geografia e livelli di analisi: il caso della provincia di varese

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geografia e livelli di analisi: il caso della provincia di varese
economia
e territorio
L
GEOGRAFIA E LIVELLI
DI ANALISI: IL CASO
DELLA PROVINCIA
DI VARESE *
a Regio Insubrica rappresenta un ottimo
caso di studio per poter parlare dell'analisi geopolitica e dei suoi livelli di analisi.
In particolare si cercheraÁ qui di mostrare come:
a. i diversi livelli istituzionali abbiano una diversa rappresentazione del territorio su cui intervengono e spesso queste `rappresentazioni'
siano in conflitto tra loro;
b. la geografia abbia un ruolo fondamentale
nella decisione dell'attore pubblico.
Nella geografia, e in particolare nella geopolitica, l'uso di diversi livelli di analisi incrociati eÁ
una consuetudine per identificare le cause di
diversi fenomeni. Vediamo percheÂ.
Viene considerata come geopolitica, secondo
la definizione data da Yves Lacoste, quella situazione in cui due o piuÁ attori politici si contendono un determinato territorio. EÁ peroÁ fondamentale che in questo `contendere' siano altresõÁ coinvolte sia le popolazioni rappresentate
dagli attori politici che quelle del territorio conteso. Diventa evidente la grande attualitaÁ, quindi, del conflitto geopolitico. Troppo spesso
peroÁ si attribuisce a questo genere di situazione
solo il contesto internazionale; vedremo invece
come queste riguardino anche contesti interni
ai vari stati.
Nella fattispecie della Regio Insubrica, il caso
che prenderemo ad esempio eÁ quello della provincia di Varese e piuÁ esattamente vedremo
come questa provincia sia molto meno omogenea di quello che sembra mostrare. Si tenga
presente che questa analisi nasce da uno studio
effettuato dal Centro di ricerca per lo sviluppo
del territorio (Cerst) dell'UniversitaÁ Cattaneo di
Castellanza per conto della Camera di Commercio di Varese, della Provincia di Varese e del
Comune di Luino.
La provincia di Varese come `laboratorio'
d'analisi per uno studio del Centro
di ricerca per lo sviluppo del territorio
dell'UniversitaÁ Cattaneo da cui
emergono la varietaÁ del tessuto
economico e le diverse dinamiche
dello sviluppo e della crisi degli ultimi
decenni nelle varie zone. Un'analisi
che propone nuovi possibili percorsi
della ripresa turistica e industriale
nei territori settentrionali e,
nel contempo, nuove prospettive
per la geografia come materia didattica.
Giuseppe Bettoni **
IL CASO DI VARESE
Varese eÁ sicuramente una delle province piuÁ
ricche e piuÁ industrializzate dell'intero Paese,
essa infatti concentra un numero di imprese
tale da porla fra i territori fondamentali per
l'intera regione Lombardia. Ma vi sono diverse
LOMBARDIA NORD-OVEST
* Relazione presentata al 43ë Convegno nazionale dell'Aiig, Varese,
28-31 agosto 2000.
** Centro di ricerca per lo sviluppo del territorio (Cerst-Liuc)
e Centre de Recherche et Analyse GeÂopolitique (Crag-Universite Paris VIII).
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che, anche nel lungo periodo, l'agricoltura
non possa riassorbire un tasso di disoccupazione che, come vedremo piuÁ avanti, eÁ il piuÁ alto
dell'intera provincia.
Il settore agricolo resta fondamentale per il
suo apporto all'identitaÁ di questa zona: basti
pensare alla fama dei formaggi caprini della
valle Veddasca, che continuano a riscuotere
successo e a essere sempre piuÁ richiesti. Ma
non bisogna dimenticare l'aspetto forestale dell'area, che da sola vede l'intreccio di ben tre
ComunitaÁ montane. Pianificare qualsiasi attivitaÁ
o intervento in questa parte della provincia risulta impossibile senza tener presente l'aspetto
orografico, senza ricordare che l'agricoltura e la
natura forestale potrebbero essere potenziali
importanti nel caso in cui si decidesse di puntare sul turismo come risorsa di traino. IdentitaÁ
forte con un'immagine facilmente comunicabile
e sfruttamento dell'ambiente insieme a una
concertazione delle strutture ricettive: sono le
caratteristiche di base per una ottimizzazione
della risorsa turistica. Un esempio viene chiaramente dalla sponda occidentale del lago Maggiore, dove si concentra la maggior parte del
turismo. Indubbiamente il fatto di poter raggiungere Arona, Stresa e Verbania grazie a
un'ottima strada aiuta lo sviluppo turistico,
ma eÁ interessante notare come anche la parte
nord che sale fino a Cannobio e l'interno della
valle Cannobina siano ricchi in presenze turistiche, piuÁ di quanto non lo siano Luino e Maccagno, nonostante la situazione viaria sia la stessa.
Quello del turismo eÁ un problema estremamente complesso per l'area luinese. Pur disponendo della maggior parte dei posti letto dell'intera provincia, in realtaÁ essi sono assolutamente insufficienti rispetto alle necessitaÁ e alle
ambizioni. La valorizzazione del lungolago non
eÁ che il primo passo verso una diversa concezione turistica dell'intera zona. Uno degli errori
storici fatti nel considerare questo territorio dal
punto di vista turistico eÁ senza dubbio quello di
immaginare solo il lungolago, come se la parte
interna che va verso il lago di Lugano non esistesse. Il patto territoriale pensato dalla Provin-
ambiguitaÁ nell'analisi di questo territorio.
Quando si parla di questa provincia lo si fa
sempre come se si trattasse di un tutto omogeneo, senza alcuna differenza interna. Al contrario, se si guarda alla parte montana, quella
chiamata `Luinese', la situazione cambia radicalmente. Infatti si tratta di un'area che ha un
percorso profondamente diverso rispetto alle
altre aree che compongono questa parte della
Lombardia.
Quella luinese eÁ un'area con un'antica tradizione legata al settore tessile e al meccanico da
esso derivato. Le prime aziende risalgono addirittura a prima dell'UnitaÁ italiana, ma tutte, fatta qualche rarissima eccezione, sono ormai
chiuse. Questa zona presenta oggi una paesaggio produttivo talmente desolante da non poter
essere neanche considerata come in declino industriale, proprio perche il declino eÁ avvenuto
almeno quindici anni fa. Sono argomenti noti a
tutti, possiamo dire di non scoprire nulla di
nuovo in questo senso. Molte analisi e studi
fatti in passato citavano questa situazione, ma
ne prendevano semplicemente atto. PeroÁ tutti
continuavano a dare una rappresentazione di
questa provincia come di un territorio omogeneo, caratterizzato da una forte industrializzazione e da ricchezza abbastanza diffusa.
L'obiettivo della ricerca condotta per gli enti
indicati sopra ha mirato a provare l'esatto contrario e a proporre un supporto alla decisone
pubblica per un intervento mirato. EÁ bene ricordare che la provincia di Varese ha, insieme a
tutte le province della Lombardia, come primo
partner per le esportazioni la Ue, ma come secondo (e in questo eÁ l'unica provincia lombarda) la Svizzera.
L'area del Luinese ha un tessuto produttivo
che potremmo definire ridotto all'osso. Per
quanto riguarda l'agricoltura, l'allevamento e
la silvicoltura, che da sempre sono presenti su
questo territorio, in realtaÁ, sia per personale
occupato che per fatturato, non rappresentano
un elemento di traino per lo sviluppo e il rilancio dell'economia dell'area. Sicuramente nel
breve periodo, ma eÁ ragionevole supporre
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`morte' aziendale che ha ormai varcato i livelli
di guardia. Queste aziende hanno un fatturato
che supera, nell'insieme, i duecento miliardi.
Secondo l'analisi e le dichiarazioni fatte dagli
stessi imprenditori, il 10% o piuÁ di tale fatturato sarebbe messo a disposizione di queste
nuove piccole aziende che dovrebbero nascere
e crescere a stretto contatto con il tessuto imprenditoriale esistente: significherebbe immettere nell'immediato ordinativi per almeno dieci,
quindici miliardi di lire. In un'area di poco piuÁ
di cinquantamila abitanti potrebbe significare
un input positivo per rilanciare diversi settori
e per impedire la morte o la delocalizzazione di
altre imprese.
In quest'area eÁ ormai di primaria importanza
intervenire per fermare un calo di unitaÁ locali
che si rivela estremamente dannoso. L'obiettivo
non eÁ quello di creare un'eventuale nuova zona
di sviluppo industriale, progetto che sarebbe di
lungo periodo, ma piuttosto, nell'immediato, di
evitare di perdere il nocciolo duro del tessuto
produttivo privato e cercare di inserire intorno
a queste unitaÁ, nuove possibilitaÁ di crescita. CioÁ
eÁ necessario per non dover poi intervenire su
un territorio totalmente privo di cicli economici
che possano produrre ricchezza sulla stessa
area. Una volta raggiunto quest'obiettivo si possono quindi mettere in atto quelle soluzioni di
lungo periodo che permetterebbero un vero
riassestamento dell'intera area.
Una delle critiche fatte a questa proposta
d'intervento eÁ quella della `dipendenza' dal
Canton Ticino. Qualcuno ha parlato addirittura
di uno storico `parassitismo' (sic!) del Luinese
verso il Ticino, facendo allusione al fenomeno
del frontalierato. Questo rapporto di vicinanza
eÁ sicuramente molto complesso e antico, ma ha
assunto un ruolo alquanto ambiguo. Tutti gli
operai specializzati trovavano facile sistemazione nelle vicine aziende ticinesi, del medesimo
settore, per la maggior parte. Per anni questo
ha comportato da una parte introiti enormi per
cittadini che avevano un costo della vita basso
rispetto a un salario svizzero, per altri versi ha
reso la vita molto difficile a tutti gli imprendi-
cia, infatti, partendo da Malpensa si allunga,
come una piccola appendice, sino ai comuni
che salgono da Laveno Mombello, lungo la costa. La rappresentazione da assumere eÁ invece
quella di un'area articolata, che si sviluppa dal
lago verso il suo interno fino a Lavena Ponte
Tresa e lungo tutta la sponda italiana del lago di
Lugano.
Per quanto riguarda il tessuto industriale, si eÁ
giaÁ accennato alla sua storia, la sua origine e la
profondissima crisi che lo ha ridotto a ben poca
cosa. Un attento lavoro di analisi fatto direttamente sul territorio, incontrando tutti gli attori
economici, le varie parti sociali, unito a un esame dei dati di diversa origine, ha condotto a
un'ottima definizione del quadro dell'area.
Questo eÁ un elemento centrale della metodologia: raccolta d'informazioni sul terreno, sia con
questionari che con analisi aziendali mirate, insieme a un'analisi che possiamo definire di laboratorio, attraverso diverse fonti statistiche.
Da tale esame traspare nettamente come esista un nucleo di medie imprese, con ottima
strutturazione, buon fatturato, soprattutto in
ascesa, che incontrano un limite alla loro crescita non nella competitivitaÁ, ma nell'impossibilitaÁ di rispondere alle domande dei loro clienti.
Si tratta di quelle aziende che, trovando origine
nella produzione meccanica legata alle industrie
tessili, hanno saputo lentamente evolvere e diventare autonome rispetto a questo settore e
sono ormai aziende competitive in tutto il mondo nel comparto meccanico ad alta innovazione
tecnologica. Queste aziende, come si eÁ sottolineato sopra, non vivono nessuna crisi e trovano
limiti solo in quella che eÁ la mancanza di eventuali sub-fornitori. Si tratta di individuare personale specializzato che, sempre nel settore
meccanico, possa produrre parti meccaniche,
con strutture aziendali snelle, non verticalizzate, flessibili nella produzione, con una dimensione che non superi i dieci dipendenti.
Stimolare la nascita di piccole imprese per
rispondere alle esigenze di imprese giaÁ esistenti
eÁ sicuramente la soluzione da attuare nel breve
periodo mirando ad arrestare un processo di
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1. Evoluzione delle unitaÁ locali (1981-1994)
Le cartine 1 e 2 mostrano con estrema chiarezza come le unitaÁ
locali delle imprese abbiano subito dinamiche profondamente
differenti nel territorio provinciale. Si eÁ avuta una stagnazione
delle imprese nel sud, a significare che l'intervento dei fondi
strutturali ha contribuito in questa zona a sostenere la crisi
industriale. I licenziamenti tra gli anni Ottanta e Novanta erano
dovuti a ristrutturazioni, ma il tessuto produttivo continuava
a vivere. Nel nord i licenziamenti avvenivano in una fase
di `morte' delle unitaÁ. Le aziende esistenti scomparivano
e il tessuto produttivo non si rinnovava: spariva!
Si noti invece la dorsale, cui si fa riferimento nell'articolo,
che mostra chiari segni di dinamica positiva proprio
nella fase piuÁ difficile per le altre aree.
tori della zona i quali, una volta formati i loro
operai, li vedevano partire verso la Svizzera per
fare lo stesso lavoro, ma ovviamente a un salario
piuÁ che raddoppiato. Tale politica eÁ continuata
per decenni, fino a quando il Ticino non ha
conosciuto una profonda crisi che lo ha condotto al 6% di disoccupazione, il piuÁ alto di tutta la
Confederazione. A questo punto si eÁ riscontrato
un fenomeno prevedibilissimo: il ritorno a casa
dei frontalieri che si sono ritrovati sul mercato,
ma quando ormai la larghissima maggioranza
delle imprese luinesi aveva chiuso battenti.
Oggi molti credono o sperano in una ripresa
dell'economia svizzera per rilanciare questo fenomeno e decongestionare il mercato del lavoro dell'alto Varesotto. Una simile politica attendista potrebbe rivelarsi estremamente dannosa
per diversi motivi. Prima di tutto perche la crisi
ticinese eÁ lontana dal sembrare risolta; il secondo motivo deriva dal fatto di legare le sorti di
un pezzo di territorio italiano alla volontaÁ/necessitaÁ di un paese straniero e che non eÁ neanche membro Ue, a un paese, cioeÁ, che non
coordina in alcunche la sua politica con il nostro. Cerchiamo di ricapitolare l'accaduto per
tornare quindi ai rapporti con la Svizzera.
Le unitaÁ locali varesine conoscono tre dinamiche diverse:
a. nella zona meridionale (area 3 della cartina 2)
il processo di industrializzazione avvenuto negli
anni Cinquanta, prevalentemente, cade in crisi
nella seconda metaÁ degli anni Ottanta-inizi anni
Novanta: eÁ la famosa ristrutturazione che coinvolge grandi imprese, legate a strutture aziendali
tradizionali;
b. vi eÁ poi una dorsale (area 2 della cartina 2)
che corre da Ispra ad Arolo, sul lago, si infila tra
il lago di Varese da una parte e i laghi di Monate
e Comabbio dall'altra, attraversando Inarzo,
Galliate, Azzate e finisce nella zona di Vedano
e Castiglione Olona. Questa zona, a differenza
di quella a sud, eÁ di piuÁ recente industrializzazione, oppure possiamo dire che si eÁ trasformata
e dedicata a una produzione che sappiamo essere quella di antifurti, bilance, affettatrici, strumenti legati piuÁ alla precisione, con una dimen-
sione aziendale che potremmo definire media e
una configurazione a raggruppamenti di imprese polarizzate intorno a poche aziende piuÁ grandi. Quest'area non vive la crisi del nord della
provincia e neanche la ristrutturazione del sud,
essendo giaÁ nata con una struttura piuÁ moderna;
c. vi eÁ poi la parte luinese (area 1 della cartina 2),
che raggruppa le tre comunitaÁ montane e che, a
differenza della prima area, ha conosciuto nel
medesimo periodo una crisi aziendale ben piuÁ
profonda. Se guardiamo, nel periodo 19811994, l'andamento degli addetti, si noteraÁ che
il fenomeno dei licenziamenti colpisce entrambe le aree. In realtaÁ i licenziamenti al sud erano
dovuti per lo piuÁ a ristrutturazioni, ma non a
chiusura delle unitaÁ locali, quindi il tessuto produttivo, anche se in riassestamento, eÁ presente,
e anzi, con la creazione dell'area del Passo del
Sempione, eÁ intervenuto un sostegno per far
fronte a una crisi che altrimenti si sarebbe rivelata disastrosa. Nel nord invece i licenziamenti
non erano dovuti a ristrutturazioni, ma a vere e
proprie chiusure aziendali. La morte delle unitaÁ
locali lasciava il vuoto nel tessuto produttivo
dell'intera area, rendendo estremamente piuÁ
difficile ogni tipo di intervento successivo. Se
a questa condizione di crisi aggiungiamo il rientro dei frontalieri potremo vedere come due
fenomeni, operanti su scale temporali diverse,
vengono a sommarsi provocando una situazione molto difficile da gestire.
Vi eÁ peroÁ dell'altro rispetto alla gestione del
rapporto con il confine svizzero. Altri paesi europei, come si sa, confinano con gli elvetici, tra
questi la Francia. Nel dipartimento di frontiera
che fa capo a Doubs, il fenomeno eÁ estremamente diffuso. Se la vicina zona di Losanna dovesse
andare in crisi, il dipartimento francese subirebbe certamente un grave colpo, ma non ne sarebbe completamente alla merceÂ, dato che i vari
livelli istituzionali transalpini si sono preoccupati di non far dipendere integralmente l'economia di quest'area dalle mani svizzere. Tra l'altro
la Svizzera ha subito risposto alla propria crisi
economica mettendo in atto un programma che
mira ad attirare vari imprenditori nel Ticino. EÁ
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2. Le tre aree varesine
La zona 1 corrisponde all'area montana di antica
industrializzazione, che dalla fine degli anni Settanta ha subito
un degrado strutturale a causa anche della concorrenza delle
imprese svizzere che pagavano meglio gli operai specializzati.
La zona 2 eÁ la nuova dorsale varesina, nata all'inizio degli anni
Novanta: si tratta di imprese che non hanno subito
ristrutturazioni, polarizzate intorno a qualche grande azienda
e operanti in particolare nei settori degli strumenti di precisione
e della plastica. EÁ una zona fortemente dinamica e basata
su un tessuto profondamente diverso da quello della parte
sud della provincia.
La zona 3 eÁ quella piuÁ tradizionale e rappresenta la tipica
produttivitaÁ varesina: aziende che si sono dovute
profondamente ristrutturare negli anni Novanta, grazie
anche al benefico aiuto dei fondi strutturali, i cui esiti positivi
sono nettamente visibili. Bisogna accomunarvi la zona
della cittaÁ di Varese per la tipica polarizzazione dei servizi,
in particolar modo legati alla pubblica amministrazione
e all'educazione, piuÁ che ai servizi e alle imprese veri propri.
bene porre in risalto come la Confederazione
elvetica di certo non rappresenti un'area attrattiva per le delocalizzazioni, ma il programma
Copernico, avviato dal Dipartimento ticinese
delle finanze e dell'economia, ha saputo apportare i suoi effetti positivi. Dei contratti che sino
alla fine del 1998 era riuscito a concretizzare,
cioeÁ quindici, ben dieci riguardano imprese italiane e non solo quelle collegate alla finanza e ai
servizi, ma anche di produzione. Il Ticino non
demorde, passa anzi all'attacco con piani precisi
e cosõÁ, dopo aver organizzato incontri a Bellinzona, che interessassero l'area di questa cittaÁ,
piuÁ Locarno e Lugano, si eÁ proposto direttamente in Italia recandosi a Milano e Padova.
Delocalizzare in Svizzera, in una zona che
non eÁ certo di piuÁ facile viabilitaÁ rispetto al
resto della provincia di Varese, eÁ estremamente
pericoloso. Come si potraÁ notare, l'autostrada
che collega il nord della Lombardia al Ticino
passa per Como, arriva a Lugano e a quel punto
si divide andando a est verso Bellinzona grazie
all'autostrada 2 e alla nazionale 2 e a ovest verso
Locarno, con ben due strade: una a nord e una
a sud del fiume Ticino. Risultato finale, e assolutamente paradossale: la zona piuÁ prossima al
Canton Ticino ne risulterebbe praticamente
baipassata a vantaggio di aree che invece sono
piuÁ lontane. Al contrario, bisognerebbe cercare
di riprendere in mano le redini di quest'area e
invitare a delocalizzare altri o offrire la possibilitaÁ di avvicinarsi al Canton Ticino con costi
sicuramente piuÁ bassi.
Realizzata cosõÁ l'analisi, rispetto alla rappresentazione del territorio offerta, ci si puoÁ accingere al reperimento degli strumenti d'azione,
un aspetto che peroÁ evitiamo di affrontare in
questa sede. CioÁ che qui ci interessa eÁ prima
di tutto mettere in rilievo una scala di analisi
che mostri un'elevata disomogeneitaÁ del territorio varesino. Questo elemento diventa fondamentale da un punto di vista squisitamente strategico per gli enti preposti alla programmazione, sia per lo Stato centrale che per la Regione e
la Provincia, senza tralasciare le potenzialitaÁ di
programmazione che oggi hanno le unioni di
comuni. Nel caso appena descritto eÁ bene sottolineare che diversi attori politici, come Regione, Provincia, ma anche associazioni di categoria come Univa o Artigiani, hanno la propria
visione del territorio, ciascuno con una particolare prospettiva delle linee di sviluppo future.
Ognuno di questi attori, come accade ogni volta nei casi geopolitici, si batte per il predominio
della propria `visione' territoriale.
La configurazione di una frattura nord-sud
(la famosa contrapposizione `Parco imprese' e
`Parco giochi', dove il primo sarebbe il sud e il
secondo il nord) eÁ una visione scomoda per tutti
i livelli di scala provinciale, che tendono invece
a caratterizzare l'intera provincia con la rappresentazione della parte piuÁ ricca, quella a sud. La
provincia di Varese eÁ la piuÁ ricca e la piuÁ industrializzata, ecc., ma in questa visione si tralascia
che eÁ invece il sud della provincia la parte piuÁ
ricca e piuÁ industrializzata. Senza parlare poi
della fascia centrale, che si caratterizza con un
tipo di industrializzazione diversa da quella abituale e che quindi meriterebbe tipi di intervento
diversi, mirati per le sue caratteristiche.
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GEOGRAFIA E POTERE
Arriviamo ora all'altro elemento che quest'articolo si prefissava di trattare e cioeÁ il ruolo della
geografia e le sue attuali potenzialitaÁ d'uso, in
particolare come elemento di supporto alla decisione dell'attore pubblico. Va brevemente ricordato come questa disciplina conosca oggi un
momento estremamente difficile in Italia, difficoltaÁ concretizzata dal pericolo di una sua vera
e propria scomparsa dal panorama didattico
italiano nelle scuole medie superiori.
Questo rischio eÁ legato alla sottovalutazione
della geografia come elemento formativo. Fino a
oggi le si eÁ attribuito un ruolo prettamente `informativo', limitandosi a insegnare dove si troverebbero certi luoghi, o che la capitale della
Turchia eÁ Ankara e non Istanbul. In tal caso
essa diventerebbe una sterile fonte di informazione che `bisogna' sapere; eÁ facile capire come
uno studio cosõÁ strutturato, dalle apparenze sterili e mnemonico, diventa difficile da trasforma38
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3. Il contesto luinese
Questa cartina eÁ stata usata per sostenere l'integrazione
dell'area luinese come Obiettivo 2 per Agenda 2000 all'interno
del Docup della Regione Lombardia. L'obiettivo era
di mostrare come quest'area, oltre ad avere i dati richiesti
dalla Ue per l'ottenimento dei fondi, vivesse anche un contesto
particolarmente grave. Va registrata una forte concorrenza
da parte Svizzera, che, offrendo agli operai un miglior
salario, li spinge ad abbandonare le imprese italiane dove
si sono formati. Altra concorrenza viene dalla riva occidentale
del lago, piuÁ facilmente raggiungibile e meglio preparata
all'accoglienza turistica, e riguarda proprio un settore che
dovrebbe essere, nel lungo periodo, quello principale per l'area
luinese: il turismo. L'ultima contrapposizione eÁ quella
meridionale: l'area sud, rispetto al nord, eÁ meglio collegata
e non subisce la concorrenza svizzera sul costo del lavoro
specializzato. Ecco quindi spiegata questa rappresentazione
di accerchiamento del contesto luinese di crisi economica.
re in qualcosa di seducente per gli allievi. Insieme a questo aspetto, che potremmo definire
come principale, vi eÁ probabilmente un concorso di colpa da parte della categoria stessa dei
geografi italiani, da troppi anni, ormai, impegnati nella elaborazione di modellizzazioni sempre piuÁ astratte, in cui spesso il territorio altro
non eÁ che una variabile tra tante, se non addirittura la delimitazione di un'area da studiare e
descrivere. Questi due fattori, uniti a una macroscopica trascuratezza da parte di chi invece eÁ
responsabile della programmazione nazionale
della didattica, hanno provocato la situazione
a tutti ormai nota, facendo dimenticare cioÁ che
la geografia in realtaÁ eÁ.
Ci sono molti modi per dire cioÁ che questa
antichissima disciplina rappresenta; uno tra
tanti ± forse il piuÁ appassionante ± eÁ quello
formulato dal famoso geografo francese EliseÂe
Reclus: ``la geografia eÁ la storia nello spazio e la
storia eÁ la geografia nel tempo''. Perche questa
citazione fra le tante? Perche piuÁ delle altre essa
incarna la dinamicitaÁ della geografia. EÁ questo il
punto piuÁ importante dell'intera questione. Si
continua a dare una percezione descrittiva e
`fissa' della geografia, quando invece eÁ esattamente il contrario. Cercare di pensare a una
situazione geografica come determinata, immutabile, eÁ assolutamente in antitesi con la geografia stessa, dove tutto muta continuamente in
una costante interazione di fattori. Persino il
rilievo di una montagna muta in modo inarrestabile attraverso l'erosione; certo, in una scala
temporale lunghissima rispetto ad altri fenomeni, ma in ogni caso eÁ in continuo mutamento.
Si inserisce, quindi, un'altra variabile: il tempo. Fernand Braudel, il famoso storico francese, eÁ stato il primo a lavorare intorno ai tempi
lunghi e brevi nella sua opera La MeÂditerraneÂe
et le monde meÂditerraneÂen aÁ l'eÂpoque de Philippe II (1947) e ci ha spiegato come esistano fenomeni che maturano su scale temporali diverse, ma che comunque si influenzano tra loro. EÁ
esattamente il caso della geopolitica, quando
cioeÁ fenomeni che maturano su un scala locale,
per esempio, trovano una spiegazione in varia-
bili che maturano su scala nazionale. Si tratta
cioeÁ dei `legami di causalitaÁ', sia per la variabile
tempo che per la variabile spazio. Questo intreccio, che puoÁ sembrare complicato, eÁ all'origine dello studio della geografia, in particolare
quella umana e culturale; trattandosi di un evolvere continuo, pensare di poter fermare del tutto la geografia e studiarla come qualcosa di
fisso e immutato eÁ come pensare di tenere della
sabbia tra le mani: certo, la si riesce a prendere,
ma eÁ un continuo sfuggire tra le dita.
Parlare di geografia facendo astrazione da
questo elemento dinamico eÁ come non parlare
di geografia, ma di altro non meglio definito. Se
affrontata in questa ottica, la geografia, da un
punto di vista prettamente didattico, diventa
estremamente intrigante e offre non pochi appigli agli insegnanti, sia di scuole medie inferiori che superiori, per sedurre l'attenzione dei
propri allievi. Certo permane la necessitaÁ nozionistica di apprendere tutta una serie di informazioni, ma deve essere accompagnata dalla potenzialitaÁ e dall'interesse che il `mutamento' offre in chiave di analisi e decodificazione dei
fenomeni geografici. Per offrire un esempio ulteriore di quanto fin qui scritto basti citare il
fratello cadetto di EliseÂe Reclus, OneÂsime, il
quale nel suo libro La Terra a volo d'uccello
offre un esempio magistrale di come la semplice
lettura del paesaggio permetta di capire l'azione
umana sul territorio e quale sia l'interazione
uomo-terra. Proprio in questo caso diventa evidente come le prime pagine del geografo francese, scritte all'inizio del secolo, diano prova di
una lettura geografica tutt'altro che meramente
descrittiva e come, al contrario, esse offrano
l'idea di una disciplina che richiede grande sforzo interpretativo, consentendo una vasta comprensione della realtaÁ.
Oltre tutto questa disciplina eÁ storicamente
uno strumento enorme di potere e, tristemente,
le grandi dittature ne hanno dato abbondante
prova. Non eÁ un caso infatti che durante l'epoca sovietica in Russia le carte geografiche non
fossero di dominio pubblico, perche il loro possesso significava disporre di informazioni preci-
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sbocchi lavorativi. Certo, fino a quando i `geografi' italiani si saranno formati studiando prima di tutto economia locale o regionale, con
decine di corsi sul diritto internazionale, regionale, comunitario ecc., sullo studio della politica estera e della storia dei vari paesi, allora
certo saraÁ difficile per un geografo cosõÁ preparato trovare un vero lavoro al di fuori dell'insegnamento della geografia stessa (e per rendersene conto basta fare un paragone con i corsi di
laurea in Geografia di Francia, Inghilterra, Germania o Spagna). Ancora piuÁ paradossale peroÁ
eÁ che mai come in questo momento le evoluzioni delle istituzioni italiane ed estere (si pensi
all'Unione europea), l'aumentata responsabilitaÁ
dei vari attori locali e la necessitaÁ da parte loro
di una forte competenza territoriale fanno sõÁ
che dei geografi formati all'analisi territoriale
e alla pianificazione, ma che abbiano anche la
capacitaÁ di `pensare' lo spazio (per citare ancora Reclus), potrebbero trovare diversi sbocchi
lavorativi e rafforzare la riflessione intorno alla
disciplina riportandola agli stessi livelli d'importanza che ha all'estero.
se ed essere in grado di poter meglio comprendere gli eventi: in poche parole, era un elemento di potere. Nell'antichitaÁ non vi era re che
non avesse avuto al suo fianco un geografo, il
quale serviva certo a guidare il `Signore' nelle
sue battaglie, ma anche a fornirgli quelle informazioni necessarie al controllo del suo territorio: il re doveva avere delle informazioni che ad
altri non erano concesse. In questa direzione si
muove un famosissimo volume degli anni Settanta scritto da Yves Lacoste, La Geografia serve prima di tutto a fare la guerra (attenzione:
`prima di tutto' e non `solamente'). Tutto il libro eÁ incentrato su questa ri-valorizzazione della Geografia e del suo ruolo fondamentale nell'azione umana, di come essa sia uno strumento
di potere che, se usato male, puoÁ provocare
enormi danni. E forse anche per questo dovrebbe essere meglio studiata e insegnata.
IL MESTIERE DI GEOGRAFO
Se visto in questa ottica, il `mestiere' del geografo non solo puoÁ essere un bel lavoro (de
gustibus...) ma oltre tutto puoÁ offrire importanti
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