Immagini intelligenti per orientare le scelte del medico

Transcript

Immagini intelligenti per orientare le scelte del medico
DIAGNOSTICA
Verso la cura
In questo articolo:
imaging
PET
marcatori tumorali
Immagini intelligenti
per orientare
le scelte del medico
Molto più che semplici fotografie
dell’organo malato, le nuove tecniche
di diagnostica per immagine possono
dare un contributo fondamentale alla
lotta contro il cancro, verso una terapia
sempre più precisa e personalizzata
a cura di
CRISTINA FERRARIO
erano una volta
la radiografia, la
TC, l’ecografia.
Queste e altre
tradizionali tecniche di imaging – si chiamano così tutti quegli esami che
forniscono un risultato sotto
forma di immagine – non
sono certo andate in pensione
e in molti casi restano fondamentali per diagnosticare la
malattia, ma sono sempre più
spesso accompagnate da
nuove tecniche che forniscono informazioni importanti
non solo per la diagnosi, ma
anche per la scelta della terapia e per capire se le cure stanno davvero funzionando.
’
C
I MILLE VOLTI DELL’IMAGING
“Con il termine imaging si
fa riferimento a moltissime
tecniche, anche estremamente diverse tra loro, che stanno
assumendo un ruolo sempre
più importante nella lotta
contro il cancro” afferma
Maria Picchio del Dipartimento di medicina nucleare e
Centro PET dell’Ospedale San
Raffaele di Milano. Come
spiega la ricercatrice, un
tempo si parlava solo di “imaging morfologico”, con il
quale si ottiene una sorta di
fotografia statica dell’organo,
che ne mette in luce la forma
e in alcuni casi la struttura,
mentre oggi si utilizza anche
il cosiddetto ‘imaging funzionale’ o ‘molecolare’ che permette di studiare i processi
biologici all’interno della cellula. “La PET (tomografia a
emissione di positroni) è uno
degli esempi più noti di imaging funzionale” chiarisce Picchio. Questo esame permette
di studiare il metabolismo
delle cellule dell’organismo
con una strategia molto interessante che parte in genere
con la somministrazione per
via endovenosa di una parti-
18 | FONDAMENTALE | GIUGNO 2012
colare molecola di zucchero
(il desossi-glucosio) alla quale
è unito un isotopo di fluoro
radioattivo (fluoro18). La cellula per vivere utilizza glucosio e, nel caso della PET, utilizzerà quindi il glucosio radioattivo capace di emettere
un segnale che può essere
“letto” dalla macchina: più la
cellula incorpora glucosio radioattivo, più luminoso sarà il
segnale rilevato. “Le cellule
tumorali hanno un metabolismo più veloce di quelle sane
e consumano più glucosio”
chiarisce Picchio. “Di conseguenza nell’immagine finale
della PET risultano più luminose delle altre: in termini tecnici si definiscono ipercaptanti”. E con l’imaging funzionale
si possono evidenziare anche
masse di cellule tumorali in-
visibili con le tecniche morfologiche che vedono solo cambiamenti della forma, della dimensione e della struttura
degli organi. “Uno degli aspetti più interessanti è che utilizzando le giuste molecole (ne
esistono numerose altre oltre
allo zucchero con fluoro radioattivo) si possono studiare,
almeno in linea teorica, tutti i
processi biologici delle
cellule e non
solo il metabolismo del
glucosio”
spiega la ricercatrice. “Tutto ciò ha importanti risvolti per la diagnosi e per la cura delle malattie”.
quello specifico tumore” continua Maria Picchio. Un esempio concreto di terapia personalizzata riguarda il tumore
della prostata: a volte dopo un
trattamento radicale di questo
tumore si assiste a quella che i
medici chiamano “ripresa biochimica della malattia”, cioè
un aumento dei valori di PSA
(antigene prostatico specifico)
che indica
un risveglio
del tumore,
magari
sotto forma
di metastasi. In questo
caso con un unico esame – la
PET – e usando come tracciante la colina marcata, si ottengono informazioni precise
e dettagliate sulla presenza e
sul punto nel quale c’è ripresa
della malattia e si può tracciare la strada da seguire: se, per
esempio, ci sono metastasi ai
linfonodi si può procedere
con un trattamento mirato
(chirurgico o radioterapico),
senza ricorrere a terapie più
generiche o più o aggressive,
che rischiano di provocare
danni anche agli organi sani.
Scegliere la molecola da
utilizzare per la PET non è impresa di poco conto. Nel caso
del tumore della prostata, per
esempio, l’utilizzo del glucosio marcato con fluoro radioattivo non è ideale. “Que-
Con la molecola
adatta
si comprendono
i meccanismi
OLTRE LA DIAGNOSI
Una delle operazioni più
importanti, ma anche più
complesse al momento della
diagnosi, è la stadiazione del
tumore, cioè assegnare una
sorta di livello alla malattia e
stabilire quanto questa è diffusa. Di certo l’imaging molecolare ha reso tutto più semplice, ma il vantaggio di questo nuovo modo di guardare
l’organismo va ben oltre la
diagnosi e la stadiazione. “Il
nuovo imaging è utilissimo
anche per capire come la malattia ha risposto alle cure, per
definire la prognosi e per scegliere la terapia più adatta per
sta molecola viene eliminata
attraverso le urine e quindi si
vedrebbe un segnale nell’area
vicina alla prostata (vie urinarie e vescica) anche se in realtà lì non c’è nessun tumore”
spiega Maria Picchio. “Inoltre
le cellule del tumore prostatico sono più ‘lente’ e quindi il
loro consumo di glucosio non
è pari a quello delle altre cellule tumorali. In questo caso
c’è il rischio di non notare la
malattia”. Ecco perché i ricercatori hanno studiato una
nuova molecola – la colina
marcata con fluoro o carbonio – che risolve la maggior
parte di questi problemi e permette di ottenere informazioni più precise in caso di tumore prostatico.
UNA GUIDA ALLA PROGNOSI
Con l’imaging funzionale è
possibile capire se le cellule
tumorali hanno imparato a vivere senza ossigeno (ipossia),
una caratteristica tipica dei tumori più aggressivi, che
hanno in genere una prognosi
peggiore e che rispondono
meno alle terapie. “In questo
caso l’immagine della PET ha
un valore prognostico, cioè ci
dà un’idea di quello che sarà il
decorso della malattia, ma permette anche di personalizzare
al massimo la cura, in particolare nel trattamento radioterapico” dice Picchio. Una volta
PER MIGLIORARE LA RISOLUZIONE SERVE ANCHE LA RICERCA
UNO SGUARDO ALL’INTERNO DEL TESSUTO
ltre che nella clinica, le nuove tecniche di imaging si stanno facendo strada
anche nei laboratori di ricerca dove si utilizzano modelli sperimentali per
studiare i meccanismi alla base del tumore. La microscopia a due fotoni, per
esempio, permette di guardare un po’ più a fondo i tessuti. “Con questa tecnica è
possibile osservare ciò che accade alle cellule all’interno del tessuto” spiega
Marinos Kallikourdis, che all’Istituto Humanitas, alle porte di Milano, si occupa
proprio di questa nuova tecnica. “Si riesce a ricreare una situazione un po’ meno
artificiale di quella tipica della microscopia classica, per ottenere un vero e proprio
quadro in 3D dei rapporti tra le cellule”. Grazie alla microscopia a due fotoni,
Kallikourdis e i colleghi studiano il sistema immunitario con lo scopo di
comprendere a fondo i meccanismi cellulari della malattia. “Possiamo ‘colorare’ in
modo diverso le diverse cellule del sangue e poi osservare come si muovono nel
loro ambiente” spiega il ricercatore “e capire, per esempio, che ruolo ha ciascuno
di questi attori nelle reazioni di resistenza dopo le terapie oncologiche, un ostacolo
ancora presente sulla strada che porta alla cura di molti tumori”.
O
identificata l’area di ipossia all’interno del tumore, infatti, è
possibile indirizzare solo lì
una dose molto più alta di radiazione, mentre sul resto del
tumore si può pensare di
usare dosi più basse per minimizzare gli effetti collaterali.
Per il tumore del seno, invece, è possibile utilizzare una
molecola di estradiolo resa radioattiva che si va a legare ai
recettori degli estrogeni presenti spesso, ma non sempre,
sulla superficie della cellula
tumorale. Dal momento che
alcuni farmaci funzionano
solo in presenza di questo recettore, capire se i recettori
sono presenti permette al medico di decidere quale terapia
utilizzare. “È comunque importante ricordare che tutti i
progressi tecnologici non servirebbero a nulla senza la
stretta collaborazione con i
medici che ogni giorno lavorano a contatto coi pazienti”
conclude Picchio. “Proprio
questo confronto continuo ci
permette di aggiustare il tiro e
di sfruttare al massimo le potenzialità delle nuove immagini”.