Matrimoni misti - Centri di Preparazione al Matrimonio

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Matrimoni misti - Centri di Preparazione al Matrimonio
12. Note e rassegne 4-2009 – Matrimoni misti – Annamaria e Franco Quarta
note e rassegne
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Matrimoni misti
ANNAMARIA E FRANCO QUARTA*
Genova
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I giovani che viaggiano continuamente ai margini sono come
delle leggere tempeste, magari un poco noiose, ma tanto
preziose per la terra. Con la loro energia impreziosiscono il
nostro sangue e portano lontano il vanto degli anziani come
agili salamandre.
Alda Merini, La vita facile
Il pozzo: uno spazio di incontri, uno
spazio posto ai margini del villaggio, quasi a
segnare il confine tra l’abitare, il risiedere e il
camminare, l’essere pellegrino.
Il confine può separare due spazi, come
due persone o due fedi…Può essere margine, ma
anche emarginazione, tramite o isolamento.
Rompere i confini significa infrangere il limite
che esso stabilisce, per trasformarlo in un margine
sempre più ampio, dove dare una casa alle
differenze.
Vivere la marginalità vuol dire, allora,
costruire ed abitare questo luogo nuovo il cui
centro passa al suo interno e dentro di noi per
diventare noi stessi uomini di confine. Ciò
richiede a ciascuno di noi la disponibilità e la
volontà
di
compiere
un’esperienza
di
apprendimento oltre le abitudini, al di là delle
convenzioni e dei preconcetti che ciascuno di noi
può avere.
Provare il confine e le sue contraddizioni,
ma anche la sua sconfinata vivacità, vuol dire
esercitarsi nella pratica della tolleranza, della
convivenza, dello stare fianco a fianco malgrado
le rispettive peculiarità. Vuol dire anche cercare di
avere uno sguardo più allargato sulle cose, in
grado di comprendere aspetti diversi (anche se
molto lontani tra loro) di una stessa realtà, come
parti di una sola complessità. È in questi spazi di
comunicazione e di scambio che noi collochiamo i
matrimoni misti.
Che cosa sono
Vediamo di chiarire le parole che stiamo
usando. L’Istat, l’Istituto nazionale di statistica,
comprende sotto la voce “matrimoni misti” quelle
unioni coniugali nelle quali uno dei partner
-------------------*Della redazione di Famiglia Domani
appartiene ad un gruppo nazionale diverso da
quello italiano. Questi matrimoni sono un
fenomeno sociale in continuo e rapido incremento
e rappresentano uno degli indicatori più
significativi del processo di integrazione delle
comunità immigrate nel nostro Paese. Essi erano il
3,2 % nel 1992, sono saliti all’ 8,8 % nel 2004 ( le
rilevazioni sui Matrimoni che l’Istat ha reso
disponibili sono aggiornate al 2004-2005), per un
totale di 28.828 celebrazioni. La frequenza dei
matrimoni misti è proporzionale all’incidenza
della presenza straniera nel nostro Paese, pertanto
sono più diffusi al Nord e al Centro del Paese
(circa 12 matrimoni misti ogni cento
celebrazioni), ovvero nelle aree in cui è più stabile
e radicato l’insediamento delle comunità straniere.
Al Sud e nelle Isole, al contrario, il fenomeno
assume ancora proporzioni contenute (circa 4,5
matrimoni misti ogni 100). Nelle coppie miste, la
composizione più frequente è quella in cui lo
sposo è italiano e la sposa è straniera: circa 9
matrimoni su 100 al Centro-Nord e 7 matrimoni
su cento a livello medio nazionale. Le donne
italiane che scelgono un partner straniero sono
molto meno numerose e questi matrimoni
rappresentano solo l’1,8%.
Uomini e donne mostrano una diversa
propensione a contrarre matrimonio con un
cittadino straniero non solo in termini di
frequenza, ma anche per quanto riguarda alcune
importanti caratteristiche degli sposi come la
cittadinanza, e, conseguentemente, la religione da
questi praticata.
Gli uomini italiani che sposano una
cittadina straniera scelgono nel 49% dei casi
donne
dell’Europa
centro-orientale
(principalmente rumene, ucraine, polacche, russe
e albanesi) e nel 21% donne dell’America centro-
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meridionale (soprattutto brasiliane, ecuadoriane,
cubane).
Le donne italiane che sposano un cittadino
straniero, invece, mostrano una preferenza per gli
uomini di origine nordafricana (23% dei
matrimoni), per lo più provenienti dal Marocco o
dalla Tunisia, o per i cittadini dell’Europa centroorientale (22% dei casi), soprattutto albanesi e
rumeni.
Questi dati dipendono anche dal fatto che,
per la legge islamica, un musulmano maschio può
sposare una cristiana o una ebrea, ma la donna
musulmana può solo sposare un musulmano.
Parte dei matrimoni misti riguarda, infine,
cittadini dell’Unione europea (ad essere straniero
è nel 15 % dei casi è la sposa e nel 22% lo sposo).
Il fenomeno dei matrimoni misti, e la sua
notevole espansione in questi anni, riguarda,
dunque, in larga misura coppie in cui la sposa o lo
sposo provengono da un paese a forte pressione
migratoria.
Come ha ricordato Benedetto XVI
all’Angelus, domenica 14 gennaio 2007, “La
realtà delle migrazioni non va mai vista soltanto
come un problema, ma anche e soprattutto come
una grande risorsa per il cammino dell’umanità”.
Queste parole che testimoniano l’autenticità dello
spirito ecumenico della Chiesa cattolica,
sembrano mal conciliarsi con la complessità della
disciplina cattolica sui matrimoni misti.
La disciplina cattolica
L’espressione “matrimoni misti”, usata
dal “Codice di diritto canonico” della Chiesa
latina si riferisce, infatti, esclusivamente al
«matrimonio tra due persone battezzate, delle
quali una sia battezzata nella Chiesa Cattolica o in
essa accolta dopo il battesimo […], l’altra invece
sia iscritta a una Chiesa o Comunità ecclesiale non
in piena comunione con la Chiesa cattolica» (can.
1124), come, ad esempio, un matrimonio tra
cattolici e ortodossi o un matrimonio tra cattolici e
riformati
(anglicani,
luterani,
calvinisti,
valdesi…).
Perciò dobbiamo innanzitutto distinguere i
«matrimoni misti» dai matrimoni dei cattolici con
i non battezzati; i matrimoni con i non battezzati
non possono essere validamente celebrati a causa
dell’impedimento dirimente, detto nel linguaggio
canonico di « disparità di culto» (can. 1086, § 1)
Questi ultimi vengono anche definiti dal
Direttorio di Pastorale Familiare come “matrimoni
interreligiosi” (n. 89). Entrambi questi matrimoni
vengono accomunati nella lettera apostolica in
forma di motu proprio “MATRIMONIA MIXTA”
con la quale vengono impartite da Paolo VI norme
sui matrimoni misti (31 marzo 1970).
Il Catechismo della Chiesa Cattolica nota
in merito: « In numerosi paesi si presenta assai di
frequente la situazione del matrimonio misto (fra
cattolico e battezzato non cattolico). Essa richiede
un’attenzione particolare dei coniugi e dei
pastori. Il caso di matrimonio con disparità di
culto (fra cattolico e non battezzato) esige una
circospezione ancora maggiore. La diversità di
confessione fra i coniugi non costituisce un
ostacolo insormontabile per il matrimonio,
allorché essi arrivano a mettere in comune ciò
che ciascuno di loro ha ricevuto nella propria
comunità, e ad apprendere l’uno dall’altro il
modo con cui ciascuno vive la sua fedeltà a
Cristo. Ma le difficoltà dei matrimoni misti non
devono neppure essere sottovalutate. Esse sono
dovute al fatto che la separazione dei cristiani
non è ancora superata. Gli sposi rischiano di
risentire il dramma della disunione dei cristiani
all’interno stesso del loro focolare. La disparità
di culto può aggravare ulteriormente queste
difficoltà. Divergenze concernenti la fede, la
stessa concezione del matrimonio, ma anche
mentalità religiose differenti possono costituire
una sorgenti di tensioni nel matrimonio,
soprattutto a proposito dell’educazione dei figli.
Una tentazione può allora presentarsi:
l’indifferenza religiosa» (CCC, nn. 1633-1634).
Secondo il Codice di diritto canonico, un
matrimonio misto necessita, per la sua liceità,
dell’espressa licenza dell’autorità ecclesiastica
(canone 1124). In caso di disparità di culto è
richiesta, per la validità del matrimonio, una
espressa dispensa dall’impedimento (canone
1086). Questa licenza o questa dispensa
suppongono che entrambe le parti conoscano e
non escludano i fini e le proprietà essenziali del
matrimonio; inoltre che la parte cattolica confermi
gli impegni, portati a conoscenza anche della parte
acattolica, di conservare la propria fede e di
assicurare il battesimo e l’educazione dei figli
nella chiesa cattolica (canone 1125).
Gli elementi da valorizzare
I matrimoni misti offrono, “pur nella loro
particolare fisionomia, numerosi elementi che è
bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro
intrinseco valore, che per l’apporto che possono
dare al movimento ecumenico” (Familiaris
Consortio, n.78)
È proprio grazie al dialogo ecumenico
che, in molti Paesi in cui accanto ai cattolici esiste
un’ampia componente di cristiani non cattolici,
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come in Germania, Regno-Unito, Svizzera, Paesi
Bassi, le comunità cristiane interessate hanno
potuto organizzare una pastorale comune per i
matrimoni misti. Questi passi di un cammino
talvolta faticoso hanno portato a numerosi
documenti o accordi interconfessionali a livello
nazionale che, seppure di natura prevalentemente
pastorale, esprimono anche una interpretazione
comune sui matrimoni misti. Compito di questi
accordi è di aiutare le coppie a vivere la loro
situazione particolare alla luce della fede, a
superare le tensioni fra gli obblighi reciproci dei
coniugi e quelli verso le loro comunità ecclesiali,
incoraggiando lo sviluppo di ciò che è loro
comune nella fede, e il rispetto di ciò che li
separa.
Alcune considerazioni
Tradizionalmente, in Italia, prima
dell’arrivo di numerose persone appartenenti alle
Chiese ortodosse, come i romeni e gli ucraini, la
diocesi maggiormente interessata al problema dei
matrimoni misti era Pinerolo, dove vive una
fiorente comunità valdese.
Proprio con la Chiesa evangelica valdese
(Unione delle chiese valdesi e metodiste) è stato
sottoscritto dalla Chiesa cattolica, il 16 giugno
1997, il “Testo comune per un indirizzo pastorale
dei matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti” e
il successivo “Testo applicativo”.
Questi
documenti, di grande valore nel cammino
ecumenico in Italia, affrontano la questione dei
matrimoni misti interconfessionali, che nel
passato è stata causa non solo di forti contrasti tra
le due chiese, ma anche motivo di sofferenza per
le famiglie coinvolte. Il testo comune sottolinea
che “i matrimoni misti possono oggi essere visti
nel loro aspetto positivo per l’apporto che possono
dare al movimento ecumenico, specialmente
quando ambedue i coniugi sono fedeli alla
vocazione cristiana nella loro chiesa”.
Per quanto riguarda, invece, i matrimoni
interreligiosi, “ particolare attenzione va riservata
ai matrimoni tra cattolici e persone appartenenti
alla religione islamica: tali matrimoni, infatti, oltre
ad aumentare numericamente, presentano
difficoltà connesse con gli usi, i costumi, la
mentalità e le leggi islamiche circa la posizione
della donna nei confronti dell’uomo e la stessa
natura del matrimonio” ( Direttorio di Pastorale
familiare, n.89).
Proprio su questo argomento, la
Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana
ha emesso, il 29 aprile 2005, un documento
denominato “ I matrimoni tra cattolici e
musulmani in Italia”, contenente delle indicazioni
generali, finalizzate all’assunzione di una linea
concorde nella soluzione dei singoli casi che si
presentano a livello diocesano.
Lo stesso mons. Mariano Crociata,
segretario generale della C.E.I., in una intervista
al mensile “ 30 Giorni” (dicembre 2008), ha così
dichiarato, anche alla luce della propria esperienza
pastorale come vicario generale a Mazara del
Vallo, una diocesi a forte presenza musulmana: «I
matrimoni misti con musulmani, di cui si è
occupato il documento dei vescovi italiani, non
sono da incoraggiare, perché il passare degli anni
porta spesso a ritornare alle condizioni culturali e
ai rapporti sociali, religiosi e giuridici di origine,
con conseguenze a volte drammatiche che
possono ricadere sui figli. Quindi la richiesta è da
accompagnare
con
grande
prudenza.
L’evoluzione è difficile da prevedere. A sentire i
maggiori esperti, stanno nascendo progetti di
formazione per le nuove generazioni di
musulmani in Italia. Perché la sfida è questa:
rimanere islamici ma integrandosi in una società
che non è a maggioranza musulmana. Questo
potrà assicurare una possibilità di convivenza».
Tale dichiarazione ha provocato numerose
polemiche,
perché
l’indubbiamente
alta
percentuale di fallimento di questi matrimoni
( 80%) può essere attribuita più alle differenze
culturali all’interno della coppia che a ragioni
collegate alla religione. È innegabile che vi siano
problemi nei matrimoni tra italiani e musulmani,
ma è altrettante innegabile che alcuni di essi
funzionino bene. Quando poi parliamo di
musulmani, a chi ci stiamo riferendo? Ad un
saudita o a un senegalese, a un marocchino o un
iraniano, a un indonesiano, un malese o un
pakistano? I contesti culturali sono totalmente
differenti. Una soluzione per ridurre queste crisi
potrebbe essere quella di programmare degli
specifici percorsi di informazione e formazione a
favore delle coppie miste prima della celebrazione
del loro matrimonio, illustrando e testimoniando
le dinamiche di una coppia mista nel quadro del
raggiungimento del mutuo rispetto tra i coniugi.
È proprio nel Catechismo della Chiesa
Cattolica che possiamo leggere, al numero 1637,
una grande rivalutazione di questi matrimoni.
«Nei matrimoni con disparità di culto lo sposo
cattolico ha un compito particolare. Infatti il
marito non credente viene reso santo dalla moglie
credente e la moglie non credente viene resa santa
dal marito credente” (1 Cor 7, 14). È una grande
gioia per il coniuge cristiano e per la chiesa, se
questa “santificazione” conduce alla libera
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conversione dell’altro coniuge alla fede cristiana
(cf. 1Cor 7,16). L’amore coniugale sincero, la
pratica umile e paziente delle virtù familiari e la
preghiera perseverante possono preparare il
coniuge non credente ad accogliere la grazia della
conversione».
Credere nel matrimonio
Se guardiamo attentamente, quanti dei
matrimoni che vediamo oggi attorno a noi sono da
considerarsi dei matrimoni misti! Persone che
appartengono a distinti gruppi sociali, con titoli di
studio e professione diversi. Famiglie di
provenienza che si conoscono poco fra di loro, o
non si conoscono affatto. Percorsi di fede che si
fermano talvolta alla prima comunione e che,
spesso, sono molto diversificati. Eppure questi
giovani chiedono di sposarsi in Chiesa,
raccogliendo la sfida di una vocazione: quella al
matrimonio. Magari inconsciamente, senza capire
del tutto la splendida avventura che sono chiamati
a vivere insieme e le responsabilità che comporta.
Alcuni hanno creduto alle parole della Buona
Novella: «Dio, infatti, non ha mandato il figlio
nel mondo per condannare il mondo, ma perché il
mondo sia salvato per mezzo di lui» (Giovanni
3,17). Anche loro pensano di salvare il mondo, ma
troppo spesso non riescono a salvare neppure il
loro matrimonio. Pellegrini e stranieri nel mondo,
come Pietro definiva i cristiani, avrebbero bisogno
di tutto il nostro amore e della nostra misericordia;
rispondiamo, invece, alle loro domande con
soluzioni pastorali settoriali e casuistiche, dettate
esclusivamente dalla “legge”. E attribuiamo a loro
fallimenti, che sono in gran parte nostri.
Credere al matrimonio, a tutti i
matrimoni, questo è il messaggio che
dobbiamo testimoniare, facendo nostre le
seguenti
parole scritte da
Dietrich
Bonhoeffer, teologo luterano tedesco morto il
9 aprile 1945, nel campo di concentramento
di Flossenbűrg: «Non è il vostro amore a
sostenere il matrimonio, ma d’ora innanzi è il
matrimonio che sostiene il vostro amore» ( da
Resistenza e resa: lettere e altri scritti dal
carcere).
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