegnare ad
altri le mie emozioni, le mie debolezze.
Ecco, questa è stata spesso la sensazione nel momento in cui mi si chiedeva di narrare
pezzi della mia vita. Poi, per la prima volta, narrando della morte dell’amica Lorena ad un
gruppo, ho sentito tutta la forza di questa esperienza e ho riconosciuto in me il desiderio
profondo di cominciare a dare più voce alle emozioni e, soprattutto, a condividerle.
Percepivo la compassione e la vicinanza del gruppo, compassione che avevo anch’io
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provato tante volte nell’ascoltare storie in altri cerchi. Non era semplice attenzione, ma
qualcosa di molto più profondo.
E poi, da qualche tempo sento di aver contratto una malattia nuova: fame di racconti,
sempre così diversi ma anche così profondamente simili, perché simile è ciò che ci fa
gioire, soffrire, sperare.
Silvia: Mi piaceva ascoltare i racconti perché ogni storia accendeva un ricordo che stava
nascosto dentro di me e che avevo perduto. Mi piaceva scoprire che le storie somigliavano
alle mie.
Paolo: È stato interessante scoprire che una parola rimanda ad un oggetto, che a sua volta
rimanda a sensazioni piene di affetti e sentimenti. Sinceramente quando durante un
incontro di formazione ci è stato dato come tema la parola “regalo”, non l’ho sentita come
una parola particolarmente cara e suggestiva, però è bastato riflettere un attimo per
ritrovare immagini lontane. È stato anche molto piacevole sentire raccontare la mia storia e
non mi sono stancato ad ascoltare.
Mi sono invece sentito tradito nel momento in cui ho ascoltato il racconto della mia storia
perché non mi ritrovavo: avevo faticosamente ripescato nella memoria un episodio, che era
diventato per me prezioso, l’avevo consegnato alla compagna e aspettavo con curiosità di
risentirlo, ma il racconto è stato reso in modo differente.
Maria: Quando io straniera sono arrivata a Palermo, sono andata ad abitare nel quartiere
più emarginato della città, dove gli stranieri erano visti con diffidenza (terroristi,
narcotrafficanti, mafiosi...). La narrazione mi ha dato la possibilità di conoscere meglio il
quartiere e le persone. Sono andata a lavorare in una scuola dove gli alunni erano tutti miei
vicini e tenevo un laboratorio di narrazione. All’inizio mi prendevano in giro, poi piano
piano è cambiato il loro atteggiamento, perché abbiamo cominciato a conoscerci. Alla fine
venivano anche a casa mia per continuare a raccontare perché piaceva molto.
Franco: Mi sembra interessante quest’ultima affermazione di Maria, perché sottolinea una
particolare potenzialità che può avere la costruzione di un tessuto narrativo. Uno dei
peggiori malanni di cui siamo tutti un po’ appestati è costituito dalla pessima abitudine di
cucire gli abiti addosso agli altri, cioè di trarre conclusioni sul carattere e i comportamenti
di chi ci è vicino in base a pregiudizi. Ascoltare e narrare storie di sé aiuta a toglierci di
dosso vestiti che non sono nostri e a spogliarci un po’ di tante false apparenze, di cui anche
noi siamo a volte responsabili. Aiuta ad essere maggiormente noi stessi, riscoprendo
quell’autenticità di cui parlavamo all’inizio.
Bambini e ragazzi sono straordinari sensori di autenticità. Quando scoprono che una
persona si mostra loro tutta intera, senza nascondersi dietro a maschere o a ruoli che
irrigidiscono le relazioni, spesso le sono grati e si dispongono con maggiore apertura.
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La sperimentazione nelle classi
Lettera alle insegnanti:” Io vi sto scrivendo tutte queste cose perché
non c’è mai tempo di dirvele. Diciamocelo: non c’è mai tempo !
O dovete correggere i compiti o spiegare a un assente cosa abbiamo fatto
nei giorni precedenti… Per me quando i bambini vogliono parlare, trovatelo
il tempo ! Forse solo a tavola … o nel cerchio magico…” ( Ilaria, 10)
Franco: È possibile tracciare un bilancio, sia pure provvisorio, su ciò che avete realizzato
nelle vostre classi in questi anni di sperimentazione? Quali elementi vi sono apparsi più
significativi?
Pialisa: Con la narrazione si crea un legame misterioso tra i ragazzi e tra i ragazzi e
l’insegnante, si avverte che c’è un clima diverso, ma la cosa che maggiormente attira in
questa attività è che anche i bambini più isolati, più emarginati, hanno la possibilità di
parlare, di sentirsi valorizzati.
Tu, come insegnante, hai la percezione che puoi mettere in atto un percorso educativo in
cui quelli che normalmente senti ai margini del tuo lavoro, tagliati fuori da molti discorsi o
acquisizioni, finalmente sono inseriti e hanno uno sguardo e un atteggiamento diversi.
Elena: Nella narrazione i bambini scoprono che le storie di ognuno sono ugualmente
importanti. È una materia in cui tutti sanno e hanno qualcosa da raccontare: perfino le
maestre sembra che abbiano delle storie e delle emozioni da narrare!
Claudia: Quello che mi piace molto è il poter conoscere i ragazzi da un altro punto di
vista, perché essi svelano cose che normalmente non tirerebbero fuori.
Inoltre c’è una condivisione di emozioni che mette l’insegnante che racconta la sua storia
al pari degli alunni, all’interno dello stesso gruppo.
Loretta: La narrazione è un’attività non giudicante, in cui tutti sono uguali, hanno lo
stesso diritto di parola e raccontano storie tutte valide allo stesso modo.
Edda: Durante l’attività i bambini sono contenti e questo rende contenta anche me.
Inoltre seguo e faccio questa attività perché mi piace, perché attraverso il racconto posso
conoscere le persone a livello umano e condividere spazi emozionali, mentre normalmente
ciò non avviene a causa della nostra frettolosità.
Quando c’era mia nonna esisteva la possibilità di raccontare mentre oggi mia madre tende
a rompere il dialogo: io vorrei che non si limitasse a chiedermi cosa ho fatto, ma che mi
raccontasse della sua giornata, anche delle cose banali, così potrei vedere la sua
espressione e capire se è amara, triste o felice. Nei racconti si vive questo.
Marina: Per me è importante la possibilità che il cerchio narrativo offre ai bambini di stare
bene, di vivere un momento sereno, soprattutto per quelli che normalmente non lo sono.
Fin dall’inizio, infatti, è stato visto come un momento piacevole, aspettato con gioia, ed ha
favorito l’inserimento positivo anche di chi in classe non interveniva mai.
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Silvia: Credo che, anche a lunghissimo termine, l’attività dovrebbe portare i ragazzi ad
acquisire una maggiore capacità di ascolto dell’altro e una maggiore capacità di stabilire
rapporti basati sul dialogo e sulla pazienza, non sull’aggressione.
Paolo: L’attività consente di costruire dei rapporti, che hanno una ricaduta positiva anche
nelle altre ore di lezione. Questo lo si nota nelle relazioni tra compagni ma anche con
l’insegnante, che viene visto come una persona: ciò favorisce una comunicazione basata
più sul rispetto che sull’autorità. Credo che le classi che fanno questa esperienza si
costruiscano un capitale di rapporti destinato a durare oltre il momento specifico.
Bruna: Nel lavoro con i bambini, si sono alternati in me sentimenti di varia natura.
Il primo anno ho proposto l'esperienza in una classe quinta; era un gruppo estremamente
problematico dal punto di vista del comportamento e della relazione, perciò temevo di non
riuscire facilmente a far scattare l'atteggiamento del silenzio che fa spazio dentro per
l'ascolto. Invece è accaduto il contrario: ricordo molti momenti di forte tensione emotiva,
sia da parte di chi raccontava, sia da parte di chi ascoltava.
Diversa è stata l'esperienza col primo ciclo, soprattutto in prima elementare. Per i bambini
piccoli è molto difficile entrare in contatto in maniera consapevole con le emozioni, perciò
occorre trovare le strade più diverse e magari meno dirette, ad esempio proponendo attività
di tipo sensoriale.
Sempre in seconda abbiamo lavorato sulla fiaba e sulla creazione di storie inventate.
Ricordo che spesso sembravano più dense di verità le storie inventate che non le storie
raccontate nel cerchio magico… Col passare del tempo queste differenze si sono
gradualmente ridotte.
Credo che sia importante lavorare a diversi livelli sull'ascolto e sulla narrazione,
incrociando anche il raccontare con interventi di tipo teatrale, musicale, con percorsi
sensoriali, naturalistici, letterari…
Loretta: Durante la sperimentazione mi sono posta il problema se pretendere dai ragazzi
solo storie vere o accettare anche quelle inventate, col rischio che diventassero rifacimenti
di Harry Potter o di altri personaggi da loro amati.
Barbara: Penso che, anche quando i bambini non raccontano una storia vera, ci sia sempre
qualcosa di loro in quel che dicono per cui li lascio fare, soprattutto quando sono piccoli
perché lavorano molto di fantasia. Anche nelle storie completamente inventate e che
sembrano assurde, c'è molta verità e ci sono argomenti cari a chi racconta!
Franco: Barbara ha ragione. La distinzione tra storie vere e storie inventate è assai
aleatoria. Ricordo Federico Fellini che, in una intervista, diceva: “Anche se racconto la
storia di una medusa sto parlando di me.”
Quando narriamo siamo sempre po’ autobiografici e lo sono a maggior ragione i bambini,
che non hanno ancora irrigidito i filtri che separano l’interno e l’esterno.
Più complesso è il discorso sul linguaggio e sulle metafore. Bambini e ragazzi sono
immersi dentro il linguaggio della televisione, dei videogiochi e della pubblicità. Per
questo i loro racconti certe volte ci sembrano ripetitivi o superficiali. Ma se non ci
lasciamo scoraggiare e andiamo un po’ più a fondo, spesso ci rendiamo conto che non è
così. Dentro quel linguaggio troviamo scarti, spunti, digressioni che sono la radice e la
linfa dell’attività creativa di ciascuno. La nostra responsabilità sta nel non colpevolizzarli e
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nel rinunciare ad imporre meccanicamente i nostri modelli estetici. Ciò che possiamo fare,
riguarda piuttosto la possibilità di offrire loro altre suggestioni, altre narrazioni, altre
metafore. Ci sarà allora chi si specchia nelle Sirene dell’Odissea e chi nei molteplici
caratteri dei Pokemon. L’importante è cogliere e valorizzare sempre i nessi tra la propria
esperienza e la forma della narrazione scelta.
Un’altra possibilità che mi sembra efficace sta nel creare una situazione di totale
decontestualizzazione, che spiazza l’immaginario abituale dei bambini. Lo spiazzamento
può essere dato dall’argomento, particolarmente forte, o dal contesto in cui ci muoviamo.
Le esperienze di incontro con l’oscurità o l’appuntamento con l’albero da abbracciare mi
sembrano interessanti, da questo punto di vista. In questi casi bambini e ragazzi
arricchiscono o si liberano dall’immaginario di superficie dettato dall’ultima moda, e
attingono a strutture narrative più arcaiche, che permettono loro di entrare in profondità
nelle proprie storie. È una possibilità di lavoro verticale sulla propria memoria che talvolta
dà frutti sorprendenti.
Personalmente mi è sempre risultato più facile lavorare sulle storie vere, me è certamente
altrettanto interessante lavorare su storie inventate, quando si riesce a creare un inciampo
che aiuta a superare gli stereotipi.
Edda: Mi sono accorta che le storie raccontate dagli adulti risultano più belle perché c’è
una ricchezza maggiore di linguaggio rispetto ai racconti dei ragazzi, che sono più corti e
meno ricchi di particolari, anche se altrettanto intensi e forse più immediati. Per questo,
talvolta, mi sono chiesta se e come renderli più ricchi.
Barbara: Io lasciavo che i bambini raccontassero liberamente, però trovavo alcune storie
noiose e poco interessanti: non mi colpivano e sembravano non dirmi nulla. Devo dire però
che, poiché le storie sono state tutte registrate (con il consenso dei bambini e con il patto
che le avrei ascoltate solo io), quando sono andata a riascoltare per trascrivere i testi, le ho
trovate, in alcune occasioni, più interessanti di come mi erano sembrate ad un primo
ascolto.
Marina: All’inizio del laboratorio ero talvolta tentata di intervenire suggerendo ai bambini
di arricchire di più la narrazione, adesso non mi sembra più così importante. Al contrario,
penso che raccontino storie, forse più semplici e meno ricche di particolari, ma molto
potenti.
Ricordo un bambino della mia classe che, sul tema degli occhi, ha narrato la sua storia con
due frasi: La mia mamma ha gli occhi azzurri. Quando sono nato mi guardava e diceva:
“Quand’è che gli vengono gli occhi azzurri”. Io ho gli occhi verdi.
Quando poi i bambini hanno rappresentato con pochi segni la storia nel tappeto, lui ha
disegnato due occhi: uno azzurro e uno verde. Nell'estrema semplicità aveva dato una
comunicazione forte.
Maria: Anche a me è capitato di riflettere su come fare a tirar fuori storie profonde, ricche
di emozione, soprattutto quando ho lavorato con i piccoli, perché le storie dei bambini
piccoli sono piccole.
All’inizio non ero contenta perché uscivano solo racconti di poche parole ed ero
preoccupata perché dovevo andare ad un incontro con il gruppo di lavoro e non sapevo
quale storia portare perché quattro o cinque parole non fanno una storia.
Ero molto in crisi finché cominciai ad utilizzare il disegno, il canto, la costruzione di
giocattoli. Poco prima dell’incontro uno dei bimbi, che tra l’altro aveva delle difficoltà nel
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parlare, riuscì attraverso il disegno a narrare la sua storia profonda: Mia madre quando era
piccola piccola mio nonno la picchiava, adesso mio padre mi picchia.
Marina: A questo punto mi sembra di poter dire che diventa importante il fattore tempo:
quello della narrazione è un percorso lungo, per cui nei primi anni delle elementari si
cominciano a gettare le basi e i frutti si potranno avere in futuro.
Pialisa: Il fatto che il cerchio magico si sia protratto per un lungo periodo è stato per me
motivo di riflessione. Ad esempio sono stata molto preoccupata quando ho dovuto decidere
se affrontare o meno per il terzo anno con la stessa classe, una terza media, l’attività di
narrazione.
Avvertivo un senso di stanchezza e temevo che anche i ragazzi potessero provarlo, invece
sono stati proprio loro a chiedere di continuare ed è andata veramente bene.
Questa è stata una riconferma che il cerchio narrativo funziona.
Antonella: Al contrario io, dopo tre anni di attività nella stessa classe, ho constatato che i
bambini rispondevano con minor interesse e coinvolgimento al cerchio narrativo, che pur
avevano molto amato negli anni precedenti. Mi chiedo, perciò, se vi siano delle età in cui
la narrazione risulta più facile.
Franco: Non credo che ci siano età più portate alla narrazione di altre, penso invece che la
ripetizione del cerchio narrativo per più anni, con scadenze ravvicinate, possa portare
anche a stanchezza. È opportuno talvolta interrompere l’attività ed eventualmente
riproporla l’anno successivo: è pericolosissimo cercare di mantenere in vita un rito che
muore, perché così si uccide anche la memoria del rito.
Il cerchio narrativo ha una sua vita che conosce dei cicli: cresce, ha molto senso e può
accadere anche che muoia o desideri andare in letargo. Siccome, per sua fortuna, vive fuori
dalle ferree griglie del curricolo, è bene accorgersene per tempo e non farlo vivere
imponendo forzature innaturali.
Barbara: Nella mia esperienza il cerchio narrativo ha sempre costituito un’isola felice:
un’attività magica che inizia in un dato momento, si svolge in un dato luogo e finisce lì.
Il cerchio crea una sorta di protezione dove ci si sente sicuri di esprimersi senza essere
giudicati. Ognuno poi si concede al gruppo con i suoi tempi e le sue modalità e si crea un
rapporto di fiducia che cresce nel tempo e che ognuno percorre in modo molto intenso e
molto interno.
Pialisa: È un momento rilassante in cui posso ripercorrere pezzi dell’esperienza che è
dentro di me e che ricordo volentieri. Di conseguenza, oltre ad ascoltare i ragazzi, mi piace
raccontare. Mi sono sorpresa quando mi sono accorta di divertirmi durante il laboratorio e
credo che ciò sia dovuto al fatto che nella vita quotidiana non ho spazi per farlo. Ho
ricordato momenti della vita completamente dimenticati, episodi dell’infanzia e ciò mi ha
fatto sentire bene.
In conclusione questa attività la faccio molto volentieri e, se fa piacere a me raccontare ed
ascoltare, penso faccia altrettanto piacere ai ragazzi.
Claudia: Mi piace il clima che si crea, perché dà la possibilità di avere un momento
diverso, nel quale è possibile raccontare, ascoltare, ma anche non farlo.
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Edda: Forse è un’attività che aiuta a togliere la maschera con cui sempre si gira. Anche
quando vai fuori a cena con gli amici, finisci per cadere nei ruoli scontati, in cui ognuno
deve dire sempre le solite cose e non si parla mai delle emozioni che si stanno vivendo: ci
sono delle cose che si tengono per sé.
Nella narrazione invece il volo è libero, cade la maschera, ci si lascia andare e ci si
permette di dire anche delle cose importanti, che scavano nel profondo e che aiutano a
riflettere sulla propria vita. La regola implicita è, di conseguenza, quella che si deve
giocare senza maschera, che si devono portare solo cose autentiche, non superficiali.
Questo è avvenuto nel lavoro che ho fatto con le classi. In ogni racconto c’era sempre
almeno un tocco che scendeva in profondità e che arricchiva la storia. Anche quando ad un
primo impatto poteva apparire banale, comportava un salto di riflessione che la
conversazione quotidiana non consente.
Concludendo: talvolta è meglio fare il cerchio magico piuttosto che uscire a cena con gli
amici!
Marina: Mi piace l’atmosfera di tranquillità e di relax, il non doversi sentire in dovere di,
l’essere posizionati in cerchio e avere il buio (o quasi) intorno. Ho l’impressione di sentire
i bambini molto vicini e altrettanto penso che essi mi sentano vicina così come si sentono
vicini tra loro, infatti cercano la mano di un compagno o cercano la mia quasi per avere
una coccola.
Franca: Mi piace scoprire come dietro alla stessa parola possano intendersi cose molto
diverse, per esempio sul tema “Le bugie” sono uscite: le bugie tenerissime, quelle
dolorose, i tradimenti, gli inganni, le negazioni di fronte all’evidenza, la bugia giocosa, a
fin di bene, ecc.
Bruna: Mi piace scoprire gli aspetti insospettabili dei bambini…
Loretta: Mi piace ritrovare episodi della mia vita che ho dimenticato.
Elena: Mi piace perché valorizza le emozioni. Spesso, dopo, le storie se ne vanno, ma il
rapporto di fiducia e di intimità che si è creato, rimane.
Antonella: Avete presente quando, con un vecchio amico con cui sono condivisi momenti
importanti, basta un’occhiata e ci si intende? Quando per fare una risata insieme non
occorre raccontare tutta la storia, ma basta un accenno, una parola?
Bene, io ho svolto l’attività del cerchio magico con quattro classi e la sensazione, anche
dopo i primi incontri, era la medesima. Li incontravo in corridoio o in cortile e bastava uno
sguardo. Le parole non servivano perché avevamo una piccola storia nostra.
Questo accade anche facendo altre attività, ma richiede molto più tempo. La narrazione è
un fuoco più potente e lascia rapidamente il segno.
63
l punto di vista dei bambini
L'attività magica mi é servita a mandare via la timidezza. (Stefania, 13)
È un momento di sfogo per quelle cose che ci fanno male dentro. È un momento
per rilassarsi, per stare tranquilli e per stare insieme. (Luigi, 8)
Secondo me serve per socializzare meglio. (Laura, 13)
Si diventa amici, ci rilassiamo. Ascoltiamo belle storie e bella musica.
(Rahmil, 11)
Adesso sono molto più aperto con i miei compagni. (Antonio, 13)
Mi serve soprattutto per liberarmi dei bei racconti che ho da dire. (Nico, 13)
Mi é servita moltissimo…. se dicessi per avvicinarmi e conoscere meglio certi
aspetti dei compagni direi una banalità, ma effettivamente é così. (Chiara, 13)
Serve per sfogarsi, per dire qualcosa che magari non riesci a esprimere fuori
da questa attività. (Alberto,13)
Serve per avere un rapporto di classe più intenso, così ognuno sa cosa provano
gli altri compagni. (Francesca,13)
È importante perché la persona si può sfogare, dicendo agli altri tutte le cose
che prova senza avere commenti. (Elena, 13)
Narriamo cose personali in modo da consolarci e impariamo alcuni sentimenti
degli altri. Impariamo ad aiutare gli altri quando ne hanno bisogno. (Serena, 8)
Magica serve molto anche a riflettere sulle cose passate. (Antonio, 13)
È anche una materia dove si impara a raccontare, a parlare. (Lasry, 8)
Imparo cose anche molto strane sui compagni. (Fabio, 13)
Serve per non lasciare troppo spazio allo studio ed avere un senso di
sicurezza. (Davide, 13)
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capitolo cinque
QUELLA VOLTA CHE…
Per me il cerchio magico è stato utile, come se fossi stato
paralizzato dalle emozioni compiute in passato. (Nizar, 10)
Secondo me la narrazione è un momento di pace, dove tutte le cose che si hanno da dire si
dicono, insomma si può parlare di segreti, di cose brutte, cose belle, però basta che parli uno
solo alla volta e la magia della storia si è materializzata all'interno dell'ambiente. Tutti i sogni
e i propri pensieri girano in un solo e grande pentolone di luci accese. (Claudio, 10)
65
Giochiamo alla narrazione
E’ ricreazione, la giornata è piovosa. Nello spazio attiguo alla mia aula si
radunano i bambini di due classi per fare giochi tranquilli. Tranquilli…..si fa per dire
perché, come sempre in questo momento così atteso, le voci e i rumori sono spesso un
po’ al di sopra del dovuto.
Mentre osservo il gruppo arrivano Alice e Marta. Alice ha in mano una piccola
coperta, Marta una candela e un campanellino. Stendono la coperta per terra, in un
angolo ritagliato nel frastuono dell’intervallo, s’inginocchiano una di fronte all’altra,
fingono di accendere la candela, Marta suona il campanellino e inizia a parlare
sottovoce.
Mi avvicino incuriosita e, con una certa delicatezza che mi deriva dalla ritualità
dei loro gesti, chiedo di che gioco si tratti. Serissime, come solo i bambini sanno essere,
mi rispondono:
“Giochiamo alla narrazione!”
Mi allontano. La storia può continuare.
(Antonella Bottazzi)
Sembravo Ronaldo
Nella mia classe c’è un bimbo che ogni volta all’inizio dell’attività afferma di
non aver nulla da raccontare, poi partecipa sempre con la sua storia. Tutte le sue storie
sono ambientate nella città dove vive il padre. Ne ricordo una sui capelli.
Il bambino era andato a farsi tagliare i capelli corti a Roma, dove vive il padre.
Una volta a casa pensò di tagliarsi un po’ di più il ciuffo con una lametta da barba, ma si
fece una striscia pelata. Quando il padre lo vide, lo sgridò molto e lo riportò dal barbiere
che lo rapò a zero.
“Sembravo Ronaldo, però tutta la gente che mi vedeva non mi riconosceva più
ed io mi vergognavo da matti!” Questo è stato il suo commento.
Per questo bimbo il momento della narrazione è importantissimo perché lo
aiuta a tirar fuori il suo problema, legato alla lontananza dal padre.
(Barbara Castagnetti)
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Tommy piange
Raccontare come è andata quella volta con Tommy, e con il gruppo dei suoi
compagni, non è facile. Innanzitutto non è facile ricordare esattamente cosa è
successo: mi vengono in mente delle immagini, ma non ho più presente l'esatta
sequenza dei fatti. Il ricordo più nitido è quello di Tommy sdraiato sulla sua coperta
con la fronte appoggiata a terra. Ricordo i suoi compagni che iniziano a raccontare e
poi qualcuno che dice ……. “Tommy piange!”
Avevo deciso di lavorare sulla parola "silenzio" e questo sarebbe stato il tema per
le storie di quell'incontro. Questo argomento mi preoccupava un po' perché lo trovavo
molto denso e carico di vissuti, almeno a livello personale. Immaginavo che anche per i
bambini raccontare storie di silenzio non fosse facile, se non altro per il rapporto così
strano che hanno con il silenzio e per la difficoltà che hanno a fare, appunto, silenzio.
All'inizio avevo fatto alcuni giochi psicomotori: guardarsi negli occhi senza
parlare, ad occhi chiusi comunicare con le mani, camminare nella stanza e comunicare
con i compagni attraverso lo sguardo senza usare le parole. In un secondo momento,
dopo avere posto al centro del cerchio un cartellone con scritto la parola silenzio, avevo
invitato i bambini a scrivere parole che venivano loro in mente; parole che facessero
pensare al silenzio. Avevo proposto di dividere il cartellone in due parti: da una parte
avremmo scritto parole legate al silenzio come amico, dall'altra parte parole legate al
silenzio come nemico. Ricordo che le due parti del cartellone erano state riempite in
modo abbastanza "equo": c'erano tante parole sia dalla parte di silenzio-amico che dalla
parte di silenzio-nemico. Terminato questo brain storming, ho invitato ognuno a
pensare ad una storia da raccontare.
Ed è stato lì, poco dopo l'inizio delle narrazioni, che Tommy ha iniziato
sommessamente a piangere.
Quando i bambini mi hanno detto che stava piangendo, ho fermato il
compagno che stava raccontando ed ho chiesto a Tommy cosa stava succedendo: non
mi ha risposto ed ha continuato a tenere la testa abbassata. Non è stato facile, ma ho
cercato di fare silenzio e di non riempire con le mie parole questo momento così
delicato, ho cercato di contenere in qualche modo la mia ansia che stava salendo
dicendo a me stessa che era possibile accogliere quel pianto e che non sarebbe successo
nulla di grave, mi sono trattenuta dal consolare Tommy ad ogni costo impedendogli di
stare per qualche attimo dentro ai suoi sentimenti e alle sue emozioni.
Ho fatto silenzio e i bambini anche.
Ho aspettato ancora qualche attimo (che mi sembrava eterno), gli ho chiesto
nuovamente se voleva dirci perché piangeva e, quando ho visto che non mi ha risposto,
gli ho detto che quando sarebbe stato pronto avrebbe potuto, se voleva, raccontarci la
sua storia. Sono quindi proseguite le narrazioni e altri bambini hanno raccontato.
67
Quando è arrivato il suo turno, Tommy si è messo a sedere sulla sua coperte e ha
iniziato a narrare: " Ero in Italia con la mamma quando un giorno hanno telefonato
dall' Uruguay e hanno detto che il papà era in ospedale molto malato e dopo il papà è
morto."
È stato giusto creare le condizioni perché il dolore di Tommy uscisse?
Credo di sì. Credo che dare un tempo, uno spazio e un cerchio che accolga, sia per i
nostri bambini molto importante.
Mi ricordo che, dopo avere ascoltato le parole di Tommy, mi sono alzata e mi
sono avvicinata a lui. Gli ho stretto le spalle abbracciandolo e mi ci sono seduta
accanto. Mi ricordo di avergli detto che nel cerchio c'è un posto per tutte le storie ,
anche per quelle tristi. Devo avergli anche detto che tutti noi abbiamo un sacchettino
delle lacrime e , quando questo è pieno, è necessario svuotarlo per stare meglio. Anche
altri bambini si sono avvicinati dopo che io stessa li ho invitati a farlo. Qualcuno lo ha
abbracciato mentre teneva ancora la testa rivolta verso il basso e aveva gli occhi lucidi…
e Serena, rivolgendosi a lui, gli ha detto: "Non ti preoccupare, siamo qui apposta".
Credo che le parole di Serena siano sufficienti per spiegare il senso di tutto
questo lavoro.
(Barbara Castagnetti)
Il riscatto
Salvatore non aveva mai detto più di 10 parole per narrare le sue storie, si
vergognava moltissimo del suo lessico povero e degli errori che faceva, anche se
nessuno mai lo aveva deriso o corretto.
Quel giorno narrò con la solita fatica una storia molto breve, ma con un finale
così tragico e inaspettato che tutti restammo ammutoliti mentre lui si scioglieva in un
pianto liberatore.
Capii che una storia può essere molto intensa anche se molto breve: con quel
linguaggio stentato era riuscito a strutturare il racconto in modo da stregarci tutti.
Da quel giorno mi resi conto che senza volerlo vedevo Salvatore con occhi
diversi e percepii che anche i compagni lo vedevano in modo nuovo: non era più il
ragazzo un po’ incolore appartenente ad una cultura e un mondo poco interessanti,
anche lui era portatore di una storia importante ed era come se avesse acquisito un
improvviso prestigio.
(Pialisa Ardeni)
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L‘operazione di Filippo
Quel giorno la parola – guida era OCCHI e diversi ragazzi avevano già
raccontato i loro episodi.
L’ordine della narrazione arriva da Filippo che, molto emozionato, prende la parola e
comincia a la sua storia.
“ Se penso agli occhi, ricordo l’operazione che mi hanno all’occhio sinistro quando ero
in Quarta elementare. Sono nato con un difetto agli occhi e hanno dovuto aspettare
che fossi cresciuto per potermelo aggiustare. Praticamente mi hanno tirato fuori
l’occhio e lo hanno operato, poi lo hanno rimesso dentro.
Io avevo paura di non vederci più e sono stato bendato a lungo, ho perso anche della
scuola, ma adesso ci vedo bene, anche se mi hanno detto che forse dovranno
rioperarmi.”
Alla fine di questo racconto nell’aula si è fatto un silenzio di tomba: tranne due
suoi compagni delle elementari, nessuno sapeva di questa operazione di Filippo e meno
di tutti io. Filippo è un bel ragazzo alto robusto sicuro di sé, talvolta addirittura
sbruffone, e mai avrei sospettato quanta paura ed apprensione si portasse dentro.
Tutti abbiamo capito che avevamo toccato un punto dolente e che lui si era esposto
raccontandolo.
Io ho commentato solo “ Grazie Filippo” e all’uscita i compagni gli sono andati
intorno per chiedergli come era stato quello che aveva passato.
(Edda Reggiani)
Storie d’aria
E’ un incontro in cui tutto si mescola: stimoli, storie e silenzi.
E’ già il secondo anno di attività e il gruppo ha maturato l’ascolto silenzioso.
L’argomento è: “Storia/e d’aria.
Con il gruppo in cortile per “sentire” l’aria: ad occhi chiusi, da fermi,
camminando, correndo avanti e correndo indietro. Ogni bambino scopre l’aria
cercando l’ascolto e decidendo cosa fare prima. Poi…
Con il gruppo in aula di psicomotricità: “Stiamo bene” dicono i bambini…….
L’insegnante propone l’ascolto della voce dell’aria, un canto siberiano che ha
l’andamento dell’aria, a onde; per tre volte. Il gruppo è preso alla sprovvista per la novità
del canto e perché è l’insegnante che canta e modula la voce.
Poi…. Raccontiamo storie d’aria…. Desideri, sogni, ciò che vorrebbero essere
(quale uccello), dove con l’aria vorrebbero andare.
Il cerchio si chiude di nuovo con la voce d’aria che qualcuno prova ad imitare.
(Franca Rolla)
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L’accoglienza
Sapevamo che quel giorno V. per la prima volta tornava a scuola dopo la morte
di suo padre.
Avevamo concordato con la madre che sarebbe entrata a metà mattina per evitare
l’impatto dell’affollamento davanti alla scuola.
Temevamo che per lei potesse essere molto duro il rientro in una situazione di vita
normale e non sapevamo come organizzare l’accoglienza.
Poi qualcuno propose: facciamoci trovare mentre svolgiamo attività magica.
Purtroppo a quell’ora era libero solo uno squallido laboratorio di tecnica dove
non era neppure possibile creare un po’ di penombra ed eravamo circondati da poco
poetici attrezzi e strumenti di vario genere. Tutti noi eravamo agitati e avevamo paura
di sbagliare qualcosa.
V. arrivò, le ragazze l’abbracciarono, i maschi la salutarono e poi iniziammo
come al solito. Il tema era “una porta chiusa o aperta”. L’argomento fu trascinante,
l’atmosfera si creò immediatamente e ognuno vivendo le storie raccontate, non
percepiva più lo squallore del laboratorio.
Arrivò il turno di V. che raccontò una vicenda molto triste di esclusione al
tempo della scuola elementare.
Lei raccontava con tranquillità e con toni dimessi, anche se con la voce bassa e un po’
“strozzata” e forse proprio questa sua pacatezza nel raccontare la sofferenza
dell’esclusione aumentò la nostra emozione.
Si avvertiva una grande tensione e compartecipazione e credo che per tutti noi
quel momento sia stato veramente uno di quelli che ti restano dentro per sempre e che
ti fanno sentire vicino anche dopo gli addii della terza media.
(Pialisa Ardeni)
Una persona diversa da me
La mia è una classe IV, è formata da bambini piuttosto agitati ed esuberanti.
Fin dalla classe prima, si sono messi in evidenza alcuni bimbi con grossi problemi, non
solo e non tanto di apprendimento ma soprattutto di comportamento. Tra questi,
Giacomo, un bimbo piuttosto timido con una situazione familiare a dir poco difficile, e
che in seguito è stato riconosciuto come dislessico.
Ora, Giacomo, all’apparenza tranquillo, in realtà stuzzicava in continuazione i
compagni provocandoli e ghignando soddisfatto quando questi ricevevano delle
punizioni o sgridate. La situazione è andata faticosamente ma gradualmente
migliorando anche se nel frattempo, come potete immaginare, Giacomo non era certo
il più amato dai compagni.
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C’era inoltre il problema dell’apprendimento: per quanto cercassimo di dargli gli
strumenti più adeguati per affrontare il lavoro scolastico, Giacomo era pienamente
consapevole delle sue difficoltà e questo, talvolta lo demoralizzava al punto da provare
piacere per gli errori altrui; in quelle occasioni, almeno, la distanza tra sé e gli altri
diminuiva!
Inutile dirvi i brividi che ho provato durante uno dei nostri incontri di
narrazione in cui il tema proposto era : “Una persona molto diversa da me”.
Fino a quel momento erano state raccontate storie relative a persone viste o
incontrate ma non conosciute personalmente. Ad un certo punto Gianni chiede il
foulard segno che è pronto a raccontare la sua storia), accende la candela e comincia…
“Quando siamo andati in gita a Capanna Tassone, alla sera eravamo in camerate da 4/6
bambini. Ci avevano diviso le maestre. Io ero in camera con Giacomo., un bambino
molto diverso da me, con lui non gioco quasi mai. Quella sera, prima di dormire,
abbiamo cominciato a parlare e lui mi ha raccontato di quando va a pescare e di tanti
tipi di pesci che conosce.
Ho scoperto che lui sapeva tante cose che io non sapevo e abbiamo passato la notte a
chiacchierare.”
L’espressione di Giacomo nel sentire parlare di sé come di una persona che aveva
delle cose da insegnare agli altri, non può essere né scritta né raccontata.
(Elena Guidotti)
Il Natale più bello
Un cerchio magico significativo è stato quello sul Natale più bello, perché, senza
fare tanti discorsi, sono emerse le differenze tra i modi diversi di concepire la bellezza
del Natale.
Alcuni ragazzi hanno cominciato a raccontare dei regali più belli ricevuti:
computer, biciclette, playstation; poi qualcuno, anzi una ragazza, ha raccontato di un
Natale in montagna con la neve e luoghi bellissimi. Allora altri hanno raccontato
Natali diversi, quasi tutti in montagna, con qualche parente che si travestiva da Babbo
Natale.
Infine sono arrivati i Natali che sembravano normali, ma c’era qualcosa di
diverso, Natali speciali per atmosfera o perché c’era ancora un nonno, che poi se ne è
andato.
Bello il commento di un ragazzo alla fine: ”Ma non ci sono mica solo i regali a
Natale!”
(Edda Reggiani)
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Nave grande… Mare tanto
Nessun bimbo si è mai tirato indietro nei momenti di narrazione, come forse io
mi sarei aspettata per qualcuno almeno le prime volte, anzi il gradimento è stato subito
visibile.
Perfino la bimba straniera, arrivata da poco dal suo paese e che al primo
incontro conosceva poche parole di italiano, ha trovato il modo di inserirsi nel
racconto (senza, probabilmente, aver capito l’argomento dato), ma soprattutto di
tirare fuori ciò che più le premeva comunicare: la sua esperienza, forse non ancora
rielaborata, di emigrazione che ha raccontato con poche, ma significative parole…
“Io, mamma, sorella, cose-tutte, nave grande… grande…. mare…. mare tanto,
io guardo mare, poi… dopo…poi-poi, qui Italia, dopo… casa”.
(Cinzia Losi)
Morti tutti, anche il gatto
Lavoravo con una classe quinta, alla quarta attività del cerchio magico.
L'argomento della narrazione era: “Racconto una situazione in cui ho vissuto un
distacco…”
I ragazzi hanno fatto alcuni esempi, prima di narrare: poteva trattarsi di un
distacco da un animale, da un oggetto, da una persona… oppure da un luogo o da una
situazione. Poi hanno raccontato spontaneamente, uno dopo l'altro. Si trattava di
racconti abbastanza brevi ma spesso densi di emozione: molti avevano parlato di
pupazzi, o di una casa, o di un amico conosciuto durante le vacanze… Fino alla fine
non erano usciti racconti riferiti a situazioni di lutto.
Ma D. non voleva parlare ed era visibilmente emozionato. In seguito a qualche
richiesta da parte dei compagni, si è deciso a raccontare. Solo che non ce l'ha
praticamente fatta, perché il suo racconto era interrotto da convulsi singhiozzi…
" L'altr'anno, ero al mare in vacanza, quando sono tornato erano morti tutti
e due i miei nonni e anche il gatto……" Queste parole siamo riusciti a capirle…
Nei compagni, fino ad ora silenziosissimi, è scattata la solidarietà: chi piangeva,
chi lo abbracciava… tutti lo guardavano con compassione…
Siccome gli altri avevano già raccontato, abbiamo sciolto il cerchio e, mentre
l'altra insegnante accompagnava i bambini in classe, io sono rimasta un po' con lui e
M., un altro compagno scoppiato anche lui in un pianto dirotto.
Non ho saputo dirgli niente, l'ho solo abbracciato forte…
Ho poi dovuto soccorrere anche M. che tra il pianto e la rabbia ha comunicato di avere
visto il nonno crepare davanti a lui…
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Questa è stata la prima volta in cui mi sono sentita inadeguata di fronte
all'enormità dei problemi che possono uscire in questa attività. Sono poi stata
tranquillizzata dal nostro "supervisore", il quale mi ha detto che avevo dato
un'opportunità a quei bambini: avevo dato un contenitore per il loro dolore…
(Bruna Montorsi)
Il ricordo sotto la cenere
Oggi, giovedì 20 Marzo 2003, è scoppiata la guerra in Iraq e io, come molti
altri, penso che non si possa fare lezione come se nulla fosse.
Il gruppo di quinta con cui lavoro è ristretto, l’attività è quella alternativa alla
religione. Ci mettiamo in cerchio, semplicemente, e ognuno è invitato ad esternare le
proprie riflessioni o preoccupazioni in questo triste giorno.
E’ strano come, a tre anni dalla prima volta in cui abbiamo proposto il cerchio
della narrazione, ci siano momenti in cui, anche se l’attività non è quella nello specifico,
i bambini riconoscano immediatamente quei momenti speciali in cui, anche a scuola, si
può parlare di sentimenti, di cose celate, di emozioni forti e spesso negate.
E così si ricrea la magia del cerchio e, a quattro anni dalla sua venuta in Italia,
Olav, per la prima volta ci regala il racconto del suo viaggio in gommone dall’Albania.
“La paura della guerra per me è quella di dover cambiare ancora posto” - esordisce.
E da qui parte la narrazione di quel viaggio con l’acqua vicina vicina, le onde che
facevano paura, il mal di mare e la sua determinazione nel voler vincere quel terrore
ripetendosi senza sosta: ”Io non ho paura, io non ho paura…..”
E poi immagini sfuocate, ma forti: gli occhi che si aprono in una stanza di
Tirana… le tende e dietro di esse un aereo da guerra fermo nel cielo. E un’altra stanza in
cui lui non aveva potuto entrare, forse piena di armi….. erano entrati solo mamma e
papà. Infine un ricordo incerto ”non so se è vero…” di una pallottola ancora nel corpo
del padre.
Leggenda o realtà? Non importa. L’emozione è forte per tutto il gruppo e
nessuno mette in dubbio le sue parole.
Ad un primo silenzio attonito fa seguito un fiume di domande da parte dei
compagni. Capiscono che questa volta possono farle, che lui non si tirerà indietro come
sempre. Capiscono, spero, qualcosa di più della parola guerra e del loro compagno.
Ringrazio Olav del racconto, Lo vedo sereno. La lezione è terminata e il gruppo si
allontana e già si parla d’altro. Come sempre, dopo la narrazione.
Per anni Olav sembrava aver dimenticato tutto, ma il ricordo era sotto la cenere.
Il soffio della narrazione l’ha portato di nuovo a volare nella consapevolezza delle cose
vissute.
(Antonella Bottazzi)
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APPENDICE
Il progetto educativo
LA VALORIZZAZIONE DELLE IDENTITA’ ATTRAVERSO LE PEDAGOGIE DELL’ASCOLTO
E DELLA NARRAZIONE: sperimentazione di un percorso educativo-didattico interculturale
Tipologia
Il progetto di sperimentazione, che si sta attuando da quattro anni, utilizza come strumento di base la
narrazione orale.
Le classi, con scadenza periodica si ritrovano in uno spazio precedentemente attrezzato, dove i ragazzi, sulla
base di un input dato dall'insegnante e in una situazione connotata da un rituale prefissato, raccontano a turno
frammenti della propria storia personale, mentre i compagni ascoltano senza dare giudizi.
Si crea una situazione di uguaglianza perché tutti, compresi i ragazzi stranieri o quelli in difficoltà, hanno
qualcosa da dire che può interessare. Anche l'insegnante diventa un membro del gruppo e quindi è narratore e
ascoltatore come gli altri.
Tutti gli allievi sperimentano durante questa attività una situazione positiva e rilassante in cui non si sentono
valutati e anzi vivono la gratificante esperienza di essere ascoltati, cosa che per molti di loro si verifica
raramente nella vita quotidiana.
L’attività viene portata avanti dall’insegnante di classe, durante le ore curricolari e viene svolta in modo
sistematico per più anni scolastici, poiché si ritiene che la continuità possa favorire nei ragazzi l’acquisizione
di un’abitudine alla convivenza democratica, attraverso la graduale interiorizzazione di comportamenti.
Obiettivi
- stimolare la curiosità verso le culture e le storie degli altri
- sviluppare la capacità di ascolto empatico (senza giudizio)
- migliorare nelle classi i rapporti interpersonali (sia tra ragazzi che tra alunni e docenti)
- favorire l’inserimento di ragazzi stranieri o in difficoltà
- valorizzare ogni individuo e le caratteristiche che lo differenziano (anche come base per
una educazione interculturale)
- consolidare un clima di attenzione e di rispetto dell’altro, elementi basilari per una
convivenza democratica.
- potenziare l’abilità del narrare
Referenti
Classi della scuola elementare e media inferiore
Tempi
L’attività potrà essere svolta 1 ora ogni 15 giorni per tutto l’anno oppure 1ora la settimana per periodi più
brevi (3-4 mesi).
Modalità di attuazione: fase preparatoria
- E’ preferibile che il progetto venga concordato e definito all’interno del consiglio di classe nella scuola
media e durante le riunioni specifiche di programmazione nella scuola elementare e che venga
successivamente approvato dall’assemblea dei genitori della classe.
L’attività può essere portata avanti anche da un solo insegnante. Nel caso in cui operino più docenti, la classe
può essere suddivisa in gruppi.
- Prima di iniziare l’attività è opportuno rilevare la situazione di partenza della classe annotando alcuni
comportamenti osservabili durante le lezioni (ragazzi che hanno difficoltà ad intervenire, presenza di ragazzi
difficili o di casi di emarginazione, aspetti particolari riguardanti le relazioni interpersonali).
(NB per le altre modalità di attuazione si fa riferimento ai percorsi sotto descritti)
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Percorsi nella scuola elementare
Classe prima
Scuola elementare "G. RODARI"
Anno 2000-2001
Insegnante: Bruna Montorsi
Destinatari - La classe era composta da 23 alunni. L'attività veniva svolta da una delle due insegnanti con la
totalità della classe.
Tempi - L'attività è stata iniziata a novembre ed è stata svolta per la durata dell'intero anno scolastico, a
cadenza quindicinale, dalle ore 11.00 alle 12.30, per un totale di 20 ore circa.
Spazi - Veniva utilizzato il palcoscenico del teatro a tende chiuse con luci colorate soffuse.
Riti - All'inizio dell'attività è arrivato un pacco contenente l'occorrente per iniziare l'attività: una
audiocassetta contenente la voce del mago della narrazione, che si presentava e proponeva ai bambini di
iniziare l'attività del cerchio magico; due audiocassette contenenti musiche magiche da usare come
sottofondo durante la narrazione; un foglio contenente le regole del cerchio magico; un vassoio con le
candeline. Ogni due settimane il mago scriveva una lettera con l'argomento della narrazione.
Modalità di svolgimento - I bambini si disponevano in cerchio e ognuno aveva la candelina accesa davanti a
sé; le prime volte si ripetevano le regole che ci aveva dato il mago; si apriva la lettera del mago e si leggeva
l'argomento della narrazione; si faceva partire la musica magica; quando un bambino era pronto prendeva la
sua candelina e la portava al centro del cerchio dentro al vassoio, poi cominciava a raccontare. Fra un
racconto e l'altro si cercava di far rispettare un tempo di silenzio.
Alla fine dell'attività veniva dato un pezzetto di carta colorata dove i bimbi lasciavano una traccia del loro
racconto (disegno o frase) col rispettivo nome.
Le tracce sono state incollate su cartelloni, sotto alla data e argomento di narrazione.
Temi proposti
- Una volta mi sono sentito molto solo/a…
- Quella volta ero stato molto contenta/o…
- Mi ricordo un sogno…
- Mi ricordo quando ho ricevuto un regalo…
- Una volta mi sono arrabbiata/o moltissimo…
- Quella volta che ho pianto tanto…
- Mi ricordo una bellissima festa…
- Una volta ho avuto tanta paura…
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Classe seconda
Scuola elementare "G. RODARI"
Anno 2001-2002
Insegnante: Bruna Montorsi
Destinatari - Date le difficoltà dei bambini ad ascoltare molti racconti, si è cercato di effettuare l'attività in
compresenza per poter dividere la classe in due gruppi di circa 12 bambini.
Tempi - L'attività si è svolta quindicinalmente per 50 minuti circa per ogni gruppo. Totale 14 ore per
gruppo.
Spazi - Quest'anno nelle nostra scuola è stata allestita un'aula per la narrazione. Ci si sedeva in cerchio su un
grande tappeto coi cuscini che ognuno aveva portato da casa. Ognuno aveva davanti a sé una candela spenta.
Al centro del tappeto veniva posto un grande telo bianco e, al centro, una vasca con l'acqua per le candeline.
Le finestre erano oscurate perciò la fonte di luce maggiore era quella delle candeline. Anche quest'anno è
stata mentenuta la musica come sottofondo.
Riti - All'inizio e alla fine dell'attività si cantava insieme una canzone di saluto dei bambini delle isole
Hawaii, che richiede anche l'uso di gesti e gesti-suono:
PU PU INU INU
PU PU INU INU E
O KE CAHAKA CAHAKA E
PU PU INU INU E
Modalità - In seguito si leggeva la lettera del mago, che conteneva l'argomento della narrazione, di solito
all'interno di filastrocche in rima.
Prima di raccontare, ognuno, dopo un tempo per pensare, scriveva una frase o disegnava sul telo bianco
l'oggetto scelto per la propria narrazione. Quando un bambino era pronto per raccontare veniva per farsi
accendere la candela, poi la portava nella vasca al centro del tappeto e iniziava il suo racconto. Alla fine di
ogni racconto si suonava un colpo di cimbali e si ascoltava la fine della coda del suono prima di passare a un
nuovo racconto.
Temi proposti
- Quella volta mi sono sentita/o ingannata/o
- Quella volta mi sono troppo divertita/o
- Una volta mi sono sentito abbandonato/a
- Quella volta mi sono sentita un po' sola/o
- Una volta ho bisticciato con…
- I bambini erano stati invitati a portare un piccolo oggetto
impacchettato, per loro significativo: dopo averlo scartato hanno
raccontato la storia di quell'oggetto
- Input da filastrocca: il viaggio
- "
"
: come vi valutate? Come valutate la scuola? (dopo aver ricevuto la
scheda di valutazione)
- "
"
: una sorpresa
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Classe terza
Scuola elementare "S.G.BOSCO"
Anno 2000-2001
Insegnante: Barbara Castagnetti
Destinatari - 50 alunni delle due classi parallele suddivisi in cinque gruppi da 10 alunni ciascuno.
Tempi - Ogni gruppo ha seguito il laboratorio di narrazione per un totale di 5 volte consecutive. Ogni
intervento aveva la durata di due ore: dalle 10.40 alle 12.40 del giovedì mattina con cadenza settimanale.
L'attività veniva svolta durante la compresenza delle cinque insegnanti delle due classi ( 4 ins. curricolari e 1
ins. di sostegno): mentre un gruppo svolgeva attività di narrazione, gli altri quattro gruppi svolgevano attività
di musica, immagine, lettura animata, informatica. Al termine dei 5 incontri, i gruppi ruotavano e svolgevano
le attività non ancora svolte. L'attività è durata per tutto l'anno scolastico.
Spazi - Il gruppo di narrazione aveva uno spazio fisso: è stata creata una porta di ingresso con uno stendino
appendiabiti da negozio e una tenda, ogni volta venivano disposti in cerchio 11 cuscini, al centro del cerchio
c'era una bacinella con 11 candeline che servivano per segnare il momento di inizio delle narrazioni, l'acqua
veniva profumata con un olio essenziale.
Riti
- canzone africana (zuva buda….) cantata all'inizio e tra un racconto e l'altro
- candele galleggianti dentro ad una bacinella al centro del cerchio: ognuno accendeva la
propria quando iniziava a narrare
- oli essenziali per profumare l'acqua
Modalità - Ho utilizzato la figura di un narratore esterno che ha comunicato con i diversi gruppi, per tutta la
durata del laboratorio, attraverso un pacco e delle lettere inviate a scuola e precisamente ai bambini del
gruppo di narrazione della III A e III B.
Durante il primo incontro, la bidella portava un pacco chiuso, intestato e affrancato, indirizzato al gruppo.
Con grande sorpresa da parte mia, il pacco veniva ricevuto e aperto. Esso conteneva una cassetta registrata
dal narratore (adulto non conosciuto dai bambini), una lettera dove erano scritti i segreti per narrare, il testo
della canzone africana (uno per ogni bambino), una lettera con scritto il tema delle narrazioni di quel giorno,
le candeline, l'olio essenziale, una cassetta con registrate alcune musiche rilassanti che servivano per pensare
alle storie , alcuni pennarelli e fogli,… praticamente tutto l'occorrente per narrare.
Le modalità utilizzate per prendere la parola sono state sempre mantenute nei diversi gruppi: chi prendeva la
parola andava al centro del cerchio, accendeva la candela e iniziava il suo racconto.
Come passaggio tra una storia e l'altra, i bambini venivano invitati a rispettare un momento di silenzio e a
intonare il canto africano cantato anche all'inizio dell'attività.
Temi proposti - La Porta
I capelli
Un sogno
Gli occhi
Un regalo
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Classe terza
Scuola elementare "CIRO MENOTTI
"
Anno 2001-2002
Insegnante: Silvia Tioli e Paolo Zanni
Destinatari - Tutta una classe terza (15 alunni)
Spazio - Teatro, sul palco a sipario chiuso. In alternativa nell’aula delle storie. Luci basse, candeline rituali
(ogni bambino accende la sua prima di intervenire).
Tempi - A cadenza quindicinale, in compresenza, mercoledì mattina dopo l’intervallo.
Il primo incontro di quest’anno è avvenuto il 17 ottobre 2001.
Presentazione - E’ una iniziativa cominciata l’anno scorso in seconda.
Non si pone dei precisi obiettivi didattici, riconducibili alle discipline e non è sottoposta a nessuna forma di
valutazione, ma viene interpretato come un significativo momento educativo.
E’ un momento di incontro e di scambio che cerca di aprire una finestra sull’universo emotivo di tutti i
componenti del gruppo classe, insegnanti compresi, stimolando la capacità di comunicare e di ascoltare e
favorendo un clima aperto, profondo e sereno nelle relazioni interpersonali.
Riti
- arrivo della lettera col tema da trattare, una storia o una esperienza sensoriale,
- filastrocca rituale di inizio,
- candele e musica di sottofondo (The best of Enya “Paint the sky with stars”)
- animazione gestuale, motoria, sensoriale (con alcune varianti a seconda delle situazioni e
del tema
proposto) per preparare il magico momento del ricordo e della narrazione;
- traccia della storia da raccontare con disegno o scritta individuale su un foglietto colorato
oppure
traccia collettiva su cartellone da conservare come memoria;
- narrazione individuale e ascolto di ciascuno;
La memoria delle storie
- Ogni bambino scrive alcune parole chiave del suo racconto su un bigliettino colorato. I
bigliettini
vengono raccolti e conservati per poterli ripescare quando si vuole.
- Viene prodotto un grande album che raccoglie tutte le lettere e le tracce delle storie
narrate
Temi proposti
- cammina, cammina
- un viaggio
- mani, mani
- braccia, braccia
- amici, amici
- piccolo e grande e storia di un granello di senape
- dentro e fuori
- c’è posta per te e lettere
- Voi, di voi, cosa pensate?
- ciò che di te mi piace e mi spiace
- dalle tenebre alla luce
- sogno o son desto?
- l’oggetto più caro con messaggio d’anticipo
- amarcord …
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Classe quarta
Scuola elementare "G. RODARI"
anno 2001-2002
Insegnante: Antonella Bottazzi
Destinatari - 25 alunni per classe, divisi in due gruppi, condotti separatamente dall'insegnante di classe e
dall'insegnante su progetto.
Tempi - 1ora a cadenza settimanale per 4 mesi.
Spazi- Aula di narrazione predisposta nella scuola, aula di psicomotricità, giardino.
Riti - Utilizzo di odori- profumi, candela accesa nella penombra della sala, canto di inizio e fine, utilizzo a
volte della musica, saluto speciale (dolcetto, abbraccio, gesto....), traccia da lasciare attraverso un disegno o
una semplice parola su un lenzuolo o su altro materiale. Qualcuno ha costruito il suo libretto personale delle
storie.
Modalità - Viene proposto un tema attraverso un racconto, una lettura, un gioco di fiducia....
Si prende la parola attraverso l'uso di un oggetto sonoro (cembalo o bastone della pioggia9 che passa di mano
in mano. Il suono serve affinchè la storia arrivi, affinchè dacanti e in attesa della successiva....
Temi - 1° incontro: il dono
L’insegnante legge un brano della storia del piccolo principe, in cui la volpe riceve come dono dal piccolo
principe il colore dei suoi capelli, simili al colore del grano.
Al termine della lettura si invieranno i bambini a fare dono al gruppo, uno per volta, di un pacchettino
precedentemente preparato, contenente una parola di cui si vuole appunto fare dono agli altri.
Chi vuole potrà aggiungere alla parola, dopo averla letta, spiegazioni o il racconto della storia che lo lega alla
parola stessa.
Infine tutti i doni portati diverranno patrimonio del gruppo e rimarranno nell’aula del cerchio magico.
2° incontro: la fiducia
L’insegnante, dopo il rito iniziale (in cerchio: canto e accensione delle candele) propone
ai bambini di uscire in giardino e fare un gioco a coppie, in cui uno dei due è bendato e si fa guidare dal
compagno, che ha il compito di fargli scoprire il giardino, non dimenticando che deve anche proteggerlo dai
pericoli.
Dopo lo scambio di ruoli si tornerà nel cerchio e inizierà il racconto dalla frase proposta:
…..ho avuto fiducia di……..
Alla fine dei racconti, su un lenzuolo bianco, ognuno scriverà il nome di una persona di cui si fida.
3° incontro: le coccole
Dopo il rito iniziale, i bambini sono invitati a farsi un massaggio a coppie con la palla: uno dei due si sdraia
comodamente, mentre l’altro passa la palla sul corpo del compagno premendo un poco. Dopo lo scambio dei
ruoli si torna nel cerchio e i bambini sono invitati a raccontare partendo da questo input: …..quella volta
avevo proprio bisogno di coccole…
Al termine dei racconti ognuno fisserà la sua storia sul telo con un semplice disegno.
4° incontro: un sogno
L’insegnante racconta di come gli indiani d’America creino i loro cattura-sogni per non avere incubi durante
la notte, ma solo sogni piacevoli.
I bambini sono poi invitati a sdraiarsi e, con un sottofondo musicale e il profumo dell’incenso, cercheranno di
sognare qualcosa che desiderano molto e di vedere il sogno in tutti i suoi dettagli.
Al termine del sogno, a coppie si cercano uno spazio per raccontarsi il sogno che ciascuno di loro ha
catturato.
Infine, tornando nel cerchio, ciascuno racconterà in prima persona il sogno del compagno, come se fosse il
suo.
La traccia che lasciamo è una ragnatela simile al cattura-sogni, costruita con un filo di lana che ci lanciamo a
turno, augurandoci reciprocamente che il nostro sogno si avveri.
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5° incontro: il coraggio
L’insegnante racconta la storia del barone rampante, poi chiede ai bambini di raccontare di una volta in cui
anche loro sono stati coraggiosi come lui.
6° incontro: il cielo
Usciamo e, a coppie , cerchiamo di catturare un pezzo di cielo, dopo averlo osservato insieme e scelto il
punto che più ci piace.
Ogni coppia si prenderà per mano e, osservando il suo pezzo di cielo, stringerà la mano dicendo insieme:
CLIK. Questa sarà la foto di ciascuno.
Torniamo poi nella nostra stanza e, con le solite modalità, ciascuno racconterà un cielo che lo ha
particolarmente colpito.
Lasceremo la traccia in un piccolo pezzo di carta dove ognuno disegna il suo cielo.
7° incontro: le foglie secche
Andiamo in giardino dove ci sono mucchi di foglie secche; camminiamo, corriamo, giochiamo e la consegna
è quella di ascoltare che cosa hanno da dirci queste foglie cadute dall’albero.
Ogni bambino inoltre cerca la sua foglia e la raccoglie.
Al ritorno nella nostra stanza, l’insegnante invita i bambini ad immaginare che cosa può dire o fare una foglia
che sta per cadere dal suo albero, una foglia che sa che ciò sta per avvenire.
Ognuno perciò, parlando in prima persona, dirà:
Se fossi una foglia secca, prima di cadere vorrei……………
Come traccia lasciamo le nostre foglie con il nostro nome scritto sopra.
8° incontro: il sole
Andiamo in giardino e assaporiamo il calore del sole sul viso, sulle mani, attraverso i vestiti; chiudiamo gli
occhi per percepire meglio ogni sensazione…….
Poi, tornati nella nostra stanza, chiudiamo di nuovo gli occhi per cercare di capire chi è per ognuno di noi, il
sole della propria vita e proviamo a dirlo agli altri.
Cerchiamo anche nella memoria una volta in cui noi siamo stati il sole per qualcuno e raccontiamo:
- Quella volta sono stato il sole per……..
9° incontro: la memoria
Nell’ultimo incontro cerchiamo di capire se l’attività è piaciuta e perché.
Ogni bambino sarà inoltre invitato a ricordare e quindi a raccontare nuovamente la storia che più gli è
piaciuta.
Classe quinta
Scuola elementare "G. RODARI"
anno 2001-2002
Insegnante: Loretta Beccantini e Federica Vallini
Destinatari - 23 alunni della classe 5^B divisi in due gruppi (12+11). La composizione dei 2 gruppi è variata
tra il primo e il secondo quadrimestre.
Tempi - Quest’anno si sono effettuati 10 incontri di un’ora per ogni gruppo. L’attività si svolge a cadenza
quindicinale (il venerdì dalle ore 8,30-9,30 per il primo gruppo e dalle ore 9,30-10,30 per il secondo).
Spazi - Aula di narrazione, parzialmente oscurata. L’aula contiene solo un tavolo e un armadio perciò
consente di avere un ampio spazio libero. Abbiamo steso un lenzuolo bianco su cui si è raccolta la cera delle
candele. Essa ha creato una serie di disegni che hanno decorato, colorato e profumato il lenzuolo stesso. È
stata utilizzata sempre una musica di sottofondo che raccoglieva brani di musica celtica mescolati a “musiche
della natura” (con il cinguettio degli uccelli).
Riti - Il cerchio si apre e si chiude ogni volta con il canto “Zuva budà” e con una semplice danza. Esso è il
segnale d’inizio e di fine per cui in questo spazio di tempo si applica il patto delle regole della narrazione.
L’argomento della settimana viene inviato il giorno prima (il giovedì) da un fittizio personaggio narratore di
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storie chiamato Tusitala, insieme ad una lettera in cui ringrazia e commenta alcune storie del cerchio
precedente. All’inizio e alla fine dell’anno, oltre alle lettere, viene inviata una cassetta con una voce registrata
che si rivolge ai singoli bambini chiedendo il loro parere sull’esperienza o commentando qualche episodio
della vita scolastica. La cassetta è stata il primo input per l’attività avviata lo scorso anno. In essa infatti
erano contenute le istruzioni e le intenzioni di creare il cerchio magico a nome del personaggio Tusitala.
Modalità - I bambini stanno intorno al lenzuolo nella posizione in cui vogliono, conoscono le regole e per
prendere la parola devono aspettare che venga accesa la loro candela da un compagno (la candela è il
testimone per evitare il sovrapporsi dei racconti). Se un bambino ha la candela spenta rivolta verso il centro
del cerchio significa che ha una storia da raccontare, se non vuole intervenire invece tiene la candela rivolta
verso se stesso. Le insegnanti seguono lo stesso procedimento, danno solo inizio al cerchio accendendo la
prima candela a un bambino.
Temi proposti - Quest’anno i temi sono stati suggeriti dalla lettura del testo di Rafik Shami “La notte
racconta”, utilizzato nell’ambito di un progetto teatrale della classe condotto da Magda Siti. Ad essi sono stati
collegati degli stimoli sensoriali che hanno creato una nuova aspettativa negli alunni.
- Che paura quella volta che… (nessuno stimolo poiché non c’era ancora l’idea di collegare i temi
al libro)
- Quella volta ho bevuto… (sono state poste al centro del lenzuolo 7 caraffe colorate e chiuse
contenenti bevande diverse tra cui acqua, tè caldo, aranciata, succo di frutta ecc., ogni bambino ha
scelto dì versare il contenuto nel proprio bicchiere senza sapere di cosa si trattasse e lo ha bevuto)
- Quel profumo mi ha fatto pensare… (sono stati posti al centro del lenzuolo 7 barattoli coperti
contenenti sostanze dal profumo forte tra cui origano, rosmarino, lavanda, detersivo profumato,
profumo ecc., ogni bambino ha scelto dì annusare il contenuto di un barattolo, senza sapere di cosa
si trattasse)
- A quel pranzo ho mangiato… (sono stati posti al centro del lenzuolo 7 contenitori coperti
contenenti cose da mangiare dolci, salate o aspre come biscotti, cioccolata, salatini, limone ecc.,
ogni bambino ha scelto dì prendere il contenuto di un barattolo, senza sapere di cosa si trattasse, e lo
ha mangiato)
- Con quei soldi mi è successo… (è stato posto al centro del lenzuolo un sacchetto chiuso
contenenti dei soldi del Monopoli e ogni bambino ha pescato una banconota)
- Quella volta sono andato in un posto così bello… (sono state sparse sul lenzuolo delle
immagini colorate e cartoline di luoghi di mare, montagna ecc. e ogni bambino ne ha scelta una)
- Un ricordo color rosso, giallo, blu, verde (questo tema si è distaccato dal libro e si è ispirato ad
una associazione di idee con i colori)
- Quella volta l’ho combinata proprio grossa, ho deluso una persona e pensavo di non
ottenere il suo perdono (questo tema si ricollegava ad un episodio del libro ma non si è utilizzato
nessuno stimolo sensoriale)
- Il ricordo più bello e più brutto di questi 5 anni insieme (anche questo tema si è
distaccato dal libro)
- Quella volta ho dovuto far buon viso a cattiva sorte (questo tema si ricollegava ad un episodio
del libro ma non si è utilizzato nessuno stimolo sensoriale)
La documentazione dell’esperienza (completa di fotografie, lettere inviate da Tusitala e racconti dei bambini
trascritti dalle registrazioni fatte con lo stereo) sono raccolte in un testo, redatto dall’insegnante Vallini, per il
suo anno di formazione.
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Percorsi nella scuola media
Classe prima
Scuola media "LANFRANCO"
anno 2001-2002
Insegnante: Pialisa Ardeni
Destinatari - L’attività è stata svolta con una classe di 25 alunni . Quell’anno concludevo in un’altra classe
l’attività sperimentata per un triennio.
Tempi - Con ambedue le classi la cadenza è stata un’ora ogni quindici giorni (non sempre rispettata in modo
ferreo), per tutto l’anno scolastico.
Spazi - Non esiste uno spazio fisso. Quando è disponibile, l’aula magna o un laboratorio abbastanza
spazioso. A volte abbiamo dovuto svolgere l’attività in aula spostando i banchi.
Si cerca di creare un po’ di atmosfera abbassando le tapparelle e suonando una musica dolce.
Riti - Disposizione a cerchio su sedie (non per terra per evitare stiramenti o movimenti che distraggono….)
Silenzio iniziale. Ogni ragazzo tiene in mano un pacchettino regalo e quando ha finito di raccontare, mette
per terra il proprio pacchettino davanti al suo posto come simbolo dell’aver donato la propria storia ai
compagni.
Modalità - In aula prima di spostarsi si ricordano le regole: non deridere neppure con espressioni del viso,
non commentare e non fare domande. Le domande si possono fare dopo che si è tornati in aula.
Nello spazio dell’attività si narra soltanto.
Appena entrati, dopo che si è creato il silenzio, l’insegnante dice il tema, poi si lascia un altro minuto di
silenzio .
La narrazione comincia dal primo che alza la mano e da lui si va avanti di seguito. Se qualcuno non ha niente
da dire, passa e parla alla fine.
Di solito le storie sono brevi, sono solo flash e tutti riescono a parlare.
La memoria - Tornati in classe, i ragazzi scrivono su un fogliettino adesivo una brevissima sintesi della
storia raccontata e fanno un piccolissimo disegno. I foglietti vengono incollati in un librone della memoria
delle storie della classe.
Alla fine dell’anno ognuno scrive in un foglio una brevissima sintesi delle storie che ha raccontato durante
l’anno e questa diventa la memoria personale di ognuno.
Temi proposti – Una volta mi sono sentita protetta
Una volta mi sono sentita esclusa
Un incontro interessante
Acqua aria terra fuoco (collegati all’ attività teatrale)
Denti
Una grandissima rabbia
Un’amica….
Un giorno di festa
Porta chiusa e porta aperta
Una forte emozione
Quel giorno ho avuto molta paura
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Classe seconda
Scuola media "LANFRANCO"
Anno 2000-2001
Insegnante: Claudia Corradi
Destinatari - Una classe di 26 ragazzi di seconda media
Tempi - Ho impiegato circa 20 ore con cadenza quindicinale, utilizzando la quarta ora del lunedì mattina,
(non sempre abbiamo rispettato i tempi).
Spazi - Ho utilizzato l'Aula Magna della scuola formando un "cerchio magico" con le sedie in una parte del
lavoro e poi ci siamo anche seduti per terra su cuscini portati dai ragazzi ( ognuno aveva il proprio cuscino
che lasciava a scuola).
Riti - C'era la musica iniziale, sempre la stessa, tranquilla, lieve e serena; rimaneva poi in sottofondo per
l'intera seduta; una volta ho cambiato la musica e qualche alunno (soprattutto quelli in difficoltà si è
disorientato); ogni ragazzo aveva un pacco-dono simbolico che veniva posto
al centro del cerchio prima di raccontare la propria storia.
Una volta ho usato alcuni incensi ( e ciò ha fatto pensare ad una ragazza di far parte di qualche sabba o rito
stregonesco) e un'altra ho utilizzato un oggetto raccolto dai ragazzi.
Modalità - Di solito cominciavo proponendo la parola -guida e spesso raccontavo un episodio personale poi
ogni ragazzo esponeva il suo. Obbligatorio il silenzio durante la narrazione ed anche alla fine di ogni storia:
la pausa di silenzio, infatti, doveva servire a conferire rispetto al narratore e a valorizzare il racconto appena
narrato. Una sola volta è stato estromesso dal cerchio un ragazzo perché rideva. Non si doveva, inoltre
durante la narrazione, intervenire con parole ma neppure con gesti o mimica facciale, insomma si doveva
solo ascoltare senza dar segno di un minimo di giudizio o di una valutazione personale/soggettiva.
Alcune volte, dopo aver proposto il tema, ho diviso gli alunni a gruppi di due con il seguente compito: si
dovevano raccontare l'un l'altro la propria storia poi, una volta tornati nel cerchio, ogni membro della coppia
raccontava a tutto il gruppo la storia precedentemente raccontatagli dal
compagno; lo scopo di questa attività era dare dignità e valore alla storia in sé, farla vivere una propria
esistenza indipendentemente dal narratore.
Temi proposti: La porta
I denti
Un profumo
Quella volta che mi sono sentito bene
Quella volta ho avuto paura
Festa
Amicizia
Amore
Quella volta sono stato felice
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Classe terza
Scuola media "LANFRANCO"
Anno 2000-2001
Insegnante: Edda Reggiani
Destinatari - Una classe di 27 ragazzi di terza media
Tempi - Ho impiegato circa 20 ore con cadenza settimanale e ho utilizzato l’ultima ora del lunedì
pomeriggio dalle 16,30 alle 17,30.
Spazi - Ho utilizzato l’Aula Magna della scuola formando un “cerchio magico” con le sedie nella prima parte
del lavoro e poi seduti per terra sul palcoscenico nella seconda parte.
Riti - Ho usato un incenso acceso nel mezzo del cerchio e la musica iniziale; più tardi una candela e due
volte un oggetto raccolto dai ragazzi.
Modalità - Cominciavo proponendo la parola –guida e spesso raccontavo un episodio personale, poi ogni
ragazzo esponeva il suo. Chi non era pronto saltava il turno e recuperava alla fine. Obbligatorio il silenzio.
Una sola volta è stato allontanato un ragazzo perché rideva.
Per Natale abbiamo fatto uno spettacolo insieme alle altre due classi del corso e la classe ha presentato il
cerchio magico: tutti i ragazzi erano seduti a terra sul palcoscenico con una candela accesa davanti ed uno
alla volta si presentava al microfono raccontando brevemente il suo Natale più bello o un episodio legato al
Natale.
Temi proposti - La porta
Gli occhi
Un profumo
Quella volta che mi sono sentito bene
La paura
Il regalo più bello
Una cicatrice
Un paesaggio
Il Natale che ricordo.
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PICCOLA BIBLIOGRAFIA
A) Testi utilizzati durante la sperimentazione nelle classi:
- Roberto Piumini - Il viaggio di Ulisse - Nuova Italia
- Italo Calvino- Fiabe italiane - Mondadori
- Fiabe di Katmandu - Arcana
- Italo Calvino - Il barone rampante - Mondadori
- Antoine De Saint-Exupéry - Il piccolo principe - Bompiani
- Grimm - Fiabe - Einaudi,
-Rafik Schami - La notte racconta, Mondadori
- Stevenson - L'isola del tesoro
Temi proposti da Il viaggio di Ulisse:
• La bugia (1° capitolo)
• Una sorpresa (il cavallo di Troia)
• Una storia di occhi (Polifemo)
• Una storia di vento (Eolo)
• Un ricordo legato ad un profumo o ad una puzza (la maga Circe)
• Un ricordo legato ad una musica (le sirene)
• La festa più bella della mia vita (il ritorno di Ulisse)
Temi proposti da Hansel e Gretel:
• Quella volta mi sono sentito ingannato
Temi proposti da Fratellino e sorellina:
• Una volta mi sono sentito abbandonato
Temi proposti da La notte racconta:
• Che paura quella volta…
• Quella volta ho bevuto…
• Quando ho sentito profumo di…
• A quel pranzo ho mangiato…
• Con quei soldi mi è successo…
• Quella volta sono andato in un posto così bello…
• Un ricordo color rosso, blu, giallo, verde…
• Quella volta l'ho combinata grossa…
• Il ricordo più bello e quello più brutto di questi 5 anni insieme…
Temi proposti da Fiabe italiane:
• La paura (Giovannin senza paura)
• Un ricordo legato ad un suono (Rosmarina)
Temi proposti da Fiabe di Katmandu:
• Una volta in cui mi sono sentito ascoltato (La fiaba della dea delle fiabe)
Temi proposti da Il barone rampante:
• Il mio rifugio preferito
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Temi proposti da Il piccolo principe:
• Quella volta che mi sono sentito protetto
B) Testi di approfondimento
- Arte del narrare e arte del convivere, Atti del convegno di Palermo, (pubblicato dall’Assessorato alla
pubblica Istruzione del Comune di Palermo, 2000)
- Franco Lorenzoni, Marco Martinelli, Saltatori di muri, (Macro edizioni, 1998)
- Marco Baliani, Racconti a teatro (Loggia de Lanzi editori, 1998)
- Walter J. Ong, Oralità e scrittura (Il Mulino, 1986)
- Jerome Bruner, La ricerca del significato (Bollati Boringhieri, 1992)
- Duccio Demetrio, Raccontarsi (Raffaello Cortina editore, 1996)
- Walter Benjamin, Angelus Novus (Einaudi reprints, 1976)
- James Hillman, Le storie che curano (Raffaello Cortina Editore, 1984)
- Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi (Bompiani, 1995)
- Centro di educazione alla mondialità Per una pedagogia narrativa (Emi, 1996)
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