l`osservatore romano

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l`osservatore romano
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 31 (47.465)
Città del Vaticano
mercoledì 8 febbraio 2017
.
Nel messaggio per la quaresima il Papa attualizza la parabola di Lazzaro
I cattolici di fronte ai temi cruciali del nostro tempo
I poveri
bussano alla nostra porta
Al di sopra
della politica
«Il povero alla porta del ricco non è
un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita». È quanto ricorda Papa Francesco nel messaggio per la quaresima
2017, presentato martedì mattina, 7
febbraio.
Incentrata sul tema «La Parola è
un dono. L’altro è un dono», la riflessione del Pontefice riprende e attualizza la parabola evangelica di
Lazzaro: una «pagina significativa —
la definisce Francesco — che ci offre
la chiave per comprendere come agire per raggiungere la vera felicità e
la vita eterna, esortandoci a una sincera conversione».
«Il primo invito che ci fa questa
parabola — rileva il messaggio — è
quello di aprire la porta del nostro
cuore all’altro, perché ogni persona
è un dono, sia il nostro vicino sia il
povero sconosciuto». La quaresima
infatti «è un tempo propizio per
aprire la porta a ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di
Cristo». Il Papa ricorda che alla radice di tutti i mali c’è «l’avidità del
denaro», che «può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico». In questo modo, anziché
«essere uno strumento al nostro servizio», il denaro «può asservire noi e
il mondo intero a una logica egoistica che non lascia spazio all’amore e
ostacola la pace».
La parabola mostra inoltre che «la
cupidigia del ricco lo rende vanitoso». La sua personalità si realizza in-
di LUCETTA SCARAFFIA
a posizione tenuta da Papa
Francesco, fin dai primi mesi
del pontificato, nei confronti
di grandi temi come l’aborto, il
matrimonio omosessuale, l’eutanasia, è stata ferma e coerente con la
morale cattolica, ma attenta a non
legarla a scelte partitiche. In questo
modo ha cercato di strappare i cattolici dall’abbraccio interessato delle destre. Senza deflettere dai principi della morale cattolica, ha voluto infatti sfuggire alla politicizzazione che queste questioni hanno
assunto nella vita di molti paesi democratici, per non trovarsi prigioniero di quello che stava diventando, a tutti gli effetti, un appiattimento della Chiesa su posizioni
strettamente politiche. È stata
un’operazione non facile, che gli è
costata molte critiche, ma della
quale ora si raccolgono i frutti.
La posizione della Chiesa sui
due temi cruciali del nostro tempo,
i migranti e la vita, è chiara e autonoma dalla politica, tanto che può
muoversi liberamente senza timore
di venire immediatamente schiacciata dal peso di un’apparente
coincidenza. Si tratta di un difficile
equilibrio, che va riaggiustato di
volta in volta: più facile rinchiudersi in posizioni precostituite e in apparenza chiare. Un atteggiamento
in parte nuovo, che non si può
confondere con il relativismo, perché basato sulla consapevolezza
profonda che ogni volta bisogna
L
Willy Fries, «Lazzaro e l’uomo ricco»
fatti «nel far vedere agli altri ciò che
lui può permettersi»; ma «l’apparenza maschera il vuoto interiore». Per
l’uomo corrotto dalle ricchezze, dunque, «non esiste altro che il proprio
io, e per questo le persone che lo
circondano non entrano nel suo
sguardo».
Alla fine, «solo tra i tormenti
dell’aldilà il ricco riconosce Lazzaro». E questo è «un messaggio per
tutti i cristiani»: in realtà, «la radice
dei suoi mali è il non prestare ascolto alla parola di Dio; questo lo ha
portato a non amare più Dio e quindi a disprezzare il prossimo». Da qui
l’invito conclusivo del Pontefice a vivere il cammino della quaresima come «tempo favorevole per rinnovarsi
nell’incontro con Cristo vivo nella
sua parola, nei sacramenti e nel
prossimo».
PAGINA 8
Circa due milioni di civili privi di approvvigionamento idrico
Aleppo senz’acqua
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DAMASCO, 7. Non conosce fine il
dramma di Aleppo, un tempo seconda città della Siria, oggi un cumulo di macerie a causa del conflitto. La città è controllata dalle forze
governative, tranne alcune aree circostanti dove sono ancora presenti
ribelli o gruppi jihadisti. A pagare il
prezzo più alto sono soprattutto i
civili: anche nelle zone liberate, sono costretti a vivere in condizioni
estreme. Ieri l’ultimo allarme delle
Nazioni Unite: dallo scorso 14 gennaio circa due milioni di persone sono senza acqua potabile. Il portavoce Stéphane Dujarric ha riferito che
«l’Onu sta fornendo il combustibile
per alimentare le pompe di cento
pozzi e ha inviato cisterne piene
d’acqua». I combattimenti hanno
distrutto gran parte delle infrastrutture e soprattutto gli ospedali.
L’appello di ieri è solo l’ultimo di
una lunga lista. Meno di un mese fa
l’organizzazione umanitaria internazionale Save The Children aveva indicato che tra gli sfollati di Aleppo
est «migliaia sono bambini e neonati, in condizioni di estrema vulnerabilità, spesso malnutriti, dopo mesi
sotto assedio senza cibo adeguato».
Dato confermato dall’Unicef, che
denunciava la tragedia di «molti orfani che hanno bisogno di aiuto immediato o rischiano la morte».
Come detto, se ad Aleppo città i
combattimenti sono finiti, le violenze continuano invece nella provincia. L’esercito siriano ha annunciato
ieri di aver completamente circondato i miliziani del cosiddetto stato
islamico (Is) asserragliati ad Al Bab,
a nord di Aleppo e a 25 chilometri
dal confine turco. Proprio in questa
zona sono ancora attivi molti gruppi
jihadisti. L’accerchiamento della città di Al Bab è stato completato di
recente — dicono fonti governative —
grazie al supporto russo. È stato
preso il controllo dell’unica strada
che ancora collegava la città a Raqqa, un altro importante centro jihadista contro il quale nel frattempo è
scattata la terza fase dell’avanzata
delle Forze democratiche siriane (insieme di gruppi di ribelli e forze
curde che agiscono supportate dalla
coalizione internazionale a guida
statunitense).
Ma non è solo l’area di Aleppo a
essere sede di violenze. Il ministero
della difesa russo ha registrato ieri
otto violazioni della tregua nelle ultime 24 ore, di cui quattro nella provincia di Latakia, tre in quella di
Hama e una in quella di Damasco.
La Turchia invece ha denunciato
sette violazioni della tregua: quattro
nella provincia di Damasco, una
nella provincia di Idlib, una nella
Distribuzione di acqua potabile da parte della Croce Rossa in un quartiere di Aleppo (Epa)
provincia di Aleppo e un’altra nella
provincia di Homs. E sempre ieri ad
Astana, in Kazakhstan, le delegazioni di Russia, Turchia e Iran hanno
confermato di essere «pronte a cooperare negli interessi della piena esecuzione della tregua».
Secondo Mosca, «i partecipanti
all’incontro di Astana hanno discusso dell’andamento dell’attuazione
del regime di cessate il fuoco in Siria, delle misure particolari per crea-
re un meccanismo di monitoraggio
della tregua in atto» nelle zone in
cui non sono presenti gruppi jihadisti.
Intanto, in un rapporto l’organizzazione Amnesty International ha
denunciato che oltre 13.000 persone
sarebbero state giustiziate in un carcere di Damasco in cinque anni di
guerra. L’organizzazione riferisce di
migliaia di impiccagioni di massa
avvenute nella prigione di Saydnaya
in un periodo che va dall’inizio della rivolta del 2011 al 2015. Nel rapporto, basato su interviste a 31 ex
carcerati e oltre cinquanta funzionari, Amnesty sostiene che le esecuzioni sarebbero state autorizzate da alti
funzionari governativi. Queste azioni — si legge nel documento — «miravano a schiacciare ogni forma di
dissenso tra la popolazione siriana».
Le autorità di Damasco hanno negato le impiccagioni.
scegliere, e che per farlo è fondamentale muoversi a un livello più
alto di quello della polemica politica.
Del resto la Chiesa sa da tempo
cosa significhi prendere le distanze
da coloro che solo esteriormente
sono compagni di battaglia: Napoleone, che aveva reso molto più severa la legislazione contro l’aborto,
non l’aveva certo fatto perché mosso da motivi morali, ma per garantire soldati al suo esercito, frutto
della coscrizione obbligatoria. E allo stesso modo si erano comportati
i governi europei dopo la prima
guerra mondiale, che aveva determinato una ecatombe di giovani
maschi. In entrambe le situazioni
la Chiesa ha saputo prendere le distanze dalle contingenze politiche,
grazie proprio all’altezza morale
con cui affrontava il problema.
Ma soprattutto grazie al fatto
che la misericordia, il perdono,
fanno parte della tradizione cattolica tanto quanto la condanna del
peccato. Proprio questo particolare
punto di vista permette alla Chiesa
di uscire da schematiche equazioni,
nelle quali talvolta si è trovata imprigionata.
Quando infatti è stata dimenticata questa specifica condizione, che
è proprio quella che differenzia la
posizione cattolica da qualsiasi parte politica, la Chiesa o singoli
gruppi di cattolici hanno rischiato
di essere usati, manipolati, travisati. Pagando a caro prezzo l’immersione nel gioco politico, nel quale
alla fine non hanno mai tratto
niente sul lungo periodo. Ma c’è
sempre chi prova, da un lato come
dall’altro, a tirare la Chiesa dalla
propria parte. Ed è solo alzando il
punto di vista con il quale si interpreta il mondo che ci circonda, ritornando allo spirito evangelico
senza paura di sembrare ingenui,
che si può trovare la posizione giusta e libera con la quale guardare
al presente.
Papa Francesco lo sta facendo,
con la fatica che implica questo districarsi da mille lacci e da mille
condizionamenti, interni ed esterni.
I fedeli dovrebbero aiutarlo, facendo uno sforzo in più per capire cosa accade, senza farsi condizionare
dalle voci che sembrano sapere
qual è la via giusta solo perché
sembra la più facile.
Sedici stati federali si schierano contro il provvedimento di Trump sull’immigrazione
Braccio di ferro
WASHINGTON, 7. È ancora scontro
sull’immigrazione negli Stati Uniti.
Sedici stati hanno presentato ieri
presso la corte di appello di San
Francisco un documento in cui si
schierano contro l’ordine esecutivo
firmato dal presidente Donald
Trump che impone la sospensione
degli ingressi da sette paesi islamici
(Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan,
Yemen e Siria). È l’ultimo atto di
un lungo braccio di ferro: tre giorni
fa sempre la corte di appello federale di San Francisco aveva respinto il
ricorso del dipartimento di giustizia
contro la sospensione del provvedimento da parte di un giudice federale di Seattle.
La corte federale di appello di
San Francisco ha convocato per oggi un’udienza per affrontare la questione. Saranno ascoltati i legali del
dipartimento di giustizia e quelli
degli stati di Washington e del
Minnesota che sono stati i primi a
intentare la causa contro il divieto.
L’amministrazione ha già presentato
ai giudici una memoria difensiva. Il
dipartimento di giustizia chiede alla
corte federale di ripristinare immediatamente l’ordine perché «da esso
dipende la sicurezza nazionale» si
legge nella memoria inviata ai giudici. Il decreto — si sottolinea ancora — «è legale e rientra nell’esercizio
dei poteri del presidente per quel
che riguarda sia l’ingresso di stranieri negli Stati Uniti sia l’ammissione dei rifugiati». L’ordine esecutivo stabilisce che i cittadini dei sette paesi coinvolti non potranno entrare negli Stati Uniti per una durata di novanta giorni, in attesa che
l’amministrazione decida quali informazioni sia necessario raccogliere
su ogni migrante prima di consentirne l’ingresso.
Intanto, contro l’ordine esecutivo
si sono apertamente schierate le
grandi compagnie della Silicon Valley. Da Facebook a Microsoft, da
Apple a Google, i giganti della new
economy hanno presentato ieri
un’azione legale per opporsi al
provvedimento. Una nota che definisce illegale l’ordine esecutivo di
Trump è stata presentata alla corte
d’appello della California ed è firmata in tutto da 97 aziende della Silicon Valley, dove circa il 37 per
cento degli addetti sono stranieri.
La preoccupazione è appunto che a
causa dell’ordine «numerosi deten-
tori di visto di lavoro che lavorano
con impegno negli Stati Uniti, contribuendo al successo del nostro
paese, possano avere difficoltà» si
legge nella nota.
Intanto, sul piano internazionale,
non si stemperano i toni tra Washington e Teheran, dopo la lunga
scia di polemiche suscitate dal test
missilistico iraniano del 29 gennaio.
La guida suprema iraniana, l’ayatollah Sayyed Ali Khamenei, è intervenuto oggi con parole molto dure
per criticare non solo il provvedimento sull’immigrazione, ma anche
le nuove sanzioni introdotte dal
presidente Trump. Quest’ultimo —
ha detto Khamenei — «rivela il vero
volto dell’America». Sulla stessa linea il presidente iraniano, Hassan
Rohani, che ha chiesto di mantenere l’intesa sul nucleare in quanto
«vantaggiosa per tutti».
In un libro di Ian Stewart
Le diciassette equazioni
che hanno
cambiato il mondo
CARLO MARIA POLVANI
A PAGINA
4
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
mercoledì 8 febbraio 2017
Mario Draghi
presidente della Bce (Reuters)
Dopo lo scandalo degli impieghi fittizi
STRASBURGO, 7. «L’euro è irrevocabile». Questo il primo punto ribadito ieri dal presidente della Banca
centrale europea (Bce), Mario Draghi, che ha smontato alcune accuse
degli antieuropeisti, ricordando che
«prima della moneta unica i paesi
soffrivano di continue svalutazioni
competitive». E ha poi avvertito sui
rischi di deregolamentare il settore
bancario, come propone Trump,
spiegando che «si tornerebbe ai rischi che hanno permesso la grande
crisi scoppiata dieci anni fa». Intanto, lo spread di rendimento tra Italia
e Germania vola ai massimi da febbraio 2014, toccando i 200 punti.
Draghi ha parlato all’Europarlamento in occasione dell’anniversario
della firma del trattato di Maastricht, che nel 1992 ha reso possibile la
nascita dell’euro. «Fu una decisione
coraggiosa», ha affermato, spiegando che a Maastricht si sono creati
legami che hanno resistito alla «peggior crisi economica dalla seconda
guerra mondiale».
Ed esattamente a proposito di crisi, Draghi ha espresso grande preoccupazione per «l’idea di ripetere le
condizioni che hanno portato al
crack finanziario». Il riferimento è
alla proposta dell’amministrazione
statunitense di allentare le regole di
Wall Street, volute da Obama per
evitare il ripetersi di disastri finanziari delle banche. Draghi ha chiaramente detto che «è qualcosa di molto preoccupante», sottolineando che
«l’ultima cosa di cui abbiamo biso-
Fillon nella bufera
non si ritira
Draghi difende la moneta unica e avverte sui rischi della deregolamentazione bancaria
L’euro è irrevocabile
gno è l’allentamento delle regole».
In sostanza, il presidente Donald
Trump ha spiegato di voler svincolare le banche dall’obbligo di depositi
di denaro significativi da mettere in
gioco in caso di crack finanziari,
senza pesare sui cittadini.
Draghi ha poi fatto una precisazione importante: la Bce e la Germania non manipolano il cambio.
Dopo le insinuazioni di alcuni
membri del team del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, Dra-
diamo con preoccupazione ad annunci di potenziali misure protezionistiche».
Guardando allo spread, l’ex titolare di palazzo Koch si è spinto dal
terreno dell’economia a quello politico per una raccomandazione: «I
mercati stanno reagendo a diverse
condizioni e dunque le politiche di
bilancio in tutti i paesi dovrebbero
essere volte a sostenere la ripresa,
ma allo stesso tempo in maniera sostenibile».
Putin e Merkel
per la tregua
nel Donbass
Mentre in Grecia sale la protesta di migranti e cittadini
Nuovo record
di sbarchi in Italia
BRUXELLES, 7. Si contano già
10.000 sbarchi di migranti sulle coste italiane nel 2017: ben 2500 sono
arrivati negli ultimi due giorni. Intanto, in Grecia non si fermano le
proteste per le condizioni di vita
dei profughi nei campi di accoglienza.
Il ministero degli interni italiano
ha parlato di 9359 arrivi, il 50 per
cento in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (6030) e
subito dopo sono state avvistate altre centinaia di profughi che sbarcheranno nelle prossime ore. Gli
stranieri provengono in grande
maggioranza dall’Africa: Guinea,
Costa d’Avorio, Nigeria, Senegal,
Gambia e Marocco le nazionalità
più rappresentate.
E dopo l’accordo tra Italia e Libia e i vari programmi di cooperazione con i paesi africani che l’Ue
sta studiando, l’alto rappresentante
per gli affari esteri e le politiche di
sicurezza, Federica Mogherini, ha
ricordato l’importanza di considera-
ghi ha sottolineato che «è stato il
Congresso di Washington, in un documento del 14 ottobre 2016, a sottolineare che la Germania non manipola il cambio». E ha precisato anche che «il surplus corrente tedesco
era al 6 per cento già quando l’euro/dollaro era a 1,4», che significa
che si deve riconoscere «la forza
dell’economia tedesca» senza ipotizzare speculazioni inesistenti. Piuttosto, il presidente della Bce, senza
mezzi termini, ha affermato: «Guar-
re l’Egitto «paese chiave per la stabilità nella regione, sia per la Libia
sia per il processo di pace in Medio
oriente». Lo ha fatto nell’ambito
del consiglio dei ministri europei
degli esteri in corso oggi. Sottolineando che «sull’immigrazione è
stato raggiunto un accordo di principio per un dialogo formale» con
il Cairo, Mogherini ha spiegato che
per questo «è stato deciso di invitare il ministro degli esteri egiziano,
Sameh Shoukry, alla riunione del
prossimo consiglio a marzo».
In Grecia resta alta la tensione
per la situazione dei 60.000 migranti bloccati nel paese dopo la
chiusura delle frontiere europee lo
scorso anno. Ieri un gruppo di manifestanti, composto sia da greci
che da rifugiati stranieri, ha contestato il ministro per le migrazioni,
Yannis Mouzalas, al suo arrivo nel
campo Elliniko. Da giorni alcuni
migranti ospitati dal centro hanno
iniziato uno sciopero della fame.
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GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
Un’Unione a due velocità
BRUXELLES, 7. Prende piede nella discussione politica a Bruxelles l’idea
di un’Europa “a due velocità”, cioè
più fluida, dinamica. Idea lanciata
dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, e che è stata salutata da molti
europeisti come il possibile salvagente di un’Unione che rischia di affondare. Secondo la commissione
europea, non c’è un progetto ma potrebbe nascere. «I trattati permettono già di viaggiare a velocità diverse
in certe aree» ha dichiarato il portavoce della commissione, Margaritis
Schinas, che ha aggiunto: «La velocità è importante ma ugualmente
importante è l’obiettivo indicato»,
ribadendo che «l’obiettivo della
commissione è sostenere l’unità
dell’Unione».
Questa sembra essere anche la linea che emerge nelle parole del tedesco Manfred Weber, capogruppo
al parlamento europeo del partito
popolare (Ppe), di cui fa parte anche Angela Merkel. L’Unione è
un’unità — ha sottolineato Weber —
e «per principio non ci possono essere stati di prima e seconda classe»,
ma «non è possibile che a dettare il
ritmo delle decisioni politiche siano
sempre i paesi più lenti».
Il cancelliere Merkel — oggi in visita a Varsavia — è tornata sull’argomento dopo la prima dichiarazione
su questo tema nei giorni scorsi. Ieri
ha detto che «esiste già un’Europa a
MOSCA, 7. Il presidente russo
Vladimir Putin e il cancelliere tedesco Angela Merkel hanno discusso questa mattina della situazione in Ucraina. Nel corso di
un colloquio telefonico, i due
leader si sono detti d’accordo
«sulla necessità di un ripristino
immediato del regime di cessate
il fuoco nel Donbass» secondo
quanto riferisce l’ufficio stampa
del Cremlino.
«Il presidente russo e il cancelliere tedesco — si legge ancora
nella nota — si sono pronunciati
a favore di una rapida ripresa del
cessate il fuoco e hanno sostenuto in questo contesto gli sforzi
della missione speciale di monitoraggio dell’O sce».
Russia e Germania fanno parte, assieme a Francia e Ucraina,
del cosiddetto Quartetto di Normandia, un gruppo di mediazione che punta a una soluzione al
conflitto nel Donbass in base ai
protocolli di Minsk. Putin e
Merkel — sempre stando alla presidenza russa — si sono detti
pronti a organizzare «nel prossimo futuro dei contatti tra i ministri degli esteri e tra i consiglieri
dei leader del formato di Normandia, e quindi continuare a discutere la situazione al più alto
livello».
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
ROMA, 7. «Non bisogna smarrire
mai il senso dei propri limiti soprattutto istituzionali». È la raccomandazione che il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella,
ha espresso incontrando i giovani
magistrati che, una volta finito il loro iter formativo, si accingono a indossare la toga e «rendere giustizia». Mattarella ha sottolineato che
«senza giustizia non c’è dignità della persona, non c’è uguaglianza,
non c’è democrazia».
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caporedattore
Gaetano Vallini
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«Tutto quello che ho fatto è legale» ha assicurato ieri Fillon. «Comprendo il bisogno di avere spiegazioni, ma tutti i fatti di cui sono accusato sono trasparenti». Il compenso percepito da Penelope Fillon
in qualità di assistente parlamentare
era «perfettamente giustificato». E
questo perché il lavoro di Penelope
— ha spiegato il candidato — «era
indispensabile nella mia circoscrizione». Inoltre, «in virtù della corretta divisione dei ruoli istituzionali, nessuno ha il diritto di sindacare
il lavoro di un assistente parlamentare, salvo il parlamentare stesso».
Nel frattempo, la magistratura
sta indagando anche sul titolo di
Grande ufficiale della Legion
d’Onore attribuito dall’ex premier
nel 2010 a Marc Ladreit de Lacharrière, il milionario proprietario della
«Revue des Deux Mondes» che
due anni dopo assunse la moglie
Penelope come consulente editoriale.
Sul piano politico, Alain Juppé,
il secondo classificato alle primarie
del centrodestra, ha escluso di voler
sostituire Fillon. I sondaggi dicono
che al ballottaggio lo scontro sarà
tra la leader del Front National,
Marine Le Pen, e il liberal Emmanuel Macron di En Marche!
Dibattito a Bruxelles sulla proposta del cancelliere tedesco
Mattarella chiede equilibrio
ai giovani magistrati
Tensioni nel campo profughi di Elliniko a sud di Atene (Afp)
PARIGI, 7. «Chiedo scusa ai francesi, ma non ritiro la candidatura».
Ha usato queste parole ieri François
Fillon, candidato dei Républicains
alle presidenziali francesi, intervenendo sugli scandali legati ai presunti impieghi fittizi in parlamento
di sua moglie e dei suoi figli.
A meno di tre mesi dalle presidenziali, Fillon è passato al contrattacco. «Nulla mi farà cambiare, sono io il candidato alle elezioni, il
candidato per vincere» ha detto davanti a circa duecento giornalisti
nel suo quartier generale di Parigi.
L’ex primo ministro ha denunciato
«attacchi di una violenza inaudita»
da parte della stampa. È una cosa
«mai vista nella storia della Quinta
Repubblica». Ora — ha sottolineato
Fillon — c’è una sola priorità: l’Eliseo. «Inizia una nuova campagna
elettorale».
Dopo le rivelazioni del settimanale «Canard Enchaîné», la giustizia francese ha aperto un’indagine
preliminare per appropriazione indebita e abuso d’ufficio contro Fillon, la moglie Penelope e due dei
cinque figli. Al centro — sostiene la
magistratura — ci sarebbero impieghi fittizi in parlamento che avrebbero fruttato alla famiglia quasi un
milione di euro.
Nelle parole di Mattarella un preciso invito a evitare le trappole del
narcisismo: «Rifuggite dal sottile
condizionamento della percezione
dell’importanza del proprio ruolo»,
ha detto il capo dello stato che ha
spiegato di ricordarlo innanzitutto a
se stesso. E poi ha indicato le doti
da coltivare: «Equilibrio, ragionevolezza, misura, riserbo» e «arte del
dubbio». Mattarella ha parlato da
primo magistrato d’Italia e ricordando anche la propria esperienza
di giudice della corte costituzionale.
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Tipografia Vaticana
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don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
diverse velocità, come nel caso
dell’eurozona e di Schengen» per
poi sottolineare che «in tutti i casi la
Germania parteciperà». L’ipotesi
della doppia velocità è stata appoggiata nei giorni scorsi dai paesi Benelux (Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo) nonché da Francia e Italia.
Si potrebbero ipotizzare cooperazioni rafforzate — dicono gli analisti
— perché alcuni stati si possano integrare più in fretta in settori chiave, a
esempio quello della difesa comune.
Qualche commentatore lo ricorda
sottolineando che l’Europa può sentirsi minacciata da un eventuale depotenziamento della Nato. L’idea di
un’Europa a due velocità non è certo nuova. È stata lanciata già negli
anni novanta dall’allora presidente
della commissione europea, Jacques
Delors. Ciclicamente è riemersa come possibile soluzione per conciliare
le differenti posizioni.
Il nuovo Palazzo Europa a Bruxelles che ospiterà le prossime riunioni del Consiglio Ue (Epa)
Salvatore Romeo
indagato per abuso d’ufficio
ROMA, 7. Salvatore Romeo, ex capo della segreteria politica del sindaco di Roma, Virginia Raggi, è
indagato dalla procura capitolina
per concorso in abuso d’ufficio.
L’ipotesi di reato è stata formulata
nell’ambito dell’inchiesta sulle nomine effettuate da Raggi. Romeo
avrebbe ricevuto un invito a comparire per essere interrogato in settimana dal procuratore aggiunto
Paolo Ielo e dal pubblico ministero
Francesco Dall’Olio. Si tratta della
stessa persona, si ricorda, che ha
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Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
sottoscritto due polizze vita delle
quali risultava beneficiaria la stessa
Raggi, sebbene quest’ultima, interrogata nei giorni scorsi dai magistrati, abbia dichiarato di non esserne a conoscenza. Gli stessi inquirenti hanno ritenuto che, allo
stato delle indagini, la stipula delle
due polizze da parte del funzionario, dimessosi dopo l’arresto del capo del personale del Campidoglio,
Raffaele Marra, non costituisce un
fatto penalmente rilevante.
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mercoledì 8 febbraio 2017
pagina 3
Dopo un lungo dibattito nel governo e il drammatico sgombero di Amona
La Knesset regolarizza
gli insediamenti in Cisgiordania
Primo processo
ad Ankara
per il fallito
golpe
ANKARA, 7. Si è aperto ieri il primo processo ad Ankara per il fallito golpe del 15 luglio scorso. Alla sbarra ci sono 27 sospetti membri della rete del predicatore islamico Fethullah Gülen, ora in esilio negli Stati Uniti, accusati di
aver preso il controllo con la forza
del comando del reggimento aereo
speciale dell’esercito, nel distretto
di Etimesgut della capitale turca,
poi usato come base durante il
tentativo di golpe. Il pubblico ministero ha chiesto tre ergastoli e
sentenze da sette a quindici anni
per «attività eversive e associazione terroristica». L’udienza si è
svolta in un’aula di tribunale appositamente costruita nel complesso della prigione di Sincan. Alcuni processi per il golpe erano già
iniziati in altre città turche.
Intanto, le autorità turche hanno fatto sapere che sono almeno
149 i soldati ancora ricercati per il
fallito golpe. Lo ha reso noto il
ministro della difesa di Ankara,
Fikri Işık, in risposta a un’interrogazione parlamentare. Tra i soldati che risultano in fuga, ci sono
anche sette generali. Secondo le
autorità, alcuni di loro potrebbero
trovarsi all’estero, ma non è stato
fornito alcun dettaglio sui possibili paesi in cui i militari si sarebbero rifugiati. Nei provvedimenti governativi seguiti al tentativo di
golpe, oltre 20.000 militari sono
stati cacciati dall’esercito.
Questo mentre la Turchia è alle
prese con l’emergenza terrorismo.
Ieri il vicepremier e portavoce del
governo di Ankara Numan Kurtulmuş, ha detto che il paese è determinato a «mettere in ginocchio» la rete jihadista legata al cosiddetto stato islamico (Is). Commentando la maxiretata che due
giorni fa ha portato all’arresto di
763 sospetti membri dell’Is in 29
province del paese, Kurtulmuş ha
dichiarato: «Otterremo i risultati
impedendo il reclutamento di
nuovi militanti» e ostacolando la
formazione di nuove cellule.
Complessivamente — ha reso noto
il ministero dell’interno — nell’ultima settimana i presunti jihadisti
arrestati e detenuti sono stati 820.
Secondo l’intelligence, l’Is starebbe preparando «nuovi sensazionali attacchi nel paese dopo quelli
dei mesi scorsi», tra cui la strage
di capodanno a Istanbul.
TEL AVIV, 7. Il parlamento israeliano,
la Knesset, ha approvato ieri a tarda
sera, con 60 voti favorevoli e 52 contrari, la legge per la legalizzazione
degli insediamenti ebraici su terre
private palestinesi. Il provvedimento
è stato al centro di un lungo dibattito politico all’interno del governo,
con il premier, Benjamin Netanyahu,
che ha cercato fino all’ultimo di rinviarne l’approvazione nonostante le
pressioni del movimento dei coloni,
e questo soprattutto per evitare tensioni internazionali. La regolarizzazione arriva dopo il drammatico
sgombero dell’avamposto di Amona,
mercoledì scorso, dove 42 famiglie
hanno dovuto lasciare le loro case
per l’applicazione di una sentenza
della Corte suprema israeliana.
Il provvedimento, particolarmente
sostenuto dai partiti di destra della
coalizione al governo, in particolare
Focolare
ebraico
del
ministro
dell’educazione Naftali Bennett,
punta a prevenire altri sgomberi simili a quello di Amona, ma va con-
Uniti, Donald Trump. Più volte la
nuova amministrazione statunitense
si è espressa in termini molto più favorevoli circa decisioni controverse
del governo israeliano.
Tecnicamente, la legge approvata
ieri dalla Knesset regolarizza tra i
2500 e i 4000 alloggi tra i quali figurano — secondo l’associazione Peace
Now — anche circa 797 strutture in
55 avamposti. Si propone poi di «regolarizzare gli insediamenti in Giudea e Samaria (la Cisgiordania) e
consentire il loro continuo stabilirsi
e sviluppo» si legge nel testo. Il
provvedimento agisce in forma retroattiva e stabilisce un meccanismo
di compensazione per i proprietari
palestinesi dei terreni su cui sono
stati costruiti insediamenti o case:
questi potranno ricevere un pagamento annuale pari al 125 per cento
del valore dei terreni per 20 anni o,
in alternativa, altri terreni a loro
scelta dove è possibile.
I palestinesi e il governo turco
hanno già espresso una dura con-
Netanyahu e il premier britannico May a Downing Street (Reuters)
danna nei confronti della regolarizzazione decisa dalla Knesset. Ankara
ha definito il provvedimento «inaccettabile», mentre l’inviato delle Nazioni Unite per il Medio oriente,
Nikolay Mladenov, ha detto che la
legge «diminuisce fortemente le prospettive di pace arabo israeliane».
La nuova legge ha portato divisione
anche all’interno di Israele e non è
escluso che venga contestata legalmente.
Combattimenti tra esercito e talebani
Le autorità locali e le Nazioni Unite chiedono trecento milioni di dollari
Ancora vittime
tra civili afghani
Aiuti per Haiti
KABUL, 7. Tre civili, due donne e
un bambino, sono morti e quattro
altre persone sono rimaste ferite ieri
in Afghanistan per lo scoppio di un
proiettile di mortaio durante uno
scontro fra forze di sicurezza afghane e talebani nella provincia orientale di Laghman. I combattimenti
sono avvenuti poche ore dopo la
pubblicazione da parte della Mis-
sione delle Nazioni Unite di assistenza all’Afghanistan (Unama) di
un rapporto in cui si denuncia che
le vittime civili del 2016 hanno avuto un aumento di oltre il tre per
cento rispetto al 2015. E, intanto, il
governatore del distretto di Khak-eSafed della provincia occidentale
afghana di Farah è morto oggi in
un attentato dei talebani.
Agenti afghani durante un’operazione nel distretto di Sangin (Epa)
Rabat chiede all’Europa
di sbloccare l’accordo di libero scambio
RABAT, 7. Il Marocco ha chiesto che
venga sbloccato il negoziato per la
firma nell’accordo di libero scambio
con i paesi dell’Unione europea.
Rabat sollecita Bruxelles ad assicurare «le condizioni necessarie per
garantire al meglio le intese» e ventila la possibilità di non riuscire a
contenere i flussi migratori verso le
sponde europee.
È una dura presa di posizione
quella del ministero dell’agricoltura
e della pesca del Marocco che invita Bruxelles a spegnere le polemiche e a ignorare i tentativi di disturbo. Nel testo di un comunicato
ufficiale si legge inoltre che «ogni
ostacolo rappresenta una minaccia
diretta alle migliaia di posti di lavoro in un settore particolarmente
sensibile, oltre che un rischio effettivo di ripresa dei flussi migratori
che il Marocco, a fronte di uno
tro la comunità internazionale che
vede negli insediamenti un «ostacolo» al processo di pace con i palestinesi. L’Onu considera gli insediamenti in Cisgiordania una minaccia
per la realizzazione della soluzione
dei due stati. La tensione, su questo
tema, si è particolarmente elevata
nelle ultime settimane. All’inizio di
gennaio il governo israeliano ha dato il via libera alla costruzione di 143
nuove case nel quartiere ebraico di
Gilo a Gerusalemme est, territorio
che i palestinesi rivendicano quale
capitale di un loro futuro stato autonomo. Gli alloggi — secondo altre
fonti sarebbero 153 — erano stati già
deliberati e bloccati tempo fa su
pressione della passata amministrazione statunitense di Barack Obama.
Non è un caso che l’approvazione
del provvedimento arrivi proprio
adesso. La settimana prossima Netanyahu — ieri a Londra per incontrare il premier britannico May — sarà
a Washington per incontrare, per la
prima volta, il presidente degli Stati
sforzo notevole, è riuscito a gestire
e contenere».
Firmati nel 2012, gli accordi di
libero scambio reciproco sono stati
sospesi nel 2015. Il Marocco lamenta lo stallo nella trattativa malgrado le assicurazioni di una ripresa
dei colloqui. «O si persevera nell’accordo così tenacemente cercato
e pazientemente costruito, o si decide di chiuderlo, senza possibilità
di ritorno, concentrandosi sulla costruzione di nuove possibili relazioni e circuiti commerciali», sostiene
Rabat.
Intanto il Marocco è rientrato
nell’Unione africana (Ua) grazie a
una decisione assunta durante il
ventottesimo vertice dell’organizzazione tenuto a fine gennaio ad Addis Abeba. Nel 1984 Rabat decise
di ritirarsi dall’Ua in segno di protesta contro la presenza di altri
membri.
PORT-AU-PRINCE, 7. Occorrono trecento milioni di dollari per affrontare l’emergenza umanitaria ad Haiti.
L’appello è stato lanciato dalle autorità locali e dalle Nazioni Unite.
Tra i più bisognosi nella repubblica
caraibica, figurano anche le vittime
dell’uragano Matthew che nello
scorso mese di ottobre ha provocato
ingentissimi danni e la morte di almeno 900 persone ad Haiti e altre
sei vittime in Florida.
«Solo per soddisfare le esigenze
primarie di 2,4 milioni di persone
ci sarà bisogno di oltre 290 milioni
di dollari», ha detto El-Mostafa
Benlamlih, coordinatore delle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite
ad Haiti. Quattro mesi dopo l’uragano che ha causato quasi tre miliardi di dollari di danni, la situazione è ancora grave. Circa un milione e mezzo di persone sono rimaste senza abitazione. Inoltre
Haiti deve affrontare la più grande
epidemia di colera attualmente in
atto nel mondo. Nel 2017 gli esperti
stimano che si potrebbero verificare
30.000 casi.
A questo si aggiunge una crisi
migratoria. Dal giugno 2015 sono
arrivate ad Haiti circa 160.000 persone provenienti dalla Repubblica
Dominicana. Gli arrivi stanno aggravando la crisi umanitaria di uno
dei paesi più poveri dei Caraibi.
I fondi raccolti finora, anche grazie a partner internazionali, saranno
utilizzati per gli aiuti a non più del
20 per cento della popolazione. In
Mosca rilancia il dialogo
sulla crisi libica
MOSCA, 7. Il viceministro degli esteri
russo, Mikhail Bogdanov, ha incontrato ieri a Mosca il rappresentante
speciale dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, con cui ha discusso della
situazione nel paese nordafricano.
Nel colloquio, secondo quanto riferisce il dicastero russo, Bogdanov «ha
confermato la necessità di coinvolgere nei lavori sulla formazione di un
governo unitario i rappresentanti di
tutte le principali forze politiche,
gruppi tribali e regioni del paese. In
questo contesto — continua la nota
di Mosca — è stata sottolineata l’importanza di arrivare in modo rapido
a soluzioni di consenso sulle restanti
questioni controverse, che permetteranno ai libici di iniziare a risolvere
pressanti questioni nazionali, tra cui
il contrasto alla minaccia terroristica».
Anche l’Unione europea incoraggia il dialogo tra il governo di unità
nazionale presieduto dal premier libico, Fayez Al Sarraj, e il generale
Khalifa Haftar, sostenuto dal parlamento di Tobruk. Lo ha chiarito l’alto rappresentante per la politica
estera e di sicurezza comune dell’Ue,
Federica Mogherini, al termine della
riunione del consiglio dei ministri
degli esteri a Bruxelles.
«Quando vedete nelle conclusioni
il supporto agli sforzi internazionali
e regionali, compreso quello della
Tunisia — ha detto Federica Mogherini — è proprio per facilitare il dialogo tra Haftar e Al Sarraj. Vediamo
la necessità che tutti gli attori trovino il loro terreno comune per unificare il paese».
L’Unione europea, ha aggiunto,
«riconosce il governo di accordo nazionale e la legittimità che viene dalla risoluzione Onu, ma incoraggiamo il dialogo, l’impegno e che trovino un accordo».
particolare verranno indirizzati a sostenere gli oltre 46.000 sfollati a
causa del terremoto del gennaio del
2010, ospitati ancora in campi senza
strutture sanitarie o di sicurezza sufficienti.
La situazione è grave, ma «mobilitare risorse per Haiti è sempre più
difficile dato il clima economico
globale e i bisogni umanitari significativi in altre zone del mondo», ha
sottolineato da parte sua Jordi Torres Miralles, assistente tecnico del
dipartimento aiuti umanitari e protezione civile della Commissione europea (Echo) ad Haiti.
Riprendono i colloqui
tra Bogotá e guerriglieri dell’Eln
QUITO, 7. Rappresentanti del governo della Colombia e dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln),
il secondo gruppo di guerriglia del
paese, si incontrano oggi a Quito
per aprire un tavolo di trattativa al
fine di porre fine a un conflitto
che dura da 52 anni. È la seconda
volta che le parti si riuniscono per
discutere. Il primo tentativo, il 27
ottobre scorso, non è andato a
buon fine per il mancato rilascio
dell’ex deputato Odín Sánchez de
Oca, liberato il 2 febbraio. Il politico, 61 anni, era prigioniero dei
guerriglieri dall’aprile 2016.
Ora tutto sembra essere pronto
a Quito per far riprendere i colloqui esplorativi e completare il processo di pace avviato grazie al recente accordo con le Forze armate
rivoluzionarie
della
Colombia
(Farc), che hanno già cominciato a
consegnare le armi e stanno cercando di reinserire i propri membri nella società civile.
Tensione tra Argentina e Bolivia
per le nuove norme sugli immigrati
BUENOS AIRES, 7. L’inasprimento
della politica dell’immigrazione in
Argentina, dove è stato varato un
decreto per facilitare l’espulsione
degli stranieri che commettono
reati e per impedire l’ingresso di
pregiudicati, ha fatto salire la tensione con la Bolivia.
Il presidente boliviano Evo Morales ha duramente criticato il suo
omologo argentino Mauricio Macri ma, su invito di questi, ha inviato una delegazione a Buenos
Aires guidata dal presidente del senato José Alberto Gonzales, nel
tentativo di avviare un confronto.
La paura dei boliviani è che allo
scopo di combattere il crimine si
finisca per espellere persone che si
recano in Argentina solo per questioni lavorative. Ma il governo argentino assicura che non c’è nessuna intenzione di procedere alle
espulsioni senza prima avere verificato ogni caso separatamente.
Buenos Aires tiene a precisare che
non c’è nessuna persecuzione contro gli immigrati e che l’Argentina
rimane un paese aperto, facendo
riferimento anche alla costituzione
che garantisce la possibilità di ingresso a «tutti gli uomini del mon-
do che desiderano soffermarsi sul
suolo argentino».
Ma alcune dichiarazioni, in particolare quelle del ministro per la
sicurezza Patricia Bullrich, hanno
fatto salire la tensione con la Bolivia, con il Perú e con l’Uruguay, i
paesi che hanno il maggior numero di emigrati in Argentina.
Il vero problema è la crisi economica, sostiene Juan Vázquez, di
Simbiosis Cultural, una delle organizzazioni boliviane che operano
nel paese. «C’è molta preoccupazione, perché non c’è lavoro — aggiunge — il settore tessile, dove
opera il maggior numero di boliviani, sta andando molto male anche a causa delle importazioni
sempre più importanti. Quasi tutti
i lavoratori non sono regolari, o
non adempiono completamente alle norme, e quindi potranno essere
espulsi facilmente».
Da parte sua il ministro Bullrich
sostiene che la legge è simile a una
norma in vigore in Bolivia, e «non
ha nulla a che fare con la migrazione, ma si riferisce al crimine».
Alcuni boliviani, però, rilevano
che in Argentina si comincia a notare una ondata di xenofobia mai
vista in precedenza.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
mercoledì 8 febbraio 2017
Yvain Coudert
«La mela di Newton» (2015)
di CARLO MARIA POLVANI
n anno prima della sua
morte, il matematico gallese Robert Recorde (1512
circa 1558), snervato dal
dovere ripetere l’espressione «è uguale a» nel suo libro The Whetstone of Witte (La pietra per affilare l’intelletto), introdusse il simbolo di uguaglianza, commentando che «non ci fossero
due cose più uguali» di due trattini orizzontali gemelli disposti l’uno sopra l’altro. Poco a poco, il segno grafico “=”,
scalzando altri simboli concorrenti quale
“æ” (in riferimento all’aggettivo æqualis),
si impose nella raffigurazione del concetto di uguaglianza. Nell’uso previsto dal
suo ideatore, tuttavia, il segno di uguale
aveva una funzione precisa: unire due
espressioni aritmetiche che avessero la
stessa risposta all’interno di uno degli
strumenti essenziali della matematica, la
æquatio (termine popolarizzato da Fibonacci nel Liber abaci del 1202).
L’efficacia dell’equazione deriva dal
fatto che il rapporto di eguaglianza che
essa stabilisce si può esprimere in vari
modi, introducendo semplicemente, in
ambo i lati dell’equivalenza, un valore
identico (per esempio, dandosi 2+3=5 e
sottraendo 2 da entrambe le espressioni,
si ottiene 2+3–2=5–2 e quindi, 3=5–2).
Questa stessa qualità permette di risolvere un’equazione quando essa racchiude
un’incognita (per esempio, dandosi 2+x=5
e sottraendo 2 da entrambi le espressioni,
si ottiene 2+x–2=5–2 e quindi, x=3). E,
più generalmente, essa stabilisce delle relazioni certe fra dei valori variabili contenuti in un’equipollenza (per esempio,
dandosi 2+x=y, si ha la certezza che
quando x vale 3, y vale per forza 5; e ri-
U
Rapporti di uguaglianza e nessi di causalità in un libro del matematico britannic0 Ian Stewart
Le diciassette equazioni
che hanno cambiato il mondo
relazione obbligatoria fra la sua pressione, il suo volume, la sua quantità e la sua
temperatura (per esempio, capire perché,
in montagna, dove la pressione atmosferica è più bassa, l’acqua bolla a una temperatura inferiore ai 100° Celsius).
Le potenzialità di questo strumento
matematico diventano ancora più indiscutibili quando
esso diventa funzionale nello
L’opera curata dallo studioso
sviluppo d’innovazioni ingegneristiche (per esempio, il
è un’enciclopedia del sapere scientifico
prevedere che a pressioni più
E sollecita interrogativi
alte le temperature di evaporazione siano superiori, consulla natura stessa della relazione
sentì al calvinista francese
fra matematica, fisica e chimica
Denis Papin — che anticipando
la
revocazione
dell’Editto di Nantes era
spettivamente che quando y vale 5, x vale fuggito a Londra per diventare assistente
per forza 3).
del sullodato Boyle — di ideare le digeQuesta qualità spiega perché tale stru- steur, autocriticamente definendolo «un
mento matematico sia diventato così dut- moyen de cuisson un peu brutal» come
tile nel descrivere le leggi fondamentali lo sperimentarono molte massaie, a loro
della fisica e della chimica. Si pensi alla spese, prima che le pentole a pressione
“equazione di stato dei gas perfetti” — fossero munite di valvole di sicurezza).
completata a partire dei lavori dei grandi
In altre parole: uno strumento logico
chimici: Robert Boyle (1627-1691), Jac- nelle mente dei matematici è diventato
ques Charles (1746-1823), Amedeo Avo- un attrezzo di scoperta scientifica e di
gadro (1776-1856) e Joseph Louis Gay- applicazione ingegneristica nelle mani di
Lussac (1778-1850) — P¸V=n¸R¸T, che si può ricercatori nelle scienze naturali e d’indescrivere in questo modo: il valore della ventori in quelle applicate. Questo è forpressione (p) moltiplicato per quello del se il messaggio più basilare dell’opera del
volume (v) è uguale a quello della quan- professor Ian Stewart, Le 17 equazioni che
tità del gas (n) moltiplicato per quello hanno cambiato il mondo, appena pubblidella temperatura (t) e di una costante cata dalla Einaudi. Non è la prima volta
universale (r). Questa equivalenza per- che il docente dell’università di Warwick
mette di calcolare una incognita quando si distingue per le sue capacità di divulse ne conoscono le altre tre (per esempio, gatore scientifico; ma, nell’opera appena
la pressione di un gas, quando ne si sa il completata, egli è riuscito a mettere a divolume, la quantità e la temperatura). E sposizione dei suoi lettori una piccola enpiù generalmente, di comprendere il ciclopedia del sapere scientifico. In dicomportamento di un gas a partire dalla ciassette capitoli, altrettante equazioni so-
no sviscerate e il loro ruolo nello sviluppo del sapere scientifico evidenziato, facendo risaltare come le relazioni stabilite
dalle eguaglianze matematiche siano state indispensabili nel comprendere le leggi
dell’universo e nel saperle sfruttare.
L’equazione della legge gravitazionale
universale — che impone che la forza di
attrazione fra due corpi sia proporzionale
alle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che le separa — prevede i percorsi ellittici dei pianeti intorno al sole ed è stata strumentale
nello sviluppo dei navigatori satellitari.
L’equazione della legge della distribuzione normale — che statuisce che la probabilità di osservare un particolare valore
incluso in un gruppo sia dipendente dallo scarto tipo fra il valore stesso e la media dei valori dello stesso gruppo — anticipa la possibilità del verificarsi di uragani di particolare violenza ed è utilizzata
per effettuare vendite allo scoperto in
borsa. L’equazione sulla propagazione
delle onde — che decreta che l’accelerazione della diffusione di una vibrazione
sia dipendente dalla spostamento medio
dei segmenti contigui del mezzo che la
veicola — spiega la produzione di un
suono da parte di una corda di un violino che vibra sotto un archetto ed è impiegata dalle apparecchiature che verificano l’intensità dei terremoti per anticiparne pericolose conseguenze quali gli
tsunami.
Le equazioni senza le quali il nostro
mondo non sarebbe quello che è, sono
presentate in forma concisa e accattivante
dal Laureato 1995 del Michael Faraday
Prize che, anche quando considera delle
equipollenze contenenti degli strumenti
matematici più avanzati — come il calcolo infinitesimale dell’equazione NavierStokes che descrivendo la dinamica dei
Elogio del cane
Incisione da un incunabolo
Dopo il 1460 un infelice e dotto
profugo greco rifugiato — come
tanti altri in Italia dopo la
catastrofica caduta di
Costantinopoli (1453) in mano
turca — donò a un illustre signore
una cagnolina, e pensò
umanisticamente di accompagnare
il grazioso omaggio con un breve
scritto, ovviamente nella lingua di
Platone. Edito per la prima volta
nel 1590, riedito da Angelo Mai e
poi ristampato nella serie greca
del Migne, questo Elogio del cane
(latinamente Laudatio canis) di
Teodoro Gaza è stato ora tradotto
in italiano e annotato da Lucio
Coco (Firenze, Leo S. Olschki,
2016, pagine 31, euro 5). L’esule di
Tessalonica, che si permise di
rifiutare sdegnosamente cinquanta
scudi d’oro offertigli da Sisto IV
per alcune traduzioni e
dall’umanista ritenuti insufficienti,
celebra nel suo scritto, tanto
minuscolo quanto grazioso, la
versatilità del cane, la sua
fluidi, è usata per fare volare gli aeroplani — accompagna il lettore, passo per
passo. Ma forse, quello che colpisce di
più nell’opera del membro della Royal
Society, è il notare che, a volte, lo sviluppo teorico della matematica fu indipendente o comunque ben antecedente alle sue applicazioni nelle scienze naturali.
L’equazione F–E+V=2 (in tutti i
poliedri regolari, il numero delle
facce, F, meno quello degli spigoli,
E, più quello dei vertici V, uguale a
2) magistralmente dimostrata da
Leonardo Eulero (1707-1783), gettò
le basi per la topologia senza la quale, nel 1953, James Watson e Francis
Crick non avrebbero potuto svelare
i segreti della struttura a doppia ellissi tipica dell’acido desossiribonucleico
(Dna).
Analogamente,
l’equazione che diede nascita ai
numeri complessi 2–1=0 (introducendo l’immaginario numero iota il cui quadrato
equivale a –1) fece esclamare Gerolamo Cardano (1501-1576) che tale
nuovo numero fosse
«tanto astruso quanto
inutile» allorché, nel
1900, esso si rivelò indispensabile per definire i principi della
meccanica quantistica
introdotti da Max
Planck. Leggendo il
lavoro del professor Stewart, si è portati
quindi a interrogarsi sulla natura stessa
della relazione fra la matematica e la fisica e la chimica. Nel 1960, il premio Nobel Eugene P. Wigner (1902-1995) pubblicò un influente articolo su quella che
definì «l’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali» senza riuscire però a riconciliare due percezioni
divergenti.
Galileo Galilei, nel Saggiatore (1623),
sosteneva che il libro della natura fosse
scritto nella lingua matematica e che senza di essa, cercare di capirne le leggi
equivaleva ad «aggirarsi vanamente per
un oscuro laberinto». All’opposto, Bertrand Russell, in An Outline of Philosophy
(1927), sospettava che la nostra mancanza
di conoscenza dell’universo spiegasse il
perché ne intendessimo unicamente gli
aspetti matematici. Non si saprebbe a chi
dei due dare ragione; senonché, risulta
incontrovertibile che le equazioni matematiche, nel contesto della formulazione
delle leggi naturali, operano efficacemente perché decretano un nesso causale indubbio fra le componenti principali di
uno stesso fenomeno. Il rapporto di
uguaglianza rappresenta pertanto un utile strumento per caratterizzare le relazioni di causalità, senza le quali una conoscenza certa dei fenomeni è difficilmente
raggiungibile. Il grande poeta, lui sì,
aveva sicuramente ragione: «Felice è co-
Justus Sustermans, «Galileo Galilei» (XVII secolo)
lui che ha potuto conoscere la causa delle cose» (Felix qui potuit rerum cognoscere
causas atque metus omnis et inexorabile fatum subiecit pedibus, Virgilio, Georgiche II,
489-490) «sottomettendo ogni paura e
l’implacabile destino».
Manuale per gatti
eccellente predisposizione alla
caccia, la sua fedeltà e le doti
come guardiano, arrivando a
un’affermazione che molti amanti
di questi animali compagni degli
esseri umani condivideranno in
pieno: «Il cane è filosofo
nell’indole». Non manca
naturalmente una rassegna dei
cani famosi dell’antichità, ma
colpisce per la sua freschezza la
descrizione di un animale davvero
molto amato: «Che poi sia assai
amorevole e affettuoso, chi non lo
sa? Infatti quando il padrone è a
casa, resta a casa; quando esce,
esce anche lui e non c’è strada per
quanto lunga, non c’è terreno
accidentato, né sete, né caldo, né
freddo che gli impedisca di
seguirlo ovunque. Lo accompagna
ora precedendolo, ora tornando da
lui, ora giocando e scodinzolando
e facendo assolutamente di tutto
per procurare al padrone
divertimento e piacere». Meglio
non si poteva dire. (g.m.v.)
Ha passato i cinquanta, ma certo non
li dimostra, il manuale ad usum felis
(Paul Gallico, Il grande miao.
Autobiografia di un gatto, Milano,
Rizzoli, 2016, pagine 174, euro 16) che
insegna al gatto di ogni età come
trattare l’umano che gli appartiene. Sì,
Larry, attuale Chief Mouser to the Cabinet Office, ovvero
il responsabile della caccia ai topi al numero 10 di Downing Street
gli appartiene. Infatti nessuno, senza
cadere nel ridicolo, può usare
espressioni come “il mio gatto” o,
peggio, “mi sono preso un gatto”,
essendo lui, piuttosto, proprietà
privata del gatto che si degna di
vivergli accanto. Beninteso, purché
vezzeggiato, coccolato, ben nutrito e
obbedito.
Quando narra della gattina che
istruisce i più piccoli all’uso e
all’abuso dell’umano, Gallico finisce
per fornire dei “gattolici” un ritratto
che è insieme esilarante e
commovente, preciso come
un’istantanea. È la storia di un
asservimento senza alcuna voglia di
liberarsi dal giogo. E se a qualcuno
viene in mente di chiedersi, e
chiederci, perché si accetta di farsi
addomesticare da un gatto la risposta
è contenuta in una sola parola:
fascino. Che è come il coraggio di
Don Abbondio: se uno non lo ha non
se lo può dare. Averne è un mistero,
spiegarlo non si può, ed è irresistibile.
E “sua gattità” di fascino ne ha da
vendere. (carla mosca)
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 8 febbraio 2017
pagina 5
Natalie Portman
nei panni di Jacqueline Kennedy
Senza eroismi in aiuto delle popolazioni più povere
Le ragioni
del volontariato
di GIANPAOLO ROMANATO
In «Il diritto di contare» e «Jackie»
Ritratto
di signore
di EMILIO RANZATO
tanno uscendo in queste settimane nelle
sale due film che hanno vari punti di
contatto: Il diritto di contare, di Theodore Melfi, e Jackie, di Pablo Larraín. Sono infatti entrambi film biografici, ed
entrambi hanno come sfondo un decennio cruciale della storia americana, gli anni Sessanta. Infine,
sono tutt’e due ritratti di donne che si sono ritrovate inaspettatamente ad avere sulle spalle il destino della loro nazione. Per molti aspetti, sono anche film speculari. Il primo racconta un episodio
S
prende forma. Impegnata in uno dei territori più
innocui ma non meno accesi della Guerra fredda,
l’America deve fare i conti con divisioni interne
mai risolte. Proiettata nel futuro attraverso le sue
missioni nello spazio, deve scontare il peso di arretratezze che la legano ancora a un passato remoto. La sceneggiatura scritta dallo stesso regista, e
tratta dal libro di Margot Lee Shetterly, si avvale
di queste suggestive dicotomie e contraddizioni,
che fanno della vicenda della matematica afroamericana un piccolo grande crocevia storico.
Malgrado ciò, lo script non riesce a nascondere
a lungo i propri limiti. Le corse verso i bagni di
un campus vicino da parte della protagonista, a
cui viene impedito di usare i servizi igienici dei
bianchi, sono rappresentative del registro leggero
che legittimamente si è scelto, e danno immediatamente il senso dell’assurdità di certe discriminazioni. Ma sono anche l’esempio di un film che rischia di rintanarsi troppo in piccoli episodi, senza
avere il respiro e la forza espressiva per allargare
davvero lo sguardo sulla questione segregazionista
in generale e su tutto quel periodo storico. La storia di Johnson e delle sue battaglie rimane dunque fra le pareti della Nasa. Il che non le impedisce comunque di assumere un importante signifi-
Il primo film racconta l’episodio sconosciuto
di una donna che assunta dalla Nasa
offre un contributo decisivo alla corsa allo spazio
Il secondo parte da un evento arcinoto
e si concentra sulla storia di Jacqueline Kennedy
Taraji P. Henson interpreta la matematica afroamericana Katherine Johnson
che nessuno conosceva, il secondo un evento tragico ed epocale; il primo si svolge con uno stile
piano e un tono non lontano da quello di una
commedia, il secondo non ha praticamente uno
sviluppo narrativo e si potrebbe quasi definire
uno spin-off di JFK girato come Shining.
Alla fine degli anni Cinquanta la matematica
afroamericana Katherine Johnson (Taraji P. Henson) viene assunta dalla Nasa. Darà un contributo
decisivo alla corsa allo spazio, in cui l’America è
impegnata in competizione con l’Unione Sovietica. In particolare, i suoi calcoli saranno indispensabili per portare a termine con successo la missione Mercury-Atlas 6, quella in cui l’astronauta
John Glen effettuerà la prima orbita terrestre. Oltre ai complicatissimi problemi matematici che la
missione comporta, però, Johnson dovrà superare
gli ostacoli di una doppia discriminazione, dovuta
sia al sesso, sia al colore della pelle. Anche se per
motivi pratici, più che ideologici, il capo del suo
distaccamento (Kevin Costner) la aiuterà a superare queste barriere, nonché la diffidenza dei colleghi.
Il diritto di contare ha dunque il merito di portare sullo schermo una storia vera tanto sconosciuta quanto importante ed emblematica, capace cioè
di sintetizzare in modo credibile una fase di transizione della democrazia statunitense. Significativo è in particolare il contesto in cui il racconto
cato simbolico: superando le divisioni interne si
possono raggiungere grandi obiettivi.
Dove finisce la storia del film di Melfi (febbraio
del ’62), comincia praticamente quella della first
lady Jacqueline Kennedy in Jackie, ovvero nelle
ore immediatamente successive all’attentato di
Dallas in cui rimane ucciso suo marito John (novembre ’63). Anche questo film non allarga lo
sguardo sulla Storia con la s maiuscola, ma non
vuole nemmeno farlo. Più che di un racconto, infatti, si tratta di un’inquietante istantanea che cristallizza uno stato di paralisi, tanto di una nazione, quanto di una donna. Lo splendido lavoro del
direttore della fotografia Stéphane Fontaine confeziona immagini dalle tonalità plumbee, quasi
spettrali, e conferisce al film una fosca atmosfera
di presagio degna di una tragedia greca. A sottolineare come l’attentato al presidente sia solo il primo di tanti eventi traumatici che sconvolgeranno
la nazione per più d’un decennio, e che — un po’
come nella storia raccontata dal film di Melfi —
faranno emergere dissidi intestini e forze autodistruttive. Ma anche la protagonista viene colta dal
film in una sorta di catalessi, o meglio di limbo,
sospesa fra una dimensione contingente fatta di
preoccupazioni pratiche e borghesi da una parte
— alle confidenti chiede che cosa ne sarà di lei sul
piano economico, dove andrà a vivere — e di abissali considerazioni esistenziali dall’altra, compresa
la speranza di fare la stessa fine dell’amato marito,
nell’irrazionale desiderio di sostituirsi a lui.
A questa, come ad altre riflessioni, non può essere di grande aiuto un altrettanto sconvolto Bobby (Peter Sarsgaard), immerso in un comprensibile disfattismo («siamo solo bella gente che non ha
concluso nulla», dice), laddove un prete aiuterà
invece la donna a interpretare serenamente quanto
accaduto, anche alla luce della volontà di Dio. Per
una volta, dunque, vediamo sul grande schermo
una figura clericale non ridotta a una macchietta,
anche perché sostenuta dall’ultima interpretazione
del grande John Hurt, scomparso poche settimane
fa. Portman, invece, benché candidata all’O scar,
non trova forse la sua interpretazione migliore, ma
regge comunque quasi da sola lo sguardo della cinepresa dall’inizio alla fine del film.
l Terzo mondo fu
uno dei miti della
generazione nata negli anni a cavallo
della seconda guerra
mondiale. Oggi, non esistendo più il Secondo mondo, cioè il blocco dei Paesi
retti da regimi comunisti,
quell’espressione è ormai
priva di senso. Tuttavia rimane nell’immaginario e anche nel linguaggio di molti
di noi — almeno dei più anziani — richiamando speranze, attese, illusioni, ideali. Il
Terzo mondo erano i popoli
che uscivano dal colonialismo, i nuovi stati che si affacciavano alla ribalta della
storia reclamando spazio,
autonomia, dignità. In Africa e in Asia, dove la carta
geografica, nell’arco di un
ventennio, fu rivoluzionata
dalla decolonizzazione. Ma
anche l’America Latina, che
la propria indipendenza
l’aveva raggiunta all’inizio
dell’Ottocento, era largamente Terzo mondo. Perché
quel concetto non era politico, era anche sociale, economico.
Il Terzo mondo era infatti
quella parte del globo, territorialmente
maggioritaria,
che
voleva
emanciparsi
dall’egemonia politica del
Primo e del Secondo mondo, cioè dal blocco euroamericano e da quello sovietico,
ma voleva anche uscire dalla
morsa della povertà e del
sottosviluppo, voleva crescere, industrializzarsi, creare
infrastrutture, costruire un
sistema produttivo e alimentare autosufficiente, voleva
rompere le catene monopolistiche che imbrigliavano il
mercato internazionale. Fu il
primo segnale della globalizzazione. E infatti in quegli
anni l’Onu — una realtà ben
diversa dalla vecchia Società
delle nazioni del periodo interbellico — che in pochi anni vide moltiplicarsi il numero degli Stati membri, con le
numerose agenzie che le fecero da corollario (Unesco,
Fao, Oms, Unicef), assunse
I
un ruolo centrale. E divenne
prioritario un concetto: quello di cooperazione. I governi del Primo mondo, cioè
dei Paesi ricchi e sviluppati,
dovevano cooperare con
quelli del Terzo mondo, cioè
portavano la voce dei mondi
nuovi, dei popoli emergenti,
di giovani Chiese, come si
diceva allora, destinate a rinnovare la millenaria struttura
ecclesiastica. La costituzione
conciliare Gaudium et spes è
Un lungo percorso
Pubblichiamo quasi per intero l’introduzione al libro Andare:
perché? Esperienze di cooperazione tra i popoli di Carla Grossoni
(Vercelli, Publycom Editore, 2016, pagine 250, euro 12). L’autrice
racconta il suo lungo percorso, prima come volontaria e poi come
cooperante in alcuni progetti sostenuti dal governo italiano in
Brasile, Thailandia, Cambogia, Somalia, Mozambico, regalando
al lettore la testimonianza fresca e vivace di una vita spesa per
l’aiuto alle popolazioni dei paesi poveri, senza negare le difficoltà,
senza falsi eroismi, ma, come scrive Francesco Lazzari nella
quarta di copertina del libro, «nella serena consapevolezza che
ciascuno deve fare la propria parte, e che per tutti c’è una parte
che ciascuno può fare».
dei Paesi nuovi, per aiutarli probabilmente il documento
a svilupparsi in una visione più significativo di questa
solidaristica dei rapporti in- stagione ricca di fervore e di
ternazionali.
speranza, ma anche — dobL’idea della cooperazione biamo aggiungere con il
prese piede rapidamente e si senno di poi — di fragili illuallargò a quella che oggi sioni.
A Giovanni XXIII, morto
chiamiamo società civile, diventando ben presto un con- nel 1963, era succeduto Giocreto progetto di vita per vanni Battista Montini, Paomolti giovani di allora. In lo VI, che aveva fatto proItalia, ma non solo qui, le prio questo anelito di rinnoorganizzazioni cattoliche fu- vamento e aveva inaugurato
rono massicciamente coin- una nuova fase del pontifivolte in questa svolta. La Chiesa cattolica aveva chiuso
L’idea di cooperazione
nel 1965 il concilio
Vaticano II. Per
si allargò rapidamente alla società
quattro anni era visdiventando ben presto
suta nel clima fervido di speranze di
un concreto progetto di vita
rinnovamento proper molti giovani di allora
posto da Giovanni
XXIII.
Vescovi di
ogni parte del mondo erano confluiti a Roma, cato, segnata dai primi viagsi erano confrontati, si erano gi nel mondo. L’enciclica
conosciuti. Il Concilio aveva Populorum progressio (1967)
globalizzato la Chiesa, al cui fu il coronamento di questa
vertice si affacciavano vesco- apertura al mondo, quasi
vi e, per la prima volta, car- uno squillo di tromba per i
dinali di colore. E questi giovani cattolici di allora.
La cooperazione allo sviluppo divenne così la nuova
frontiera della gioventù cattolica. Cooperazione intesa
come solidarietà, condivisione di vita, impegno contro
la povertà, la discriminazione, l’ingiustizia. In questo
clima si rinnovò l’opera dei
missionari, nacquero innumerevoli organizzazioni non
governative (ong), sbocciarono progetti di vita, aiutati
dai primi interventi legislativi volti a sostituire il servizio
militare con il servizio civile.
In Italia cominciò allora la
pressione per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, sotto la spinta della
celebre Lettera ai cappellani
militari di don Lorenzo Milani.
Le esperienze successive
hanno messo in luce le ingenuità e le semplificazioni di
quegli ideali, che produssero
successi, ma anche sperperi,
insuccessi. Tuttavia lo slancio ideale e morale di un’intera generazione, l’apertura
che avvenne allora verso la
mondialità, il riconoscimento che la diversità non è un
limite ma un arricchimento
reciproco, rimangono fra i
lasciti migliori di quegli
anni.
civile
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 8 febbraio 2017
Collaborazione tra cattolici e protestanti in Germania
D ialogo
sui banchi di scuola
Nel movimento ecumenico
Non si deve tornare
indietro
ROMA, 7. Una sfida, per tutti,
«e questa sfida può mettere in
conto anche una certa paura e
resistenza. Ma è la nostra stessa
fede a chiederci di uscire
dall’isolamento. Se veramente
crediamo in un Dio che è diventato carne in Gesù Cristo, in un
Dio che è stato il primo a uscire
fuori da se stesso, noi oggi non
possiamo fare il movimento contrario». Don Cristiano Bettega,
direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana, spiega così al Sir
timori e speranze del movimento ecumenico, mobilitatosi nei
giorni scorsi con iniziative e
progetti in occasione della settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani. «Non finisce qui.
Sta crescendo una sensibilità più
ampia che abbraccia tutto l’arco
dell’anno. Al di là di progetti e
iniziative, è lo stile che sta cambiando», afferma don Bettega,
che invita a «guardare l’altro come qualcuno da cui posso imparare e non come qualcuno a cui
dare un contentino perché è ortodosso o protestante o perché
ha bisogno di una sala per celebrare la liturgia o il culto».
In pratica, «non si tratta di
sentirci magnanimi, compiacersi
per la nostra generosità, ma di
prendere atto che la storia e il
tempo nel quale viviamo ci obbligano a uno sguardo aperto».
E avere uno sguardo aperto significa oggi «riconoscere che
ciascuno di noi è chiamato a imparare dall’altro perché la verità
a cui aneliamo è qualcosa che
supera me cattolico, me ortodosso, me protestante e come tale
va ricercata insieme». Considerazione che è poi il frutto della
settimana di preghiera, con la
quale i credenti si sono riconosciuti, in questi anni, sempre più
come fratelli.
Avere uno sguardo aperto —
osserva il rappresentante della
Cei — è anche «dare in uso una
chiesa a una diocesi ortodossa,
che sia del patriarcato ecumenico, russo o romeno. Significa riconoscere che quella comunità è
diventata particolarmente numerosa nella mia città e, quindi,
evidentemente bisognosa di un
luogo in cui incontrarsi e celebrare». E «può diventare un’occasione per lavorare insieme e
operare in quanto cristiani sul
territorio. È il segno non tanto
di una comunità cattolica che
diminuisce ma di una cristianità
che in Italia aumenta. Solo se
riusciamo a uscire dal nostro
piccolo recinto, possiamo essere
Alleanza battista e gesuiti sul blocco agli ingressi negli Stati Uniti
Impatto negativo
nei rapporti tra le religioni
WASHINGTON, 7. «Le azioni governative stanno già avendo un impatto negativo sulla vita delle famiglie.
Esse stanno influenzando negativamente coloro che lavorano direttamente con i rifugiati e stanno
creando difficoltà inaspettate per le
istituzioni battiste negli Stati Uniti,
come le università e i seminari dove
sono tanti gli studenti iscritti provenienti dai sette paesi citati». È
quanto si legge in una dichiarazione diffusa dalla Baptist World Alliance (Bwa) — comunione di 235
convenzioni e unioni battiste presenti in 122 paesi — che giudica negativamente i primi effetti dell’ordine esecutivo del presidente Donald
Trump che ha dettato il blocco
dell’immigrazione da sette paesi a
maggioranza islamica. Una presa di
posizione che si aggiunge al coro di
proteste che negli ultimi giorni si
sono levate contro il discusso provvedimento della Casa Bianca.
Pur riconoscendo che un governo
ha il diritto di garantire la sicurezza
dei propri cittadini, l’Alleanza battista mondiale rileva come oggi ci sia
«la tentazione di cedere alla paura
e di perseguire frettolosamente politiche sbagliate che avranno effetti
deleteri a lungo termine e che minano la libertà di religione». Già
nel luglio dello scorso anno, viene
ricordato nella dichiarazione, il
consiglio generale della Bwa, riunitosi a Vancouver, in Canada, aveva
invitato le convenzioni, le unioni e i
singoli credenti a mettere in pratica
l’insegnamento biblico di accoglienza degli stranieri e in particolari dei
rifugiati, persone vulnerabili spesso
perseguitate per la loro fede.
Forte preoccupazione per gli effetti dell’ordine esecutivo sull’immigrazione, ritenuto «un affronto alla
nostra missione e un attacco ai valori americani e cristiani», è stata
espressa anche dalla Conferenza dei
gesuiti del Canada e degli Stati
Uniti, che hanno assicurato di volere ugualmente proseguire nel «nostro lavoro, in difesa e in solidarietà
verso tutti i figli di Dio, musulmani
o cristiani». I gesuiti, si ricorda in
una dichiarazione, «tramite il nostro lavoro nelle scuole superiori,
nelle università, nelle parrocchie e
in ministeri caratteristici come il
servizio per i rifugiati», hanno una
«lunga tradizione di accoglienza e
di accompagnamento dei rifugiati, a
prescindere dal culto che professano». E oggi più che mai, conclude
la dichiarazione, «la nostra identità
cattolica e gesuita ci chiama ad accogliere lo straniero e ad avvicinarci
a diverse culture e tradizioni religiose con apertura e comprensione.
Non dobbiamo farci prendere dalla
paura. Dobbiamo continuare a difendere i diritti umani e la libertà
religiosa».
Parole in grande sintonia anche
con quelle contenute in una nota
congiunta diffusa dal Jesuit refugee
service e dalla comunità islamica
italiana Coreis, nelle quali si rileva
che l’ordine esecutivo del presidente statunitense «è discriminatorio e
mette a repentaglio le relazioni tra
cristiani e musulmani».
grati e leggere questo fenomeno
come provvidenziale».
Sul cinquecentesimo anniversario dell’inizio della Riforma
protestante, don Bettega spiega
che «visioni discordanti e tentennamenti» in ambito cattolico
vanno «capiti e rispettati». Del
resto «abbiamo alle spalle cinque secoli di storia che hanno
visto separazioni, guerre e reciproca diffidenza». Resta il fatto
però che «Lutero non volesse
spaccare e dividere la Chiesa. Se
andiamo alle fonti e ai documenti, ci rendiamo conto che
era volontà di Lutero riformare
la Chiesa. Se poi a dispetto di
questa originaria volontà, le cose
siano andate diversamente e le
Chiese si siano separate è un
dramma di cui pentirsi e chiedere perdono. Ma, come ha detto
Papa Francesco a San Paolo
fuori le Mura, “guardare indietro è d’aiuto e quanto mai necessario per purificare la memoria, ma fissarsi sul passato, attardandosi a ricordare i torti subiti
e fatti e giudicando con parametri solo umani, può paralizzare e
impedire di vivere il presente”».
L’ecumenismo «è un movimento che spinge in avanti, che
mi obbliga a uscire dagli schemi. Il confronto con gli altri mi
chiede di lasciare qualcosa di
definito e sicuro per andare verso qualcosa che non conosco.
Non sappiamo cosa vuol dire e
cosa implica essere uniti. Sappiamo — conclude il direttore
dell’Ufficio per l’ecumenismo e
il dialogo interreligioso — che
siamo incamminati verso la comunione piena di tutti i credenti
in Cristo, ma come concretamente questo avvenga ancora
non lo capiamo. Per questo, preghiamo perché il Signore doni
unità e pace secondo la sua volontà, non la nostra».
BERLINO, 7. L’ecumenismo si impara
anche sui banchi di scuola. Accade
in Germania dove l’episcopato cattolico ha da poco pubblicato un documento nel quale si auspica una
più stretta collaborazione con la comunità protestante nella realizzazione dei programmi per l’insegnamento scolastico della religione. Un modo anche per garantire concretamente l’ora di religione a tutti gli
allievi delle scuole primarie e secondarie pubbliche che ne fanno richiesta. «La cooperazione è assai importante per il futuro dei corsi di religione», ha dichiarato l’arcivescovo
di Paderborn, Hans-Josef Becker,
presidente della Commissione educazione e scuola della Conferenza
episcopale tedesca, il quale chiarisce
che «è fondamentale che questa
cooperazione non sia soltanto organizzativa ma anche pedagogica».
Nei fatti, questo implica il raggruppamento degli allievi cattolici e
protestanti ma anche di quelli non
appartenenti ad alcuna religione,
per assicurare la presenza di corsi là
dove l’esiguo numero di iscritti rende difficile la formazione di classi
distinte, cattoliche e protestanti. «Il
numero di allievi dei corsi di religione è in forte ribasso», spiega Maria
Jakobs, direttrice dell’Istituto di pedagogia religiosa nella diocesi di
Freiburg im Breisgau, per la quale
«da un lato, questo si spiega con i
cambiamenti demografici, dall’altro
con il fatto che sempre meno bambini sono battezzati. Inoltre ci sono
anche altre materie, come l’etica e la
filosofia, interessate dalle stesse questioni dei corsi di religione cattolica». Parallelamente, come riferisce il
sito Riforma.it, aumenta il numero
di studenti musulmani e senza appartenenza religiosa e alcuni di essi
partecipano ai corsi di religione,
modificandone l’omogeneità iniziale. È il caso del Meclemburgo-Pomerania Anteriore, Länder nel nord
del paese, dove, secondo le cifre
della comunità evangelica, il 50 per
cento degli studenti partecipa ai
corsi di religione protestante anche
se meno del 16 per cento della popolazione locale fa capo a questa
comunità ecclesiale. In questo senso, 163 accademici hanno auspicato
che la cooperazione non si limiti alle due confessioni cristiane ma si
estenda alle altre religioni, come
l’ebraismo e l’islam, perché, viene
spiegato, «una società pluralista ha
bisogno di persone che sappiano
giudicare le religioni con buonsenso
e che siano pronte al dialogo».
ll documento dell’episcopato cattolico — intitolato «Il futuro
dell’educazione religiosa confessionale. Raccomandazioni per la cooperazione dell’istruzione religiosa
cattolica con quella protestante» —
affronta dunque il nuovo scenario
del posizionamento nella società tedesca dell’insegnamento religioso
nelle scuole. Negli intenti c’è però
soprattutto la necessità di inserire
l’insegnamento in una dimensione
ecumenica poiché, è spiegato nella
presentazione
del
documento,
«l’educazione religiosa confessionale
punta al trasferimento di conoscenze e competenze nel trattare con la
fede cristiana e le altre religioni, per
sviluppare la capacità di orientamento religioso nella vita personale
e sociale». Anche perché, aggiunge
l’arcivescovo di Paderborn, un insegnamento «della religione cattolica
in uno spirito ecumenico è sempre
aperto alla cooperazione con l’istruzione religiosa protestante».
Lutto nell’episcopato
Monsignor José Gea Escolano,
vescovo emerito di MondoñedoFerrol, è morto in Spagna lunedì
6 febbraio.
Il compianto presule era nato
il 14 giugno 1929 a Real de Gandía, in arcidiocesi di Valencia, ed
era stato ordinato sacerdote il 29
giugno 1953. Eletto alla sede titolare di Are di Numidia e al contempo nominato ausiliare di Valencia il 25 marzo 1971, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il
successivo 8 maggio. Era stato
trasferito a Ibiza il 10 settembre
1976 e poi a Mondoñedo-Ferrol il
15 maggio 1987. Aveva rinunciato
al governo pastorale della diocesi
il 6 giugno 2005. I funerali si celebrano nella cattedrale di Valencia martedì pomeriggio, 7 febbraio, alle 17.30
Nuovi ingressi nella Churches’ Mutual Credit Union
Cooperazione oltre le divisioni
LONDRA, 7. Non solo lo studio e
l’approfondimento teologico o la comune testimonianza della carità nei
settori fondamentali dell’assistenza
ai più bisognosi. Nel Regno Unito i
sentieri dell’ecumenismo passano anche nel campo finora inedito della
mutua assistenza del clero, o quantomeno del loro fondo pensione. Ne
dà notizia il sito in rete della Church of England, che registra, non
senza una certa soddisfazione, il re-
cente ingresso della Chiesa cattolica
nel fondo comune gestito dalla
Churches’ Mutual Credit Union,
cooperativa di credito cui già aderiscono, oltre alle comunità anglicane
di Inghilterra, Galles e Scozia, anche la Methodist Church of Great
Britain, la Scottish Episcopal Church e la United Reformed Church.
«Sono lieto — ha dichiarato in
proposito il primate della Comunione anglicana, l’arcivescovo di Can-
terbury, Justin Welby — che la Chiesa cattolica in Inghilterra e Galles e
in Scozia sia ora sotto l’ombrello
della Churches’ Mutual Credit
Union. Questo segna un enorme
passo avanti nel nostro impegno per
costruire una forte unione nel settore del credito, non solo nelle aree
più povere di questo paese ma per
tutti».
L’ingresso della Chiesa cattolica
nei fondi della Churches’ Mutual
Credit Union consente di fornire
nuovo impulso a una realtà ancora
giovane, poiché è sorta solo due anni fa. Sono infatti circa 37.000, viene
stimato, i nuovi potenziali aderenti
al fondo, calcolando oltre al clero
cattolico, anche il personale delle
diocesi e delle scuole cattoliche.
«Sono felice — ha dichiarato il cardinale arcivescovo di Westminster,
Vincent Gerard Nichols, presidente
della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles — di entrare a far
parte della Churches’ Mutual Credit
Union. Il loro lavoro oggi è molto
importante in quanto si tratta di un
istituto finanziario che riflette direttamente il nostro sforzo condiviso
per dare a tutti l’opportunità di gestire finanziariamente al meglio le
proprie risorse. Questa Credit
Union riecheggia aspetti chiaramente importanti della nostra comprensione cristiana di lavorare insieme
per il bene comune».
†
Il Collegio degli Scrittori e la comunità religiosa de «La Civiltà Cattolica»
si unisce ai nipoti nell’annunciare la
morte del
Padre
LUCIANO CALDIROLI S.I.
avvenuta nella notte di domenica 5
febbraio 2017.
Lavoratore instancabile e coraggioso,
a partire dagli anni ’50 ha contribuito
con passione e spirito di servizio al
buon funzionamento della Rivista, servendo la Compagnia di Gesù in circostanze anche difficili. La loro preghiera
lo accompagna.
Le esequie hanno avuto luogo lunedì 6 febbraio, alle ore 10.30, nella Cappella della Civiltà Cattolica in via di
Porta Pinciana 1 Roma. La salma è
stata tumulata nel cimitero di Legnano.
†
Il Cardinale Prefetto della Segreteria
per l’Economia, S.Em.za George Pell,
il Segretario Generale, Monsignor Alfred Xuereb e il Segretario per la Sezione Amministrativa, Monsignor Luigi Mistò unitamente agli ufficiali tutti,
partecipano con la preghiera e le più
sentite condoglianze al lutto del dottor
Emilio Ferrara per la morte del papà
GIO CONDINO FERRARA
Città del Vaticano, 7 febbraio 2017
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 8 febbraio 2017
pagina 7
Il logo dell’incontro
in corso alla Casina Pio IV
Giornata mondiale contro la tratta
Si sono aperti con il saluto del vescovo Marcelo Sánchez Sorondo,
cancelliere della Pontificia Accademia delle scienze, i lavori del summit sul traffico di organi e sul cosiddetto “turismo dei trapianti”, che si
svolge il 7 e l’8 febbraio alla Casina
Pio IV in Vaticano.
Il tema dell’incontro — introdotto
da Francis Delmonico, chirurgo e
docente statunitense, particolarmente esperto nel campo dei trapianti di
organi, e da Jeremy Chapman, direttore della divisione di medicina e
cancro all’ospedale Wesrmead di
Sydney — è stato affrontato a partire
da due documenti di grande rilevanza sul tema del traffico di organi
umani: la dichiarazione di Istanbul
(2008) e la convenzione del Consiglio d’Europa (2014).
Il primo testo, in particolare, è
stato al centro dell’intervento di
Alexander Capron, co-direttore del
Centro pacifico per la politica sanitaria ed etica. Molti dei partecipanti
al summit sono stati presenti alla redazione di questo documento, avvenuta nella capitale turca tra il 30
aprile e il 2 maggio 2008, durante la
riunione promossa dalla Transplantation Society e dalla International
Society of Nephrology. La dichiarazione afferma che tutti i paesi hanno bisogno di un inquadramento
giuridico e professionale per disciplinare la donazione di organi e le
attività di trapianto, così come di
una supervisione trasparente da parte di un sistema normativo che garantisca la sicurezza del donatore e
del ricevente e il rispetto di standard e divieti in materia di pratiche
non-etiche. Gli estensori della dichiarazione hanno anche riconosciuto che le pratiche non rispettose dei
principi etici sono, in parte, una indesiderabile conseguenza della carenza globale di organi per trapianto. Per questo, viene richiesto a ogni
Bambini, non schiavi
di ANNA POZZI
Alla Casina Pio
IV
incontro sul traffico di organi
Dalla parte
delle vittime
paese di impegnarsi a garantire l’applicazione di programmi volti a fornire un numero sufficiente di organi
per il trapianto in grado di soddisfare le esigenze dei propri cittadini,
anche attraverso politiche adeguate
riguardo ai donatori.
Temi, questi, ripresi anche da
Marta López Fraga, del comitato
europeo sul trapianto di organi, che
ha fatto riferimento alla convenzione adottata nel luglio 2014 dal Consiglio d’Europa con l’obiettivo di
sanzionare penalmente il traffico di
organi a fini di trapianto, di proteggere le vittime e di facilitare la cooperazione a livello nazionale e internazionale per perseguire più efficacemente i responsabili. La mattinata
si è conclusa con una panoramica
delle situazioni in alcuni paesi
dell’America (Canada, Stati Uniti,
Messico, Guatemala, Perú, Costarica, Nicaragua, Colombia, Argentina
Brasile) e dell’Africa (Egitto, Nigeria, Libia, Sudan, Eritrea, Somalia,
Sud Africa e regione sub-sahariana).
«Sono bambini, non schiavi!». È
il tema scelto per la terza giornata
mondiale di preghiera e riflessione
contro la tratta di persone che si
celebra l’8 febbraio. Ovvero nel
giorno della festa liturgica di santa Giuseppina Bakhita, schiava sudanese, liberata e divenuta religiosa canossiana, e quindi canonizzata nel 2000. Un simbolo, ancora
oggi, per tante donne, uomini e
bambini che lottano per spezzare
le catene delle moderne schiavitù.
Il tema si ispira anche al messaggio di Papa Francesco per la
giornata dei migranti, dedicata
proprio ai minori: «specialmente
quelli soli», scrive il Pontefice,
che sollecita tutti «a prendersi cura dei fanciulli che sono tre volte
indifesi perché minori, perché
stranieri e perché inermi, quando,
per varie ragioni, sono forzati a
vivere lontani dalla loro terra
d’origine e separati dagli affetti familiari».
Sono soprattutto loro, infatti,
che rischiano di finire nelle più
Inaugurazione dell’anno giudiziario
del Tribunale vaticano
L’ottantottesimo anno giudiziario del Tribunale dello Stato della
Città del Vaticano sarà inaugurato sabato 18 febbraio. Alle 9, nella
cappella di Maria Madre della Famiglia, nel palazzo del Governatorato, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, celebrerà la
messa. Seguirà, nell’Aula vecchia del sinodo, la relazione del promotore di giustizia, Gian Piero Milano.
Scott Erickson, «Trafficked»
In Giappone beatificato Justus Takayama Ukon
Il principe missionario
«Infaticabile promotore dell’evangelizzazione del Giappone», Justus Takayama Ukon «fu un autentico guerriero di Cristo, non
con le armi di cui era esperto, ma
con la parola e l’esempio». È il
profilo spirituale del martire laico
che il cardinale Angelo Amato ha
beatificato martedì 7 febbraio,
durante la celebrazione presieduta a Osaka in rappresentanza di
Papa Francesco.
Il prefetto della Congregazione
delle cause dei santi all’omelia ha
ricordato come il nuovo beato
(1552-1615), «educato all’onore e
alla lealtà», maturò una «fedeltà
al Signore Gesù così fortemente
radicata da confortarlo nella persecuzione, nell’esilio, nell’abbandono». Infatti, ha aggiunto, «la
perdita della sua posizione di privilegio e la riduzione a una vita
povera e di nascondimento non
lo rattristarono, ma lo resero
sereno e perfino gioioso, perché si manteneva fedele alle
promesse
del
battesimo».
Del resto, la
singolare biografia di Justus è
quella di «un
principe di altissimo rango, appartenente alla
classe più nobile
del Giappone»,
che
all’alba
dell’evangelizzazione del suo
Paese decide di
abbracciare con
entusiasmo
la
nuova fede portata dai missionari gesuiti. Anzi, ha sottolineato il celebrante,
«con l’intento di
diffondere il cristianesimo, fonda
seminari per la formazione di catechisti» autoctoni, tra i quali
molti subirono il martirio, come
san Paolo Miki. Ma quando venne ordinata «l’espulsione dei missionari, interrompendone così la
feconda attività evangelizzatrice»,
Justus piuttosto che abbandonare
la fede scelse l’esilio. Riabilitato
nel 1592, purtroppo nel 1614 subì
l’emanazione di un nuovo editto
che ingiungeva di abbandonare il
cristianesimo. «Il rifiuto — ha ricordato il cardinale Amato — costò a Justus un sofferto periodo
di privazioni e di solitudine. Prima deportato a Nagasaki, fu poi
condannato all’esilio nelle Filippine». Insieme con trecento cristiani raggiunse Manila dopo una
lunga e travagliata navigazione
durata 43 giorni. Indebolito dalle
malattie contratte durante la deportazione, si spense nella capitale filippina 44 giorni dopo l’arrivo. «Aveva 63 anni — ha spiegato
il porporato — la maggior parte
dei quali passati come straordinario testimone della fede cristiana
in tempi difficili di contrasti e di
persecuzione».
In pratica, ha detto ancora il
prefetto della Congregazione delle cause dei Santi, il nuovo beato
«visse da cristiano, non considerando il Vangelo come una realtà
estranea alla cultura giapponese».
Anzi «d’accordo con l’approccio
dei missionari gesuiti, egli puntava esclusivamente sull’annuncio
del Vangelo e sulla figura di Gesù, che donava la vita per la salvezza degli uomini e per la loro
liberazione dal male e dalla morte». Al punto che «gli ultimi mesi della sua esistenza furono un
continuo corso di esercizi spirituali, accompagnato dalla preghiera, dai sacramenti, dal raccoglimento e dalle conversazioni
spirituali con i missionari». E fu
«con questi sentimenti» che «accolse la morte offrendo la vita per
la conversione del Giappone, pregando e perdonando i suoi persecutori. Spirò — ha rimarcato il
cardinale Amato — invocando il
nome di Gesù e consegnando come il protomartire Stefano il suo
spirito al Signore».
Infine il porporato ha attualizzato la propria riflessione evidenziando l’eredità che Justus ha lasciato ai cristiani giapponesi.
Egli, ha detto, «viveva di fede. E
la viveva valorizzando le tradizioni della sua cultura». Con «il suo
comportamento
autenticamente
evangelico aveva colto il messaggio centrale di Gesù, la legge della carità. Per questo era misericordioso con i suoi sudditi, aiutava i poveri, dava il sostentamento
ai samurai bisognosi. Fondò la
confraternita della misericordia.
Visitava gli ammalati, era generoso nell’elemosina, portava assieme
al padre la bara dei defunti che
non avevano famiglia e provvedeva a seppellirli». Inoltre, ha concluso, «la spiritualità ignaziana lo
spingeva alla meditazione, al silenzio, alla preghiera, al raccoglimento, alla mortificazione, al discernimento, alla rinuncia a se
stesso».
cupe zone d’ombra del grave
sfruttamento che coinvolge, nel
mondo, dai 21 ai 35 milioni di persone, costrette a prostituirsi o ai
lavori forzati, ma anche “usate”
per espianto illegale di organi, accattonaggio forzato, servitù domestica, matrimoni precoci, adozioni
illegali, gravidanze surrogate e reclutamento di bambini-soldato.
Sono loro i nuovi schiavi del XXI
secolo.
Per questo — su sollecitazione
di Papa Francesco che infaticabilmente denuncia quello che definisce «un crimine contro l’umanità»
— è stata istituita nel 2015 la giornata mondiale ecclesiale contro la tratta, che
viene promossa a livello internazionale da
Talitha Kum, la rete
internazionale della vita consacrata contro la
tratta di persone, in
coordinamento con la
Congregazione per gli
istituti la vita consacrata e le società di vita
apostolica, il Dicastero
per il servizio dello
sviluppo umano integrale, la Pontificia Accademia delle scienze,
Caritas internationalis, l’Unione
internazionale delle associazioni
femminili cattoliche (WUCWO) e il
gruppo di lavoro contro la tratta
della commissione giustizia e pace
delle Unioni internazionali delle
superiore e dei superiori generali
(Uisg-Usg).
«Ufficialmente — ricorda suor
Gabriella Bottani, missionaria
comboniana, coordinatrice del comitato per la giornata — la schiavitù è stata abolita due secoli fa.
Di fatto, però, non abbiamo mai
avuto tanti schiavi nel mondo come oggi. E tra questi, circa un terzo sono minori. Un fenomeno in
continua crescita, estremamente
preoccupante e drammatico».
Si calcola infatti che, negli ultimi trent’anni, circa trenta milioni
di bambini siano stati coinvolti
nella tratta. E ancora oggi, nel
mondo, ogni due minuti, una
bambina o un bambino è vittima
di sfruttamento sessuale. Mentre
sono più di duecento milioni
quelli costretti a lavorare, spesso
in gravi condizioni di sfruttamento. Per un giro d’affari illegale stimato globalmente attorno ai 150
miliardi di euro. Un business
enorme, che in alcune regioni del
pianeta, compresa l’Europa, rende
più del traffico di droga e di armi.
Le iniziative legate a questa
giornata si sono moltiplicate, in
questi anni, sia in Italia sia nel
mondo, arrivando a coinvolgere
ben 154 paesi. In Italia, sono cominciate già nei giorni scorsi, con
un seminario che si è tenuto il 3
febbraio presso la Pontificia università Gregoriana, sul tema della
giornata 2017: «“Sono bambini,
non schiavi!”. Voci di donne a
confronto, sulla tratta di bambini,
bambine e adolescenti». Vi ha
partecipato, tra gli altri, il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson,
prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Il giorno successivo, nella parrocchia romana di Ognissanti, si è
tenuta una veglia di preghiera
contro il traffico di esseri umani,
presieduta dal vescovo ausiliare
Gianrico Ruzza. Inoltre nella mattina di mercoledì 8, proprio in
coincidenza con la giornata, tutto
il comitato partecipa all’udienza
generale di Papa Francesco. E in
serata, alla Casa internazionale
delle donne di Roma, l’associazione Slaves no more, presieduta da
suor Eugenia Bonetti — da oltre
vent’anni in prima fila per combattere la tratta e proteggere le
vittime — organizza un convegno
per fare il punto sulla situazione
italiana, tra criticità, sfide e buone
pratiche. Il tema è: «Accoglienza,
legalità, inclusione per le vittime
di traffico degli esseri umani. Non
si tratta!». Saranno presenti esperti e politici, ma soprattutto persone che lavorano sul campo per
prevenire la tratta e proteggere le
vittime. Per l’occasione, verrà presentato anche il libro Il coraggio
della libertà (Cinisello Balsamo,
Paoline, 2017, pagine 176, euro 13)
di Blessing Okoedion, giovane nigeriana, ex vittima di tratta, che
ha avuto non solo il coraggio di
denunciare, ma anche di raccontare la sua storia.
Altro importante avvenimento,
a Milano, dove il Pontificio istituto missioni estere (Pime), in collaborazione con Caritas ambrosiana
e Mani Tese, organizza un convegno su «Migrazioni e traffico di
esseri umani», riservato in particolar modo a giornalisti, insegnanti
e assistenti sociali.
Molte iniziative si svolgeranno
in altre parti d’Italia, dove si sono
mobilitate diocesi, parrocchie, as-
Ascoltiamo il grido
di tanti bambini schiavizzati.
Nessuno resti indifferente
al loro dolore.
@M_RSezione
(@Pontifex_it)
sociazioni, scuole, biblioteche, a
testimonianza di una crescente attenzione nei confronti di questa
piaga. Lo stesso sta avvenendo in
tutto il mondo.
«Questo terribile fenomeno ci
deve riguardare e preoccupare per
via della nostra fede, ma anche
semplicemente perché siamo umani», ha fatto notare suor Carmen
Sammut, presidente dell’Uisg.
«Penso — ha proseguito — che se
si incontra qualcuno che è stato
vittima del traffico, non si possa
dormire tranquilli fintanto che
non si è fatto qualcosa. L’incontro
anche solo con una persona vittima di tratta deve cambiare la nostra vita».
È lo scopo anche di questa
giornata: creare più consapevolezza attorno a questo drammatico
fenomeno e riflettere sulla situazione globale di violenza e ingiustizia che colpisce tante persone,
che non hanno voce, non contano, non sono nessuno: sono semplicemente schiavi. Al contempo,
si vuole stimolare tutti i soggetti
istituzionali, ecclesiali e della società civile a dare risposte concrete
e appropriate alle moderne forme
di tratta di esseri umani.
È quello che stanno già facendo
moltissime religiose in Italia e nel
mondo, grazie a reti nazionali e
internazionali, come Renate in
Europa o, appunto, come Talitha
Kum, che è presente in settanta
paesi e cinque continenti. «Le religiose — precisa suor Sammut —
sono coinvolte a diversi livelli:
identificazione e aiuto alle vittime,
promozione delle loro capacità di
ottenere giustizia, protezione dei
gruppi più vulnerabili, istruzione,
educazione, sensibilizzazione, attività di lobbying. Ma dobbiamo
diventare più consapevoli anche
di come ciascuno di noi può diventare complice della tratta e delle nuove schiavitù attraverso le
proprie abitudini di vita e di consumo. E ricordare quanto ci dice
Papa Francesco, ovvero che “l’acquisto non è solo un fatto economico, ma anche un’azione morale”».
Ecco perché in questa giornata
occorre ribadire, da un lato, la necessità di garantire diritti, libertà e
dignità alle persone vittime del
traffico e ridotte in schiavitù; e,
dall’altro, denunciare sia le organizzazioni criminali sia coloro che
usano e abusano della povertà e
della vulnerabilità di milioni di
persone per farne oggetti di piacere o fonti di guadagno, corpi-merce da vedere e comprare o braccia
da sfruttare per il lavoro schiavo.
«Dobbiamo unire le forze — insiste Papa Francesco — per liberare
le vittime e per fermare questo crimine sempre più aggressivo, che
minaccia, oltre alle singole persone, i valori fondanti della società e
anche la sicurezza e la giustizia
internazionali, oltre che l’economia, il tessuto familiare e lo stesso
vivere sociale».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
Nel messaggio per la quaresima il Papa attualizza la parabola di Lazzaro
I poveri
bussano alla nostra porta
«Il povero alla porta del ricco non è un
fastidioso ingombro, ma un appello a
convertirsi e a cambiare vita». È quanto
ricorda Papa Francesco nel messaggio per la
quaresima 2017, presentato martedì mattina,
7 febbraio. Incentrata sulla dimensione del
dono, la riflessione del Pontefice riprende e
attualizza la parabola evangelica dell’uomo
ricco e del povero Lazzaro.
La Parola è un dono.
L’altro è un dono
Cari fratelli e sorelle,
la Quaresima è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la
Pasqua di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E sempre questo tempo ci
rivolge un forte invito alla conversione: il
cristiano è chiamato a tornare a Dio «con
tutto il cuore» (Gl 2, 12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere
nell’amicizia con il Signore. Gesù è l’amico fedele che non ci abbandona mai, perché, anche quando pecchiamo, attende
con pazienza il nostro ritorno a Lui e, con
questa attesa, manifesta la sua volontà di
perdono (cfr. Omelia nella S. Messa, 8
gennaio 2016).
La Quaresima è il momento favorevole
per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre:
il digiuno, la preghiera e l’elemosina. Alla
base di tutto c’è la Parola di Dio, che in
questo tempo siamo invitati ad ascoltare e
meditare con maggiore assiduità. In particolare, qui vorrei soffermarmi sulla parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro
(cfr. Lc 16, 19-31). Lasciamoci ispirare da
questa pagina così significativa, che ci offre la chiave per comprendere come agire
per raggiungere la vera felicità e la vita
eterna, esortandoci ad una sincera conversione.
1. L’altro è un dono
La parabola comincia presentando i due
personaggi principali, ma è il povero che
viene descritto in maniera più dettagliata:
egli si trova in una condizione disperata e
non ha la forza di risollevarsi, giace alla
porta del ricco e mangia le briciole che cadono dalla sua tavola, ha piaghe in tutto
il corpo e i cani vengono a leccarle (cfr.
vv. 20-21). Il quadro dunque è cupo, e
l’uomo degradato e umiliato.
La scena risulta ancora più drammatica
se si considera che il povero si chiama
Lazzaro: un nome carico di promesse, che
alla lettera significa «Dio aiuta». Perciò
questo personaggio non è anonimo, ha
tratti ben precisi e si presenta come un individuo a cui associare una storia personale. Mentre per il ricco egli è come invisibile, per noi diventa noto e quasi familiare,
diventa un volto; e, come tale, un dono,
una ricchezza inestimabile, un essere voluto, amato, ricordato da Dio, anche se la
sua concreta condizione è quella di un rifiuto umano (cfr. Omelia nella S. Messa, 8
gennaio 2016).
Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono.
La giusta relazione con le persone consiste
nel riconoscerne con gratitudine il valore.
Anche il povero alla porta del ricco non è
un fastidioso ingombro, ma un appello a
convertirsi e a cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di
aprire la porta del nostro cuore all’altro,
perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto. La
Quaresima è un tempo propizio per aprire
la porta ad ogni bisognoso e riconoscere
in lui o in lei il volto di Cristo. Ognuno
di noi ne incontra sul proprio cammino.
Ogni vita che ci viene incontro è un dono
e merita accoglienza, rispetto, amore. La
Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi
per accogliere la vita e amarla, soprattutto
quando è debole. Ma per poter fare questo è necessario prendere sul serio anche
quanto il Vangelo ci rivela a proposito
dell’uomo ricco.
2. Il peccato ci acceca
La parabola è impietosa nell’evidenziare
le contraddizioni in cui si trova il ricco
(cfr. v. 19). Questo personaggio, al contrario del povero Lazzaro, non ha un nome,
è qualificato solo come “ricco”. La sua
opulenza si manifesta negli abiti che indossa, di un lusso esagerato. La porpora
infatti era molto pregiata, più dell’argento
e dell’oro, e per questo era riservato alle
divinità (cfr. Ger 10, 9) e ai re (cfr. Gdc 8,
26). Il bisso era un lino speciale che contribuiva a dare al portamento un carattere
quasi sacro. Dunque la ricchezza di quest’uomo è eccessiva, anche perché esibita
ogni giorno, in modo abitudinario: «Ogni
giorno si dava a lauti banchetti» (v. 19).
In lui si intravede drammaticamente la
corruzione del peccato, che si realizza in
tre momenti successivi: l’amore per il denaro, la vanità e la superbia (cfr. Omelia
nella S. Messa, 20 settembre 2013).
Dice l’apostolo Paolo che «l’avidità del
denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6,
10). Essa è il principale motivo della corruzione e fonte di invidie, litigi e sospetti.
Il denaro può arrivare a dominarci, così
da diventare un idolo tirannico (cfr. Esort.
ap. Evangelii gaudium, 55). Invece di essere uno strumento al nostro servizio per
compiere il bene ed esercitare la solidarietà con gli altri, il denaro può asservire noi
e il mondo intero ad una logica egoistica
che non lascia spazio all’amore e ostacola
la pace.
La parabola ci mostra poi che la cupidigia del ricco lo rende vanitoso. La sua
personalità si realizza nelle apparenze, nel
far vedere agli altri ciò che lui può per-
Provocazione fondamentale
In un mondo in cui circa ottocento milioni di persone soffrono la fame, in
una società segnata da violenze e povertà fisiche e spirituali, è l’«attenzione
all’altro» la provocazione fondamentale
per ogni cristiano. È questo il cuore del
messaggio del Papa per la prossima
quaresima secondo monsignor Giampietro Dal Toso, segretario delegato del
Dicastero per il servizio dello sviluppo
umano integrale, e Chiara Amirante,
fondatrice della comunità Nuovi Orizzonti, che nella mattina di martedì 7
febbraio, hanno presentato il documento pontificio nella Sala stampa della
Santa Sede.
«È importante — ha detto il primo —
capire quanto abbiamo bisogno dell’altro» e quanto il rapporto con l’altro «ci
cambia la vita». In questo senso, il ricco della parabola evangelica citata nel
messaggio è criticato «non perché pos-
siede ricchezze, ma perché vive del suo
io e non si apre all’altro».
E la «scelta fondamentale per l’alterità» è stata sottolineata attraverso la
concreta esperienza della comunità
Nuovi Orizzonti. «Ho cominciato — ha
raccontato Amirante — a percorrere di
notte le strade per ascoltare il grido dei
poveri e ho scoperto tante nuove povertà: droga, alcol, aids, prostituzione,
bambini abusati, bulimia, anoressia...
Ho capito che c’era bisogno di proporre un incontro, quello con la parola di
Dio e con lo stile di vita del Vangelo».
Oggi la comunità, nata all’inizio degli anni Novanta, conta 207 centri di
accoglienza e formazione, mille équipe
di servizio, e ben mezzo milione delle
persone che, dopo essere state aiutate a
uscire dai propri problemi, si sono fatte
a loro volta protagoniste di evangelizzazione.
mercoledì 8 febbraio 2017
nora non si era detto nulla della sua relazione con
Dio. In effetti, nella sua
vita non c’era posto per
Dio, l’unico suo dio essendo lui stesso.
Solo tra i tormenti
dell’aldilà il ricco riconosce Lazzaro e vorrebbe
che il povero alleviasse le
sue sofferenze con un po’
di acqua. I gesti richiesti
a Lazzaro sono simili a
quelli che avrebbe potuto
fare il ricco e che non ha
mai compiuto. Abramo,
tuttavia, gli spiega: «Nella vita tu hai ricevuto i
tuoi beni, e Lazzaro i
suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato,
tu invece sei in mezzo ai
tormenti» (v. 25). Nell’aldilà si ristabilisce una certa equità e i mali della vita vengono bilanciati dal
bene.
La parabola si protrae
Fyodor Bronnikov, «Lazzaro alla porta dell’uomo ricco»
e così presenta un messaggio per tutti i cristiani.
mettersi. Ma l’apparenza maschera il vuo- Infatti il ricco, che ha dei fratelli ancora in
to interiore. La sua vita è prigioniera vita, chiede ad Abramo di mandare Lazzadell’esteriorità, della dimensione più su- ro da loro per ammonirli; ma Abramo riperficiale ed effimera dell’esistenza (cfr. sponde: «Hanno Mosè e i profeti; ascoltiibid., 62).
no loro» (v. 29). E di fronte all’obiezione
Il gradino più basso di questo degrado del ricco, aggiunge: «Se non ascoltano
morale è la superbia. L’uomo ricco si ve- Mosè e i profeti, non saranno persuasi
ste come se fosse un re, simula il porta- neanche se uno risorgesse dai morti» (v.
mento di un dio, dimenticando di essere 31).
semplicemente un mortale. Per l’uomo
In questo modo emerge il vero problecorrotto dall’amore per le ricchezze non ma del ricco: la radice dei suoi mali è il
esiste altro che il proprio io, e per questo non prestare ascolto alla Parola di Dio; quele persone che lo circondano non entrano sto lo ha portato a non amare più Dio e
nel suo sguardo. Il frutto dell’attaccamen- quindi a disprezzare il prossimo. La Paroto al denaro è dunque una sorta di cecità: la di Dio è una forza viva, capace di susciil ricco non vede il povero affamato, pia- tare la conversione nel cuore degli uomini
gato e prostrato nella sua umiliazione.
e di orientare nuovamente la persona a
Guardando questo personaggio, si com- Dio. Chiudere il cuore al dono di Dio che
prende perché il Vangelo sia così netto nel parla ha come conseguenza il chiudere il
condannare l’amore per il denaro: «Nessu- cuore al dono del fratello.
no può servire due padroni, perché o
Cari fratelli e sorelle, la Quaresima è il
odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si af- tempo favorevole per rinnovarsi nell’infezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non contro con Cristo vivo nella sua Parola,
potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6, nei Sacramenti e nel prossimo. Il Signore
24).
— che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto ha vinto gli inganni del Tentatore —
ci indica il cammino da seguire. Lo Spirito Santo ci guidi a compiere un vero cam3. La Parola è un dono
mino di conversione, per riscoprire il doIl Vangelo del ricco e del povero Lazza- no della Parola di Dio, essere purificati
ro ci aiuta a prepararci bene alla Pasqua dal peccato che ci acceca e servire Cristo
che si avvicina. La liturgia del Mercoledì presente nei fratelli bisognosi. Incoraggio
delle Ceneri ci invita a vivere un’esperien- tutti i fedeli ad esprimere questo rinnovaza simile a quella che fa il ricco in manie- mento spirituale anche partecipando alle
ra molto drammatica. Il sacerdote, impo- Campagne di Quaresima che molti organendo le ceneri sul capo, ripete le parole: nismi ecclesiali, in diverse parti del mon«Ricordati che sei polvere e in polvere torne- do, promuovono per far crescere la cultura
rai». Il ricco e il povero, infatti, muoiono dell’incontro nell’unica famiglia umana.
entrambi e la parte principale della para- Preghiamo gli uni per gli altri affinché,
bola si svolge nell’aldilà. I due personaggi partecipi della vittoria di Cristo, sappiamo
scoprono improvvisamente che «non ab- aprire le nostre porte al debole e al povebiamo portato nulla nel mondo e nulla ro. Allora potremo vivere e testimoniare in
possiamo portare via» (1 Tm 6, 7).
pienezza la gioia della Pasqua.
Anche il nostro sguardo si apre all’aldiDal Vaticano, 18 ottobre 2016
là, dove il ricco ha un lungo dialogo con
Festa di San Luca Evangelista
Abramo, che chiama «padre» (Lc 16,
24.27), dimostrando di far parte del popolo di Dio. Questo particolare rende la sua
vita ancora più contraddittoria, perché fi-
Messa a Santa Marta
Ritorno alle origini per capire chi è l’uomo e, soprattutto, chi è l’uomo agli occhi
di Dio. Seguendo i suggerimenti della liturgia della parola, Papa Francesco,
nell’omelia della messa celebrata a Santa
Marta martedì 7 febbraio, si è soffermato
a riflettere sulla creazione e sul grande
amore che il Signore nutre per l’uomo.
Il Pontefice ha innanzitutto ripreso uno
dei versetti del salmo responsoriale: «O
Signore, quanto è mirabile il tuo nome su
tutta la terra» per ricordare come la Chiesa, in questi giorni, «ci porta a lodare tanto il Signore». E, proseguendo nella lettura del salmo 8 — «Ma, Signore, che cosa è
mai l’uomo perché di lui ti ricordi? Il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» — ha
sottolineato come questo esprima «l’ammirazione davanti alla tenerezza, all’amore
di Dio: perché tu ti comporti così con
noi? Non siamo niente, ma tu sei grande...».
La risposta si trova nella prima lettura
che riporta il racconto della creazione tratto dalla Genesi (1, 20 - 2, 4). Lì si legge,
infatti, alla fine del sesto giorno: «Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine,
secondo la nostra somiglianza. Domini sui
pesci del mare, gli uccelli...”. E Dio creò
l’uomo a sua immagine, a immagine di
Dio lo creò; maschio e femmina li creò. E
li benedisse e disse loro: “Siate fecondi,
moltiplicatevi; riempite la Terra; soggiogatela; dominate sui pesci del mare...”».
Cioè, ha detto il Papa, «Dio dà tutto
all’uomo. E la creazione dell’uomo e della
donna è l’incoronazione di tutta la crea-
Questione di dna
zione del mondo, è il fine». Ma, si è chiesto, «cosa ci dà Dio» per farci dire nel
salmo: «Che cos’è mai l’uomo perché di
lui ti ricordi, il figlio dell’uomo perché te
ne curi?».
Émile Bernard, «Adamo ed Eva» (1888)
«Prima di tutto — ha risposto — ci ha
dato il dna, cioè ci ha fatto figli, ci ha
creati a sua immagine, a sua immagine e
somiglianza, come lui». E, ha aggiunto il
Pontefice, «che gli assomigli tanto o poco,
è figlio: ha ricevuto l’identità». Si tratta di
un legame che resta. E così «se il figlio diventa buono, il padre è orgoglioso di quel
figlio» e dice: «ma guarda che bravo!».
Ugualmente, se il figlio «è un po’ bruttino», il padre comunque dirà: «è bello!»,
perché «il padre è così, sempre». E ancora: «se è cattivo, il padre lo giustifica, lo
aspetta...». Lo stesso Gesù, del resto, «ci
ha insegnato come un padre sa aspettare i
figli». In definitiva, Dio «ci ha dato questa identità di figli». Addirittura possiamo
dire: «Siamo “come dei”, perché siamo figli di Dio». E Dio «è contento, perché ha
sulla terra un figlio, come ne ha un altro
in cielo. È felice il Signore: “È molto buono”, dice a se stesso». Questa, quindi, è la
prima cosa che Dio ha dato all’uomo nella
creazione.
Le seconda è insieme un «dono» e un
«compito». Cioè, ha spiegato Francesco,
«ci ha dato tutta la terra». Infatti nella
Scrittura si legge: «Domini sui pesci del
mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame,
su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio dice
agli uomini: «riempite la terra, soggiogatela, dominate sui pesci del mare e su
ogni essere vivente». Dio, cioè, «ha dato
la regalità: è un re, l’uomo. È quello che
domina. Così lo vuole il Signore: non lo
vuole schiavo, lo vuole signore». E cosa
comporta questa signoria? Comporta «il
compito di portare avanti il Creato», cioè
«un lavoro».
Il Pontefice si è soffermato su quest’ultimo aspetto: «Come lui ha lavorato nella
creazione, ha dato a noi il lavoro, ha dato
il lavoro di portare avanti il creato. Non
di distruggerlo; ma di farlo crescere, di curarlo, di custodirlo e farlo portare frutto
avanti». Tra l’altro, ha aggiunto, c’è un
fatto «curioso»: Dio «ha dato tutto», ma
«non ci ha dato i soldi». Non a caso «dicono le nonne, che il diavolo entra dalle
tasche...».
L’ultimo dono indicato dal Pontefice si
trova proseguendo nella lettura della Genesi: «Dio creò l’uomo a sua immagine,
maschio e femmina li creò». Cioé: «la terza cosa che ha dato è l’amore». Dio dice:
«Non è buono che l’uomo viva da solo. E
ha fatto la compagna». A tale proposito
Papa Francesco ha confidato che a volte,
ascoltando «qualche musica che cerca di
dire questo», gli «piace pensare» come
potrebbe essere stato «quel primo dialogo,
quando tutti e due si guardavano; il dialogo tra l’uomo e la donna, il dialogo
dell’amore».
Riassumendo, Dio ha detto all’uomo:
«Tu sei il figlio, tu devi fare questo: custodire il creato, lavorare, andare avanti. E
amare. Perché io sono amore e ti do questo». Di fronte a ciò viene da esclamare
con la Scrittura: «Sei grande, Signore, sei
grande! Che cosa è mai l’uomo, perché tu
di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo perché
te ne curi? Davvero, lo hai fatto poco meno di un Dio, di gloria e di onore lo hai
coronato. Gli hai dato potere sulle opere
delle tue mani: tutto hai posto sotto i suoi
piedi. O Signore, quanto è mirabile il tuo
nome su tutta la terra!».
Dio, ha detto il Pontefice, «ci ha dato
l’identità: abbiamo la stessa identità di
Dio, siamo figli di Dio. Siamo stati creati
a sua immagine e somiglianza. Ci ha dato
il dono della terra, del creato: “Tutto è vostro, ma per portarlo avanti, per custodirlo, non per distruggerlo!”». E «questo si
fa con il lavoro: il lavoro è un dono di
Dio e quando una persona non ha lavoro,
si sente senza dignità, le manca qualcosa
che viene da Dio». Infine Dio «ci ha dato
l’amore: l’amore che incomincia qui,
nell’uomo e nella donna».
Perciò, ha concluso, «ringraziamo il Signore per questi tre regali che ci ha dato:
l’identità, il dono-compito e l’amore. E
chiediamo la grazia di custodire questa
identità di figli, di lavorare sul dono che
ci ha dato e portare avanti con il nostro
lavoro questo dono, e la grazia di imparare ogni giorno ad amare di più».