“Il pianista” di Roman Polanski

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“Il pianista” di Roman Polanski
Con il patrocinio del
Comune di Bologna –
Quartiere Savena
Approfondimento
bibliografico a cura della
Biblioteca “Ginzburg”
Oratorio Don Bosco
via B. M. Del Monte, 12
40139 BOLOGNA
C.G.S. “Vincenzo Cimatti”
Progetto CINEMAINSIEME
in collaborazione col circolo ARCI Benassi
“Per non dimenticare”
Una rassegna di tre film in memoria dell’Olocausto.
1. martedì 15 gennaio 2013 “Il pianista”
2. martedì 22 gennaio 2013 “Train de vie. Un treno per vivere”
3. martedì 29 gennaio 2013 “The Reader. A voce alta”
di Roman Polanski
di Radu Mihaileanu
di Stephen Daldry
1
martedì 15 gennaio 2013 ore 20:45
verrà proiettato, in sala audiovisivi dell’oratorio, il film
“Il pianista”
di Roman Polanski
SCHEDA
titolo Il pianista (tit. orig.: Le pianiste)
distribuito da 01
Adrien Brody (Wladyslaw Szpilman)
[dopp. da Massimiliano Manfredi], Emilia
Fox (Dorota) [dopp. da Francesca
Fiorentini], Thomas Kretschmann
(cap. Wilm Hosenfeld), Julia Rayner
(Regina) [dopp. da Laura Lenghi],
Jessica Kate Meyer (Halina) [dopp. da
Stella Musy], Frank Finlay (il padre)
[dopp. da Gianni Musy], Maureen
Lipman (la madre) [dopp. da Melina
Martello], Ed Stoppard (Henryk) [dopp.
da Riccardo Rossi], Michal Zebrowski
(Jurek) [dopp. da Francesco Bulckaen],
Richard Ridings (sig. Lipa) [dopp. da
Stefano De Sando], Roy Smiles (Itzak
Heller) [dopp. da Angelo Maggi], Paul
Bradley (Yehuda) [dopp. da Francesco
interpreti Pannofino], Daniel Caltagirone
(Majorek) [dopp. da Nanni Baldini],
Andrzej Blumenfeld (Benek) [dopp. da
Alessandro Tiberi], Udo Kroschwald
(Schultz) [dopp. da Carlo Baccarini],
John Bennett (dott. Ehrlich) [dopp. da
Vittorio Congia], Cyril Shaps (sig. Grün)
[dopp. da Ettore Conti], Ruth Platt
(Janina) [dopp. da Chiara Colizzi],
Krzysztof Pieczynski (Gebczynski)
[dopp. da Francesco Prando], Andrew
Tiernan (Szalas) [dopp. da Gianluca
Tusco], Cezary Kosinski (Lednicki)
[dopp. da Fabrizio Vidale], ?ignoto01
(Barkezak) [dopp. da Gerolamo Alchieri],
?ignoto02 (Bogucki) [dopp. da Pasquale
Anselmo], ?ignoto03 (Kitty) [dopp. da
Cristiana Lionello].
fotografia Pawel Edelman
Wojciech Kilar; Johann Sebastian
musiche Bach; Frédéric Chopin; Henry Vars;
Ludwig van Beethoven
sceneggiatura
Ronald Harwood; Wladyslaw
Szpilman
regia Roman Polanski
Francia/German
produzione ia/Polonia/Gran gen. drammatico
Bretagna, 2002
trama
durata 2h 08'
Un uomo riesce a sopravvivere alla distruzione del ghetto di Varsavia e alla
barbarie dei campi di concentramento della Seconda Guerra Mondiale...
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Concorsi e premi
Questo film ha partecipato a:
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28 edizione Académie des arts et techniques du cinéma (César) (2003) concorrendo nell*
categori* migliori costumi (a Anna B. Sheppard), miglior montaggio (a Hervé de Luze),
migliore sceneggiatura (a Ronald Harwood) e vincendo nell* categori* migliore attore
protagonista (a Adrien Brody), migliore fotografia (a Pawel Edelman), migliore
regia (a Roman Polanski), miglior film, migliore colonna sonora (a Wojciech Kilar),
migliore scenografia (a Allan Starski), migliore sonoro (a Jean-Marie Blondel,
Gérard Hardy, Dean Humphreys);
75 edizione Academy of Motion Picture Arts and Sciences Awards (premio Oscar) (2003)
concorrendo nell* categori* miglior film dell'anno, migliore fotografia (a Pawel Edelman),
migliori costumi (a Anna B. Sheppard), migliore montaggio (a Hervé de Luze) e vincendo
nell* categori* miglior regia (a Roman Polanski), migliore attore protagonista (a
Adrien Brody), migliore sceneggiatura non originale (a Ronald Harwood);
56 edizione British Academy of Film and Television Arts (2003) concorrendo nell*
categori* premio Anthony Asquith per la colonna sonora (a Wojciech Kilar), per la fotografia
(a Pawel Edelman), migliore attore protagonista (a Adrien Brody), sceneggiatura non
originale (a Ronald Harwood), per il miglior sonoro (a Jean-Marie Blondel, Dean
Humphreys, Gérard Hardy) e vincendo nell* categori* premio David Lean per la regia
(a Roman Polanski), miglior film;
47 edizione David di Donatello (2003) vincendo nell* categori* miglior film straniero;
61 edizione Directors Guild of America (2003) concorrendo nell* categori* eccellenza nella
regia (a Roman Polanski);
15 edizione European Film Academy Awards (2002) concorrendo nell* categori* premio
del pubblico al miglior attore (a Adrien Brody), migliore regista (a Roman Polanski), miglior
film e vincendo nell* categori* migliore fotografia (a Pawel Edelman);
55 edizione Festival di Cannes (2002) vincendo nell* categori* Palma d'Oro al miglior
film;
59 edizione Golden Globe Awards (2002) concorrendo nell* categori* migliore attore
protagonista in un film drammatico (a Adrien Brody), miglior film drammatico;
58 edizione Nastro d'Argento (2003) vincendo nell* categori* regista del migliore film
straniero (a Roman Polanski);
71 edizione National Board of Review (2002) vincendo nell* categori* migliori dieci film;
37 edizione National Society of Film Critics Awards (2003) vincendo nell* categori*
miglior film, migliore attore protagonista (a Adrien Brody), migliore regia (a
Roman Polanski), migliore sceneggiatura (a Ronald Harwood).
Attualmente il film occupa la posizione 49 della classifica Top 250 di IMDb.
Recensioni.
ACEC
Soggetto: Varsavia, 1939. Quando i giornali pubblicano la notizia che in città sarà creata una
zona delimitata, il ghetto, per i cittadini di religione ebraica, anche la famiglia Szpilman sul
momento non avverte la drammaticità di ciò che si sta preparando. Dal 31 ottobre 1940, con la
costruzione del muro e il trasferimento delle persone, la situazione rapidamente precipita. Alcuni
ebrei collaborano con i nazisti e cercano di reclutarne altri. Wladyslaw Szpilman era pianista alla
radio di Varsavia ed ora riesce solo a suonare il pianoforte in un ristorante. Quando il fratello viene
arrestato, Wladyslaw riesce a farlo liberare ma si prende i suoi rimproveri per averlo aiutato.
Nell'agosto 1942, durante i trasferimenti ai campi di sterminio, la famiglia Szpilman é in fila
insieme agli altri. Al momento di salire sul treno, Wladyslaw viene invitato a restare, e si salva.
Dapprima fa il muratore ed assiste ad orribili esecuzioni, poi riesce ad uscire dal ghetto e a trovare
rifugio in una casa vuota. Nel maggio 1943 i rastrellamenti nella città devastata si intensificano.
Scoperto, Wladyslaw scappa, e trova l'aiuto giusto per nascondersi in un nuovo appartamento. Qui
resta a lungo solo e malato. Nell'agosto 1944 fugge di nuovo e si aggira per i palazzi abbandonati
in cerca di qualcosa da mangiare. In uno di questi si trova di fronte un ufficiale tedesco che,
saputo della sua qualifica, lo fa suonare e poi lo lascia lì, offrendogli del cibo. Pochi giorni dopo
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arriva l'esercito sovietico. L'ufficiale tedesco ora prigioniero chiede di riferire a Wladyslaw di
aiutarlo. Finita la guerra, Wladyslaw riprende il concerto da dove lo aveva interrotto nel 1939.
Valutazione Pastorale: I titoli di coda informano che Wladyslaw Szpilman ha poi continuato
la propria attività ed è morto nel 2000 all'età di ottantotto anni, mentre l'ufficiale tedesco è
scomparso in un campo di prigionia sovietico. Tali notizie ci dicono dunque che il protagonista è
autentico e che il libro da lui stesso scritto é una testimonianza diretta, dall'interno, dell'orrore
dell'olocausto. Scegliendo questo testo come base per la scrittura del copione, Polanski (nato nel
1933) ha fortemente voluto che l'incontro con l'avvenimento che ha segnato la propria infanzia (la
madre é morta in campo di concentramento) avvenisse non nelle forme della Storia conosciuta dei
nomi famosi e delle battaglie ma in quelle della piccola storia quotidiana. Così, delineato nella
prima parte il quadro generale di un a tragedia talmente cupa da cogliere tutti impreparati, nella
seconda il protagonista è solo, con se stesso e con la musica, emblema dell'uomo in tutte le
epoche offeso e indifeso, maltrattato ma non rassegnato. Sottili sfumature psicologiche segnano il
volto di Wladyslaw, specchio angosciato di una paura che aveva attanagliato tutti i polacchi, di un
dolore che scuoteva l'anima perché finalizzato ad annullare le coscienze. Collocando in campi
lunghi, da lontano, gli scontri a fuoco e i bombardamenti, Polanski pedina l'umanità e la
disumanità degli uomini, non ha paura di mostrare alcuni ebrei collaborazionisti e altri affaristi
senza scrupoli, riesce ad essere equilibrato e minuzioso, a cadenzare i battiti del cuore per
l'indicibile sgomento di fronte a situazioni di abissale efferatezza. E' l'idea del male assoluto che
Polanski ha ben presente e che vuole superare con un racconto/confessione che ha il tono del
documento lirico/drammatico, e con il richiamo alla sacralità dell'individuo e alla musica vista come
la messa in ordine di un disordine in apparenza irrecuperabile. Come una luce in fondo al tunnel
del buio. Dal punto di vista pastorale, la pulizia della realizzazione e la lucidità di uno sguardo che
non chiede vendetta ma dice alto che la pietà e la memoria non devono scomparire fa valutare il
film di Polanski come raccomandabile, sicuramente problematico e da affidare anche a dibattiti.
Morandini 2011
Un pianista polacco ebreo vive per tre anni con la sua famiglia nel ghetto di Varsavia e un altro da
solo _ ramingo, impaurito, affamato. Sopravvive sino all'arrivo dell'Armata Rossa nel 1944 e
riprende a suonare Chopin alla radio di Varsavia come faceva il 1° settembre 1939. Da Death of a
City (1984), autobiografia di Wladyslaw Szpilman (morto nel 2000), sceneggiata da Ronald
Harwood. Rifiutata la regia di
Schindler's List offertagli da S.
Spielberg, R. Polanski, vicino ai 70
anni, racconta la storia di un
compatriota _ che ha più di un
aggancio con le sue esperienze di
bambino ebreo a Cracovia durante
l'occupazione nazista _ con un film
che, tra quelli recenti sulla Shoah,
è "quello che meno ci riconcilia con
la Storia e che meno usa il cinema
nella sua chiave consolatoria" (E.
Martini). La 1ª ora è di taglio corale
(una famiglia, una comunità); la 2ª
parte è la storia di un uomo ridotto
a un topo in fuga da un mondo di
assurdità kafkiana, la storia di una solitudine. Forse è la sua arte _ la musica, il pianoforte _ che gli
dà la forza di resistere. Spiega, a ritroso, il cinema che Polanski ha fatto per 40 anni, le sue radici
e gli incubi, con un costante controllo della materia narrativa e delle emozioni. Palma d'oro a
Cannes. 3 Oscar: regia, A. Brody protagonista, sceneggiatura non originale. AUTORE LETTERARIO:
Wladyslaw Szpilman
Lietta Tornabuoni (“La Stampa”, 25 ottobre 2002)
Nel ghetto di Varsavia in Polonia, nel 1940 della Seconda Guerra Mondiale, erano stati chiusi dai
nazisti 360.000 ebrei. Ne sopravvissero 20. Uno di loro era il pianista Wladyslaw Szpilman
(scomparso nel 2000 a ottantotto anni), che ha raccontato come rimase vivo nell’autobiografia
pubblicata da Baldini & Castoldi. Un libro di memoria scritto in un tono neutro, distante, asciutto,
quasi l’autore parlasse di qualcun altro; e Roman Polanski ha adottato nel bel film che ne ha tratto,
«Il pianista», Palma d’oro all’ultimo festival di Cannes, un tono analogo, serio, sobrio e sincero. Il
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pianista si sottrae alla deportazione nei campi di sterminio fuggendo prima della partenza,
rifugiandosi tra le rovine della città, nelle case svuotate e invase da calcinacci. Ha fame, sete,
freddo, paura, è totalmente solo, non sa nulla della sua famiglia nel frattempo massacrata, non
può parlare con nessuno: eppure resiste per settimane, per mesi, nuovo Robinson dell’atrocità
umana, aiutato soltanto da un ufficiale dell´esercito tedesco disilluso e melomane che ama
ascoltarlo suonare. Sopravvive persino all’ultimo rischio, quando esce dal suo buco nella città
liberata dall’Armata Rossa e i sovietici quasi lo ammazzano perchè ha addosso un cappotto militare
tedesco a difesa dal freddo: il film, epopea della sopravvivenza, è anche un’analisi del Caso
fortunato che salva, mentre manca completamente l’emozione spuria dell’ottimismo. A quasi
settant’anni Polanski evoca soltanto indirettamente la propria terribile infanzia di superstite a
Cracovia, ha previsto anche ebrei cattivi e tedeschi buoni: ha fatto un film classico, bello, pudico e
rigoroso, di ammirevole semplicità. Tre elementi sono particolarmente interessanti. Primo,
l’interpretazione magnifica di Adrien Brody (il sindacalista di «Bread & Roses» di Ken Loach), che
riesce ad essere un artista dal cuore nobile e insieme un piccolo uomo spaventato. Secondo,
l’insieme di informazioni minori ma estremamente significative fornite dal film: quanti di noi
sapevano che agli ebrei di Varsavia era vietato avere soldi, era proibito camminare sui marciapiedi
(dovevano invece muoversi lungo le cunette)? Terzo, l’uso degli effetti speciali non per suscitare
meraviglia ma per resuscitare la Storia: Varsavia prima aggredita dai tedeschi con i lanciafiamme e
poi ridotta in macerie non s’era mai vista, e lascia pensare a quante ricostruzioni storiche diventino
possibili con il digitale.
Emanuela Martini (“Film TV”, 29 ottobre 2002)
Non dev'essere facile per un ebreo polacco che da bambino ha attraversato le persecuzioni
naziste, il ghetto di Cracovia, i bombardamenti, le deportazioni di massa, la perdita di familiari e
amici, e la paura, la solitudine, il randagismo, affrontare con lucidità una storia di Olocausto. Forse
é per questo che Roman Polanski rifiutò l'offerta di Spielberg di dirigere "Schindler's List" e che é
arrivato quasi a settant'anni prima di imprimere sulla pellicola il suo 0locausto:la storia privata,
molto simile alla sua anche se il protagonista é un adulto, di un ebreo fuggiasco che, solo,
sopravvive nella Varsavia occupata
dai nazisti. "Il pianista" non é il
"film di una vita" (sulle sue paure,
ossessioni e buchi neri Polanski ha
costruito
tutto
il
suo
personalissimo lavoro d'autore), e
proprio per questo riesce a
mantenere
un
equilibrio
straordinario tra vicenda privata e
tragedia collettiva, a raccontarci
tutto senza mai perdere la
soggettiva del suo protagonista, a
non
cadere
mai
nell'autocommiserazione
o
nell'autocompiacimento.
Ha
un'ampiezza di respiro e una
finezza
di
tessitura
che
lo
consegnano immediatamente al
cinema classico, quel cinema capace di travolgere con la sua emozione e la sua intensità senza mai
abbandonarsi alla bellezza fine a se stessa, alla gratuità delle immagini. Nel "Pianista" tutta la
scansione narrativa conduce in una direzione precisa: si va dalla Storia all'incubo. La Storia
esibisce il suo volto peggiore nella prima parte, e Polanski ne riprende il crescendo di incredulità,
incertezza, collaborazionismo, disperazione; il suo occhio coglie, spesso a distanza, attimi di orrore
(solo a uno si avvicina davvero: il bambino infilato nel buco del muro che separa il ghetto dalla
città) e figurine surreali di un'umanità che nonostante tutto vuole sopravvivere. Solo raramente
parte un movimento di macchina di ampio respiro, a restituirci la dimensione, tremenda,
dell'evento (il ponte sopra la strada che attraversa il ghetto, le valige degli ebrei abbandonate nella
strada, il dolly che accompagna Wladyslaw oltre il muro e ci mostra Varsavia distrutta). L'incubo,
sempre più solitario e orrifico, comincia nel momento in cui il protagonista chiude dietro di sè la
botola della pedana del caffè. Là, comincia il viaggio di un nuovo inquilino del terzo piano,
braccato, spiato, tradito, in un inferno personale, dove neppure lo scorrere del tempo conta più. La
seconda parte del film é bellissima e sconvolgente; ma la prima serve a farci arrivare sin là con la
consapevolezza che tutto questo è accaduto davvero.
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Maurizio Cabona (“il Giornale”, 25 ottobre 2002)
Arriva sugli schermi "Il pianista" di Roman Polanski e crediamo sia giusto ricordarlo, pur
avendogli dedicato un'intera pagina due giorni fa. Si trama di un film molto importante (Palma
d'oro a Cannes) e speriamo che in tanti lo andiate a vedere: scoprirete l'incredibile storia di
Wladek Szpilman, pianista ebreo polacco che per una serie di "miracoli" evitò la deportazione ad
Auschwitz (dove perì tutta la sua famiglia) e sopravvisse nel ghetto di Varsavia fino all'arrivo dei
sovietici. È un film sull'Olocausto girato con un grande senso dell'epica, e senza alcun
sentimentalismo: anzi, il gusto di Polanski per l'umorismo ed il grottesco lo rendono asciutto,
beffardo, per nulla consolatorio. Ieri é stato a Roma Adrien Brody, il 29enne attore americano che
interpreta (magnificamente) Szpilman. Ha raccontato il "metodo" che ha usato per calarsi nella
rocambolesca vita del pianista. "Sono stati decisivi i racconti di Roman, che ha condiviso con me i
racconti della sua infanzia e le memorie della sua famiglia, tutta scomparsa nei lager. Ma è stata
altrettanto importante la scelta di dedicare a questo film un anno della mia vita, in modo
totalizzante. Ho lasciato l'America, sono venuto in Europa: ho venduto la macchina, ho buttato i
telefonini, ho chiuso i rapporti con molte persone, mi sono isolato per sei mesi ascoltando solo
Chopin. Ho imparato a suonare il pianoforte... ho fatto una dieta terrificante, perdendo 15 chili. A
quel punto ero pronto, fisicamente e psicologicamente, e abbiamo cominciato le riprese: abbiamo
girato in senso cronologico... ma alla rovescia. Prima il finale del film, poi a ritroso: così ho
cominciato quando ero ridotto a uno scheletro, a una larva umana, e pian piano sono tornato alla
vita". Questa incredibile full-immersion spiega molte cose del film, della ricostruzione d'epoca così
scrupolosa (l'intero ghetto di Varsavia ricreato, ironia della storia, negli studi tedeschi di
Babelsberg), della prova intensa di tutti gli attori (oltre a Brody, citiamo Frank Finlay, Emilia Fox,
Julia Rayner e il tedesco Thomas Kretschmann, nei panni dell'ufficiale della Wehrmacht che salva
Szpilman alla fine del film). Per Polanski, scampato al ghetto di Cracovia, "Il pianista" é il film della
vita. Per voi potrebbe essere almeno il film dell'anno.
Paolo Mereghetti (“Il Corriere della Sera”, 13 settembre 2003)
Sono sempre più rari i film che sanno emozionare lo spettatore senza ricattarlo emotivamente.
Ci è riuscito Polanski con Il pianista (giustamente premiato con tre Oscar e la Palma d' oro a
Cannes) che l' Universal ripropone adesso in un' edizione speciale di due dvd. E per una volta la
visione del dietro le quinte (che occupa quasi integralmente il disco di contenuti speciali) può
essere davvero propedeutica al film, perché mette in evidenza il lavoro di ricerca storica fatto su
filmati e testimonianze originali e lo spirito con cui Polanski ha affrontato una storia che ha vissuto
sulla propria pelle: lui bambino prigioniero del ghetto di Cracovia come Wladyslaw Szpilman lo fu
in quello di Varsavia. Perché se alla base del film c' è il libro di memorie dello stesso Szpilman, il
rispetto e l' intensità con cui sono stati ricostruiti e filmati quei tragici avvenimenti rivela nel
regista una partecipazione emotiva che nasce dall' aver condiviso in prima persona il ghetto e la
violenza nazista. E che gli permette di evitare ogni voyeurismo e ogni facile moralismo (i «cattivi»
non erano solo i tedeschi) trasformando lo spettatore in un vero testimone della Storia.
Il regista
Il libro
Il protagonista
Arrivederci a martedì 22 gennaio, per vedere,
“Train de vie. Un treno per vivere” di Radu Mihaileanu.
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C.G.S. “Vincenzo Cimatti” – presso Oratorio San Giovanni Bosco
via Bartolomeo M. dal Monte 14, 40139 Bologna tel.051467939
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e-mail: [email protected]