LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE
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LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE
LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE Sandro Lecca∗ SOMMARIO – UNA MODERNIZZAZIONE RITARDATA RISPETTO ALL’EUROPA – L’EVOLUZIONE DELLA RETE COMMERCIALE NEL NORD ITALIA: LA CRESCITA DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE – LE IMPLICAZIONI DELLA MODERNIZZAZIONE: LA CRESCITA DEL RUOLO STRATEGICO DELLA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE – CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: I RISCHI E LE OPPORTUNITÀ PER L’ECONOMIA SETTENTRIONALE – BIBLIOGRAFIA SOMMARIO La presenza di forti vincoli amministrativi e la stessa dispersione del tessuto produttivo hanno giocato un ruolo frenante nel processo di concentrazione della rete distributiva italiana, che al Nord è stato di certo più intenso, ma di entità inferiore nei confronti di quanto avvenuto nei paesi commercialmente avanzati d’Europa. Segni di questo ritardo non sono soltanto la minore incidenza della grande distribuzione organizzata e il permanere di una più elevata frammentazione della rete, ma anche e soprattutto il deficit di internazionalizzazione “attiva”, ossia di presenza nei mercati esteri, che continua a caratterizzare le nostre imprese commerciali. Tuttavia il primo, lungo e “temperato” ciclo della modernizzazione del settore distributivo (acceleratosi negli anni Ottanta) può considerarsi, almeno con riferimento alla realtà del Nord, sostanzialmente concluso. Esaurita e vinta la concorrenza con il piccolo dettaglio tradizionale (che – occorre ricordarlo – esercitava peraltro un’importante funzione sociale di conservazione della vitalità del territorio), la distribuzione moderna, forte anche di una maggiore autonomia nei confronti dell’industria, si trova oggi ad affrontare la sfida di una nuova e più complessa fase competitiva. Questa sembra richiedere il realizzarsi di due condizioni di fondo. La prima, interna al settore distributivo, implica la concentrazione delle funzioni strategiche e direzionali (acquisti, logistica, marketing, finanza) quale presupposto per il rafforzamento della stessa piccola impresa commerciale. La seconda riguarda la migliore qualificazione del rapporto tra la distribuzione moderna e le Pmi manifatturiere, che richiede lo sviluppo di relazioni cooperative o di partnership. Entrambi i passaggi – che consistono sostanzialmente nell’innescare meccanismi di maggiore razionalità sistemica – appaiono indispensabili per consentire al “sistema” del Nord di porsi con qualche chance di successo davanti alla sfida della crescente internazionalizzazione degli assetti distributivi e produttivi. UNA MODERNIZZAZIONE RITARDATA RISPETTO ALL’EUROPA UNA STRUTTURA COMMERCIALE ALL’AVANGUARDIA IN ITALIA … Con il 19% del complesso delle unità locali, il 16% degli occupati totali e il 14% del valore aggiunto dell’intera economia, il settore del commercio continua a ricoprire un ruolo fondamentale nello sviluppo economico e sociale dell’Italia del Nord. È qui che si concentra il 40,4% dei punti di vendita dell’intera rete distributiva al dettaglio fisso nazionale, ma soprattutto il 47% ∗ Ufficio Studi, CCIAA Milano 179 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE dei supermercati, il 52,4% degli hard discount e ben il 69,6% degli ipermercati. Dati, questi ultimi, che testimoniano chiaramente come la diffusione del commercio moderno sia stata più ampia nelle regioni settentrionali rispetto al resto del paese. … MA IN RITARDO RISPETTO ALL’EUROPA PIÙ AVANZATA La struttura commerciale del Nord Italia appare peraltro meno moderna se la si paragona a quella degli altri paesi avanzati dell’Europa. La prima è infatti caratterizzata: • da una maggiore frammentazione, come mostra il suo più elevato indice di densità commerciale (numero di punti di vendita al dettaglio per 10.0000 abitanti): 105 contro 78 della Francia, 67 dell’Olanda, 58 della Gran Bretagna, 54 della Germania, uno scarto che si accentua ulteriormente considerando il solo comparto non alimentare; • da una minore dotazione di commercio alimentare moderno (supermercati e grandi ipermercati di oltre 5.000 mq.), che raggiunge complessivamente i 113 mq. per 1.000 abitanti, contro i 231 della Francia e i 193 della Germania. Inoltre gli ipermercati in senso ampio (oltre 2.500 mq) assorbono nel Nord Italia il 27% circa dell’intera superficie moderna contro il 55% della Francia, il 57% della Germania e il 29% della Spagna; • dalla forte prevalenza di esercizi di piccolissime dimensioni (una media di neanche 3 addetti per punto vendita contro i 4,5 della Francia e i 6,6 della Germania), in cui domina il lavoro indipendente (55% dell’occupazione commerciale contro il 22% della Francia e il 15% della Germania). Anche nelle regioni più ricche e avanzate del Nord Italia la rete distributiva presenta quindi un chiaro deficit di modernizzazione, almeno nei confronti di quei paesi europei che hanno avviato la “rivoluzione commerciale” con molto anticipo rispetto al nostro paese. Un ritardo temporale che possiamo forse misurare in una dozzina di anni, dal momento che soltanto oggi il Nord raggiunge densità commerciali paragonabili a quelle che, per fare un esempio, la Francia deteneva già nel 1986. LE RAGIONI DEL RITARDO Tale ritardo è dovuto, come è ben noto, alla combinazione di diversi fattori: dalle barriere amministrative (legge 426/1971) che ponevano vincoli alla diffusione delle grandi superfici di vendita, ai caratteri strutturali dell’industria produttrice dei beni di consumo durevoli fondata su una miriade di piccole e medie imprese specializzate in mercati di nicchia, alla sostanziale subordinazione dei distributori dall’industria di marca, sino alla stessa configurazione fisica e urbanistica del territorio. In queste condizioni di freno alla crescita dimensionale e allo sviluppo dell’innovazione, l’attività di commercio ha finito spesso per costituire un’alternativa al lavoro dipendente, rispondendo quindi più a obiettivi di assicurazione del reddito famigliare che di rafforzamento e ammodernamento aziendale. L’EVOLUZIONE DELLA RETE COMMERCIALE NEL NORD ITALIA: LA CRESCITA DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE Per via dei limiti sopra segnalati, il passaggio dalle forme tradizionali a quelle moderne è stato, nel Nord Italia, meno rapido e dirompente rispetto alle aree commercialmente più evolute e dinamiche dell’Europa, ma si può dire che esso costituisca ormai un fatto compiuto, almeno per quanto riguarda la di- 180 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE stribuzione alimentare, mentre analoghi processi di cambiamento si stanno progressivamente estendendo anche al non alimentare. È quindi utile e opportuno tracciare qui di seguito un rapido quadro dei rilevanti cambiamenti che hanno caratterizzato, specie negli anni più recenti, l’evoluzione della rete distributiva nelle regioni del Nord. LA RETE ALIMENTARE: UNA FORTE SPINTA ALLA RAZIONALIZZAZIONE E ALLA CONCENTRAZIONE A partire dalla metà degli anni Ottanta si assiste, in Italia, a un consistente fenomeno di razionalizzazione e concentrazione della rete distributiva alimentare, che appare più accentuato nelle regioni dell’Italia settentrionale e in particolare del Nord Est. Nel periodo 1981-1994 il numero dei punti di vendita si riduce di circa un terzo, con un ritmo di diminuzione in media annua intorno al -3%, che si intensifica notevolmente tra il 1996 e il 1997 (-12% nel Nord Ovest e -13,5% nel Nord Est). Ne consegue la forte contrazione della densità commerciale, che passa dai 57-58 esercizi per 10.000 abitanti del 1981 ai 2930 attuali (contro una media nazionale di 36). Questi dati indicano come la componente moderna abbia di fatto sostituito quella tradizionale. L’evoluzione della rete distributiva moderna, che implica una maggiore articolazione delle formule di vendita, può essere sinteticamente rappresentata come segue: • crescita vistosa dei supermercati (ossia degli esercizi con superficie di vendita compresa tra i 400 e 2.500 mq), che sin dalla fine degli anni Cinquanta sono stati all’origine del processo di modernizzazione, sviluppandosi prima al Nord, e con maggiore intensità nel Nord Est, per poi diffondersi nel resto d’Italia. Si tratta peraltro di una formula ormai matura, se non in declino, come indica la contrazione di 43 unità intervenuta tra il 1994 e il 1996 nel Nord (a fronte di una tendenza nazionale ancora in aumento, seppure contenuto); • diffusione, a partire dalla metà degli anni Ottanta, degli ipermercati (oltre 2.500 mq), che si è concentrata soprattutto nel Nord Ovest e in particolare nel Piemonte e nella Lombardia (queste due regioni, da sole, assorbono, in termini di unità di vendita, il 62% del totale Nord e il 43% di quello nazionale). Come si è già osservato, oggi gli ipermercati settentrionali detengono il 27% (6% nel resto d’Italia) dell’intera superficie alimentare moderna; • comparsa negli anni più recenti (1993) e crescita rapida - specie in Lombardia e nell’Emilia Romagna - dell’hard discount (400-800 mq), un fenomeno che lungi dal portare alla sostituzione delle altre formule commerciali innesca nuove dinamiche competitive specie per quanto riguarda le politiche di prezzo. Esploso in una fase di recessione produttiva e di contrazione dei consumi (1993-1994), oggi il “boom” degli hard discount appare esaurito, mentre si evidenzia, in particolare nel Nord Est, una tendenza al ridimensionamento, indotta anche dalla reazione competitiva delle altre forme distributive (come, ad esempio, la massiccia introduzione di prodotti di primo prezzo o il ricorso a strategie di fidelizzazione da parte dei supermercati); • maggiore penetrazione della rete di vendita moderna nel Nord Est (specie nel Veneto, la regione commercialmente più “avanzata” d’Italia, almeno nel settore alimentare), che detiene un più elevato indice di dotazione complessiva: 153 mq per 1.000 abitanti (considerando l’insieme di supermercati, ipermercati e hard discount) contro i 132 del Nord Ovest. La differenza si spiega con il forte sviluppo assunto nelle regioni del Nord 181 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE Est dal supermercato, formula che svolgendo un servizio di prossimità appare particolarmente funzionale alle caratteristiche urbane di quei territori. LA RETE NON ALIMENTARE: UNA POLVERIZZAZIONE ANCORA ACCENTUATA … È soltanto a partire dal 1991 che nella rete distributiva non alimentare iniziano a manifestarsi processi di concentrazione di una qualche intensità. Tra il 1991 e il 1994 diminuisce infatti, per la prima volta dal 1981, il numero dei punti di vendita, nella percentuale del -2,7% nel Nord Ovest e -4% nel Nord Est (contro il -3,4% della media Italia), una tendenza che, anche a causa della contrazione dei consumi, si rafforza negli anni successivi (-2,6% nel Nord Ovest e -2,4% Nord Est in un solo anno, ossia tra il 1996 e il 1997). Si riduce quindi il grado di polverizzazione della distribuzione non alimentare, che continua peraltro a presentare valori nettamente superiori a quelli osservabili negli altri paesi avanzati dell’Europa: 77 punti di vendita per 10.000 abitanti nel Nord Ovest e 82 nel Nord Est contro i 54 della Francia, i 46 della Germania e i 35 della Gran Bretagna. L’accentuata polverizzazione del commercio non alimentare italiano - in cui dominano il piccolo negozio specializzato e il ricorso al lavoro autonomo costituisce di certo un’evidente anomalia nel contesto distributivo europeo, ma appare del tutto coerente alle caratteristiche sia del tessuto economico di riferimento, esso stesso fortemente segmentato (non a caso la densità è maggiore nel Nord Est), che di una domanda di consumi impregnata di localismo. Tali determinati strutturali, limitando la standardizzazione dei beni, hanno reso difficoltosa l’introduzione di quelle economie di scala (concentrazione degli acquisti, della logistica, del marketing, della finanza) che al contrario hanno maggiormente caratterizzato lo sviluppo della rete commerciale non alimentare degli altri paesi europei. In questo quadro si spiega il ruolo marginale assunto in Italia dai grandi magazzini (2.000-2.500 mq) e magazzini popolari (1.000-1.500 mq.), la cui quota di mercato è passata dal 2,4% del 1980 al 3,1% del 1990. Il loro numero, negli ultimi anni, risulta inoltre stazionario o in diminuzione in tutte le regioni del Nord, con la sola eccezione della Lombardia, dove sembra essere in atto un tentativo di rivitalizzazione di questa formula allo scopo di reggere la concorrenza con i centri commerciali integrati. … MA IN VIA DI RIDUZIONE Il processo di modernizzazione della rete non alimentare – che si trova ancora in una fase iniziale – è testimoniato dallo sviluppo assunto da formule distributive moderne quali: • i centri commerciali al dettaglio, che si concentrano nel Nord Italia (68% delle strutture e 73% della superficie), aumentano le loro dimensioni medie (+10,2% nel Nord Ovest e + 29,9% nel Nord Est tra il 1991 e il 1996), offrono una varietà di servizio sempre più completa, allargata alle stesse attività di “entertainment”, e si localizzano nelle aree extra-urbane, spesso accanto ad altri “attrattori” commerciali (ipermercati, superfici specializzate); • le grandi superfici (più di 400 mq.) specializzate per funzioni di consumo (arredamento, articoli sportivi, bricolage, ecc.), a prevalente localizzazione extraurbana, che operano con i criteri di gestione tipici della grande distribuzione alimentare (libero servizio, economie di scala, presenza di marche commerciali), praticano politiche di prezzo a discount e costitui- 182 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE scono quindi una seria minaccia (una vera e propria category killer, come sono state denominate) per il commercio specializzato di minori dimensioni. Si tratta di una formula innovativa per l’Italia, affermatasi soprattutto nelle regioni del Nord Est ed esposta alla penetrazione delle insegne estere (Ikea è l’esempio più noto). LA CRESCITA DEL FRANCHISING LA PRESENZA DELLE IMPRESE ESTERE In questi ultimi anni si è assistito in Italia a un rilevante sviluppo delle reti di franchising, a cui ricorrono sia i produttori che i distributori intenzionati a innovare le proprie strategie distributive attraverso una maggiore strutturazione dell’offerta, conseguendo nello stesso tempo obiettivi di riduzione dei costi e di migliore copertura territoriale delle insegne. Tra il 1996 e il 1998 il numero degli esercizi commerciali operanti in franchising – concentrati in buona parte nel Nord Italia – è cresciuto del 40% circa (toccando le oltre 12.500 unità, di cui 2.000 localizzate nella sola Lombardia), un aumento ancor più significativo se si considera la parallela e pronunciata contrazione del dettaglio tradizionale. Il franchising è oggi interessato da una crescente processo di internazionalizzazione, che tuttavia investe ancora marginalmente le imprese italiane: basti che dire i punti di vendita affiliati alle prime 20 insegne nazionali operanti all’estero risultavano nel 1994 (comprendendo anche il settore dei servizi) poco più di mille, ossia meno della metà dei 2.600 negozi esteri affiliati ad una sola insegna come quella francese di Intermarché. Con lo sviluppo dell’innovazione delle formule commerciali, alcune delle quali importate da altri paesi europei (l’ipermercato dalla Francia, l’hard discount dalla Germania), cresce notevolmente – a partire dai primi anni Novanta, soprattutto nel Nord Italia e nel settore alimentare – la presenza delle grandi imprese estere della distribuzione. Queste oggi controllano, direttamente o indirettamente, quote significative della superficie di vendita degli ipermercati (15% nel Nord Ovest e 8% nel Nord Est), degli hard discount (25% nel Nord Ovest e quasi 40% nel Nord Est) e dei cash & carry (25% nel Nord Ovest e 15% nel Nord Est), una presenza che in questi ultimi anni si sta sempre più estendendo anche alla gestione delle grandi superfici specializzate non alimentari. A causa delle ridotte dimensione delle imprese nazionali – nessuna di queste, ad esempio, figura tra i primi 15 gruppi europei della distribuzione specializzata – e del livello di saturazione ormai raggiunto dai mercati di diversi paesi, l’Italia continua ad offrire ampi spazi e nuove opportunità alle aziende straniere intenzionate a svilupparsi in un mercato europeo sempre più integrato. La presenza degli operatori esterni – che fanno ricorso alle diverse modalità d’ingresso (apertura diretta, acquisto di piccole-medie catene nazionali, partecipazioni di minoranza, accordi di joint-venture, contratti di franchising) è quindi destinata a rafforzarsi nei prossimi anni, specie nel settore non alimentare, che presenta più elevati margini di crescita. Dalla nostra analisi emerge una conclusione di fondo: seppure con velocità diverse tra alimentare e non alimentare e il permanere di un certo ritardo rispetto ai paesi europei commercialmente più avanzati, la prima fase di modernizzazione della rete distributiva può ritenersi, nell’Italia del Nord, sostanzialmente compiuta. Il confronto competitivo e la turbolenza, accentuati dai fenomeni di internazionalizzazione, si spostano all’interno del settore moderno, mentre la dinamica dell’offerta commerciale tende ad adeguarsi alla do- 183 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE manda dei consumatori sulla base di meccanismi non più (o non solo) di tipo “amministrativo”, ma di mercato. Ciò significa che a rendere moderna una rete distributiva non è tanto la presenza delle grandi superfici di vendita, quanto lo sviluppo della differenziazione e della specializzazione delle formule (oggi, tra l’altro, a crescente contenuto di servizio) fondato sulle dinamiche concorrenziali tipiche del libero mercato. LE IMPLICAZIONI DELLA MODERNIZZAZIONE: LA CRESCITA DEL RUOLO STRATEGICO DELLA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE Le conseguenze della “rivoluzione commerciale” affermatasi nelle regioni del Nord sono molteplici e investono non solo gli equilibri interni alla distribuzione, ma anche quelli connessi ai rapporti che il commercio intrattiene con le diverse componenti del sistema globale (industria di produzione, logistica, mercati esteri, comportamenti di acquisto dei consumatori, qualità della vita, territorio, e così via). In questa sede ci limiteremo ad evidenziare i cambiamenti e i nodi problematici con riguardo a tre aspetti “sistemici” di cruciale importanza: l’impatto sull’industria, la “minaccia” proveniente dai processi di internazionalizzazione, il rapporto con il territorio. IL RIBALTAMENTO DELLA DIPENDENZA DEL COMMERCIO DALL’INDUSTRIA I CAMBIAMENTI INDOTTI NEL SETTORE INDUSTRIALE Con lo sviluppo della distribuzione moderna viene meno il tradizionale rapporto di dipendenza del commercio dall’industria. Non soltanto il distributore aumenta il proprio potere contrattuale nei confronti del produttore (da cui ottiene migliori condizioni di acquisto), ma assume un ruolo imprenditoriale maggiormente autonomo. Questo processo di emancipazione del settore distributivo è ben testimoniato dal fenomeno delle “marche commerciali”, attraverso cui si il distributore si appropria di competenze e di fasi del ciclo produttivo (progettazione e marketing dei prodotti) che nel passato costituivano prerogativa unica dell’industria di marca. Il ricorso alle nuove tecnologie informatiche, che consente di conoscere in tempo reali gli orientamenti e i bisogni dei consumatori, rafforza poi il potere del dettagliante: questi può infatti non solo porsi come interlocutore adeguatamente informato dell’industria, ma anche orientare la domanda verso quei prodotti che presentano per lui i margini più elevati. Come si vede, siamo ormai agli antipodi della situazione tradizionale che vedeva nel distributore un mero intermediario di prodotti “prevenduti” dall’industria. Il rapporto risulta oggi sostanzialmente ribaltato: non è più l’industria a influenzare la distribuzione, ma il contrario. Un cambiamento che produce sul settore industriale almeno due rilevanti conseguenze di natura strutturale, ossia: • una tendenza alla polarizzazione del tessuto produttivo. Lo sviluppo del commercio moderno genera infatti, da una parte, una spinta alla concentrazione di quelle industrie, di solito multinazionali (come è successo nel settore alimentare), che continuano a perseguire politiche di marca e, dall’altra parte, favorisce la crescita di una schiera di produttori di piccole e medie dimensioni. Questi ultimi, peraltro, devono mostrare di possedere i requisiti competitivi richiesti (flessibilità produttiva, rapporto prezzo/qualità, efficienza logistica, ecc.) per poter operare come imprese forni- 184 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE trici della grande distribuzione, godendo dei relativi vantaggi (misurabili, soprattutto, in termini di aumento dei volumi di produzione); • una maggiore esposizione dell’industria alla concorrenza estera. La grande distribuzione, ormai libera di scegliere i propri fornitori, può infatti approvvigionarsi direttamente dai produttori esteri, che a loro volta sono facilitati nella penetrazione commerciale dei mercati locali da una struttura distributiva meno frammentata. Ciò può anche tradursi in un’opportunità di crescita internazionale per le stesse piccole e medie industrie che riforniscono le imprese commerciali operanti nei mercati esteri. Tra industria e distribuzione si definiscono quindi nuovi rapporti ed equilibri, che appaiono nel loro complesso maggiormente orientati a criteri di efficienza, competitività e trasparenza, con evidente vantaggio per il consumatore finale. Alcuni autori (Pini, 1988) sottolineano peraltro come lo sviluppo di un’autonoma capacità di progettazione dei prodotti da parte della grande distribuzione implichi il rischio di un impoverimento progettuale delle piccole e medie imprese industriali – o almeno di una parte di esse, tra cui quelle operanti nei distretti – che verrebbero declassate al ruolo di semplici subfornitori di beni intermedi. L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE E L’INDEBOLIMENTO DEL PESO RELATIVO DELL’ITALIA ENTRA IN CRISI LA TRADIZIONALE FUNZIONE SOCIALE DEL PICCOLO COMMERCIO SUL TERRITORIO Come si è già osservato in precedenza, l’Italia rappresenta un’area di espansione molto appetibile per le grandi catene distributive estere che operano su scala internazionale, concentrando quote crescente del mercato (alimentare e non). Il confronto competitivo con queste multinazionali della distribuzione – che da tempo sono attive anche nel mercato italiano – costituisce una minaccia alla crescita delle imprese commerciali nazionali. Il pericolo maggiore proviene dalle imprese straniere la cui penetrazione commerciale nel nostro paese – sino ad oggi più intensa nelle regioni del Nord – avviene non tanto attraverso l’apertura di nuovi punti di vendita, quanto mediante l’acquisizione di aziende già operanti nel contesto nazionale e in particolare di quelle che detengono una posizione di leadership nei mercati regionali o locali. Vi è quindi un rischio di indebolimento dell’identità commerciale del nostro paese e delle nostre regioni. A seguito della localizzazione suburbana delle grandi strutture di vendita (centri commerciali, ipermercati e superfici specializzate), i flussi di acquisto tendono a orientarsi sempre più verso le aree commerciali periferiche a scapito di quelle intermedie e centrali, che vanno così incontro a rischi di impoverimento. In questo quadro viene parzialmente meno la funzione sociale svolta dagli esercizi di piccole dimensioni, che attraverso il valore del servizio di prossimità rivolto agli abitanti contribuiscono a conservare la vitalità dei luoghi (dai centri storici alle periferie), nonché a fornire sostegno economico alle zone meno urbanizzate. Con un peso fortemente ridotto dallo sviluppo della grande distribuzione – che costituisce ormai un fenomeno irreversibile –, il piccolo commercio può diventare competitivo valorizzando al massimo le componenti non di prezzo dei servizi di vendita (prossimità, assistenza, assortimento, ecc.) o instaurando rapporti di cooperazione con le grandi imprese commerciali fondati su criteri di autonomia e flessibilità operativa. La riconversione e l’investimento in reti di franchising dei piccoli e medi distributori specializzati può inoltre co- 185 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE stituire un’altra modalità di risposta alla crisi del dettaglio tradizionale o di minori dimensioni. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: I RISCHI E LE OPPORTUNITÀ PER L’ECONOMIA SETTENTRIONALE L’AFFERMARSI DI UNA “QUESTIONE COMMERCIALE” UNA “VIA ITALIANA” ALLA RIVOLUZIONE COMMERCIALE? Rilevanti processi di concentrazione, intensificazione della concorrenza, crescente internazionalizzazione: sono queste le tendenze di fondo che definiscono, nelle regioni del Nord, lo scenario competitivo con cui oggi devono misurarsi non solo le imprese del commercio, ma anche quelle dell’industria e, oltre queste, la rete dei servizi, le istituzioni, i cittadini, ossia una pluralità vasta di attori e interessi. È così che nel Nord prende forma una vera e propria “questione commerciale”, intesa non tanto come il permanere di ritardi (che pure, nei confronti dell’Europa, in qualche misura sussistono), quanto come ricerca di equilibri più avanzati e rivolti alla modernizzazione complessiva del sistema economico e territoriale. In altre parole, il commercio conquista una posizione centrale, si spoglia definitivamente della sua atavica subalternità all’industria, non è più la zona borderline dell’economia, rifugio più o meno protetto di famiglie in cerca di un qualche reddito, ma si fa luogo esposto ai meccanismi della concorrenza e dell’innovazione, diventa agente delle nuove morfologie urbane e della qualità della vita di quella “città diffusa” che è ormai il territorio del Nord. Lo sviluppo del commercio moderno appare come un dato sostanzialmente “unificante” le otto regioni settentrionali, potendosi al più segnalare qualche differenza in termini di ritmo: più lento nel Piemonte e nella Liguria, più accelerato in Lombardia e nel Veneto, con una direttrice est o di “bassa padania” comunque maggiormente dinamica e la capitale a Milano. Ma il modello “fordista” della grande distribuzione è uguale dappertutto: e il fatto che abbia avuto maggiore successo proprio nelle regioni meno fordiste sta a significare il carattere altrettanto poco fordista assunto dalla “via italiana” alla rivoluzione commerciale, dove anche gli ipermercati sono piccoli. E se fosse proprio questo – nelle nuovi condizioni poste dall’ulteriore dispersione delle unità produttive e dallo sviluppo dell’impresa a rete – il modello distributivo da valorizzare, in quanto basato su una sorta di “concentrazione temperata”? Anche nel commercio, “moderno” non è più necessariamente sinonimo di “grande”. Più che alle economie di scala delle superfici di vendita occorre quindi guardare alle economie di scala delle funzioni centrali (acquisti, marketing, finanza). È soltanto concentrando tali funzioni, attraverso l’associazionismo o il franchising, che si creano gruppi e reti di distribuzione capaci non solo di rafforzare il ruolo della piccola impresa commerciale, ma anche di competere nei mercati internazionali. In questo modo la grande scala delle decisioni strategiche si rende compatibile con la piccola scala della gestione autonoma e flessibile dei punti di vendita diffusi nel territorio. La creazione di gruppi “autoctoni” sempre più forti, capaci di interagire e stringere accordi con altri gruppi esteri, sembra in qualche modo costituire la strada obbligata per il recupero di quel deficit di internazionalizzazione attiva (o in uscita) che caratterizza ampiamente la distribuzione italiana. Altrimenti il destino del Nord, e con esso dell’Italia, appare in qualche modo segnato: 186 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE essere “terra di conquista” delle grandi insegne straniere, ossia degli “IDE commerciali” in entrata (si veda la scheda sugli IDE). La penetrazione nei mercati esteri costituisce la sfida più impegnativa per il futuro del commercio italiano. Sfida che implica anche la ricerca e lo sviluppo di nuove e originali formule distributive, caratterizzate cioè da una propria identità commerciale e in grado di promuovere nel mondo i caratteri peculiari delle produzioni italiane, ossia del paese delle “cento città”. VERSO UNA NUOVA PARTNERSHIP TRA RETI DI DISTRIBUZIONE E PMI INDUSTRIALI Vi può essere quindi un contributo specifico delle imprese commerciali moderne nel rendere virtuoso il nesso tra locale e globale. Ciò richiede peraltro che le imprese della distribuzione moderna e le piccole e medie imprese industriali si pensino e agiscano come partner all’interno di relazioni non di tipo conflittuale o a egemonia variabile, ma fondate sulla logica e i meccanismi della cooperazione competitiva. Anche perché si sono notevolmente accorciate, se non annullate, le distanze tra produzione e distribuzione e siamo ormai in presenza di un unico “sistema distributivo-produttivo” integrato, percorso da filiere e reti ora più lunghe ora corte. Date le sue caratteristiche di flessibilità, di radicamento territoriale e di innovazione, la piccola impresa produttiva può in effetti costituire il partner ideale di una distribuzione moderna sempre più interessata a differenziare e ampliare la gamma dei prodotti offerti al consumatore e a rispondere tempestivamente alle variazioni del mercato. In sostanza, grande distribuzione organizzata e piccole e medie imprese industriali si trovano oggi a dover affrontare assieme un’unica sfida, che è quella dell’internazionalizzazione. Soltanto vincendo questa sfida competitiva – amplificata dall’arrivo dell’Euro e dallo sviluppo del “commercio elettronico” che costituiscono ulteriori stimoli al cambiamento – il sistema distributivo del Nord potrà definitivamente europeizzarsi e svolgere una funzione di traino per la modernizzazione commerciale di tutto il paese. 187 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE Tab. 1 – Punti di vendita alimentare in sede fissa per area geografica (variazioni % nei periodi 1981-1994 e 1996-1997) 1981 -1994 1996-1997 Variaz. Totale periodo Variaz. Media annua Nord Ovest -30,1 -2,3 -11,9 Nord Est -32,6 -2,5 -13,5 Italia -27,1 -2,1 -10,3 Fonte: Elaborazioni Cescom su dati Istat (1991-1994) e Infocamere (1996-1997) Tab. 2 – Densità del commercio alimentare al dettaglio in sede fissa per regione dell’Italia settentrionale (numero di punti vendita per 10.000 abitanti) 1981 1991 1997 Piemonte 58 46 Valle d’Aosta 82 63 Liguria 82 65 Lombardia 51 39 Trentino Alto Adige 56 43 Veneto 55 40 Friuli Venezia Giulia 59 48 Emilia Romagna 62 45 Nord Ovest 57 44 Nord Est 58 43 Italia 62 48 Fonte: Elaborazione Cescom su dati Istat (1981 e 1991) e Infocamere (1997) 30 47 48 26 31 28 31 29 30 29 38 Tab. 3 – Nuovi supermercati e ipermercati (1984, 1994 e 1996) per regione dell’Italia settentrionale (valori assoluti) Supermercati Ipermercati 1984 1994 1996 1984 1994 1996 Piemonte 178 362 341 5 25 30 Valle d’Aosta 7 9 8 1 1 1 Liguria 58 150 156 0 1 6 Lombardia 363 796 806 14 62 73 Trentino Alto Adige 104 174 159 0 1 1 Veneto 215 627 609 2 22 31 Friuli Venezia Giulia 94 206 215 1 4 4 Emilia Romagna 146 395 382 0 17 21 Nord Ovest 606 1.317 1.311 20 89 110 Nord Est 559 1.402 1.365 3 44 57 Italia 1,959 5.600 5.677 30 182 240 Fonte: Cescom Tab. 4 – Hard discount per regione dell’Italia settentrionale (valori assoluti) Variazioni assolute 1993 1994 1995 1996 93-94 95-96 Piemonte 12 101 186 185 89 -1 Valle D’Aosta 4 4 Liguria 1 35 90 92 33 2 Lombardia 26 201 407 421 175 14 Trentino Alto Adige 1 15 24 26 14 2 Veneto 36 159 231 218 123 - 13 Friuli Venezia Giulia 1 36 58 63 35 5 Emilia Romagna 14 131 231 227 117 -4 Nord Ovest 40 337 687 702 297 15 Nord Est 52 341 544 534 289 - 10 Italia 99 1.033 2.210 2.359 934 149 Fonte: Elaborazione Cescom 188 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE Tab. 5 – Dotazione rete alimentare moderna per regione dell’Italia settentrionale al 1996 (mq per 1.000 abitanti) Supermercati Ipermerc. Hard discount Totale Piemonte 64 Valle d’Aosta 46 Liguria 65 Lombardia 73 Trentino Alto Adige 122 Veneto 110 Friuli Venezia Giulia 132 Emilia Romagna 73 Nord Ovest 70 Nord Est 100 Italia 76 Fonte: Ns. Elaborazioni su dati Cescom 35 67 14 49 5 39 16 33 41 31 23 19 14 20 22 11 17 11 25 21 22 18 118 127 99 144 138 166 159 131 132 153 117 Tab. 6 – Punti di vendita non alimentari in sede fissa per area geografica (variazioni % consistenza 1981-1994 e 1996-1997) 1981 -1994 Variaz. tot. periodo Variaz. media annua 1996-1997 Nord Ovest 4,5 0,3 -2,6 Nord Est 5,5 0,4 -2,4 Italia 7,3 0,6 -1,6 Fonte: Elaborazioni Cescom su dati Istat (1991-1994) e Infocamere (1996-1997) Tab. 7 – Densità del commercio non alimentare in sede fissa per regione dell’Italia settentrionale (numero di punti vendita per 10.000 abitanti) 1981 1991 1997 Piemonte 70 77 71 Valle d’Aosta 100 103 93 Liguria 85 96 84 Lombardia 70 76 65 Trentino Alto Adige 68 77 83 Veneto 73 81 73 Friuli Venezia Giulia 80 84 79 Emilia Romagna 84 93 81 Nord Ovest 72 79 69 Nord Est 78 86 78 Italia 75 83 76 Fonte: Elaborazioni Cescom su dati Istat (1981 e 1991) e Infocamere (1997) Tab. 8 – Grandi magazzini e magazzini popolari per regione dell’Italia settentrionale Valori assoluti Variazione assoluta 1991 1996 1991-1996 Piemonte 66 62 -4 Valle d’Aosta 1 1 Liguria 34 31 -3 Lombardia 126 156 30 Trentino Alto Adige 17 17 Veneto 59 55 -4 Friuli Venezia Giulia 40 25 -15 Emilia Romagna 49 52 3 Nord Ovest 229 250 21 Nord Est 165 149 -16 Italia 849 902 53 Fonte: Cescom, 1998 189 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE Tab. 9 – Centri commerciali per regione dell’Italia settentrionale Valori assoluti 1991 1996 Piemonte 27 45 Valle d’Aosta 0 1 Liguria 2 7 Lombardia 59 102 Trentino Alto Adige 4 5 Veneto 28 59 Friuli Venezia Giulia 2 6 Emilia Romagna 47 69 Nord Ovest 89 155 Nord Est 81 139 Italia 249 435 Fonte: Cescom, 1998 Variazione assoluta 1991-1996 18 1 5 43 1 31 4 22 66 58 186 BIBLIOGRAFIA Caiati G, (1997), “Le politiche e le strategie mercantili della moderna distribuzione alimentare”, in D. Casati (a cura di), Evoluzione e adattamenti nel sistema agroalimentare, Milano, Franco Angeli. Cescom, (1998),VII Rapporto Cescom, L’Italia del commercio: i sistemi distributivi regionali al 1997, Milano, Università Bocconi. Pellegrini L. (a cura di), (1996), La distribuzione commerciale in Italia, Bologna, Il Mulino. Pini G., (1998), “Verso la liberalizzazione del settore distributivo”, in Commercio, Rivista di Economia e Politica Commerciale, 62, pp. 123-142. Raimondi V., “Gli adattamenti nel settore della distribuzione alimentare”, in D. Casati (a cura di), Op. cit., pp. 459-508. Terracina S. (a cura di), Pianeta Franchising. Rapporto 1996, in Largo Consumo, suppl. al n. 2/1996. Zanderighi L., (1998), “Il sistema distributivo al dettaglio”, in G. Bertinetti, A. Farinet, A. Nova, L. Zanderighi, Sistema Italia. Sviluppo o declino?, Milano, Etas Libri, pp. 99-135. 190