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1 2 PAR SALVA' 'L NOSTI REIS PAROLI DAL NOST DIALÊT MODU 'D DÌ E PRUERBI TRINEIS PENSÈ 'D LA SERIA, FORA 'D LA REALTÀ 3 4 Olimpio Ferrarotti PAR SALVA' 'L NOSTI REIS PAROLI DAL NOST DIALÊT MODU 'D DÌ E PRUERBI TRINEIS PENSÈ 'D LA SERIA, FORA 'D LA REALTÀ grup amis 'd la puisija e dal dialêt 5 In copertina: disegno di LUISA AVAGNINA 6 PREFAZIONE I tempi sono cambiati, l'età media dell'uomo è aumentata, dal tempo in cui Seneca sentenziava che il decimo settennio è il tempo giusto per morire. Io sono quasi giunto al giro di boa dell'undicesimo settennio, nonostante le migliori previsioni, penso che sia giunto il momento di fare un bilancio di quanto ho realizzato. Prima di tirare i remi in barca ritengo doveroso fare un ultimo sforzo per completare il lungo cammino che da anni sto percorrendo, intrapreso una ventina d'anni fa, per salvare le nostre radici, ovvero la conservazione del dialetto e delle antiche tradizioni della cultura contadina. Quanto mi appresto a pubblicare, non ritengo si possa definire un dizionario, ma una raccolta di vocaboli dialettali, tanti dei quali ormai in disuso, cancellati e dimenticati dallo scarso uso del dialetto da parte delle ultime generazioni, da un consistente numero di proverbi e di modi di dire che venivano usati dai nostri antenati, da tradizioni che per tanti anni hanno regolato la vita dei nostri avi e dei nostri genitori e che ora sono definitivamente sparite. L'opera si può definire artigianale, i vocaboli non sono elencati in ordine alfabetico, ma sono posti così come la memoria me li suggeriva, senza nessuna pretesa, con il solo scopo di conservare quello che era il nostro dialetto, che ora si sta sempre più impoverendo, per la tendenza dei giovani a parlare in italiano, a scapito della lingua dei nostri vecchi. Penso proprio che il termine «Artigianale» sia il più appropriato, perchè più nessuno oggi si accingerebbe a mettere insieme quello che io ho raccolto, avendo a disposizione solo penna, carta e... il cervello, nell'era in cui il computer ha sostituito la mente umana. A rompere la monotonia dei termini dialettali e dei proverbi troverete inserite alcune poesie, le ultime della mia produzione, pure in vernacolo trinese, che avranno lo scopo di mitigare una lettura non proprio travolgente. Non mi aspetto consensi e applausi, spero solo che la mia fatica raggiunga l'obiettivo che mi sono prefisso: «Salvà 'l nosti reis». 7 Questo sarà appunto il titolo dell'opera. Quando negli anni a venire i giovani sentiranno pronunciare certe parole, che a loro suonano come di lingue straniere da parte di persone adulte, e che nessuno saprà più tradurre in italiano, potranno soddisfare la loro curiosità consultando questa modesta opera. Anche i proverbi, che sono una fetta consistente della cultura contadina, saranno salvati grazie a queste poche pagine. Non so se tutto questo avrà un valore, se sarà apprezzato. Per me ha un valore altissimo, perchè questo è un contributo alla conservazione della nostra antica lingua. Certamente, appena qualcuno esperto di dialetto leggeraà queste pagine, troverà immediatamente che dal testo sono assenti una infinità di vocaboli antichi, numerosi proverbi, tradizioni dimenticate, che io ho tralasciato di riferire. Sono cosciente che quest'opera è parziale e incompleta, sin dall'inizio non ho mai avuto la presunzione di fare qualcosa di perfetto. Secondo me, quanto raccolto qui dovrebbe avere un solo scopo: quel- 8 lo di stimolare qualcun'altro più bravo e più giovane di me, dotato di mezzi e apparecchiature moderne d'avanguardia, ad ampliare e completare quanto da me iniziato, che a causa dei miei limiti, sia di mezzi tecnici, finanziari e culturali, non sono riuscito a portare ad un maggior livello editoriale. Se questo avverrà, sarà per me motivo di grande soddisfazione; credetemi, non ho mai pensato per un solo momento di avere l'esclusiva in questo campo, nè in nessun altro. Il mio solo rammarico è di non vedere alcun giovane che si interessi veramente in questa ricerca, perchè i custodi di questa cultura spariranno e nessuno avrà raccolto il testimone per proseguire la corsa. E le nostre radici, a questo punto cadranno nell'oblio, perchè al mio arco restano poche frecce e la mira sta diventando sempre più imperfetta! Inoltre potrebbe essere il canto del cigno. Ma non poniamo limiti alla provvidenza. Olimpio Ferrarotti NORME DI LETTURA DI ALCUNE FORME FONETICHE USATE NELLA TRASCRIZIONE DEL DIALETTO ê - «e» semimuta; ô - si legge come la «eu» francese di «feu», «peu», «aveu» etc.; ü - si legge come la «u» francese di «mur», «pur», «sur» etc.; j serve ad indicare quando la «i» ha suono particolarmente prolungato; - ñ - serve ad indicare il suono palatale della «n»; -c - la «c» preceduta da trattino, quasi sempre in fine di parola, serve ad indicarne il suono dolce come in «cielo», «cibo» etc.; la «c» non preceduta da trattino ha suono duro come in «cubo», «cosa», «casacca» etc.; s-c - questo gruppo di consonanti separate dal trattino si debbono leggere dando a ciascuna di esse il loro proprio suono; il gruppo si trova davanti a vocali dolci («i», «e») per indicare che non devono essere lette come normalmente si legge il gruppo «sc» in «sciare», «sciabola», «sceicco», «scemo» etc.; davanti a vocali dure («a», «o», «u») l'accorgimento non si rende necessario; s - cc gg â - la «s» doppia serve ad indicare, anche graficamente, il suono dolce della consonante; la «s» semplice si legge con suono duro, molte volte simile alla «z»; questi gruppi di consonanti in fine di parola (vecc - facc) si leggono con suono dolce, come quando sono precedute da trattino; quando la «â» è segnata con l'accento circonflesso è semimuta, come nelle parole: pân, cân, etc. 9 10 PAROLI DAL NOST DIALÊT 11 A Ânsula - Ânsuli, gli occhielli che facevano da supporto al manico del secchio. Auaron, acquazzone, raffica di pioggia durante il temporale. Armatich - Udur d’armatich, odore di muffa, di stantio, odore di chiuso. Asur, ricami che si facevano alla biancheria delle spose. Ânta - Anton, scuri, imposte di legno in un solo pezzo. Armanach, almanacco, calendario. Armanacà, spremersi il cervello, cercare una soluzione. Amula, barattolo di vetro o di terracotta. Apcaria, macelleria, da Apcà (peccato), siccome mangiare la carne di venerdì era peccato, macelleria equivaleva al negozio che vendeva il peccato. Am-sunà, spigolare. Arciam, richiamo, verso che fanno gli uccelli quando si chiamano fra di loro; dicesi richiamo anche l'uccello ingabbiato che cantando attira i suoi simili nella rete. Arbra, pioppo di alto fusto. Arbron, pioppo capitozzato, cioe tagliato a breve altezza dal suolo, dove i rami, formano come una grande chioma. Amsura, falce messoria, quella che si usa per mietere il grano e il riso. Anviarà, avviato, si dice di persona che s’incammina per una strada o di negozio che e ben avviato nel commercio. 12 Arciüri, risorse, occasioni di guadagno facile. Ariâñ, rigagnolo, scarico delle acque sporche, in mezzo alle strade, quando non c’erano le fogne. Arsegat, segantino, trentino, operaio che veniva dal Trentino a segare a mano i tronchi per farne tavole, oppure da Morano. Ara, aia spiazzo di catrame a due pioventi dove si metteva il riso ad essicare, oppure, spiazzo in terra battuta dove si stendevano i mattoni appena sfornati. Anciùa, acciuga, pesce di mare sotto sale. Arêta, aiuola estesa per la lunghezza del campo. Ac-nêta, pettine molto fine per eliminare la forfora dal capo. Ac-nassi, pettinarsi. Asvers, girato al rovescio, dicesi anche di tessuto scolorito, che ha perso il colore. Anravasà, dicesi di uno mai soddisfatto, che quando mangia si ingozza. Aslìnguari, sentirsi esauriti, sentire languore. (S’) Anfrissu, s’infilano, s’intrufolano. (S’) Asmortu, si spengono (L’) Aslingua, si liquefa, si scioglie. (S’) Asvegiu, si svegliano. (S’) As-ciariss, si schiarisce, si rischiara. (L’) Arnôva, si rinnova, si rimette a nuovo. Arvêia, arzilla, persona con portamento giovanile anche se in età avanzata. Arvêia, rovo, la pianta delle more. Anrangulà, roco, avere la voce roca. Andrumì, addormentato. Amsè, suocero. (S’) Artiru, si ritirano, si restringono. Ansugnaraia, appena sveglia, ancora assonata, carica di sonno. Am-zürêta, recipiente a forma di mestolo che contiene un quarto di litro, serviva per misurare il latte. (S’) Ancàlu, si osano, osare. Ambarunaj, ammucchiate, cose che stanno in mucchio. Asclent, limpido, sereno quando si riferisce al cielo. Ancrôs, profondo. Ansigavu, stuzzicavano. Ampatulà, infangato, sporco, ma si dice anche, di uno che si è cacciato in un pasticcio. (S’) Arcuru, si ripassano, significa ripassare i tetti, rimettere a posto le tegole, ma si dice anche quando uno le suona ad un altro, “I ‘Arcur i cup”. Ampnì, si dice di un uccello che sta rabbuffato, con le piume rigonfie, ma anche di persona non molto sana. Asmarinà, disgelato, far sciogliere il ghiaccio. Asbruclaia, schiodata, si riferisce ad una tavola schiodata, ma anche di persona non molto in ordine. At-gnoli, geloni, arrossamenti delle mani e dei piedi provocati dal gelo. Acsenta, pastone di farina di grano e acqua per fare il pane. Arbu, albero di trasmissione. Ai, aglio. Arbi, bigoncia, serve per contenere 1’uva durante la vendemmia e per mettere il maiale morto, irrorarlo di acqua bollente per liberarlo dalle se- tole. Ardì, in salute. Arnôva, rinnova, rimettere a nuovo. Arnuà, letteralmente significa rinnovare, ma in trinese significa sfoggiare un vestito o le scarpe nuove e in genere qualsiasi cosa che si usa per la prima volta. Arligriss, rallegro, provoco allegria. Arvitaroli, ruzzoloni, capriole. Anvasà, fermare, bloccare l'acqua per aumentarne il livello. (S’) Asgreia, si sveste. Antersà, ridurre il numero delle maglie quando si fa la calza. Ambutì, imbottito. Afel, fiele. Anrangulaia, rauca, avere la voce roca. (S’) Asfurvaiava, si sbriciolava, sbriciolare. (S’) Amborsa, si rovescia, rovesciare. Arfiarissi, riprendere fiato. Alsja, bucato come si faceva una volta con il ranno e la cenere di legno dolce. Ancrêna, fessura. Ambasmà, imbalsamato, imbalsamare. Amplacà, appiccicato, appiccicare, incollare. Arpatà, rappezzato, rappezzare, mettere una pezza. Asbercc, svergolato, svergolo Arsentà, risciaquare, la biancheria, le stoviglie. Ampramuà, imprestare, chiedere un prestito. Aspnugià, razzolare, rassettare le piume. Anfassinassi, rimboccarsi i vestiti, le gonne, lo facevano le donne durante la monda del riso. Arioss, groviglio, si riferisce in particolare alle serpi. 13 Ambutjà, imbottigliato, imbottigliare. Ampatacà, incollato, incollare. Armagni, restare bloccato, si riferiva ai carri agricoli, quando affondavano nel fango. Arbütà, spingere, ma anche rispuntare con riferimento all’erba dopo falciata. Av-giaia, vecchiaia. (S) Asmangia, si consuma. Aspantija, si espande, si diffonde. Andariara, alla fine, per ultimo. Arbiciucü, arzillo, pieno di vigore. Arburela, barattolo di vetro. Angarbià, ingarbugliato, aggrovigliato. Ancruciunà, accovacciato, accosciato. Arlichia, reliquia. Augià, agugliata, il pezzo di filo che si infila alla cruna dell’ago per cucire. Antrei, intero, integro, ma anche uomo tutto d’un pezzo, non molto intelligente. Ampevrà, pepato, cosparso di pepe. Asvartià, rimboccato, si riferisce alle maniche e ai pantaloni. Anvirbì, arrossato, eccitato. Arsulì, esposizione a mezzogiorno, verso il sole. Arbest, in pieno sole, contro un muro. Arzinà, rifare la scanalatura che trattiene il fondo delle botti e dei mastelli di legno. Ancausaij, spaventate, fatte fuggire. Ancausà, rimboccare la terra intorno agli alberi o intorno alle piante di granoturco. Andi, corridoio, corsia. Argiassà, rifare la lettiera ai bovini. Asvuincà, guizzare, divincolarsi. Arpià, erpicare derivato da erpice, sarchiare. 14 Anlascà, impagliare le sedie. Arsion, grossa sega, per segare i tronchi. Aruêt, rocchetto. (S) Anciucu, si ubriacano. Aliam, letame. Arcülon, a ritroso, camminare all’indietro. Anvara, si dice della frutta quando comincia a maturare. Armassà, risparmiare, mettere insieme il gruzzolo, una lira alla volta. Arturnassi, togliersi la soddisfazione di mangiare o di fare una cosa molto desiderata. Amnisera, pattumiera. Ampisulaia, persona che fa il pisolino, la siesta. Ampuason, raffreddore. Arcabilesta, arcobaleno. Andari, andamento, buona vendita, dicesi un prodotto molto richiesto: “iè l'andari”. Arbüt, germoglio che spunta ai piedi di una pianta. Arfüdà, rifiutare. Agniot, anatroccolo. Agriman, regalia - fa n'agriman concedere qualcosa più del previsto. Apsija, vescica. Al bô dal lessi baesach, quando pioveva, per non bagnarsi passava, nel fosso pieno d’acqua. Aria frienta, aria rigida, spiffero. Arvitulà, rotolare. Armuntà, rimontare, rimettere a nuovo con riferimento agli zoccoli di legno, quando il legno della suola era consumato si rimetteva nuovo. Ariüs, disastro. Anciurgnì, assordare, rompere i timpani. Alvuantè, volentieri. Amburlà, formare mucchi di covoni di grano o di riso nel campo in previsione di temporale o pioggia. Ancaplinà, formare mucchi di fieno a forma di cappello “caplini”, in caso di pioggia. Arsarô, venditore di sale, l'attuale tabaccaio. Armissa, la seconda infornata di pane nel forno scaldato con fascine, quando cominciava a perdere calore. Arca, madia dove si impastava e si conservava il pane. Arbebu, buono a nulla. Arvoch, nauseato per aver mangiato troppo o di sentire cose insulse. Arburela, barattolo di vetro, pesce d’acqua dolce. Ancruciunà, accovacciato, accosciato. Auarô, solco di scolo dei campi e delle risaie in cui scaricano gli altri solchi, quelli tracciati nel senso della lunghezza, “l'auarô” è trasversale. Avlü, velluto, tessuto usato per foderare poltrone e confezionare tendaggi. Ambindlà, abbagliare gli occhi. Armugnach, albicocco, albicocca, pianta da frutta con i relativi frutti. Arplì, rifocillato, dicesi di persona quando ha mangiato a soddisfazione, dopo lungo digiuno. Antè, dove: “Antè ca te” “Antè ‘t va”, dove sei, dove vai. Almach, soltanto: “Almach ‘na vira”, soltanto una volta. Arvidula, convolvolo, erba infestante a portamento rampicante e strisciante, che invade i terreni argillosi e asciutti; fiorisce piccole campanelle bianche. Andi, striscia di terreno, dove il contadino opera, lavorando nei campi: mietitura, falciatura, monda del riso. Amburgni, accecare, abbagliare, con la polvere o con raggi di luce molto forti. Anz-gnassi, ingegnarsi, cavarsi d’im- paccio con i proprii mezzi. Andagnà, bacato, con riferimento particolare alla frutta che comincia a deteriorarsi. Ariundela, malva, erba spontanea, le cui foglie e fiori hanno proprietà medicamentose. Argôi, orgoglio, amor proprio, dignità. Arciuss, cattivo odore stagnante, di chiuso, di sostanze che si deteriorano emanando odore sgradevole. Almân, alemanno, persona di origine anglosassone; si definisce così anche una persona che parla in maniera incomprensibile. Arsunà, forma di saluto tradizionale che si rivolge a un conoscente incrociandolo per strada, quale: “Anduma” “At va” “Andei zà”. Armass, gruzzolo, frutto di risparmio e di privazioni. Abrè, Ebreo, persona di origine giudea; ma si definisce cosi anche una persona molto avara. Ambruclà, inchiodato, inchiodare. Arduissi, ridursi, essere costretti a fare cose controvoglia. Ampicà, impiccato, impiccare, ma vuole anche dire appendere, attaccare al chiodo. Angiarà, inghiaiare, spargere la ghiaia. Antrunà, cataplasma d’argilla, che si usa per curare i reumatismi ai bovini e agli equini. Anvuangà, vangare, rivoltare la terra con il badile. Arnassi, rinascere, rispuntare. Rinascere, quando uno esce da una brutta situazione o malattia. Rispuntare si dice di erbacce che muoiono in inverno per rinascere in primavera. Antamanà, indisposto, accusare sintomi di influenza o di raffreddore, pur senza mettersi a letto. 15 Anderia, andatura, modo particolare di camminare che contradistingue determinate persone. Anlardà, pestare il lardo, cioe picchiare sulla schiena dove dovrebbe esserci un ipotetico lardo. Arnugià, rinfacciare i piaceri concessi, il bene fatto alle persone a noi vicine. Arvei, arzillo, vivace, anche in età avanzata. Amprendariss, apprendista, ragazzo o ragazza che inizia una attività che ancora non conosce. Assêla, ascella, l’incavo sotto il braccio. Anton, apertura che avevano i calzoni dei bambini sul di dietro, una volta, invece di essere abbottonati davanti. Asij, attrezzi da lavoro in generale, quelli agricoli, quali badile, tridente, falce, ecc, in particolare. Avgiaia, vecchiaia, l'ultima stagione dell’uomo. Atmara, tomaia, la parte superiore della scarpa e della ciabatta, può essere di pelle o di stoffa. Apcà, peccato. Anvernì, aratura profonda del terreno, che si pratica in inverno, nei terreni di natura paludosa. Ancanavà, parlare con voce nasale causa raffreddore. Acmari, comare, la levatrice di una volta, una donna senza laurea, ne titolo di studio, che sfruttando la sua esperienza, aiutava le donne a partorire nei paesi di campagna. Acsì, così, fatto in questo modo, si dice in questa maniera. Acc, altri; i’acc; l'altre persone. Avêt, ape, insetto che vive in colonia nell’alveare, va da fiore a fiore a suggere il miele, che poi deposita dentro cellette chiamati favi (Sbrês- 16 ci). Arsetari, ricettario, sia il libro che riporta ricette di cucina, sia il blocco per le ricette del medico. Ancarcà, calcare, pressare, si dice quando una cosa è molto accentuata. Amnà, menare, condurre, accompagnare, riferendosi sia a menare a passeggio il cane, condurre un carretto o una carriola, accompagnare una persona in un determinato posto. Angavasson, ingozzarsi, mangiare in fretta fino a rimanere ingozzato. Anvualà, aggiustare, riparare, mettere a posto le cose, rimettere in ordine. Acmensà, cominciare, iniziare a fare un lavoro. Amlon, melone, frutto profumato che matura in estate, su una pianta con lunghi tralci, simile alla zucca. Arionda o Ariossa, la fettuccia che usavano le donne per “anfasinassi”, ossia rimboccare i vestiti quando andavano in risaia a mondare. Ancrusià, incrociare le braccia, intrecciare rami per fare stuoie o ceste. Antartuà, titubante, imbarazzato, a svolgere azioni fuori da quelle abitudinarie, di fronte a persone che non si conoscono, tenere un discorso e le parole non vengono fuori. Anquartinà, inchiodare striscie di cuoio o di gomma sotto agli zoccoli di legno (Ciabot) e alle zoccole portate dalle donne. Aiassin, callo o porro, che si sviluppa alle dita dei piedi, e procura dolore a contatto con le scarpe. Assi, slancio necessario per poter sollevare un peso, per lanciare un sasso, comunque per compiere un gesto che richiede libertà di movimento delle braccia: “Avei l'assi”. Anslêti, sottobraccio, reggere e accompagnare una persona passando- gli il braccio sotto 1’ascella. Arbüton, spintone, dato a una persona per allontanarla con violenza, che può farla cadere, a una macchina o carro per metterli in movimento. Ambastì, imbastito, imbastire, con riferimento all’operazione di cucito che mette insieme provvisoriamente i pezzi di un vestito. Si dice anche di persona malandata di salute, che sta in piedi a fatica. Amprendi, apprendere, imparare, la lezione, un mestiere. Arfendi, segare i tronchi in steppe, oppure dividere le steppe in tavole di minor spessore. Antrigatôri, individuo che ficca il naso dappertutto. Ampalia, pari, sulla stessa linea, della stessa lunghezza. Andrè, indietro, non stare sulla stessa linea, ma anche persona di scarsa istruzione e intelligenza. Aruè, rovaio, cespuglio di rovi. Arzonzi, aggiungere, ossia mettere altro materiale con quello già esistente, es. aggiungere acqua nella pentola. Angurgà, ruttare, quel rumore che si fa dopo mangiato. Avghiruma, vedremo, verbo vedere, futuro semplice. Arfilà, rifilare, tagliare a filo, ma anche rifilare un bidone. Argiassà, cambiare la lettiera (giass) nella stalla. Andicent, malandato, con riferimento sia a persona che a una cosa. Arpatassi, mangiare o fare qualcosa con grande soddisfazione. Anciuat, venditore ambulante di acciughe salate. Ambianchì, tinteggiare, il lavoro dell’imbianchino. Amzüra, misura. Ancanavà, parlare con voce nasale come quando si è raffreddati. Actì, altrochè. Assè, abbastanza, averne abbastanza. Ambindlà, abbacinare, accecare, effetto prodotto da un lampo o da luce troppo vivai. Avgiaia, vecchiaia, la terza età. Ariân, rigagnolo, quello che una volta c’era in mezzo alle contrade o nei cortili dei paesi. 17 B Babaciu, dicesi di figura senza un profilo preciso, ma anche di una persona che non si stima. Babi, grossa rana, individuo grasso, obeso. Barlaton, stronzo, individuo piccolo e sformato. Bumbason, persona di carattere docile e credulone. Bumbass, rozzo filato di cotone che veniva usato una volta per fare le calze e “ia scapin” (vedere alla lettera S) per gli abitanti delle campagne. Bumbasiña, bambagia con cui si fanno imbottiture. Balaridon, danza sfrenata collettiva. Bargamin, bergamino, mandriano, in origine l'aggettivo è legato all’uomo che proviene da Bergamo e custodisce le mucche. Beiar, badile, attrezzo agricolo. Bucin, vitello figlio della mucca, ma anche individuo senza molto giudizio. Biêt, biglietto da visita, d’auguri e di vario genere. Buè, bovaro, deriva da bue, colui che guida i buoi nei lavori dei campi. Bumpat, a buon mercato, roba da poco prezzo, di poco valore. Bartulè, carriolante, 1’uomo che conduce i mattoni con la carriola dentro la fornace. Brocla, chiodo a gambo sottile cilindrico per inchiodare il legno. Baquêru, piccolo agricoltore, coltivatore diretto, con piccoli appezza- 18 menti di terreno. Brûgià, muggire, muggito delle mucche, oppure uno che grida a squarciagola. Brânda, grappa, distillato di vinaccie. (La) Brånda, stufa accesa che fa cantare la fiamma. Bula, concimaia, specie di vasca scavata nella terra o in muratura, dove macera il letame. Bula, pozza di acqua stagnante piovana o alluvionale o piccola palude. Baijêta, lungo ballatoio con ringhiera, tipico delle case popolari. Bagnêt, salsa verde o di pomodoro. Barossa, carro agricolo con timone a cui si aggiocava una coppia di buoi. Berta, gazza, la tipica gazza ladra. Brânch, grosso ramo d’albero. Bindel, nastro. Binda, fettuccia. Biut, nudo. Biuta, nuda. Binel, gemello. Binela, gemella. Barba, zio, ma significa anche amante camuffato da parente. Burdel, rumore. Barlêt, recipiente di legno a forma di piccolo barile che serviva per portare l'acqua in campagna ai lavoranti agricoli. Barlatè, colui che portava e andava a riempire il barlêt poteva essere uomo o donna e anche un ragazzo. Brêta, berretto con la visiera. Barton, grosso berretto di lana o di pelo che si può calare sulle orecchie in inverno. Bôgross, scricciolo, 1’uccellino della neve. Büla, sottoprodotto del riso, alimento per le oche, da cui deriva il detto “uchêt pin d’büla” per indicare un tipo goffo. Batapaia, giramondo senza voglia di lavorare. Burija, metterla tutta per tinire presto di lavorare. Burija, sgridata. Büfà, soffiare per noia, per stanchezza o per accendere il fuoco. Büsêca, trippa. Brich, collinetta, cocuzzolo. Bronda, chioma dell’albero. Bion, tronco dell’albero. Bragalà, gridare a squarciagola. Boia, scarafaggio, piccolo coleottero in genere. Basseia, mento pronunziato, ma anche una specie di vassoio dove si mondava il riso o altri cereali. Bassion, una persona con un mento enorme. Buteia, bottega, negozio di commestibili. Bastin, basto, si pone sulla schiena del cavallo, serve a reggere le stanghe del carro. Braga, insieme di cinghie di cuoio poste sui glutei del cavallo e agganciate con catene alle stanghe del carro, servono per frenare. Bacu, mezzelune di:legno duro munite di ganci di feno, si applicano alla collana dei cavallo, si agganciano alle catene delle stanghe del carro e servono per trainare il carro. Brilot, mascherina di cinghie di cuoio con paraocchi, con morso di ferro, si mette sulla testa del cavallo il morso di ferro in bocca, munito di un’appendice sempre di cuoio, serve per condurre il cavallo per mano. Banaditin, recipiente di vetro e ceramica che era appeso vicino al letto e conteneva l’acqua benedetta. Era chiamata così, anche la punta della calza di lana fatta a mano. Blaga, vanita, ambizione. Brancà, manciata, un pugno di roba. Bissulin, biancospino. Bissulà, siepe di biancospino. Baveli, bave, perdere le bave dalla bocca. Buracheri, accopiamento di batraci, le rane in amore che si accoppiano per la fecondazione. Bigat, bruco, baco da seta. Bagnur, innaffiatoio. Buvrà, abbeverare. Batocc, battacchio. Barlicà, leccare. Brascal, braciere. Braij, brache, pantaloni. Braschin, particelle di brace in mezzo alla cenere. Bavêta, bautta, maschera di carnevale. Basavêij, cianfrusaglie. Bunura, presto. Boti, gemme. Bubin, rocchetto, filo da cucire. Bülon, lolla del riso. Bot, rintocchi di campana che suona le oze. Balariñi, ballerine, bianche o gialle, uccelli dei campi. Büt, germoglio. Bütir, burro. Bamblunà, bighellonare. Barbüssà, specie di raschietto di ferro con lungo manico di legno, serviva al contadino quando arava per pulire il vomero dell’aratro. Barbarot, mento. Buciunà, rapare i capelli a zero, tosare i cavalli o la lana delle pecore. Batarel, saliscendi per chiudere la 19 porta, era anche un travicello di legno che si legava al collo dei bovini al pascolo per impedire loro di correre. Bataià, suonare la campana a battaglio. Batusu, girovago. Bêcc, pecora, agnello. Balanson, bilancia per venditori ambulanti, formata da un piatto con catene, e un’asta graduata sui cui scorre il peso. Balansin, il trapezio usato dagli acrobati, asta di legno con ganci di ferro che serviva per aggogare i cavalli all’aratro. Bagaiot, ragazzotto, non piu bambino, non ancora uomo. Baron, mucchio. But, bolle di sapone. Buchêt, si chiama così l’apertura che immette, dal fosso, 1’acqua nella risaia. Bissula, bussola, edicola di vetro e legno che serve da antiporta per riparare l’aria; si chiamava così anche quel contenitore di legno dove si teneva il sale grosso da cucina: “la bissula ‘d la sal”. Buta, bottiglia, in gergo popolare: “candeila”. Bicier, bicchiere in gergo popolare “lâmpia”, bere una bicchierata: “beivi na 1âmpià”. Bulià, movimento insistente di insetti in massa che si spostano velocemente: es. “al buliava ‘d vespi” pieno di insetti in movimento. Bagg, sbadiglio. Bagià, sbadigliare. Bugiatà, bucherellato. Birocc, barroccio, era l'automobile a cavalli dell'inizio del secolo. Bissa, biscia, rettile innocuo non velenoso. Bassila, vassoio per bicchiere e taz- 20 ze, bacile molto basso per lavare la frutta in tavola. Biciclêta, bottiglietta chiusa da una sfera di vetro, conteneva la gassosa, tanti anni fa. Babuia, affacciarsi, fare capolino. Bariola, trottola. Brassabosch, edera, pianta parassita che vive arrampicandosi sui tronchi d’albero e sui muri. Bioca, testa grossa, testa dura. Burica, giumenta, femmina dell’asino. Burdel, rumore. Büta, spranga di ferro che serviva a sbarrare la porta. Basu, asta di legno con due tacche o ganci alle estremità a cui si appendevano due secchi o cesti di uguale peso per appoggiarlo sulla spalla. Basu, basto che si applicava sul dorso del mulo o dell’asino per caricarlo di merce. Bissacupara, tartaruga acquatica. Biarava, bietola rossa da insalata. Bartavel, nassa, rete da pesca che si tende nei fossi controccorrente, e dotata di una “coda” in cui i pesci entrano e non possono più uscire. Buru, errore, scrivere infiorando il testo di errori, sgrammaticato. Bua, rebbio, dente della forchetta o del tridente. Bissulot, mortaio di legno dove si pestava il sale grosso da cucina. Bêrli, sterco delle capre, pecore e cavalli. Burlarô, Zangola, attrezzo usato per fare il burro, e costituito da un barilotto di legno con un buco nel coperchio, atraverso il quale si introduce un bastone a forma di stantuffo, il quale, manovrato dall’alto in basso, agita la panna contenuta nel barilotto, fino a condensarla e diventare burro. Altro tipo di zangola, un bari- lotto che si chiude ermeticamente, sistemato su due supporti, munito di un volano e di una manovella per farlo ruotare in modo da scuotere la panna e farla condensare. Barnà, scia, spargere sul terreno sale, farina o altri materiali, in maniera di lasciare una “traccia” che segna il passaggio. Barnass, paletta di ferro, che serve a togliere la cenere dal fuoco. Buacüla, intestino del maiale che si usa per insaccare i cotechini. Bânca, banca dove si depositano i soldi; panca di legno o di ferro per sedersi, es: quelle dei giardini pubblici. But, mozzo della ruota del carro; piccolo flacone di vetro. Bari, stanghe del carro per cavalli e anche gli stessi carri, quelli per grandi portate, in genere usati dalle riserie. Bucara, membrana, che i nidiacei degli uccelli hanno intorno al becco, fino al raggiungimento dello stato adulto; croste che si formano agli angoli della bocca delle persone. Brassà, bracciata, la quantità di legno, paglia o fienog che si può portare tra le braccia. Bidoia, scaldarsi una mano a un fuoco improvvisato quando fa molto freddo: “Piani ‘na bidoia”. Bânda, parte: “Da ‘na bânda”, da una parte. Boñamân, mancia, il contentino che si da ai ragazzi in cambio di un servizio, o agli operai per invogliarli ad eseguire bene un lavoro. Badò, onere, peso da sopportare, quale persona noiosa o indisponente. Bueli, intestini, interiora, budelle per fare gli insaccati con la carne di maiale. Baveli, bave, che perdono i bambini dalla bocca, quando mettono i denti, o i vecchi quando i denti non li hanno più. Boita, ventre molto accentuato, ma anche una piccola bottega artigiana. Batzà, battezzato, battezzare. Brons, pentola in bronzo fuso, in cui si cuocevano i fagioli e la minestra, quando si accendeva ancora il fuoco nel caminetto. Brunsin, pentolino sempre in bronzo, in cui si faceva il caffè. Barsival, persona molto grassa, obesa, le cui proporzioni sono più estese in larghezza che in altezza. Bavlent, perdere le bave, come esempio le rane quando si riproducono o le lumache. Biloucia, altalena rudimentale, che si improvvisava per i ragazzi, legando una fune ad un ramo d’albero o ad una trave del soffitto. Barnêta, truogolo di legno o di pietra in cui si dà da mangiare al maiale e altri animali da cortile. Bibiciu, piccola rana con solo pelle e ossa che si cucinava in frittata. Bigu, capelli femminili raccolti in treccia e arrotolati alla sommità del capo. Bacân, baccano, rumore, ma anche aggettivo affettuoso per un bambino troppo vivace. Büra, inondazione, fiume in piena con acqua rabbiosa che travolge ogni cosa sul suo cammino. Bufin, aiutante muratore, quello che impasta e porta la calce e i mattoni. Birò, mobile cassettiera con specchio. Birô, cavicchio di legno, che si usava al posto dei chiodi nell’assemblaggio dei serramenti. Burlin, catasta di fascine, o di covoni di grano o di riso da trebbiare. Brancà, manciata, si misurava il riso da mettere in pentola, o la farina per 21 fare la polenta. Bütà, mettere, messo. Bütassi, mettersi, incominciare. Burla, mucchio formato da sette covoni di grano o di riso, sistemato a cupola, in vista del temporale. Bota, capocchia del fiammifero di legno costituita da zolfo e fosforo. Basà, baciare, baciato. Bassà, abbassare, abbassato. Biava, segala, cereale, la cui farina veniva usata per cataplasmi (Papin), e beveroni per i bovini, la paglia per fare stuoie, impagliare sedie, legacci per i covoni di riso e di grano. Büfon, soffiare forte, con la bocca, per spegnere una candela, per ravvivare il fuoco, o fare cadere la polvere o scorie che si posano sui piani dei mobili o sui vestiti. Beia, costa, verdura che produce foglie munite di un gambo bianco, largo e tenero, che è ottimo cucinato come contorno e anche come primo piatto. Bulon, stagno, grossa pozza, residuo di alluvioni acqua stagnante di origine sorgiva. Bongia, apertura del vestito femminile, specie di persone anziane, per rendere più facile indossarlo, senza dover alzare le braccia e infilarlo della testa. Bruclêti, chiodini, “bati 'l bruclêti” significa battere i denti dal freddo. Brasca, brace o brage, legno consumato dal fuoco, il carbone ardente prima di spegnersi e diventare nero. Si usava nella “barbeque”. Fornello di terra cotta su cui si cuocevano i secondi piatti più delicati. Barunêt, piccolo mucchio, in genere era sistemato così. il letame che si distribuiva in inverno nelle risaie, detto anche “Soma”. Baricula, catasta, di sacchi pieni, di 22 scatole o di mattoni o altri prodotti con formato geometrico, di solidi. Brigna, prugna con riferimento al frutto, ma anche appella tivo di bambine curiose e ficcanaso. Bsênt - Bsênta, pesante, aggettivo ormai quasi totalmente sostituito da: grev, greva. Brassalêt, braccialetto, bracciale. Bulêta, bolletta, quella della luce o del gas, fallimento, bancarotta. Andare in bolletta, in gergo popolare vuol dire fallire. Butala, cisterna, quella che si usa per lo svuotamento delle fosse settiche. Buri, aggredire, con riferimento al cane da guardia che assale l'intruso abbaiando e tentando di mordere. Bacilà, vaciIlare, tradotto letteralmente, ma vuole indicare una persona che ha perso parzialmente 1’uso della ragione e parla a vanvera. Baiarel, abbaino, altana. Butunera, asola, lunga fila di bottoni come es: negli abiti talari. Bunzija, foruncolo, piccolo ascesso. Bron, piccolo cespuglio, zolla erbosa. Barussin, conduttore di carri trainati da buoi o da cavalli che offre le sue prestazioni a conduttori di piccoli appezzamenti di terreno. Balânsa, bilancino, la rete quadrangolare sorretta da due aste metalliche flessibili che i pescatori usano appesa a una grossa canna. Birocc, barroccio, carretto leggero, trainato da un cavallo che serve per trasportare persone. Baratà, barrattare, scambiare un prodotto con un’altro, cambiare una cosa con un’altra, es: cambiare la biancheria. Brüsch, acerbo, con riferimento all’aceto o a frutta non matura. Bertin, crosta lattea dei neonati. C Cà da rat, casa povera senza nessun conforto. Cüsela, carrucola su cui scorreva la fune per sollevare pesi. Caminânt, vagabondo che girava le campagne a piedi in cerca di elemosina e a perpetrare piccoli furti. Caramal, calamaio, contenitore d’inchiostro, ma anche aggettivo dispregiativo sta per ignorante (povri caramal). Canapia, naso lungo, molto pronunciato. Ciabot, zoccoli interamente di legno costruiti a mano dal “ciabutat”, un tempo molto usati in inverno dai contadini. Ciuenda, siepe, steccato, costruita da piante, sempreverdi oppure da fascine di legno o di piante di granoturco. Cantarâña, strumento musicale (si fa per dire) che emette un vezso simile a quello delle rane, veniva usato durante la settimana santa, quando tacevano le campane. Caplon, grosse nuvole nere cumuliformi che si addensano durante i temporali. Crion, matita, derivato dal francese. Coch, tarabuso, piccolo trampoliere che vive nelle risaie. Caratè, carrettiere, uomo addetto ai trasporti con carri trainati da cavalli. Carêta, carriola, mezzo di trasporto, usata in particolare dalle lavandaie e dagli ortolani. Cribi, setaccio a trama larga per separare la sabbia dalla ghiaia. Cuntrà, contrada, si dice delle vie di paese. Corni, chiamano cosi la sirena della cementeria, come pure le corna dei bovini. Ciapuneisa, arachide, nocciolina. Cagnulà, spettegolare, fare pettegolezzo. Ciabrà, criticare, fare la critica. Cassiña, cascinale, ma anche fienile dove si ripone il fieno. Cirighêt, chierichetto, ragazzo che serve la messa. Cavagna, cesta di vimini con manico da infilare al braccio. Ciapinè, maniscalco, uomo che ferra i cavalli, da ciapin, ferro di cavallo. Ciapülaia, tritata, dicesi di verdura tagliata fine. Ciapülon, mezzaluna, quella che si usa per tritare carne, lardo, verdura. Cissà, punzecchiare, termine usato particolarmente a riguardo dei bovini. Crêp, screpolato, ma anche sinonimo di caduta rovinosa “Pià ‘ñ crêp”. Cramaià, leggero strato di neve, brina o ghiaccio. Crica, nottolino, chiusura per porte e cancelli. Cica, mozzicone di sigaro o sigaretta. Cicà, masticare tabacco, ma anche inghiottire amaro per delusione o invidia. Cüña, culla. Cüñà, cullare, dondolare. Cadnass, grossa catena. 23 Canà, grondaia, ma dicesi anche di una forte botta “Daij ‘na canà”. Careia, sedia. Chiet - Chieta, quieto, tranquillo, calmo. Cavêst, catena che tiene i bovini legati alla mangiatoia, ma anche di bambino vivace “T’è ñ cavêst”. Chità, smettere di fare una determinata cosa, finire, “chità ‘d piôvi”. Cagnin, arrabbiato. Catà, comperare. Ciciulà, succhiare. Curt, cortile. Curbela, recipiente col manico da tenere al braccio fatto di legno, simile alla “cavagna”, serve ai contadini per mettere il seme o il concime da spandere. Ciresa, ciliegio, ciliegia, si definisce cosi sia la pianta che il frutto. Cadregat, costruttore e riparatore di sedie. Carton, carro agricolo. Cuion, minchione. Canon, tubo di scarico della stufa. Cânva, pianta da fibra tessile. Canapa. Ciapà, prendere. Calà, discesa, strada in discesa. Carvà, carnevale. Crêpi, screpolature. Ciardela, chiacchierare molto, avere voglia di chiacchierare. Cüncia, sporca. Cardoca, avere la pelle d’oca. Canton, angolo. Cügè, cucchiaio. Candlot, moccolo di candela, ma si dice anche dei ghiaccioli che d’inverno pendono dagli alberi e dalle grondaie. Calesu, fuliggine. Cundì, condito, condimento. Carüfent, spettinato, ma dicesi anche di un cielo sporco di nuvole rade. 24 Ciapi, pezze di stoffa, rappezzi, “tacà ‘na ciapa”. Cassia ‘ñ cana, frutto lassativo tropicale, esotico. Carpon, frutto o ortaggio diventato legnoso non più commestibile. Cichi, mozziconi, di sigaro o sigaretta. Culaña, collana, quella che si mette al collo ai cavalli da tiro. Crocc, tozzo di pane duro. Curdar, cordaio, colui che fabbrica funi. Ciaciara, chiacchiera. Cota, veste femminile, sottana da prete. Coma, crinieza del cavallo. Custüma, uso, “as custüma”, è di moda. Causagna, estremità del campo o della risaia, che viene arato in senso perpendicolare al resto del campo. Caciasut, tuffo, tuffarsi sott’acqua. Cundücc, condotto, scarico dell’acqua, piccola fogna. Cubiêta, corda che si annodava alle corna dei bovini per condurli in coppia. Cavalè, parte alta, al centro della risaia, per il lungo dove il riso cresce più vigoroso. Curè, corriere. Carssêt, crescione, insalata selvatica. Causaron, calze private del piede che le mondine si infilavano nelle gambe durante la monda del riso. Cügiarin, cucchiaino. Ciula, persona poco furba. Curm, colmo, arquato. Curià, dare la piega, rendere malleabile. Cuia, cotica. Crapi, fibra grezza della canapa. Croua, cade, dicesi di frutto maturo o seme maturo. Ciciurlin, dicesi di un tipo pacioso, rotondetto. Curdin, spago. Capast, nibbio, rapace diurno. Ciribibin, cinciarella, uccello della famiglia dei paridi. Crava, trippiede di legno, ricavato dalla biforcazione di un grosso ramo, serviva a sostenere il mastello per il bucato (sêbri) oppure a mantenere in bilico i carri carichi di fieno o di cereali. Cupon, specie di scodella di legno che i bottegai tenevano nel cassetto del negozio per tenere gli spiccioli. Capunara, stia per ingrassare i capponi e i polli. Cureia, cinghia, per pantaloni o per trasmissione. Cinciña, vino senza gradazione, quando si tirava il vino dopo la fermentazione, sulle vinacce si versava dell’acqua unita a zucchero e acido citrico e si beveva d’inverno, quando non si lavorava. Cracion, crosta formata dall’acqua nelle risaie in primavera, di origine fungina, che impedisce al riso di nascere. Carvâñi, piaghe che si formano sulla pelle delle mani specialmente nelle pieghe delle dita, d’inverno, per il freddo e per l’umidita. Capêt, strofa di una canzone. Cutar, coltello d’acciaio posto sul fusto dell’aratro (Steiva) davanti al vomero, serviva a tagliare la terra dove doveva aprirsi il solco. Canaula, gancio registrabile a cui si agganciava la trazione dell’aratro, serviva a regolare la larghezza del solco. Corda, viene cosi definito l'argine trasversale delle risaie, costruito dove c’e un dislivello del terreno. Cavagnin, cestino per la merenda usato dai bambini che vanno all’asilo. Curbin, alveare. Custiñi, costole umane o di animale, ma viene definita cosi quella verdura chiamata coste, quando e ancora piccola. Chela, fidanzata. Chelu, fidanzato. Crüssient, rabbuiato, fastidiato. Cücà, sorbire un uovo fresco. Canavôi, stelo di canapa privato della fibra tessile, serviva “par anviarà ‘l fô”. Crossa, stampella per gli zoppi. Crossa, asta con manici su cui si innesta la falce da fieno, quando si deve falciare. Cassa, mestolo di rame che si usava per attingere acqua da bere. C-lâna, sfaticata, donna perditempo che trascura le faccende domestiche. Cavion, capo, principio della matassa, bandolo. Croch, uncinetto, “piccolo uncino”, usato per fare maglie e centrini. Cul, rete con cerchio di legno, si tende nei solchi di scolo, per impedire ai pesci di scappare. Carmassa, vocabolo dal significato dubbio, potrebbe significare carogna o scavezzacollo. Cassaveli, borse di pastore, erbe spontanee che crescono in primavera nei terreni, dove l’anno precedente era coltivato il granoturco; i germogli si usano per fare minestra di verdura e frittata verde. Cravia, attrezzo usato dai Cordari per guidare i trefoli mentre la ruota attorcigliava la corda. Cantrêta, ripostiglio segreto situato nelle cassepanche delle nostre nonne, ove riponevano denaro e gioielli. Carsà, carreggiata, il solco lasciato dalle ruote dei carri nel terreno ba- 25 gnato. Caciâña, brutta figura, fare una cosa di cui doversi vergognare. Capliña, copricapo di paglia usato dai contadini e dalle mondine. Ciapliña, piatta, sottile, “Preia ciapliña” Cucala, vescica provocata da scottatura. Crota, cantina. Capmeist, capomastro, costruttore edile. Cassülara, schiumarola per schiumare il brodo. Cassül, mestolo. Cugè, erba infestante, con foglie a forma di cucchiaio, cresce nelle risaie. Cò, capo, bandolo della matassa, ma anche dove finisce un campo, una strada, ecc. Calibriu, equilibrio. Cavigioli, cavalluccio, stare seduto sulle spalle di un’altra persona. Culândri - Culandrin, confetti, quelli da sposa e altri, grandi e piccoli. Côv, covoni di grano. Carsân, falce, simile a quella per mietere il grano, ma piu lunga e con la sagoma più aperta, senza punta e con lungo manico, serviva per tagliare il falasco nell’acqua. Curmaia, festa di chiusura di una stagione di lavoro, o per la fine di una costruzione; es: “Curmaia ‘d la monda”. Cavija, spina di ferro che serviva per aggiogare i bovini al carro. Cavalè, parte centrale della “piâña” (vedere lettera P) dove il riso era sempre più alto. Caciâña, errore, sbaglio, fare una cosa sbagliata un’azione scorretta, Cason, caseificio, locale dove si lavorava il latte, si scremava, si faceva il burro e il formaggio. Era un ambiente fumoso per via del grande camino che scaldava enormi pentole per 26 cagliare il latte; umido per 1’acqua che vi scorreva in abbondanza. Casè, casaro, addetto al caseificio, lavorava il latte e con gli scarti allevava maiali. Cilipati, pere cotte al forno con vino e zucchezo. Carnè, carnaio, forca primitiva a cui si appendeva il maiale morto per essere squartato. Crutin, sottoscala buio e fresco in cui si conserva il vino in bottiglia, i salumi e le derrate alimentari. Crucânt, croccante con riferimento al cibo non troppo cotto, tipo il riso che deve essere cucinato al dente, oppure le patate fritte piuttosto secche, croccanti. Cül, fondo della bottiglia o del bicchiere. Côij, cogliere, raccogliere, i fiori, la frutta. Cruaia, caduta, si dice di frutta che giunta a maturazione cade a terra. Carià, caricare, caricato, si dice anche di una persona colpita da forte raffreddore o influenza. Cân e bariân, riferimento a un ambiente con viavai di persone estranee di tutte le categorie. Comu, gabinetto rustico di campagna, senza servizi igienici, costruito in fondo all’orto con fascine e paglia. Caussà, calzato, calzare, infilare le calzature. Caravâña, carrozzone, la casa ambulante degli zingari e dei saltimbanchi. Ciaciarada, chiacchierata, cicaleccio di donne quando si incontrano. Cust - Custa, questo, questa. Cul - Cula, quello, quella. Cuveis, uovo incubato in cui sta sviluppandosi il pulcino. Curpêt, maglia di lana che si porta sulla pelle, il gilè che si porta sotto la giacca, fatto della stessa stoffa. “T’à ‘ñ bel curpêt”, si dice di uno che ha coraggio. Cracia, sporco che si accumula sulla pelle di chi non si lava. Caciapaia, denti nella bocca della trebbiatrice che servono ad espellere la paglia. In gergo trinese si chiamano così i denti finti applicati dal dentista. Curm, apogeo della luna, cioè quando la luna appare in cielo tutta intera. Cantarân, canterano, comò con specchio e cassetti. Curam, cuoio, per suole da scarpe, a volte si definisce cosi la pelle umana e quella degli animali. “Onzi ‘1 curam”, bastonare un’animale o una persona. Crusiera, crocevia, punto dove le strade si biforcano o si intersecano. Crivela, poiana, uccello rapace, i poveri definivano così la miseria della loro vita, i periodi senza lavoro in cui si faceva la fame. Citalena, lampada a carburo, usata dai minatori per scendere nelle miniere, e dai “ranatè”, pescatori di rane, durante la caccia notturna ai batraci. Cüntula, racconto, favola, storia inventata che si narrava ai bambini, durante le veglie invernali nelle stalle. Ciularot, fregatura, inghippo, rifilare un bidone alle persone credulone. Crüssient, espressione corrucciata di persona assillata dai crucci, faccia piena di fastidi. Ciaciariña, bottoniera dei pantaloni, quella che va dall’inguine alla cintura. Cutin, gonna, quella che si indossa abbinata ad una maglia, camicetta, oppure sotto la giacca, dalle donne naturalmente. Cutluzà, vezzeggiare, fare moine. “Ai pias fassi cutluzà” ama essere coccolato. Cutüra, terra rivoltata dall’aratro. Cutürà, arare profondamente. Cüncià, imbrattare, sporcare. Ciapeli, cocci, tradotto, letteralmente, ma in passato i contadini definivano così anche le stoviglie. Cücagna, pozzo nero. Crôbi, coprire, mettere una copertura, significa anche l'accoppiamento tra animali di sesso opposto a scopo di fecondazione. Crêpi, crepe, screpolature, dei muri, della terra del legno, ecc. Capunà, castrare, si riferisce in particolare all’operazione di castratura dei galletti, per fare i capponi in uso una volta nelle campagne, pratica quasi scomparsa. Caussiña, calce viva, quella usata una volta nell’edilizia, che si faceva morire macerandola nell’acqua, in vasche scavate nella terra. Cravià, biforcazione, punto d’attacco di grossi rami di una pianta. Cardensa, credenza che conteneva le provviste in cucina. Curanton, ballo popolare che si ballava tenendosi per mano uomini e donne, in lunga fila e girando intorno alla balera al suono della musica. Crià, gridare, urlare. Crüssi, crucci, fastidi. Cül bussü, posizione del corpo con le mani appoggiate a terra, la schiena inarcata, il sedere rivolto in alto. Côcc, cotto, con riferimento al cibo, cotto; con riferimento alla terra cotta. Crucia, chioccia che cova e alleva i pulcini. Cimbreia, banchetto con lauto pranzo per festeggiare una ricorrenza. Cupa, coppa, calotta cranica, parte superiore dello zoccolo di legno: “La cupa dal ciabot”. Cupà, ammazzare, alzare le carte, tagliare il mazzo di carte. 27 D Danà, dannato dell’inferno, ma anche una persona senza soldi ne mezzi di sontentamento. Daridân, attrezzo rudimentale che serviva ad avvolgere in matasse, la canapa o la lana dopo filata. Ducià, adocchiare, stare a guardare di nascosto. Dagñ, danni. (Al) dagna, perde, fa acqua, dicesi di recipiente che perde. Dubion, moneta di rame, del valore da due soldi. Darmagi, esclamazione dialettale che significa “peccato”. Disnuarda, Dio ce ne guardi. Digurdì, vispo in gamba. Dament, significa tanto ascoltare, quanto ubbidire; “da dament” ascoltare, ubbidire. Duert, aperto, intelligente. Drucà, cadere. Dicia, diceria, proverbio. Dì a press, il giorno dopo, quello che deve venire. Dundoña, dondola. Durgnà, ammaccato, “dubion durgnà”, dieci centesimi pesti, ammaccati. Dubiaia, piegata. Dismentià, dimenticato, dimenticare. Dariar, ultimo, deformazione del francese “dernier”. Daij tedia, dare ascolto, fare conversazione. Dürà, cosa della lunghezza giusta, che arriva dove deve arrivare. 28 Dencià, addentare, morso, morsicare. Dadnân, davanti. Dôi, maniere, modo di comportarsi. Distià, sfibrare, staccare la fibra dello stelo (canavôi) della canapa. Drugânt, giramondo, senza fissa dimora. Dasiânt, flemmatico, lento, persona che impiega molto tempo a spostarsi o a fare un lavoro. Dôr, lutto, periodo di tempo in cui le donne si vestivano di nero per la morte di congiunti. Doma, vettura coperta a un solo cavallo. Dusgnon, dolciastro, sapore tendente al dolce, oppure cibo con poco sale. Distura, quest’ora. Drumion, larva di maggiolino durante il lungo letargo. Drumiada, dormita, dormire profondamente. Duvrà, adoperare, usare. Derbia, eritema, fioritura della pelle provocata da impurità del sangue. Drolu, scherzoso, tipo fatto a modo suo che non ascolta i consigli degli altri. Dadlà, dall’altra parte del muro, nell’altra stanza. Drôbi, aprire. Dasi - Dasiot, adagio, adagino. Drucheis, rudere, casa diroccata che va in rovina. Dabon, davvero, sul serio. E Erlu, fa l'erlu, ritenersi furbo, fare il furbo. Ersu, argine, sopraelevazione del terreno che si costruiva nelle risaie per trattenere l'acqua dove c'era dislivello, si dice anche quello dei fiu- mi. Erpi sapinè, erpice a denti rigidi per terreno arato. Erpi rabadân, erpice snodato per sarchiare i prati. Essi, essere (verbo). 29 F Fagnân, persona lenta a mettersi in moto, con poca voglia di lavorare. Fabioc, stupido, privo di amor proprio. Faciandon, affaccendato, uno che ha sempre tanto da fare. Farnigüt, na squadra ‘d farnigüt, bambini una nidiata di bambini. Falanana, uno non troppo sveglio, che si da poco da fare. Fissü, velo pesante, di pizzo nero, con cui le donne si coprivano il capo per andare in chiesa quand’erano in lutto. Füs, fuso, attrezzo di legno a forma di doppio cono con le punte all’esterno, serviva alle donne che filavano canapa e lino per avvolgervi il filo; si chiamavano così anche i raggi di legno delle ruote dei carri. Fümarin, ficosecco. Flüria, fessura, riferito in particolare a quelle delle porte e delle finestre. Furvaia, briciola, una piccola particella di qualsiasi cosa. Furnasin, fornaciaio, colui che accudisce la fornace. Fuculânt, fuochista. Fughent, infuocato; arroventato. Friciô, dolci campagnoli fatti con farina e uova. Friciulin, polpette di carne o di verdure. Furmiè, formicaio. Filon, spina dorsale, ma anche una persona che fa la furba. Fiara, dolce casalingo, fatto con pa- 30 sta del pane, condimento, zucchero e sapori vari. Falchêt, nibbio, uccello rapace, si dice di persona svelta e veloce. Frustera, forestiera. Fuatà, frustata. Frev, febbre. Fümêt, postumi di sbornia. Frisson, brividi. Frucc, chiavistello. Faciaia, affaccendata. Früst, consumato. Fuet, frusta. Fêti, fette. Frustè, forestiero. Fraciüssa, è la parte femmina del cardine, quella fissata al telaio della porta. Fudela, grembiule. Frola, fragola, dicesi anche di una cosa croccante. Fôdra, fodera. Frelia, fodera fatta con tela molto pesante, consistente, serve a contenere le piume per il letto. Favent, si dice di un uomo appena sveglio con gli occhi ancora iinpastati dal sonno. Falaij, sbagliare, non centrare. Fava, incrostazione che si forma agli angoli degli occhi durante il sonno. Fanà, affannato, convulso. Fa ‘l rô, stare seduti o in piedi a fare crocchio, a chiacchierare in gruppo. Fuin, faina. Fumarin cun al fnocc, fichi secchi con semi di finocchio. Franguj, fringuello. Furca, forcone di legno a due sole punte, serviva a rivoltare la biada, quando si batteva con il “Trêsch”. Früstâña, fustagno, stoffa ruvida per vestiti da campagnoli e montanari. Fiarì, respirare. Fora di fôij, fuori dalla grazia di Dio, esasperato. Fassi cmè i babi, mangiare di gusto, mangiare fino a scoppiare. Fümassa, ascesso che viene alla gengiva, alla base di un dente cariato. Fratass, poteva essere di legno o di panno ruvido, i muratori lo usavano per lisciare l'intonaco. Fursliña, forchetta. Faramiù, negoziante di rottami di ferro. Fardel, corredo della sposa, un certo numero di capi di biancheria che portava in dote. Frossa, fiocina, simile a grande forchetta, serve per infilzare i pesci sui fondali trasparenti. Facia - Pià la facia, prendere un lavoro a cottimo. Furcà, mucchio di paglia o fieno che s’infila col tridente. Si dice anche “Trentà”. Fucol, colletto inamidato della camicia. Frundon, arraffone, disordinato, senza riguardo. Fardlin, corredo per neonati. Fiurêta, fungo che si forma sul vino, quando e di qualità scadente, es.: “cinciña”. Freion, massaggiare, sfregare con energia. Frisi, friggere, con olio e burro e la padella, Sono dette cosi le briciole o piccole quantità di roba. Fümiñant, fiammiferi di legno. Fusunà, abbondare, metterne più del necessario. Früst, logoro, consunto, dopo lungo ed intenso uso. Fons, funghi in genere. Fat, cibo con poco sale o completamente senza, che non ha nessun sapore. Flambò, grande fiammata. Farabalà, volano a balze che ornava le f’esti delle nostre nonne. Fiamenghu, si definisce cosi una persona o un oggetto molto appariscente che fa furore. Füsêta, lampo, fulmine. Fa la iola, piagnucolare, caratteristica dei bambini viziati quando vogliono ottenere qualcosa. Falusch, persona di dubbia serietà, di cui non ci si può fidare. Fularià, leggerezza. Fut, pazienza, sopportazione, “Fa scapà ‘i fut”, far perdere la pazienza, arrivare al limite di sopportazione. Ficiulânt, affittuario, inquilino, locatario. Fursêla, forcella, bastone tagliato con alla cima una piccola biforcazione, serviva in particolare, per sorreggere la corda per stendere il bucato. Fuson, “fa fuson”, materiale che da impressione di abbondanza, senza che esista realmente. Fusunânt, abbondante, abbondare, concedere senza fare economia. Ficheta, ficcanaso, persona curiosa che vuole sempre sapere tutto di tutti. Facià, affacendato, persona che si da molto da fare, che ha sempre molto da fare. Frà, frate e inferriata, la protezione in ferro di varia fattura che si applica alle finestre in difesa dai ladri. Faciassi, affacendarsi, affrettarsi. Fidich, fegato umano. Früstà, logorare, consumare. Füma, pipa, faccia dai lineamenti non proprio piacevoli brutta da vedersi. 31 Ficc, affitto, pigione, quota che si paga al proprietario per compenso di locazione. Filent, affilato, si dice di un’arma da taglio, ma anche di una faccia molto fine, tirata, affilata. Figarola, raccoglifichi, è un attrezzo di lamiera a forma conica con la parte più ampia frastagliata, la parte del vertice è fissata a una lunga pertica, serve per raccogliere i fichi maturi 32 sull’albero stando a terra. Furziña, forbice, sia per tagliare la stoffa, che la lamiera. Facion, faccendiere, contadino che svolgeva i lavori di mietitura e raccolta del riso a cottimo. Fuma, facciamo, verbo fare, indicativo presente. Fusch, fosco, nebuloso, con riferimento al cielo coperto di foschia. Fioss - Fiossa, figlioccio, figlioccia. G Galarin, nastro colorato che si metteva nei capelli, o annodato alla coda dei cavalli alla fiera; era chiamato così anche lo zampillo della fontana. Garisula, sonzino, grassetto, prodotto commestibile che si ricava dalla cottura e spremitura del grasso di maiale appena macellato, ma anche di un tipo un po' minchione, non tanto furbo. Gaba, salice. Gena - Avei gena, vergogna, avere vergogna. Gugêti, ferri per fare la maglia e la calza a mano. Gambot, settori di cerchio in legno che formano il bordo esterno della ruota del carro o carriola. Giücamara, Dulcamara, pianta rampicante, il cui legno verde veniva succhiato dai ragazzi, perchè lasciava in bocca un sapore dolce amaro. Fa mazzetti di fiori bianchi, che, maturano poi bacche rosse che in dialetto si chiamano “tossi” perchè ritenute velenose. Greiassi, vestirsi. Greiti, vestiti. Giaiêt, piccole perline di vetro di colori diversi, servono da guarnizione per gli abiti femminili e frange per paralumi. Ghigna, faccia, volto. Ghignà, ridere, sghignazzare. Galiota, carrettino con ruote gommate, che i contadini usavano per trasportare il risone sull'aia. Gamula, tarlo. Gamulaia, tarlata. Giassa, ghiaccio. Gavasson, ingordo, uno che non è mai sazio. Gavassi, togliersi, tirarsi indietro. Gavass, gozzo. Garmì, bruciacchiato. Gatignà, solleticare, fare il solletico, Grûpia, greppia, mangiatoia per bovini. Girusia, persiana, imposta. Gianin, piccolo baco, larva di mosca carnaria. Gata, bruco verde, larva di farfalla. Grês, dicesi di prodotto non lavorato, di persona giovane che non conosce ancora bene il mestiere. Grêm, incrostazione delle botti lasciata dal vino, di pentola e tegami lasciata da cibi bruciacchiati. Grusser, ruvido, grossolano. Gnaulà, miagolare, miagolio. Gugliard, goloso, dicesi di persona che mangia solo bocconi prelibati. Ghignada, risata. Gabera, lunga fila di salici, normalmente piantati sulle rive dei fossi. Gelatè, venditore di gelati. Giass, giaciglio di paglia o foglie per animali, ma dicesi anche di un luogo dove c’è uno spesso strato di sudiciume. Gavadi, dire delle stupidaggini, fare delle fesserie Gusson, gocce di sudore. Grissia, forma di pane; o sorta di 33 giochetto quasi simile alla dama. Grandunà, tetti che gocciolano direttamente sulla strada senza grondaia nè pluviale. Gratôn, prurito; uno che ruba, da grattare, rubare. Grilêt, grossa scodella di ceramica o terracotta. Gratacü, bacca rossa che racchiude i semi della rosa selvatica. (rôsa eucoña). Ginoria, cattivo soggetto, persona cattiva (ginoria grama). Grinfia, artiglio. Gaia, ghiandaia, ma anche una testa bionda “testa gaia”. Gabâña, capanna. Ganoia, nocciolo, seme di ciliegia, prugna, ecc. Gabulà, studiare per uscire da situazione difficile. Gabacin, cestino. Giuch, traliccio di legno situato nel pollaio, serve da posatoio per i polli. Ghêdu, cadenza con cui si esprime in un determinato dialetto. Garmet, stia di vimini a forma di ruota per pulcini e polli. Gembêta, fila di mattoni sovrapposti sulle aie delle fornaci, una volta essicati al sole. Gügia, ago per cucire, e quello da balia. Giernà, bestemmiare, imprecare. Guij, specchio di acqua profondo sotto una cascata. Grêmula, barra di legno usata dai panettieri per impastare la cosidetta pasta dura. Gabiô, museruola di ferro che si metteva ai bovini per impedire loro di mangiare. Gulon, sorsata, mandare giù grosse sorsate o inghiottire saliva. Goucc, svergolato. Gêna, capelli lunghi, folti e spettinati. 34 Gargion, gargarozzo, pomo d’Adamo. Grupera, sottocoda, laccio robusto di cuoio, che veniva infilato sotto la coda del cavallo, serviva a mantenere il basto nella giusta posizione. Gilardon, gallinella d’acqua. Gabass, cassone di legno o di ferro in cui i muratori tenevano il pastone di calce lavorando sull'impalcatura. Gargunà, gorgheggiare. Grüpion, specie di silo situato in un angolo della stalla dove si teneva il fieno, che, mediante una botola comunicante con il fienile, vi veniva introdotto. Gatarô, foro circolare o semicircolare che si praticava negli usci dei solai per dare la possibilità ai gatti di accedere quando sentivano i topi; oppure in quelli dei pollai, onde permettere ai polli di andare e venire. Ganassi, mandibole, dell’uomo o degli animali, si chiamano così anche le due sponde della morsa in cui si stringono i metalli. Giücà, vomitare, rimettere il cibo a causa di cattiva digestione, o per nausea provocata da cause diverse. Gambulêta, capriola, quella che si fa sui prati, ma è anche sinonimo di fallimento, bancarotta: “La facc la gambulêta”, per significare, andare a rotoli. Grutulent, nodoso, ruvido. Gava, cava, gaicimento di marna, tufo, marmo e altri materiali, situati a poca profandità. Grilêt, grossa scodella di ceramica o terracotta. Giuma, diciamo (verbo). Givu, dicevamo (verbo). Gulêta, colletto della camicia, una volta era rigido e si allacciava alla camicia con un bottone di metallo, Gura, vimini, rami sottili di robinia o di salice che privati della corteccia servono a intrecciare ceste e mobili da giardino. Gurin, giunchi, erba palustre che si usa per legare piante d’ortaggi ai paletti di sostegno. Garmeli, semi di zucca, melone, pomodoro, peperone. Di una persona senza cervello si dice: “T’à la testa pina ‘d garmeli”. Giuntà, aggiungere, allungare, ma vuole anche significare rimettere soldi in affari sballati. Gumi, gomito del braccio, ma anche quello del tubo della stufa o della grondaia. Gnoch, forma di pasta, persona di scarsa intelligenza. Gurêgn, resistente, elastico, pieghevole. Gnêch, malcotto, indigesto, duro da masticare. Grev, pesante, sia nel senso di peso elevato, o di persona noiosa da sopportare. Gamalà, sobbarcarsi lavori faticosi o pesi enormi da portare. Grivia, tordo bottaccio della famiglia dei turdidi, di taglia simile al merlo, piumaggio grigio con riflessi metallici, il maschio e un cantore favoloso. Garêti, garretti, caviglie, con riferimento agli animali bovini, equini e ovini. Gena, riservatezza, timidezza. “Avei gena”, avere vergogna. Garon, tallone, tacco. Gügin, spillo, quello usato dalla sarte per appuntare. Ghignon, aborrimento, odio. “Pia ‘ñ ghignon”, odiare. Gêti, semi di cardone selvatico. Giva, diceva (verbo). Gireia, direi (verbo). Gireiu, diremmo (verbo). Gavass, gozzo, grande borsa che si trova nei gallinacei e nei piccioni, in cui si ferma il cibo appena ingerito per essere predigerito. Gussunà, stillante sudore, imperlato di sudore. Grêm, incrostazione che si forma all'interno delle botti o delle damigiane dove il vino rimane per un lungo tempo, oppure quella del tabacco nella pipa. Gavà, levare, togliere. Gavassi, levarsi, togliersi dai piedi. Giau, diavolo, quello con le corna da caprone e la coda, della leggenda. Giargiatuli, bigiotterie, le buone cose di pessimo gusto del Gozzano. Grugiu, persona tarda, che non sa come comportarsi. Giücheis, vomito, cibo rimesso durante la digestione. Gardija, fauce, grande bocca che inghiottisce bocconi giganteschi. Ghera, brocca per l'acqua, di ceramica o ferro smaltato facente parte del servizio di toeletta che si teneva una volta in camera, quando ancora non c'era il bagno. 35 I Indricc, diritto. Invers, rovescio. Inquisu, incudine. Incast, chiusino per l'acqua costruito lungo i fossi per l'irrigazione. Inciost, inchiostro. Iô, ramarro, lucertola verde, oppure “io ho”. Insi, innesto, innestare una nuova gemma sulla pianta selvatica (por- 36 tainnesto). Iriss, riccio, mammifero insettivoro, che vive nei campi e nelle risaie. Ingargnêt, questua che si faceva in campagna quando si uccideva il maiale. Iuma, abbiamo (verbo). Intarlass, intervallo, spazio. Ist - Ista, quello, quella. L Lümaga, lumaca, mollusco commestibile, si dice anche di persona o mezzo di trasporto che muove lentamente. Lêsca, falasco, erba palustre che si usa per impagliare sedie, e fare legacci per i covoni di riso e grano. Ligam, legaccio di paglia di segala o di falasco, serviva per legare i covoni di grano o di riso. Luviaton, tutulo, parte legnosa della pannocchia di granoturco su cui sono attaccati i chicchi. Lughista, l’uomo che sistemava i mattoni a cuocere nella fornace. Losna, fulmine. Lingassia, asola dove si allaccia il bottone. Lêsêgn, lucignolo, stoppino, nastro di cotone che nei lumi a olio o petrolio era immerso nel liquido e alimentava la fiammella. Lardin, pezzetti di lardo che si rinvenivano nella minestra quando si usava il lardo pestato come condimento. Liri, gigli candidi. (ciar cme ‘l liri). Lüdaria, lontra, animale da pelliccia. Lurgnêti, occhiali. Lengua sleiaia, avere la lingua sciolta. Livrà, finire, finito. Lecia, cosa o persona che non vale niente. Lisa, consunta, usurata, riferita alla stoffa quando diventa trasparente per il lungo uso. Ligera, girovago, uno con poca se- rietà e poca voglia di lavorare. Lundas, lunedì. Lüstar, lucido da scarpe, oggetto lucido. Liamera, letamaio. Losi, lastre di pietra dura con cui lastricavano le strade carraie per impedire alle ruote dei carri di sporfondare. Lantarnon, lampione a gas o a olio che in passato illuminava le strade. Lüm, lume a olio o petrolio usato per illuminare le case prima dell’avvento dell’elettricità. Era formato da un serbatoio che conteneva olio o petrolio e da uno stoppino (lüsêgn) immerso nel liquido, che ardeva senza consumare. Livartiss, rampicante selvatico i cui germogli sono ottimi cucinati in frittata. Lingeria, biancheria che costituiva il corredo da sposa. Lingassijn, occhiello della giacca o della camicetta. Leisna, lesina, utensile usato dal calzolaio per cucire le suole delle scarpe. Lignô, trefoli che formano la coda. Lümassa, limaccia, mollusco infestante, sprovvisto di guscio, che di notte fa strage di tenere verdure. Lümaghin, piccoli gasteropodi acquatici, che vivono in acque dolci. Lâns, erba infestante che cresce nelle risaie prima ancora del riso. Lacià, latte scremato o siero del latte che viene usato come alimento per i 37 porcellini. Lamon, cerchione della ruota del carro, amo per pescare. Logia, scrofa, la fattrice del maiale. Fiacca. Lümion, pesce d’acqua dolce, persona di poche parole, di carattere schiuso, poco socievole. Litera, mobile letto, di ferro e di legno. Laurà, arare, arato, aratura eseguita con trazione animale. Lià, legare, legato. Lambrà, rete metallica a grandi maglie, per recinzione. Lambarin, labirinto, dedalo di viuzze e vicoli, caratteristico di antichi paesi. Lenni, le uova che i pidocchi depositano sui capelli delle persone di cui sono ospiti. Lüpon, fasci di fieno che formano la struttura per tenere insieme un carico di fieno. Significa anche una grossa quantità di materiale. Lavaia, lavatura di piatti, si usava 38 per fare il pastone ai maiali. Liura, tipo di legaccio usato in agricoltura. Lümassola, piaga che si forma tra le dita dei piedi, causata dal sudore che rende la pelle molto sottile. Lêch - Pià 'l lêch, gusto, prendere gusto a fare una cosa o per un determinato cibo. Lüssera, erba a portamento strisciante che cresce nell’acqua, risaie, o corsi d’acqua. Largà, liberare, condurre le mucche al pascolo. Lacc, latte. Lecc, letto. Livrà, finire, terminare, avere finito. Lavamân, catino di ceramica o ferro smaltato facente parte del servizio di toeletta. Lapà, bere portando l'acqua alla bocca ocn la mano, oppure direttamente dalla sorgente. Losi, lastre di granito che si usavano una volta per lastricare le strade di transito dei carri. M Martel, bosso, legno di lento accrescimento, usato in particolare per formare siepi nei cimiteri. Mat, ragazzo. Mata, ragazza. Mato-c, ragazzi in genere. Magistar, maestro. Magistra, maestra. Meliassi, pianta di meliga o granoturco. Mur, muso. Manufli, specie di guanti di stoffa o di lana in cui le dita della mano erano radunate tutte assieme all’infuori del pollice, che aveva un abitacolo per suo conto, li usavano i contadini d’inverno per fare la legna. Murtori, mortorio, si dice con riferimento a un luogo o ambiente molto triste. Muri, more, frutti di rovo. Mandich, povero diavolo, una persona sola senza compagnia nè affetto. Misiña, medicina. Michêta, piccola forma di pane. Malmuntà, male in arnese, persona sciatta, disordinata, in cattive condizioni di salute. Massêli, gaunce. Maslon, guancia di maiale molto grasso. Miula, midollo sia delle ossa che delle piante. Mandicà, sgridare, riprendere una persona che sbaglia. Michi, pagnotte. Mapi, foglie che rivestono le pannocchie di granoturco. Muneida, denari spiccioli. Matar, non aspettare altro, desiderare tanto di fare una cosa. “Avei matar”. Murziña, morbida, soffice. Muntà, salita. Mincantânt, una volta ogni tanto. Mussa, spumeggia, dicesi di vino frizzante. Mantila, tovaglia. Marcandà, contrattare, tirare sul prezzo. Mapon, volgare di cattivo gusto. Mors, attrezzo che si mette in bocca ai cavalli per guidarli. Magià, macchiato. Mesdabosch, falegname. Man ladiña, manolesta. Muron, gelso da more. Müda, vestito della festa. Marià, sposato, sposare. Malarvus, malefatte, bricconate. Masnuion, bambinone. Magatel, ragazzaccio. Manimân, cosa fatta su due piedi. Mangialard, girovaghi delle campagne che mangiavano sovente pane e lardo, che una volta abbondava nelle cascine. Marela, matassa. Miscal, gomitolo. Much, mortificato, triste. Maton, scapolo, ma si dice anche di ragazzo ormai grandicello. Mon, mattone, laterizio. Marsogna, marciume. Mesanôcc, esposizione a nord. Manduss, noioso, insistente, uno che 39 ripete sempre le medesime cose. Mês-cià, mescolare, fare una miscela. Mutüron, era l'uomo che portava il grano o la meliga al mulino a macinare per conto terzi e ne frodava un piccolo quantitativo. (mutüra). Miteni, guanti con mezze dita che usavano le donne quando andavano in chiesa, per poter immergere la punta delle dita nell’acquasantiera senza bagnare i guanti. Masoca, impugnatura rudimentale di un bastone da sostegno. Missiunà, nominare una determinata cosa o persona. Mustass, significa mustacchi, ma nel dialetto antico significava faccia. Maslar, dente molare. Murdià, morsicata, tradotto letteralmente, ma in dialetto significa boccone, “na murdià d’ pàñ”, un boccone di pane. Munadi, fare capricci, fare delle cose senza senso. Munzêt, piccolo sgabello di legno usato dai mandriani per mungere, aveva un sola gamba. Manissa, manicotto senza fondo in cui si infilano le mani per ripararle dal freddo: da qui il detto: “falu cmè na manissa”. Méscula, mattarello, serve per stendere la pasta sfoglia. Massa, vomero d’aratro intercambile fissato al vomero vero e proprio chiamato: “Urégia d’la slôria”, è quello che rivolta la zolla scavata nel solco (fêta) dalla “massa”. Malêgn, furbo, astuto. Matoña, nubile. Matalota, bavero della gaicca o del cappotto. Mascarent, avere la faccia sporca. Mascogn, sotterfugi, imbrogliare il prossimo, fare dei pasticci. Menda, abitudine. 40 Mêgna, pelle di coniglio o di gatto che viene usata come guarnizione per colletti di indumenti femminili. Muciot, cicca del sigaro, che quando non si poteva piu fumare, perchè troppo corta, si masticava, (cicà). Magniot, mezze maniche, usate una volta dagli impiegati, ma in particolare dalle mandine, per proteggere le braccia dalle zanzare e dalle foglie ruvide del riso. Moiu, molle, servono a prendere i carboni ardenti, da ciò il detto: “T’è bon da ciapà cun al moiu”. Malavi - Malavia, ammalato, ammalata. Mognija quacia, santarellina, gatta morta, donna dall’aria angelica, ma che sotto nasconde istinti perversi. Mariana, merenda dei bambini, una volta, formata da zucchero e un pizzico di caffè, mescolati, in cui si intingeva il pane. Mulion, capitello, mensola, di pietra o di laterizio, sostegno di balcone o di cornicione. Müla, femmina del mulo, frutto dell’accoppiamento del cavallo con 1’asina. Müla, salama, insaccato di maiale, che si ottiene riempiendo l'intestino del maiale, con carne di testa del medesimo. Minca, ogni, una volta, “Minca la mort di ‘ñ papa”. Ogni morte di papa. Martin, specie di grossa vespa, che vive in colonia come le api, nidifica nel cavo degli alberi e nei terreni argillosi e asciutti. Martin, ariete, formato da un treppiede di ferro e una carrucola, sulla quale scorre una fune, alla cui estremità è legato un peso. Serve per piantare pozzi artesiani. Maquè, magagna, difetto che si cerca di tenere nascosto. Monzi, mungere, praticare la mungitura a mano, delle mucche e degli armenti. Moncc, prodotto della mungitura, quantità di latte prodotto procapite alla fine di ogni operazione. Matar, non aspettare altro, attendere con ansia un invito o un’occasione di piacere. Mari, fondo di caffè, il residuo che rimane in fondo alla caffettiera. Mari, madre, con riferimento particolare alle femmine di mammifero o di uccello. Mustra, orologio da tasca o da polso. Meracu, forse, esclamazione di meraviglia, quando si giunge ad ottenre una cosa che si attende da tempo. Mesa, mezza, una metà. Manara, arma da taglio, di forma simile a una scure, era usata dal falegname per sgrossare il legno, quando si lavorava ancora tutto a mano. Mnimi, mi è venuto. Mascargnì, maltrattare, usare modi scorretti sia verbalmente, sia con vie di fatto. Mirouda, Marasso, grossa biscia innocua, che vive di preferenza nei terreni incolti e asciutti, nei ruderi di vecchie costruzioni e nei cimiteri. Murigiola, gancio a forma di farfalla, di ferro o di legno, usato per tenere chiusi gli infissi delle finestre. Mütgnon, Mütiña, persona di poche parole con carattere poco socievole e antipatico. Moia, molla, spirale di acciaio che aziona gli orologi, giocattoli e altri meccanismi similari. Mangiua, mangime per polli, maiali, bovini. Muià, bagnare, immergere, s’intende intingere biscotti nel latte o nel vino, o il pane nel sugo. Moia, molla, spirale di filo o piattina d’acciaio, tipo quella dell’orologio, Mamlent, colloso, attaccaticcio, filamentoso, con riferimento a sostanze zuccherine tipo miele, glucosio. Muleia, mollica, la parte interna della pagnotta di pane, quella che non viene a contatto col fuoco. Muscardiña, coleottero che vive in particolare sulle piante di salice, rivela la sua presenza, grazie a un odore pungente che emana. Murdì, morsicato, addentato. Muchêt, erba infestante della risaia simile a un piccolo giunco, chiamata anche “purêta”. Manüsent, manomesso, stropicciato, consunto dall’uso. Magnân, stagnino, artigiano ambulante che stagna le pentole. Mardas, martedì. Mercu, mercoledì. Musca, neo ornato di peli, posto sul labbro o sul mento. Manatera, mancorrente, corrimano della scala. Mas-cion, boccone masticato e non inghiottito. Maciavela, accorgimento per realizzare o risolvere determinati lavori o problemi. Macola, ha lo stesso significato della voce precedente. Maravêia, meraviglia, espressione d’incredulità. Maravià, meravigliato, incredulo. Manà, manciata, quantità contenuta in un pugno Mei, meglio, la parte migliore. Magnulin, appendice della falce da fieno, mediante la quale si innesta la falce al proprio manico (crossa) che serve per regolare l'inclinazione della falce. Mass, mazzo, di fiori, di carte, di cipollini, ecc. 41 N Narison, uomo con grosse narici, ma vuol dire anche ficcanaso, uno che va a curiosare negli affari degli altri. Nuânsi, sfumature di colore. Nasà, annusare, fiutare. Nata, tappo. Nason, la parte della serratura infissa nel muro. Nita, poitiglia fangosa che si deposita nei corsi d’acqua acquitrinosi. Nêch, mortificato. Nün, nessuno. Nissoli, nocciole. Nissa, piena di lividi. Narg-lon, spurgo nasale provocato dal raffreddore, dicesi anche in senso spregiativo nei riguardi di bambini e ragazzi cattivi e maleducati. Navêta, condotta in muratura per il 42 passaggio dell’acqua di irrigazione al di sopra di una valletta o di un’altro corso d’acqua. Nudari, notaio, titolare di ufficio notarile. Nigia, nicchia, grotta, anfratto, vano ricavato nel muro, ricettacolo di statue o immagini sacre. Noua, nuoto, nuotare. Nena, zia, la sorella del padre o della madre. Nôva, notizia, novità, apprendere fatti nuovi, capitati di recente. Narücc, spurgo nasale. Nià, nidiata, significa anche annegare. Nussent, innocente Nu, nocche delle dita delle mani, significa anche le nodosità degli steli e dei rami. O Orgu, organo, strumento musicale in dotazione in modo particolare nelle chiese. Ostu, oste, gestore di osteria. Orbu, moneta di nessun valore. Oncia, unta. Onsa, oncia, misura e peso per l’oro. Osia, erba appena falciata che cade in un mucchio, per la lunghezza del prato. Omi, vomitare, nausea. Ongi, unghie, artigli. Ôr, orlo, il risvolto che finisce la stoffa dei vestiti, delle lenzuola, delle tovaglie. 43 P Punpudogn, melacotogna, frutto profumato di sapore agro ormai quasi scomparso, che le massaie mettevano tra la biancheria per profumarla. Pista, riseria, luogo dove si lavora il riso grezzo per renderlo commestibile. Pistarô, operaio risiero, quello che accudisce la riseria. Puncin, cima, si riferisce alla sommita degli alberi. Piciô, recipiente panciuto in terracotta con beccuccio in cui si conserva il vino e l’olio. Pacioc, fango, ma anche pasticcio, affare imbrogliato, lavoro malfatto. Peilaghignânt, tipo scherzoso, specie di giullare. Pürmach, soltanto. Pruntà, preparare. Parfuma, affumicato, affumicare. Puciu, treccia di capelli raccolta alla sommità della testa. Pugiô, balcone. Pivron, peperone. Preia, pietra, sasso. Previ, prete, ma in dialetto si chiama cosi anche quel telaio di legno che si metteva sotto le coperte del letto, con dentro un recipiente di terracotta (sciufêta) pieno di brace per scaldare il letto. Pansêt, intestino di bovino o suino. Paciada, mangiata, abbuffata. Panada, pane cotto nel brodo di carne, era consuetudine farlo mangiare alle partorienti. Paiar, pagliaio, grosso covone di pa- 44 glia. Parpeili, palpebre. Parô, paiolo. Patenta, fondo della camicia sporco all'altezza del sedere. Paiassa, pagliericcio fatto con le foglie delle pannocchie di granoturco (mapi). Pissur, vespasiano. Pita, chioccia, gallina che ha covato le uova e poi si porta dietro i pulcini. Paliva, una piccola quantità. Pitucà, beccare. Prusar, aiuola. Parà 'ñzü mar, inghiottire amaro. Pavaraña, centocchio, erba spontanea che cresce in primavera, molto gradita ai pulcini. Pandin, orecchini. Pret, mancia che si riceveva alla festa da genitori e parenti. Pupular, marca di sigarette molto scadenti. Papè, carta usata per fare pacchi e pacchetti (scartocc). Pursision, processione. Pentnoria, pettinatrice per signora. Passa, appassita. Poli, cardini, la parte fissa, quella piantata nel muro. Pichiñ, tacchino. Pissacân, tarassaco, specie di cicoria, selvatica quella che fa i fiori gialli, si chiamano cosi anche quei funghi non commestibili che crescono vicini ai letami e nei luoghi umidi. Pressa, fretta “avei pressa”, avere fretta. Panêt, fazzoletto, quello per soffiare il naso e quello che mettono in testa le donne. Piarda, sponda di corso d’acqua normalmente alberata. Piüma, penna per scrivere. Piümin, pennino, si infilava nella penna per scrivere con 1’inchiostro. Purchêt, maiale. Parà, condurre le mucche al pascolo o le pecore. Parau, era colui che portava i cavalli alla fiera per conto dei negozianti. Pagni, uguali Paroli vani, parole inutili, senza senso. Pouta, fango. Pan-bêcc, i fiori delle acacie. Piola, il rubinetto da cui si spilla il vino delle botti. Panta, pettinatura liscia con brillantina usata una volta dagli uomini. Perci, pertiche. Purtantiña, era 1’antenata del carro funebre, aveva la forma di arca, dentro si metteva la cassa del morto, veniva portata a spalla da quattro uomini. Poch privu, nessun pericolo. Portabari, cinghia di cuoio che sosteneva le stanghe del carro appoggiato sul basto ancorato alla schiena del cavallo. Pulantin, specie di mestolo di legno, serviva a mescolare la polenta nel paiolo. Papè d’argent, stagnaola, quella che avvolgeva il cioccolato. Pandissi, impegni costanti nei riguardi altrui, era usanza che gli affittuari di terreni avessero degli obblighi nei riguardi dei proprietari terrieri, appunto i cosidetti “pandissi”. Pnass dal fur, pennacchi di falasco (lesca), fissato in cima a una pertica, che, inumidito serve a togliere la ce- nere dal pavimento del forno per pane, scaldato a legna. Prunin, porcellino d’India, cavia. Patanin, nidiaceo d’uccello appena nato, implume. Purtiot, porticato. Pân poss, pane raffermo. Puvraia, povera gente. Pissêt, pizzo, guarnizione per indumenti femminili intimi e per neonati. Pustiss, posticcio, provvisiorio. Plenti, lamentele. Piânca, passerella di legno sopra un piccolo corso d’acqua. Peciu, pettine. Pasià, calmare, quietare, sia una persona arrabbiata che un animale imbizzarrito. Pradarô, acquaiolo, uomo che regola l’afflusso dell’acqua nei canali d’irrigazione. Pevri, pepe. Pepartera, scalzo, camminare a piedi scalzi. Pâmpistin, pane fatto con farina di riso. Pâmpulenta, pane fatto can farina di granoturco. Picùla, gamba del tavolo e della sedia. Picula, razione di merluzzo o di carne che si mangiava all’osteria, per poter bere in compagnia. Pitu, tacchino, ma si definisce così un tipo impacciato, che è di peso alla comunità. Parà, pulitura del riso steso sull’aia a seccare mediante una scopa di erica lunga e sottile, passata leggermente sulla superficie a raccogliere le scorie leggere. Paluch, palo di legno, della luce o del telefono. Plota, cuscinetto di panno o velluto, ricamato, ripieno di lana, le nostre nonne vi appuntavano aghi e spilli. 45 Puija, callo che si forma sulla punta della lingua dei polli, impedendo loro di mangiare; le nostre nonne la estirpavano con le unghie e poi la facevano ingoiare al paziente, perchè dicevano, solo così non si sarebbe più riformata. Pistin, risino, scarto della lavorazione del riso; si dice di giovanotto che cura 1’eleganza in modo particolare. Paiola, minestra che comincia a raffreddare diventando più densa, con una specie di panna in superficie: “L’e ‘ñ paiola”. Piâña, terreno compreso tra un solco e 1’altro, nella risaia. Picapreij, spaccapietre, mestiere scomparso con l'avvento dei frantoi per frantumare le pietre; producevano ghiaia spezzata per le strade di campagna. Pissà, urinare. Piasus, piacente, simpatico, bello da vedere. Pioti, zampe di gallinaceo e di uccello. Passada, suono di campane che annuncia la morte o accompagna il funerale di una persona. Pissigà, pizzicare, stuzzicare. Pavalin, persona dal portamento sofisticato, che veste con ricercatezza. Papin, cataplasma, confezionato con farina di semi di lino o con crusca, si applica a caldo sulle parti doloranti, per curare foruncoli o affezioni polmonari. Para, paio, di calze, di scarpe, e tutte quelle cose che si usano a coppie Pissarot, zampillo, quelle fontanelle che sgorgano in continuazione nelle piazze e nei giardini di città. Patêrli, pantofole, ciabatte leggere che si usano in casa al posto delle scarpe. Pianela, piastrella, elemento che 46 compone il pavimento. Plüch, peli, quelli che spuntano in determinati punti del corpo umano. Porti, paratie, quelle usate per regolare l'afflusso delle acque dei canali d’irrigazione. Pecc, mammelle delle mucche, delle pecore, delle capre. Peiar, pero, pera, si definisce così, sia la pianta che il frutto. Pichin, spiccioli, monetine di poco valore. Pandin, orecchini, ornamenti femminili, che le dome portano appesi ai lobi delle orecchie, mediante un gancio infilato in un forellino, che viene praticato in giovane età. Piliot, pilastrino, in genere porta un zampillo d’acqua. Pêss, pesce. Psin, pesciolini, avannotti, che popolano a frotte le acque chiare dei torrenti. Pari, padre, in gergo popolare. Poncc, punti, sia quelli che si danno con l'ago, sia quelli che determinano una graduatoria. Paiarot, cane bastardo, con assenza di qualsiasi genealogia, si dice anche di persona di scarse capacità. Parfüm, suffumigi, per curare il raffreddore, mediante zucchero, camomilla o altri aromi, bruciati sulla brace e relativo fumo aspirato dal paziente. Panà, impanato, impanare, cazne o verdure bagnate nell'uovo e poi passate nella farina o pan grattato. Parêcc, così. Passunà, staccionata, formata da pali di legno infissi nel terreno. Passon, palo di legno che forma la staccionata. Piôcc, pidocchi, quelli classici che vivono addosso agli esseri umani, ma si definiscono così anche gli afidi che infestano le verdure e le piante. Pucêcra, terreno fangoso, melma, caratteristica di una palude. Pela, padella di rame in uso nei tempi andati in cui si friggeva e si cucinava la “panissa”. Panissa, riso e fagioli, cucinato asciutto nella padella appunto, piatto tipico piemontese: soffritto con lardo e cipolla, salame casalingo trito, conserva. Quando prende colore si versa il riso, si rimescola col soffritto. A parte abbiamo cotto i fagioli in acqua e sale. Da questo momento si comincia ad aggiungere, un mescolo alla volta, rimestando col cucchiaio di legno fino a cottura al dente del riso, che dovrà risultare compatto. Plenta, noioso, persona molto pesante da sopportare, che ripete sempre le stesse cose e cerca ogni occasione per polemizzare. Pagn, uguale, preciso all’altro. Plagi, epidermide della faccia e del collo. “Avei in bel plagi”, avere la pelle morbida e vellutata. Patiña, tomaia delle zoccole da donna, può essere di tela, di velluto o di pelle. Paciara, rimpatriata, abbuffata, per festeggiare qualche ricorrenza. Prè, sacco digerente dei gallinacei. Panzin, piumino, sottopiuma delle oche, costituito da piumette, praticamente prive di calamo, servono per fare morbidi cuscini e copripiedi da notte. Pulot, girovago che sbarca il lunario girando con un carrozzone trainato da un cavallo, da un paese all’altro, questuando e rubando. Papêta, impasto di farina di segala con acqua, oppure con chiara d’uovo, molto diluito, veniva usato come colla per affiggere manifesti e in legatoria. Persi, pesco, pesca, si definisce così tanto l'albero che i frutti. Patanà, pietanza costituita da fagioli prima lessati e poi schiacciati con la forchetta. Pulaia, animali da cortile in genere. Paton, straccio ruvido che si usava per lavare le pentole e i piatti. Paleña, patina di saliva secca che si forma in bocca e sulle labbra quando fa molto caldo e si soffre la sete lavorando al sole. Pess, peggio. Pilsin, i due angoli del fondo del sacco, dove si afferra per sollevarlo e metterlo in spalla. Purtigal, arancio. Picà, colpo di piccone, operazione di cucitura con la macchina da cucire. Pissaron, grande cuscino di piume che serviva da materasso nelle culle dei neonati. Pissarel, cuscino di piume in cui si avvolgeva il neonato per tenerlo in braccio. Plarela, malattia della pelle che colpiva le gambe delle mondine. Parplà, movimento delle palpebre accellerato o tich nervoso. Pasi, calmo, tranquillo. Pasià, calmare, tranquillizzare. Piatlera, rastrelliera di legno appeso al muro dove si infilavano i piatti lavati ad asciugare. Poncia, punta, cima dell'albero d'alto fusto. Peisa, bilancia con due piatti da tenere sul banco. Puijn, puledrino, cavallino appena nato. Puleru, puledro, il cavallo non ancora domato. 47 Q Quaciarà, stare sdraiato in posizione scomposta. Quaciaron, individuo che passa il tempo straiato. Quefa, velo di pizzo leggero che le donne portavano quando andavano a messa. Quaiast, cadevano, pesce d'acqua dolce. Quagià, si dice di grasso coagulato o di latte scremato cagliato. Quartiñi, strisce di cuoio che si inchiodavano sotto gli zoccoli per non consumare il legno. Quatassi, coricarsi. Quataia, coricata. Qu, cote, pietra abrasiva che serve 48 ad affilare la falce. Què, contenitore di legno o di metallo che i falciatori portavano alla cintola quando falciavano il prato, vi riponevano la cote con dentro un poco d’acqua per tenerla umida. Quacc, vesciche che si formano ai piedi per le scarpe strette, alle mani compiendo lavori inusitati. Quarè, grosso ago ricurvo con grande cruna (al cul 'd la gügia) che veniva usato per cucire i sacchi di iuta. Quarpiè, copripiedi, grosso cuscino di piume o di lana che si tiene sul letto dalla parte dei piedi in inverno. Quagià, cagliare, condensare, prendere densità e consistenza. R Rampià, arrampicarsi. Rastel, rastrello, attrezzo agricolo di legno per rastrellare il fieno nei prati, di ferro per sarchiare l'orto. Rastel, cancello di ferro oppure di legno. Ruca, rocca, conocchia, attrezzo fatto di canna su cui si avvolgeva la canapa da filare. Rânsa, falce da fieno. Rânss, acido, forte, si dice di commestibili andati a male. Rigrêt, rimpianto. Reid, rigido. Rêpia, ruga. Rüpient, rugoso. Rubatà, gironzolare. Ramiña, pentola di rame. Ressia, sega, ma si denomina così la fila di salami legati insieme con lo spago. Ressiüra, segatura. Ruêta, vicolo, strada stretta. Risigà, arrischiare. Rabaià, raccogliere. Rümenta, cianfrusaglie. Ruià, rimescolare. Rüsnent, arrugginito, si dice anche di uno sporco, che si lava poco. Rêsca, lisca di pesce, ma anche la pula del grano, cioè l'involucro leggero che racchiude i chicchi del grano. Reis, radici. Rigulissia, liquirizia di legno oppure quella nera. Rugassion, rogazione, funzioni propiziatorie per la campagna. Rimuliva, ramo d’ulivo, quello della domenica delle palme. Raschi, grappoli d’uva, fiori d’acacia o glicine. Rabaieis, raccogliticcio, mettere insieme degli avanzi. Rês-cia, ruvida. Ras-cia, striglia, attrezzo che si usa per pulire il pelo delle mucche e dei cavalli. Rastlà, cancellata, ma significa anche rastrellare il fieno. Rioss, groviglio di corda o di serpi in primavera. Rissima, odio, risentimento verso persone che ci hanno recato offesa. Raspà, grattuggiare il formaggio. Rifront, paragone. Ragia, attrezzo agricolo formato da una tavola di legno con due ganci alle estremità per attaccarvi i tiranti un manico perpendicolare al centro come una T capovolta, serviva per ammuc- chiare e allargare il riso sulle aie. Era trainata da un animale da tiro oppure a mano. Rubat, rullo compressore. Riorda, fieno del secondo taglio. Rubia, frutta matura di colore rosso. Rissent, frizzante. Rissà, arricciare, intonacare. Risà, spostare. Rudlin, attrezzo con rotellina per tagliare la pasta sfoglia. Rista, fibra tessile della canapa. Rusià, rosicchiare. Rüsià, litigare. Rusa, roggia. Rusà, rugiada. 49 Rechia, momento di pausa, di riposo, di tranquillità. Racula, protesta, cercare cavilli. Rimprocc, rimprovero. Rânda, raso, pieno fino all'orlo. Randin, rotondino di legno che serviva per rasare, (randà) i cereali contenuti nella “miña”, unità di misura usata una volta. Rissadüra, intonaco di calce. Riundela, malva, erba spontanea con proprietà curative e medicamentose. Rumatich, reumatismi, male alle ossa. Raspulent, ruvido, riferito a tessuto o all’intonaco del muro non lisciato, o alla pelle delle mani screpolate. Ranzai, sperie di coltello, costruito con una punta di falce fienaia, con manico di legno. Serviva a tagliare i legacci (ligam) dei covoni di grano e di riso per poter essere infilati nella trebbiatrice. Rümà, grufalare, razzolare nel brado, proprio dei maiali e delle talpe; era anche sinonimo di vangare la terra. Raminêta, contenitore con manico e coperchio, serviva per andare a comperare il latte e portare la minestra in campagna. Rass, unità di misura, usata una volta dai venditori di tessuti. Equivaleva a centimetri 60. Rusion, torsolo, la parte centrale della mela e della pera dove sono alloggiati i semi. Rüfent, arruffato, con riferimento al gatto o altro animale provvisto di pelliccia. Rapulà, spigolare, raccogliere quà e là. Rangià, riparare, aggiustare, rappezzare. Rapà, quel senso fastidioso che da la frutta acerba guando si mastica. Rümià, ruminare, l'operazione che compiono i bovini per digerire. 50 Ruieri, guazzabuglio, gazzarra. Rin, maialino, ultimo nato di una nidiata, quasi sempre rachitico. Rancà, estirpare, strappare piante erbacee con tutta la radice. Rüscà, lavorare, faticare. Racagnà, vocabolo a doppio senso, vuol dire tanto protestare quanto rimediare. Rablà, trascinare, ma si dice anche di una sgridata, “dai 'na rablà”. Rapi, vinacee, grappoli, l'uva dopo aver spremuto il vino. Ramass, tutori, paletti di sostegno, si usano per fare arrampicare i fagioli e sostenere i pomodori. Rasparola, erba infestante dalle foglie ruvide e taglienti, che sfregando sulle braccia nude o sulle gambe provoca ferite. Ribulin, attacchi di mal di pancia, che si ripetono con intensa frequenza. Rüsia, lite, contesa. Rubia, colorazione rossastra, che assumono certi frutti maturando e certe foglie in autunno. Rânf, formicolio che si riscontra alle estremità degli arti quando si rimane per lungo tempo in posizione scomoda. Ramuà, trapiantare da vivaio a dimora piccole piante. Rô, crocchio, capannello, quello classico che fanno le donne nei quartieri popolari nelle sere d’estate. Russasu, morbillo, una tipica malattia dell’infanzia. Ridò, tendine; quelle corte delle finestre. Riva, vicino, a breve distanza. Râna bota, girino, la rana nella prima fase di vita. Ritela, cavillo, grana, quelle tipiche dei piantagrane. Ritir, casa di riposo per anziani. Runcà, dissodare, fare lo scasso profondo del terreno. S Scapin, parte inferiore della calza dove appoggiava il piede. Scagn, sedile completamente in legno con schienale, lavorato e sedile di forma pentagonale o esagonale che appoggiava su tre gambe, si usava particolarmente nelle stalle; in italiano, scranno. Scaraboc, firma illeggibile, macchia d’inchiostro. Sgreiassi, svestirsi. Sgreiti, svetiti. Spissiarija, farmacia o negozio che vende le spezie. Spissiari, farmacista o commesso di drogheria. S-ciavendè, schiavendaio, da schiavensa, salario degli schiavi, salariato fisso delle aziende agricole, che conduceva i cavalli nei lavori dei campi. Socli, calzature femminili e anche maschili; quelle femminili erano formate da una suola di legno e da una tomaia di velluto o di pelle, quelle maschili erano più robuste, avevano un rinforzo di cuoio sulla punta e sul collo del piede, entrambe erano aperte dietro. Suclon, scarpe con suola di legno e la punta rinforzata di latta, erano portati specialmente dai ragazzi. Sparlüsin, lustrini, si usano per abiti da sera, da ballo, costumi per teatro. Sôli, levigato, riferito a una superficie liscia. Sôli, si definisce un pavimento in battuto di cemento. Sêpa, ceppo, s’intende la parte sot- terranea della pianta, il blocco formato dalle radici. Strugnà, si definisce una particolare situazione fisica che può essere noia, non aver digerito bene, residuo di una sbornia o aver dormito male la notte. Scartari, quaderno. Sgorgia, airone, trampoliere che sosta d’estate nelle risaie. Scanapêss, varietà di piccolo gabbiano che una volta nidificava nelle risaie in primavera. Strossa, giavone, erba infestante che cresce in mezzo al riso. Spalmassi, erba palustre usata per fare stuoie, in autunno mette delle infioriscenze cilindriche decorative. Strüsà, strascicare, trascinare. Sbanfon, fiatone, respiro pesante. Spion, pizzico, “'na spion d’sal”, un pizzico di sale. Spiunà, pizzicare, dare pizzicotti. Suasì, soddisfatto, mangiare e bere a soddisfazione. Suav, persuaso, convinto. Sbofa, scoppia. Sbufà, scoppiare, mangiare troppo fino a scoppiare. Sücara, grillo talpa, coleottero con robuste mandibole che scava gallerie e mangia le radici agli ortaggi. Slessa, specie di grossa slitta che serve a trasportare tronchi d’albero e letame nei terreni fangosi; da qui il detto: “te cmè na slessa”, quando uno è sporco di fango. Sber-c, svergolo, squadrato. Siass, setaccio per la farina. 51 Slôria, aratro. Sbrês-ci, favo delle api, nido di vespe. Sagrinà, disperato, afflitto. Stissa, goccia, “beivni ‘na stissa”, berne un goccio. Sbaruà, spaventato. Sausissa, salciccia, cotechino. Sacrist, sagrestano. Saraca, aringa affumicata. Slüra, solaio. Scariassa, averla, uccello migratore, minore, capirossa grigia, maggiore. Specià, aspettare, specchiare. Slà, gelato. Sparlà, schiarita, quando il sole si affaccia tra le nubi. S-ciass, fitto. Scagn ad fen, il fieno pressato nel fienile. Stupà, tappare. Surzent, sorgente. Scusa, nascosta. Sêsta, cesta. Strêcia, stretta. Sêbri, mastello di legno, per fare il bucato. Sibrar, colui che costruiva e riparava i mastelli. Sgarslin, cardellino. Sürbi, assorbire, succhiare. Seraia, sponda, mobile posteriore di un tipo di carro agricolo. Slavà, sporco. Sgüiarola, scivolata, sdrucciolata. Soli, suole. Socul, zoccolo, unghia del cavallo. Splà, sbucciato. S-ciancà, strappato, strappare. Sigion, piccolo mastello di legno con manico di ferro. Slinguà, liquefare. Sgnarà, quando un nidiaceo d’uccello abbandona il nido per la prima volta. Sghni, nitrire, nitrito del cava1lo. 52 S-ciupliva, scoppiettava. Süch, ceppo. Soma d’ai, pane sfregato con aglio e cosparso di sale. Supaton, scossoni, con riferimento particolare a strade dissestate, piene di buche e carreggiate. Sagrin, cruccio. Stubion, spuntoni delle piante di riso e di grano dopo la mietitura. Slutà, operazione di spianamento che si effettuava nelle risaie appena messo l'acqua prima della semina. Veniva fatta mediante una tavola di legno munita di spuntoni di ferro trainato da cavalli il cui conduttore stava in bilico sulla tavola per accentuare la pressione. Nelle aziende di piccola entità era fatta da uomini e donne muniti di badili e zappe. Sbriva, rincorsa per superare un ostacolo. Scapüssà, inciampare. Scapüsson, sbattere con i piedi contro un ostacolo. Sgarà, sprecare, sprecato. Sgaron, sprecone, uno che ha le mani bucate. Scundon, fare le cose di nascosto, sotterfugio. Smuraià, sfilacciato. Sucint, silenzioso, fare le cose in sordina. Sôia, soglia, quella pietra sul limitare dell’uscio di casa. Sora, soffice, vaporosa. Sgablêta, specie di inginocchiatoio che serviva alle donne quando si inginocchiavano per lavare sulle sponde dei corsi d’acqua. Sül, scure, arma da taglio per spaccare la legna. Strêpa, grande sforzo, “dag ‘na strêpa”, fare un ultimo grande sforzo. Stràvaca, deborda, dicesi quando un recipiente è troppo pieno e il contenuto fuoriesce. Schêsi, schegge, scaglie di legno. Sürbia, pompa a mano, serviva per estrarre l'acqua dai pozzi artesiani. S-ciupatà, schioppettata, scoppiettare. Suparcià, superare, essere al di sopra. Scancrà, scassinare, scassinato. Statarà, sciancato, disarticolato, uno che ha le ossa fuori posto. Sêndri, cenere. Svers, scolorito, di cattivo umore. Sfacc, disfatto, disintegrato. Sbuiachent, stracotto, troppo cotto, cibo bollito oltre i limiti. Spataraia, spiaccicata, spalmata. Sbarlüss, barbaglio, guizzo di luce provocato dal sole o dalla fiamma. Stusà, strofinare, pulire con lo straccio. Sigala, sigaro. Strüsà, trascinare, far scorrere un corpo senza sollevarlo da terra. Strüson, piccola slitta in legno sulla quale il contadino ancorava l'aratro per farlo trascinare dagli animali da tiro lungo le strade di campagna. Strüson, persona sciatta, trasandata che cammina strusciando i piedi. Squela, scodella. Sübià, fischiare, zufolare. Sübiot, fischietto, zufolo. Scarcaià, raschiarsila gola, espettorare. Svêgg, sveglio, furbo, intraprendente. Sêgn, deformazione del sostantivo seno, con riferimento alle cose che si ripongono dentro la camicia all’altezza del petto, ne fa testo il detto popolare: “bütà la berta ‘ñ sêgn”, che vuole anche dire: chiudere la bocca, zittire. Sbardà, rovesciare, sparpagliare. Sauin, pungiglione, riferito a vespa, ape, ecc. Scaviss, dispettoso, maleducato. Sapà, zappare con la zappa. Sigula, cipolla. Schergni, fare il verso a una persona che parla o si muove in modo non normale. Spüssa, puzza, cattivo odore. Santè, sentiero. Strafugnà, spiegazzato, non stirato. Spatulà, sbrogliare, disimpegnare. Smurtà, spegnere. Slaia, gelata, infreddolita. Sbriva, rincorsa, partire da lontano. Strêcia, stretta, piccolo passaggio, cunicolo. Steiva, antico aratro, munito di una lunga stanga di legno per guidarlo, chiamata appunto “steiva”, serviva per tracciare i solchi. Sauri, saporito, cibo gustoso, leggermente salato. Sürbêt, sorbetto, gelato, da sorbire, succhiare. Spatech, distinto, persona che si da un portamento contegnoso, si da delle arie guardando tutti dall’alto in basso. Sta ‘ñ pandêta, stare sulle spine. Sgarabija, andare a gara per arrivare primo. Sbiriulent, sgangherato. Sturcià, accartocciato, accartocciare. Scartocc, pacchetto. Süstà, desiderare qualcosa che altri possiedono. Scarpüsà, calpestare, non avere rispetto delle cose e persone altrui. Spnügion, spennacchlato con riferimento ai pennuti, spettinato riferendosi a persona. Spuà, sputare. Sbarbisà, sfiorare, passare vicinissimo, profilare. 53 Smangison, prurito, voglia di grattare. Siassà, setacciare. Sgiai, schifo, ribrezzo. Smôij, ranno, acqua del bucato bollita nella caldaia di rame con soda, scaglie di sapone e poi passata sulla cenere di legno dolce. Smentià, dimenticare, non ricordare. Sapatà, scuotere, scrollare. Strup, mandria, gregge, con riferimento agli animali. Strassuà, sudare, essere sudato. Sgulà, sgocciolare, scolare. Smarinà, disgelare, sciogliere il ghiaccio. Sunêt, armonica a bocca. Smort, pallido, avere la faccia senza colorito. Sücin-a, siccità. Sonza, sugna, grasso di maiale. Smurbietà, agiatezza, abbondanza, disporre anche del superfluo. Seif, sego, grasso di pecora. Scanslà, cancellare, cancellato. Spantija, diffonde, si disperde. Smens, sementi, semi. Sacucin, taschino per l'orologio. Sgêta, barella montata su due ruote da bicicletta, serviva una volta per trasportare gli ammalati, da casa all'ospedale. S-ciop, schioppo, fucile. Sangiutì, singhiozzaie, pianto convulso, disperato. Sangiut, singhiozzo, disturbo provocato da digestione difficile o da deglutizione di aria. Stranfià, respiro affannoso simile ad un rantolo Sgaiada, grido di allegria. Strapassada, sgridata, redarguire in maniera forte, con energia. Savieta, tovagliolo. Sandron, tessuto di iuta molto robusto e di trama fitta che si poneva sul 54 mastello (sêbri) quando si faceva il bucato. Su di esso si metteva la cenere di legno dolce e poi si versava il ranno (l’asmôij) lentamente, ripetutamente fin che il bucato era pulito. Sürbija, minestra di riso o pasta fagioli a cui si aggiunge un bicchiere di vino rosso per renderlo piccante. Smurtà, spegnere. Sgiaflà, schiaffeggiare. Sutpânsa, cinghia di cuoio con fibbie che si annoda alle stanghe del carro passando sotto la pancia del cavallo, per tenere in equilibrio il carro. Strich, cinghie di cuoio fissate al morso del cavallo e ancorate al basto passando attraverso la collana per costringerlo a tenere la testa alta. Scurzêgn, resistente, duttile. Stamêgna, ramo di salice verde attorciliato in modo da snervare le fibre e usato come legaccio. Scoss, grembo, sedersi sulle ginocchia, “setà 'ñ scoss”. Svarà, dicesi di temporale che lascia il posto al sereno. Sgarableu, rigogolo, uccello frugivoro. Scapinêta, camminare senza scarpe, con solo le calze da “scapin” il sotto delle calze di lana fatte a mano. Sraià, deragliare, andare fuori strada. Stagera, scaffale. Susson, calzarotti di lana, che si mettono sopra le calze d’inverno. Scagnêt, sgabello. Sgüià, scivolare. Spotich, disponibile. S-ciufêta, recipiente di terracotta, che si riempiva di brace per scaldare il letto d’inverno. Sin, sopracciglia. Sturcion, dolci casalinghi fatti con la pasta sfoglia e poi fritti nel grasso o nell’olio e spolverizzati di zucchero. Sgnarà, spiccare il volo, con riferimento agli uccellini che lasciano il nido per la prima volta. S-ciuplì, schioccare le dita o la frusta. Sgrapà, graffiare, ma significa anche tribolare per fare andare avanti la famiglia. Sleià, slegato, slegare. Scrussi, scricchiolare, ma intende anche spezzare le gambe alle rane per impedirle di scappare: “scrussi 'l râni”. Sgiaf, schiaffo. Sgrôia, guscio d’uovo, d’ostrica, lumaca, ecc. Susta, copertura, tettoia, stare al coperto: “essi a susta”. Singra, pentola di ghisa che sostituiva il paiolo, per fare la polenta. Smissa, smessa, dimessa, di seconda mano. Spramià, risparmiare. Svercia, risvolto dei pantaloni. Smuià, mettere in ammollo. Sfross, frode, frodare, fare cose illegali, di nascosto. Schivi, schifo, ribrezzo. Snugg, ginocchio. Speciava, specchiava, aspettava. Sira, cera. Sbrua, sommità di un argine, margine di un burrone, “stà ‘ñs la brua”, essere al limite, rischiare di cadere. Sgagiaia, camminare in fretta, fare i lavori in fretta. Sgarabion, calabrone. Sareña, martin pescatore, uccello che vive lungo i corsi d’acqua. Sgiar, il vecchio lavandino di cemento che scaricava direttamente nel rigagnolo (ariân) ‘d la cuntrà. Surlev, sollievo. Sufragi, dolcetti della nostra infan- zia. Sfarnà, sfrenato, irruente. Straponcia, trapunta, copriletto imbottito di cotonina. Stumiadüra, indigestione. Stumbul, bastone di nocciolo munito di una punta metallica, serviva al bovaro per pizzicare i buoi. Sei, sete. S-ciodi, schiudere, con riferimento alle uova quando nasce il pulcino. Starnija, disseminata, cosparsa. Süms, cimice. Sana, deformazione della parola italiana “tisana” in dialetto antico significava il caffè, tisana di caffè: “beiv ‘na sana”. Scapà ‘i fut, perdere la pazienza. Sercà di gatin, cercare grane. Stümasla, darsi delle arie. Stümetâ, esibizionista. Sbiavà, sbiadito, cosa che ha perso il colore. Sgargiunassi, sgolarsi, parlare fino a perdere la voce. S-cinfurgnà, rovistare, trafficare con le cianfrusaglie. Scurata, vettura trainata da cavallo, calesse. Strapel, grande abbondanza, avere più di quanto occorre. Spigna, spontanea: “ad so spigna vuluntà”, di sua spontanea volontà. Sparlà, schiarita, quando il sole esce dalle nuvole e poi torna a nascondersi. Svens, sovente, quasi di continuo. Scampon, longevo, persona che vive molti anni. Soutagat, livello di sfioramento di vasca di decantazione. Sacadura, giacca alla cacciatora, munita di aperture laterali sulla parte posteriore, dove il cacciatore ripone la selvaggina o altri oggetti. Scunzübia, frotta, nugolo di bambi- 55 ni o uccelli. Stramà, nascondere in luoghi riposti di cui poi si dimentica l'esistenza. Sternighin, selciatore, era colui che posava le pietre per fare il selciato, “sterni”. Selciato deriva da selce, tipo di pietra dura. Sbaruv, spavento. Sarpêi, telo, dentro cui si annodava il fascio di erba per portarlo sul capo. Sencia, cinghia di cuoio usata per sollevare i cavalli irrequieti quando dovevano essere ferrati. S-cirpa, fascia di seta o cotone a colori vivaci che i carrettieri si annodavano intorno alla vita. Sparavel, tavola di legno quadrata con manico che i muratori usavano per reggere la calce quando intonacavano. Sana, misura da un quarto per latte e vino. Sonta, sterco di mucca dalla forma caratteristica. Sgardablà, graffiare, lacerare con le unghie. Schicià, strizzare, schicià 1'ôcc, strizzare l’occhio. Saioch, grosso sasso. Scaudinassion, insolazione. Sgnassi, fare il segno della croce. Siala, cicala, insetto che in estate canta ininterrottamente una noiosa strofa. Somi, mucchietti di letame, che si depositavano in fila lungo i solchi. Stramuntì, risentito, rintronato, dicesi di cosa o persona che ha ricevuto un forte colpo, oppure è stato urtato in maniera violenta; si dice anche di forti rumori che fanno rintronare la testa: “Al fa stramuntì 'l sarveli”. Strafricc, soffritto, fatto con lardo pestato, aglio, cipolla e aromi. Spanatris, scrematrice, macchina usata dal casaro, per dividere la pan- 56 na dal latte. Stupabôcc, tappabuchi. Svuacà, franare, riferito a sponda di corso d’acqua che cede, corrosa dall’acqua. Suamân, asciugamano. Straminom, sopranome, molto usato per distinguere persone con cognome uguale. Stragià, calpestare il raccolto senza riguardo. Sbaruausei, spaventapasseri. Spalarô, palo di grosse dimensioni che i lavoranti di campagna, ricevevano in inverno, oltre alla paga giornaliera, unitamente a due o tre fascine, quando andavano a tagliare la legna. Serviva, appoggiato alla spalla a reggere le fascine posate sull’altra spalla. Da questo la denominazione “Spalarô”. Scot, sporgenza residua di un ramo, non tagliato raso sul tronco dell’albero. Scot, maglia di lana che si portava sulla pelle. Scuton, cannuccie delle penne e piume, quando cominciano a spuntare sul corpo implume dei volatili. Scaron, sporgenza residua, lasciata dalla falce, recidendo erbe infestanti a stelo rigido. Savati, ciabatte, in genere ricavate da vecchie scarpe. Strà, sotterrare, i morti, o qualsiasi altra cosa. Svuatrui, persona sciatta e disordinata, che non cura nè il corpo, nè i vestiti, (si dice anche Uatrui). Scugnüss, caldo soffocante, che preannunzia temporale. Sgnucà, sonnecchiare, stando seduti, con la testa penzoloni, che dondola. Sputlì, spappolato, spiaccicato, con riferimento a persona o frutta. Si da la stessa definizione anche a un cibo stracotto. Sbargnacà, sbudellare, sbudellato. Suà, asciugare, asciugato. Saldalesu, timo, pianta aromatica medicamentosa semi-spontanea. Sücia, asciutta, nel senso di non bagnata; significa prosciugare un corso d’acqua o le risaie: “Dà la sücia”. Scaravel, piolo della scala di legno; traversino della sedia dove si appoggiano i piedi. Sgaiusa, grande fame arretrata di chi non mangia da diversi giorni. Sbagnassà, bagnato fradicio. Sgürà, lucidare le pentole di rame strofinandole con la cenere o con lolla di riso bruciata (bülon brüsà). Salop, sporcaccione, individuo dal comportamento poco pulito e dal fraseggio pesante. Stagera, scaffalatura, tipica dei negozi di generi alimentari e articoli vari. S-ciapà, spaccare, spaccato, speciale riferimento alla spaccatura della legna. Steli, tronchi d'albero spaccati con la scure, in lunghe e grosse schegge da ardere nel caminetto. Scôij, dipanare, disfare il gomitolo o la matassa. Smangià, corroso, consunto, logoro. Svuarminà, sformato, senza forma, oggetti e indumenti deformati dal lungo uso. Spuass, sputo di notevoli proporzioni, frutto di fumatori che masticano tabacco. Squicià, schiacciare, schiacciato. Suquì, questo, questa cosa. Serni, scegliere, fare una cernita. Squarà, sgrossatura del legno, abbozzare una forma mediante la «manara» una specie di scure a lama larga molto tagliente. Suma, sappiamo, oppure siamo, vuol dire entrambe le cose. Spion, pizzico, una presa di tabacco. Sgavassassi, svuotare il gozzo o il sacco, dire tutto quello che si pensa senza rispetto per nessuno. Scavissüra, scarto del riso composto da paglia spezzata e semi non giunti a maturazione. Smentià, dimenticato, dimenticare. Surissi, particolare stato di disagio fisico, provocato dallo sfregamento di superfici ruvide che stridono. Squarsà, squarciare, lacerare, stoffa o carta. Scarvà, capitozzatura, potatura degli alberi per il contenimento dei rami in termini ragionevoli. Sbatà, buttare, disfarsi di cose che non servono. Strija, strega, donna che nella credenza popolare era considerata in possesso di doti paranormali. Strija, polpetta di carne cruda macinata, condita con spezie poi avvolta in carta spessa bagnata e cotta nella brace. Sarzì, rammendare, rammendo praticato in maniera superlativa che fa sparire ogni lacerazione dei tessuti. Surzi, zampillare, sorgente che scaturisce dal suolo spontaneamente. Scüfia, pianta parassita che cresce sui cereali e sulle erbe prative, in particolare sul trifoglio ed erba medica. È formata da filamenti carnosi di colore giallo che emettono capolini bianchi; vive senza radici, solo aggrappandosi alle erbe suddette. Smerdà, fare brutta figura nei confronti di persone più istruite o più in gamba di noi. Suagnà, lisciare, accomodare a dovere. Si dice di persona sempre molto curata nel vestire e nel fisico. Surtüm, acquitrino, terreno paludoso. Sarvela, cervello, tradotto letteral- 57 mente, ma vuole significare giudizio: “Avei sarvela”, avere giudizio. S-ciêt, schietto, genuino: uno schietto è quello che dice sempre quello che pensa. Svigià, svegliare, dare la sveglia, sollecitare una persona che temporeggia, che non sa mai decidersi. Sfartulada, scrollata, scuotere, sollecitare, incitare. Svarsliña, bandella metallica, sottile e resistente, che veniva usata per imballaggi, al posto dell'attuale fettuccia di nailon e di plastica. Sià, falciare, tagliare l'erba con la falce. Strauardà, strabismo, avere gli occhi strabici, cioè avere gli occhi puntati da una parte e vedere tutt'altra cosa. Suross, malformazione delle ossa, causata da fratture guarite male perchè curate e sistemate in maniera poco ortodossa. Scrêp, prodotto puro, non mescolato con altre sostanze, es.: cafè scrêp, caffè solo, senza zucchero nè latte, nè altre sostanze. Suassi, asciugarsi, sia quando si è bagnati, sia per detergere il sudore: «Suassi 'i gusson». Savei, sapere, verbo infinito. Squarsasach, piccolo pesce d'acqua dolce che vive di preferenza nei fondi sabbiosi, oggi quasi scomparso causa l'inquinamento delle acque, molto ricercato dai buongustai per la sapidità della sua carne e per il pregio di non avere lische. Famosa la “frità da squarsasach”. Sarass, latticino ricavato dal latte di pecora. Svigiarin, il classico orologio a sveglia, quello che si tiene sul comodino. Sücc, asciutto; dicesi anche di persona alta e magra. 58 Sorti, uscire di casa, anche nel senso di andare a divertirsi o a passeggio. Serà, chiudere. Strach, stanco, “robi strachi”, cosa senza senso. Smorbi, incontentabile, persona che non trova mai niente di suo gradimento, eternamente insoddisfatto. Strêcc, stretto, pesce d'acqua dolce. Scrôbi, scoprire, ritrovare. Sücri, zucchero, si dice anche di persona poco sveglia “L'è ñ povri sücri”. Suplì, sepellire, quando ci si riferisce a persone umane defunte. Sacucion, tasca interna della giacca o del cappotto dove si tiene abitualmente il portafiglio. Scugnà, soffocare, morire dal caldo. Stupà, tappare, sia i buchi che le bottiglie. Svuens, sovente, molto spesso. Stron, seppellitore, becchino, l'uomo che sotterra i morti. Scarvantà, sparire. Sprendi, disimparare, dimenticare. Stavira, questa volta. Svuass, abbondanza, averne da buttare, fino alla nausea. Snebià, schiarire, rendersi chiare le idee. Svarà, attenuare, svanire, riferimento al temporale che smorza la sua violenza e si allontana. Scantira, carne dura che non cuoce in massima parte nervi e pelle, che si tira come elastico. Sêp, ceppo, radici, origini di una famiglia. Snària, zenaria, area di bosco formata da numerosi lotti o punti. Si dice di famiglia numerosa: “Ai son 'na snaria”. Spatulà, sbrogliare una situazione intricata. Sclent, limpido, si dice del cielo sereno, e di ogni cosa di cui si può leggere e capire il significato. Scüsà, farne a meno. Sgugnà, essere fuori posto, essere una stonatura, in un ambiente allegro essere triste, o essere malvestito tra persone vestite bene. Snugêt, quando le gambe si piegano per stanchezza o per debolezza: “fare giacomo giacomo”. Svers, scolorito, sbiadito, ma anche persona di cattivo umore, che si è alzata con il piede sbagliato. Sgiai, ribrezzo, schifo, di cose che fanno rivoltare lo stomaco. Sternì, cosparso: “prà sternì 'd margariti”. Prato cosparso di margherite. Svercià, rimboccare, rivoltare. Smanatà, gesticolare in maniera scomposta. Scamucià, spuntare, sforbiciare le siepi o le bordure delle aiuole. Sgarbiassi, districarsi, uscire da situazioni difficili. Sgarbià, sbrogliare la matassa. Stris-Strisà, longilineo, magro, gracile, affusolato. Surzi, sgorgare, zampillare, si dice di acqua che scaturisce dal terreno. Sbumblì, rimbombare, si dice di locale vuoto che produce echi enormi ingigantendo i suoni e le voci. Spiarà, spigare, emettere la spiga, fase in cui il cereale (riso, grano, miglio, ecc.) comincia a fiorire la spiga. Sbruss, ruvido, superfice granulosa o abrasiva, quale intonaco grezzo, carta vetrata, ecc. Siau, falciatore, l'uomo che falcia il prato. Sbaridà, scamiciato, persona con gli abiti sbottonati e scomposti. Sburs, bolso, persona con tosse persostente e profonda. Sarducà, sobbalzare, squassare del carro, le cui ruote percorrono strade sconnessee. Sarducon, scossoni che si subiscono transitando su strade interrotte da buche profonde che rovinano il piano di scorrimento asfaltato. Smeia, sembra, pare, somiglia. Spatarà, spalmare, es.: il burro o la marmellata sul pane o sulle tartine. Süst, desiderio di una cosa che non si può avere. Stalü, condizione di un animale bovino o equino che è rimasto a lungo nella stalla, specie nei mesi invernali. Sfrasà, abortire, interrompere la gravidanza, con riferimento ad animali gravidi. Smasì, macerare, ammollare, tenere i panni a bagno per sciogliere lo sporco, o i fagioli per facilitarne la cottura, ecc. Suêt, polenta molto tenera da mangiare col cucchiaio. Si cucinava per colazione quando ancora il caffelatte era un lusso. Sareña, rugiada notturna che si posa sulla campagna. Sbufà, scoppiare o bucare una gomma della bicicletta. Scopia, cappello di carta portato da imbianchini e operai che lavorano in ambienti polverosi. Sut, sotto. Smoñi, offrire, da parte del venditore al cliente, o da chi vuol fare un regalo. Scurzin, striscia di cuoio morbido che si usava per i finimenti dei cavalli, e come snodo per il correggiato la cui verga doveva ruotare e oscillare. Smorbi, schizzinoso, persona mai contenta di niente, si dice anche di cavalli da tiro dopo lungo periodo di inattività. Sgugliardà, prelibatezze, che porta- 59 no a peccati di gola. Slacià, svezzare, togliere il latte a una certa età a bambini e cuccioli. Straplà, stracciato, malmesso. Stradvis, cosa che fa senso, che fa impressione. Scarà, scalzare le erbacce con la zappa. Smurbà, dare il chi va là, mettere sull'attenti. Sfaià, esausto dalla stanchezza. S-ciapassà, sculacciare, sculacciata. Stramass, impurità ammucchiate dall'acqua agli invasi. Stravassà, sferzata, essere colpito da ramo verde o da spighe di cereale. Scarpüsà, calpestare, le aiuole, i diritti del prossimo. Sangiut, singhiozzo, il caratteristico disturbo provocato da ingestione d'aria. 60 Sangiutì, singhiozzare, piangere in modo irrefrenabile. Savruma, sapremo, futuro verbo sapere. Stusà, pulire, strofinare. Sbefi, farsi beffa, sbeffeggiare. Sbela, scavezzacollo, discolo. Sfuià, sfogliare la margherita, voltare le pagine del libro. Sfurfuià, fruscio, frusciare. Sertiera, giarrettiera, il classico reggicalze delle donne. Sürbi, assorbire, aspirare. Sgiai, schifo, ribrezzo. Sfrusà, frodare, evadere, non pagare le imposte, frodare il dazio: “sfrusà la bula”, non passare dal daziere a fare la bolletta. Sfrusin, evasore, contrabbandiere. Colui che contrabbanda merci di monopolio: “sfrusin da tabach”. T Tabalôri, uomo bonaccione non molto furbo. Tardoch, appellativo affettuoso usato nel riguardo dei bambini sempliciotti (povri tardoch). T-nebra, tenebra, definizione popolare di uno strumento a percussione usato durante la settimana santa al posto delle campane, detta appunto la settimana delle tenebre; si dice anche di donne che spettegolano ad ogni angolo di strada. Taratatac, specie di scacciapensieri che si ricava dalle unghie del maiale, con uno spago attorcigliato e una stecca di legno che fa da percussione e produce appunto questo suono: taratatac. Trent, tridente, attrezzo agricolo. Trabüchêt, piccolo carro agricolo ribaltabile che serviva per trasportare la terra negli appianamenti in risaia. Tumbarel, grosso carro agricolo ribaltabile che serviva a trasportare ghiaia dal greto del fiume alle strade campestri. Tüpè, oggi significa parrucca, ma nel gergo popolare vuol dire: faccia tosta: “t’à ‘ñ bel tüpè”; hai una bella faccia tosta. Torcia, ramo verde di salice, che attorcigliato si usa per legare le fascine. Traghêt, traghetto, quello che trasborda la gente sul fiume. Traghêt, passaggio difficile, considerato una trappola. Trabatel, scaletta rudimentale usata dai muratori nei cantieri. Trêsch, correggiato, attrezzo agricolo formato da due bastoni uniti ad una estremità da un legaccio di cuoio, uno veniva impugnato e l'altro veniva fatto ruotare in aria e poi ricadere sui cereali stesi sull’aia che, percossi ripetutamente, lasciavano cadere i semi. Era una trebbiatrice rudimentale antichissima. Tumatica, pomodoro. Tê-c, tetto, significa anche uomo con le spalle curve. Tambüssà, bussare, battere all’uscio. Tacunà, rappezzare, rappezzato. Tissà, attizzare il fuoco, aggiungere legna al fuoco. Tacaia, crosta che si forma sul fondo della pentola cuocendo la “panissa”. Trüss, truccioli di legno molto corti. Tabaru, caratteristico mantello nero usato una volta dagli uomini. Tlara, ragnatela. Tupi, semibuio. Trantulà, barcollare. Têbia, tiepida. Tripé, treppiede, supporto che si metteva sulla brace per appoggiare la casseruola da scaldare. Trantarô, uccello insettivoro chiamato pendolino, che costruisce un’artistico nido appeso a un ramo, appunto come un pendolino. Tirêt, cassetto. Tarbulenta, torbida, acqua putrida, limacciosa. Tnaion, mollusco, che prolificava 61 nelle risaie prima dell’avvento dei diserbanti, provvisto di una terribile mandibola. Tramuà, traslocare, spostare. Tarlandiña, stoffa leggera usata come fodera. Trabudinà, fare un concerto con le campane. Turba, torbida. Tossi, semi, bacche rosse considerate velenose. Tichêta, etichetta. Tirenta, rapida, vortice d’acqua particolarmente impetuoso. Tirânt, tiranti, catene o corde munite di ganci che servivano ad attaccare il cavallo di punta al carro. Trombi, passanti di cuoio in cui si infilavano i tiranti affinchè non sfregassero pui fianchi del cavallo. Tapiss, tappeto. Têta, mammella, “pià la teta”, succhiare il latte dalla mammella materna. Turcêt, torcetto, dolce paesano di pasta sfoglia a forma di cravatta. Tabuij, cane randagio senza alcuna genealogia. Talon, tacco, ma è definito così anche l’ultimo piatto giocando a scopone. Têma, timore, temere. Tirison, maschera popolare del nostro carnevale. Tond, piatto per la minestra. Taschêt, sacchetto, piccolo sacco. Têndri, tenero. Taplin, scheggia di legno prodotta dalle scure nell’abbattimento degli alberi. Turna, vasto appezzamento di terreno coltivato a riso. Turna, ancora, di nuovo. Taburna, casa diroccata, spelonca, catapecchia. Trêmu, albero d’alto fusto della famiglia del pioppo, tremolo. 62 Tarpon, talpa. Trà, spago impeciato che i calzolai usavano per cucire le suole delle scarpe. Topia, pergolato su cui si arrampica la vite. Travà, portico, rimessa per carri agricoli. Taref, malandato di salute, pieno di difetti. Taragnà, tergiversare, tirare per le lunghe. Ten-c, avere la faccia sporca di nero, di fuliggine. Traondi, inghiottire. Truss, torsolo di mela o di cavolo. Tessiur, tessitore, artigiano che tesseva la tela di canapa con il filo che le donne filavano con la rocca, d’inverno nella stalla. Tensiur, tintore, artigiano che colorava la lana e la canapa filata d’inverno. Talocia, tavoletta di legno con manico di forma rettangolare, serviva ai muratori per pareggiare la calce dell’intonaco. Torcianas, serranaso, attrezzo formato da un manico di legno che ad una estremità ha fissato un anello di corda, il quale anello si infila al muso dell’animale, tipo cavallo, maiale, ecc., all’altezza delle narici. Quando l’animale scalpita, si torce la corda che stringe le narici costringendolo a fermarsi. Tavân, tafano, insetto estivo che si accanisce in particolare contro i bovini, provocando loro delle piaghe sanguinanti. Tanavela, mosca verde dotata di acuto pungiglione. Trêtuli, grumi di sterco, che si attaccano alla lana delle pecore, al pelo delle capre, alla coda dei bovini. Têia, baccello, l'involucro che con- tiene i piselli e i fagioli. Tüsu, avaro, persona parsimoniosa che ama il denaro. Tarducà, parlare sottovoce tra due persone, facendosi delle confidenze, raccontarsi i propri dispiaceri. Teñadament, delusione, fregatura, cosa da legarsi all’orecchio, per ricodare nel tempo. Taraud, madrevite maschio, serve per fare la vite femmina. Tissuniè, attizzatoio. Türcia, sterile, con riferimento a donna, o femmina di manimifero, che non genera figli. Tiron, coscritto di leva. Trapulin, abitante della zona tra il Po e il Lino, quel fiume fantasma che dovrebbe scorrere sotterraneo sulla costa che sovrasta Trino. Turciarô, imbuto, quello che serve per travasare liquidi. Gorgo che si forma negli invasamenti dei corsi d'acqua. Trapanà, trapassare da parte a parte. Taia, l'imposta che si pagava sui terreni e fabbricati. Tron, tuono, la voce del temporale. Trisià, frequentare, determinati ambienti e determinate persone. Tarbulà, intorbidire, sporcare le acque limpide. Tiraout, fionda, arma già conosciuta nella preistoria oggi usata dai ragazzi scavezzacollo. È formata da una forcella di legno a forma di V, due elastici di camera d'aria, legati per un'estremità alla forcella, le altre due estremità, unite a un pezzo di cuoio portasasso. Tirando gli elastici e poi mollando si scaglia la pietra. Tacà suri, aggiogare gli animali al carro o all'aratro. Tera crea, terra argillosa, quella usata per fare mattoni. Tirela, filo metallico che regge il filare della vite. Tuch, avariato, frutto bacato nell'impatto col terreno su cui cade quando è maturo. Si dice di persona non molto equilibrata nella mente. Tuiot, bocchino in cui si infilava la sigaretta per darsi un contegno in una certa epoca, quella delle donne fatali. Taiola, carrucola su cui scorreva una fune, che mediante una trazione manuale serviva da montacarico. Tumêt, dispiacere, peso sullo stomaco, pena che non si riesce a sfogare. Tarpunat, talpaio, cacciatore di talpe. Catturava le talpe mediante trappole che collocava nelle gallerie scavate dalle medesime. Trasà, sprecare, sciupare, usare a piene mani, senza parsimoniaa. Trücià, imbrogliare il prossimo negli affari. Trücion, sensale, mediatore, colui che faceva da tramite tra le due parti nella conclusione degli affari. Tastà, assaggiare, prendere un assaggio. Tasson, grosso bicchiere di vetro col manico, della capienza di un quarto di litro, per servire nei locali pubblici vino o birra. Tnaia, tenaglia, quella usata per levare i chiodi dal falegname, e quelle di forme diverse usate dal fabbro per maneggiare il ferro rovente. Travinà, infiltrare, tracimare, recipiente pieno d'acqua che trasuda o ha piccole perdite. Tâmpa, fossa settica, pozzo di decantazione, serbatoio di pozzo nero. Tardià, ridardare, arrivare in ritardo, orologio che rimane indietro col tempo. Traulizà, oggetto con colorazione tigrata o marmorea. Trêsca, piazzola formata da covoni 63 di grano o di riso, che vengono così disposti e poi fatti calpestare da animali bovini ed equini onde far cadere i chicchi che saranno poi usati come semente. Trüssà, incornare, caricare, sistema di difesa di bovini ed equini, sia contro gli uomini, sia contro i loro simili nelle lotte amorose, per la conquista del territorio e delle femmine. Trià, tritare, tagliuzzare verdure, carne, ecc. 64 Tedia-da tedia, dare ascolto, ascoltare per dare soddisfazione all'interlocutore. Tola, latta, faccia tosta. Turututena, squinternato, fanfarone. Tramuà, traslocare, cambiare di posto. Tensi, tingere, sporcare di fuliggine. Trapanà, trapassare, passare attraverso uno spessore. Troua, condotto in legno o muratura per l'acqua. U Uacià, stare sdraiati a prendere il sole. Uast, guasto. Uiss, acuto, aguzzo. Ugin, occhiolino. Uchêt, papero. Urciunà, spingere, spintonare. Urm, olmo. Uastà, guastare. Uregia, orecchio. Uata, indumento femminile, sorta di corta giacca stretta in vita con piccolo volant arricciato. Uluch, allocco, uccello rapace notturno, ma si dice anche di persona non molto sveglia. Uernà, conservare, governare. Urba, polvere di fieno. Uari, uari, così, così. Ufela, ciambella col buco. Umbrija, luogo ombreggiato dove non batte mai il sole. Ungià, unghiata. Uernaquatrin, salvadanaio. Umnêt, attaccapanni, gruccia per appendere gli abiti dell'armadio. Uatrui, persona sciatta e disordinata, che non cura nè il fisico, nè i vestiti. Ueva, vedova. Ufela, la crosta della polenta che si staccava dal paiolo. Uernì, addobbare, guarnire. Uvara, ovaio, l'apparato della gallina che fabbrica le uova. Ugiai, occhiali. Uason, uatu, due parole che indicano la stessa cosa: grossa zolla di terra indurita dal sole. Uari, quanto; uari uari: così così. Ursüm, cipiglio, maniere rudi, tono perentorio e autoritario. Urêgia, orecchio umano o animale, ma anche la piega che si fa alla pagina del libro, rivoltando l'angolo verso l'interno per tenere il segno. Uieist, lunga verga con la quale si guidavano e si punzecchiavano i buoi. Uiciu, piccola moneta: “l'a nen in uiciu”, è senza una lira. 65 V Valospi, scintille che si sprigionano da un fuoco di legna e volano nell'aria. Vardurè, venditore di verdura. Vegia, gibigiana, illuminello, barbaglio, vecchia, raggi del sole concentrati sullo specchio e diretti in determinata direzione. Vistimenta, vestito della festa. Visassi, ricordarsi. Visà, avvitare. Vira, una volta. Visca, accesa, accendi. Vêndri, venerdì. Val, vaglio, ampio contenitore di vimini aperto su un lato con due manici, serviva a dividere i cereali dalle impurità, imprimendogli un continuo movimento dal basso all'alto, comee agitare un ventaglio. Vei, vero. Vasivà, versare. Vasivon, individuo che parla a vanvera. Vâña, inutile. Vessa, animale simbolo della pigrizia. Vêssa, veccia, erba infestante che matura baccelli di semi neri, molto appetiti dai piccioni. Varì, valere. Vansruij, avanzi, rimasugli. Vümnà, steccato, staccionata. Vitiprà, infastidire, infastidito. Visigà, essere continuamente in movimento come le api. Vacadi, stupidaggini, fesserie, discorsi senza senso. Vassela, botte per il vino. 66 Venta, bisogna, aggettivo che precede un verbo, tempo infinito: “venta fa, venta dì”, bisogna fare, bisogna dire. Vêghi, vedere: “Va vêghi”, vai a vedere. Vidon, grossa vite, tipo quella della morsa. Vêru, cocci, frantumi, oggetto di vetro o ceramica che cade e va in mille pezzi. Veru, verro, il maiale maschio da riproduzione. Vilì, disprezzare, calpestare, odiare. Visà, ricordare, riportare alla memoria. Ventula, attrezzo agricolo usato per impalare i cereali. Era fatto interamente di legno ricavato da un tronco di legno dolce, aveva la forma di coppa e terminava con una lunga impugnatura. Ventulot, attrezzo come il precedente ma più piccolo, veniva impugnato con una sola mano. Veniva chiamato anche “palot“ o “sissulot”. Viru, oca maschio, e anche il richiamo usato per radunare le oche: “Viru, viru”. Si definisce con questo appellativo una persona un po' tarda: “T'è 'ñcantaà cmè 'ñ viru”. Veia, mozzicone di sigaretta, la cosidetta cicca, ma ancora un po' consistente, da cui si potevano ancora tirare alcune boccate di fumo. Vaca doma, mucca nostrana, addestrata a trainare il carro (barossa), l'aratro (sloria) e lavorare nei campi. Vuiacc, voialtri, pronome indicativo. Vôia, voglia. Vôia, vuota, senza contenuto, persona che fa discorsi senza nesso. “La va d'an val an curbela”. Varnaia, foraggio, provvista di foraggi per l'inverno. Vargion, pertica lunga e sottile di legno forte e ancora verde che si usava in particolare per incitare e sollecitare gli animali. Vargiunà, percossa inflitta con la pertica suddetta. Voti, bighellonare, andare in giro. Valantisa, bravata, azione che si compie cercando di mettersi in evidenza, magari a scapito di altre persone. Veria, rondella di ferro usata come spessore, oppure braccialetto di ferro che si usa per rinforzare le estremità delle mazze di legno e dei manici di determinati attrezzi agricoli. Vasêt, piccolo vaso, panzana, battuta di spirito. Valuspà, inizio di una nevicata, quando cadono i primi radi fiocchi di neve. 67 Z Zigula, erba acetosella, cresce nei prati a primavera, di sapore acidulo, viene masticata volentieri dai ragazzini. Zigulon, romice, erba infestante dei prati, che si estirpa in primavera: «rancà 'i zigulon». Zibech, uva passa, uva sultanina, da mettere nelle torte. Zachè, giacca. Zuri, sopra, al piano superiore. Zoncli, cinghie di cuoio che si infilavano alle corna dei buoi per aggiogarli al carro. Zasün, digiuno. Zilêt, bambino che va all'asilo. Zuvu, giogo di legno, semplice o doppio, serviva per aggiogare i bovini al carro. Zêbia, ferita che si forma nel midollo di un albero. Zà, già. Zanzivia, gengiva, persona con poco sale in zucca. Zü, giù, di sotto. Non ho la presunzione di ritenere questa raccolta di vocaboli in dialetto nè completa nè esauriente. Pertanto invito altre persone più giovani e più brave di me a completare l'opera di conservazione del nostro dialetto trinese, quello autentico, non ancora inquinato da italianismi. Grazia a chi raccoglierà l'invito. Olimpio Ferrarotti 68 MODU 'D DÌ E PRUERBI TRINEIS 69 70 MODU 'D DÌ E PRUERBI TRINEIS Trist cul'ann, che 'l Dominu 'l ciapa 'l Giuan. Se 'l fioca 'ñs 'la fôia dal muron, l'è n'iver da cuion. I'omni iân l'anas cmè 'i cân, antè ca'i trou duert ai vân. Specià ca'i riva la smâña di set giobia. Quând che l'omu 'l fa tera, la dona la ven bela. Se l'omu l'ass tâncc ôcc cmè che 'l cribi l'à tâncc bôcc, la dona glià fareia 'ñcù 'ñs i'ôcc. Se la merda la monta 'ñ scagn, o la spüssa o la fa dagn. Pasqua la veña quând ca l'à vôia, la gaba l'à la fôia. Ogni crava 'l so paluch, ogni socla 'l so suclon. Spusa bagnaia spusa furtünaia. La Madaleña, gran aua la meña. Nadal sensa lüña, chi l'à dü vachi nu vend i'üña. Quând la nebia la crôb al ciel, dop, al sul al ven pü bel. Ai ven nen carvà sensa la lüña nôva 'd favrà. Mars, ventreia che nânca 'ñ rat al pissass. Avril, nà rusà tücc 'i dì. Avril l'à tranta di, se 'l piuviss trantün ai fa mal a nün. Magg, la biava 'l lacc. La galiña ampnija la manten al nil. Nus e pân l'è mangià da cân, pân e nus l'è mangià da spus. Tüt al ven a tai, fiña i'ogni da plà l'ai. Augià cürta ben as cüs, augià longa 's tura ben al füs. L'Ascension, as porta 'i bigat an pursission. Se 'l piôv la rimuliva al piôv set festi la fila. La Madona Siriola, quaranta di pô suma fora, se 'l piôv o 'l tira vent, quaranta di suma 'ñcù den. Fioca d'amnua, la düra fiña tacà la cua. La lüna l'à 'l rò, o vent o brô. Fioca 'd zembriña, tre meis la cunfiña. Se 'i cânta 'l gal al giuch, 'dmân i'uma 71 l'aua sut. Sân Lurens, l'ua la tens. Al seren 'd la nôcc, al düra tâhnt cmè 'ñ püm côcc. Nadal cun al sul, Pasqua 'l tisson. Sân Michel, la marenda la vola 'ñ ciel. Al vent al môr mai 'd la sei. Tampural 'd la matin, l'à nè prinsipi nè fin. La Pifania, tüti 'l festi la meña via, dop disnà l'è Carva iù meña turnà 'ñ sà. Quând che 'l sul al turna 'ñdrè, 'dmân iuma l'aua 'i pè. Al mantel, l'è nen bon almach per na piôva. Sold e capon ai son bon tüti 'l stagion. Asu vecc, bast nôv. Se 'l piôv l'Ascension, la paia a bei baron. Se l'è gram l'ann bisest, trist l'ani ca 'i ven apress. Quând che 'l cül al ven früst al Patarnost al ven giüst. Ant l'ort dal Dêdi, iè tâncc pivron ca 'l smeia nen da crêdi. Sân Bartramè, l'aua l'è pü nen boña da lavassi 'i pè. Sânt'Antoni, n'ura boña. L'à nen tânt lard da daij la gata. Ogni d'ün a cà sua, 'l meña 'l cül e la cua. Nivu facc a pân, se 'l piôv nen añcô 'l piôv admân. Par cunossi la gent, venta mangià la sal ansema. La galiña vargugnusa, la va dromi cun al gavass vôi. Uardà chi ca l'à la testa pü grossa. Uflè uflè, ogni d'ün al so mistè. L'Ascension, al gati 'i veñu a baron. Grân e fen, an quindas di 'l ven. Se 'l sul al cala drera 'l caplon, 'dmân l'aua a baron. Suchi a amlon, ogni früta la so stagion. As pol nen teñi dui gal ant'in pular. Sânta Lüsija, 'l pass 'd la furmija. Al ris dal Barba Steu, 'l fa 'l bavi longhi. Sânta Cataliña, 'l vachi sut la cassiña. Ai tuca cantà e purtà la cruss. Sânt'Andrea, 'l frêcc al monta 'ñ careia. L'erba 'd l'avsin, l'è semp pü verda che la nosta. Sân Bastiân, la viulêta 'ñ mân. Fami nen stapà 'i fut. 72 Par nen, iè nânca 'l cân ca 'l meña la cua. Al Giuan 'dla vigna, 'ñ poch al piâns e 'ñ poch al ghigna. Ogni d'ün, al tira l'aua 'l so mulin. L'è cmè 'l bô 'd Bassach, che par nen bagnassi l'andava 'ñt l'ariân. Par uardà la mica, 's gionta la brica. Le meij l'ôv ancô, che la galiña 'dmân. Chi 'l uarda 'l büschi 'd i'acc, l'as-ciara nen i so trav. Chi 'l và 'l mulin a s'anfariña. Al past l'è nen facc, fin che la buca la sà 'd furmacc. Sbatà via la fioca e massà la gent, l'è travai inütilment. Par 'na pica, 's gionta fiña la burica. Par aveini sè, venta vansani. Iè nen tânt da fa l'erlu. Taca nen tâncc cantin. Genar al fa 'i pont, Febrar o ca iù romp, o ca iù'rzonz. Tà 'ñ fa stami 'ñ pandêta. In pari 'l manten set fiôi, set fiôi ai manteñu nen in pari. Maton 'd munfrà, cun trant'agn e 'na giurnà. Vin e brô, as nu pol fa fin ca's nu vôl. Cun al but 'd la mel, as ciapa 'l muschi. L'è cmè 'ñ cân sensa padron. La fam, la fa sorti 'l lüv da 'ñt 'al bosch. Quând che la barba la ven bianchin, as lassa perdi 'l doni e 's serca 'l vin. Guai a cul ca s'ancaprissia, da vêghi giüsta la giüstissia. Se 'l travai al füis nen fatiga, ai travaireia fiña Madama Ludviga. Chi 'l travaia 'l mângia la paia, chi 'l travaia nen al mângia 'l fen. Al butal cit, l'à 'l vin pü bon. L'è meij al vin coud che l'aua frêsca. Venta daij 'ñ culp al sercc e l'at la dua. Vistissi, svistissi, 'ñdà spusi sens'ampissi. La melia rara, l'ampiña l'ara. Al pân dal padron, l'à set crusti. Al va da 'ñ val an curbela. Se 't vôli 'ñ cân da cassa, venta pialu 'd la rassa. Chi 'l mângia la muleia cun i dencc, al mângia la crusta cun al zanzivij. La fioca la meña 'l saren. Da 'ñt'in pum, ai pol nen sorti 'na brigna. As lassa tirà cun 'na bavela. 73 La galiña ca la cânta, l'è cula ca l'à facc l'ôv. stra. Son fortünà cmè i cân an geisa. Chi 'la fa, 'la specia. Quând iè via 'l gat, ai rat ai balu. L'è meij n'andà che sent anduma. La gata füriusa la fa i gatin borgnu. L'è viv cmè la puvri. Mantni lü, mantni 'l so caval. Par daposta o par dabon, lasti mai bütà 'ñ parson. Al gava l'ôv da sut la pita sensa fala crià. Chi ca 'la 'ñ mistè par mân, ai mancrà mai al pân. Se 's ruia la brasca, ai scapa 'l valospi. Antânt che 'l cân as grata, la levra la scapa. L'è gram cmè la tuss. La strà bela l'è mai longa. Mal i dencc, l'è mal d'amur. Ogni sânt ai va la so candeila. Tra fà e disfà, 's ten ampè la cà. Tücc i dì 'i nu passa i'ün. Al ris, al nass ant l'aua e 'l môr ant'al vin. Chi 'l va piân al va sân e 'l va luntân. Tücc i'üss, iân al so tambuss. L'ôv sensa sal, al fa nè ben nè mal. Sold e amicissia, 'i rompu 'l col a la giüstissia. Du doni 'i fân in marcà, tre doni 'i fân 'na fera. L'è meij essi 'ñ gram padron, che 'ñ bon garson. Quând ca s'è 'ñ bal, venta balà. La galiña vegia la fa 'l brod bon. L'è surd cmè 'ñ tarpon. Al souta da 'ñ val an curbela. Tra tüta l'urtaia, la pü boña l'è la pulaia. Quând che l'ostu la sta 'ñs la porta, ad vin ai gnè da scorta. La vegia 'i rincrêss muri, parquè nu'mprend i'üña tücc i dì. L'è riss cmè la cua 'd na berta. Al gira cmè añ vuindu. Tücc i cân ai bugiu la cua, tüc i cucu 'i vôlu di la sua. Asu 'd natüra, al sa nen lesi la so scritüra. O mângia s'amnestra o souta sa fne- Mângia e spua via i''oss. 74 La grassa la sta nen ben, fin che magra la ven. Bel an fassa, brüt an piassa. A l'è meij in bon amis che sent parent. L'è ciar cmè 'l liri. Se 'l nivuli 'i vân an muntagna, pia la sapa e va 'ñ campagna. Vendi par set o par disset. Dop ca iè scapà 'i bô, 'i seru la stala. Ai parent ai son cmè ià scarpi, pü 'i son strêcc pü 'i fân mal. Mort al cân, morta la rabia. La roba, l'è nen ad chi 'la fa, ma 'd chi 'l la god. L'è nen bel lon ca l'è bel, l'è bel lon ca 'l pias. Prüma da fassi iütà, l'è meij fassi strüsà. La cativa lavandera, la troua mai la boña preia. Al Signur al lassa fà, ma nen strafà. L'à vôia 'd mangià, cmè 'l gat barlicà 'l fô. Chi 'l vêgh, al sent e 'l tas, al lassa 'l mond an pas. La bela Maria, tüti 'la vôlu, ma nün al la pia. Al vôl mustaij 'i gat rampià. Pelu russu cativa bestia. Chi ca l'à tort, al crija pü fort. Tropa confidensa, as perd al rispet e la riverensa. Al pia 'l lüv par in süch. L'à poca paia 'ñt la bastiña. Grâmd e gross, ciula e baloss. L'è longh cmè la Quaresima. Ventà parà 'ñ zü e spuà duss. Ai va tüt a toch cun tumatichi. Usel an gabia, se 'l cânta nen par amur, al cânta par rabia. Pagà e môri, iè semp a temp. L'è meij n'asu viv, che 'ñ medi mort. La maia barnarda, pü 't la tiri pü sa slarga. La dona, nu sà i'üna pü che 'l diau. Fa 'ñ bon past e 'na cativa smâña. Al diau, al fa 'l ramiñi, ma nen i quercc. L'ôcc dal padron l'angrassa 'l caval. Venta mai büta 'l car dadñan di bô. La mnestra, l'è la biava 'd l'omn. Chi l'è schivius a l'è scarus. An mancânsa di cavai, ai fân trutà i'asu. Savei la rava e la fava. 75 Venta semp grupà l'asu 'ñtè ca 'l vôl al padron. Al mistè dal Miclass: mangià, beivi e' ñdà spass. La pü boña misiña, pulpa 'd galiña e brod ad cantiña. L'à facc n'ôv fora 'd la cavagna. L'è pü neij che 'l tabaru dal diau. Ai var pü tânt la pratica che la gramatica. L'à nè puvri, nè bali, nè s-ciop da sparà. Agust l'è cap 'd l'inver. Ai custa pü la corda che 'l barlêt. Chi pü 'l spend, menu 'l spend. Blagà cmè n'anciua. Par cumparì venta sufri. Lüstar cmè 'ñ pavon. L'è grusser cmè la stubia. Chi 'l büta buchin, al büta quatrin. Fati 'ñ là parô, ca 't tensi la me ramiña. Se 't vôli la verità, 't devi sentla dal masnà. Al fa 'l cuion, par nen pagà la sal. La roba vegia 'i fa unur la cà. Chi l'è ciula al paga la buta. La vaca 'd Valensa, cmè la fa la pensa. Nebia bassa, bel temp al lassa. Sân Simon, uardemi 'd la losna e da 'l trôn. L'istà 'd Sân Martin, al düra da la seria a la matin. L'è scricc ans la preia dal Dom, che 'na bela dona la pia 'ñ brüt omm. Chi l'à passiensa cun al fi, l'à passiensa cun al mari. L'omu, l'asu e 'l pulon, ai son tre cuion. Iè nen 'na bela scarpa, ca la veña nen 'na brüta savata. Al sach vôi, la sta nen an pè. L'è cmè ciamaij la curoña n'abrè. Al cân ca'l boula, 'l mord nen. Lengia 'ñ buca, a Ruma 's va. Ciamà l'è metà vivi. 'Na vira 'i cur la levra, n'atra vira 'i cur al cân. I cavai 'i son nen tücc da posta, nen tüti 'l paroli 'i meritu risposta. Ragn ad matin, al porta sagrin, ragn ad sera, bona nôva sa spera. Al pü brav di russ, l'à sbatà so pari 'ñt 'al puss. Al düra da Nadal fiña Sân Steu. Tera neria, la dà bon früment. 76 Al sbaglia fiña 'l previ di mêssa. L'è cmè 'ñ sach sensa fond. Chi 'l giôga 'd testa al paga 'd bursa. L'è bon da fa 'd l'ôli. Chi l'à 'l difet, l'à 'l suspet. At mângiu fiña la s-ciânch dal gâmbi. La canson par essi bela, la va cürta. T'e nânch padron 'd la ciav di canavôi. La farina dal diau, l'adventa tüt brên. Venta mai fa 'l pass pü longh che la gâmba. La sêgia la va tânt al puss, fin ca 'i lassa 'l mâni. Al lüv al perd al pel, ma mai al vissi. Al paroli 'i son cmè 'l ciresi. 'Na grama cuia iuma mangiala 'ñ vêndri. Al va tânt l'usel a l'aua, fin ca 'i lassa 'l bech o l'ala. L'inver, l'à mai mangialu 'l lüv. Tücc i grup ai veñu al peciu. Al cân magar, tüti il muschi 'i curu press. Tücc i trop ai uastu. La roba 'mprastaia l'è mesa regalaia. Vissi 'd giuvantüra, 'i meñu prestu la sipultüra. 'Na vira prüm caval 'd l'asu. L'è nen tüta fariña dal so sach. Chi 'l fa cmè 'l previ 'l fa, cà dal diau al va, chi 'l fa cmè 'l previ 'l diss, al va 'ñ paradis. Amur 'd fradel, amur 'd curtel. Al sul 'd favrè, 'l fa môri la nona e l'amsè. Al pân ampramuà, l'è bon da rendi. Se 't vôli truà i'ün anteressà, venta ca't serchi 'ñ previ, o 'ñ fra, o i'ün sensa masnà. Ciavatin cun i'à scarpi furaij, sartur cun al braij s-ciancaij. L'è meij cariati che 'mpiti. Par ogni usel, al so nil l'è 'l pü bel. Al dui febrar, l Madona Siriola, quând ca la ven? Se Sânt'Urss al fa suà la paia, o ca l'è fioca o aua slaia. La roba rubaia la fa nen bon arquist. L'è nè da futi, nè da fa ciar. Al piâns acmè 'na vi. Ai taiu l'erba da sut i pè. At cunossi nen l'erba ca la fa 'l gran. Iân semp pagüra ca 'i mânca la tera da sut i pè. At sa nen antè ca'i vendu la sal. 77 Chi l'è busiard, l'è ladar. L'è vôi cmè 'na cana. Cmè 'i fa la giôbiâña 'i fa tüta la smâña. Ai resit fiña 'l porch ans l'arbi. Se t'à mal la pânsa, va cagà 'ñ Frânsa, tra 'ñdà e mnì, mal la pânsa l'è uarì. L'à la ghigna cmè 'l cül. L'è cmè 'l mulin 'd la Cantarâña, quând ca iè l'aua 'i mânca la grâña. Va ciapà di rat cun la cana. Temp e cul, al fa cmè ca 'l vôl. Vati scondi 'ñti prà taià. Suma pulid cmè n'anel. Al pol pü nè fügi nè curi. Venta piani i'ün par bati l'at. Al sa nè parlà nè tasi. Se ta s-ciari 'na caria 'd paia, la giurnà la finiss an bataia. Al mang-reia 'l ben ad set gesij. La roba truaia l'è mesa rubaia. Chi 'l cünta 'i so uai an piassa, chi 's nù sbüsa e chi 's nù spassa. Suta 'na lantia, iè 'na bela fija. Faij schergni la lüña. Dona giuvna e omu d'età, 'd masnà i'ampinissu la cà. L'è 'ñcò 'ñca 'ñcô. Venta fa pular nôv. Al sa pü nen che sânt arcmandassi. Chi d'amur as pia 'd rabia 's lassa. Anduma ciapà da cul cò. L'è nè da futi, nè da fa ciar. Pân e vin e oca, se 'l vôl fiucâ ca 'l fioca. Al Signur ca 't cunserva la vista, che l'aptit at mânca nen. Chi 'l lassa la strà vegia par la nôva, 'ñganà si trôva. L'è biut cmè 'ñ verm. La vulp ai fa la predica 'l galiñi. L'à fami fa 'na figüra da ciculatè. Al tort l'è mort maton, parquè nün a lu vol. L'è svers cmè 'na manissa. Suma Peru cmè chi i'eru. L'è surd cmè 'na büss. Al gerna cmè 'ñ Catalân. L'è borgnu cmè 'ñ pum. L'è gnurant cmè 'na sêpa. 78 A l'ombra dal campanin, ai manca mai nè pân nè vin. L'è maru cmè 'l tossi. fiña 'l Signur. A l'è 'na gussa d'or. Lu ten cmè 'ñ papè 'd müsica. Iè da fassi cmè 'ñ babi. Se 'l pol nen bati 'l caval, al bat la sela. Ai crêdu d'andà 'ñ gloria 'ñt 'in sistin. Par i'ün trist, lu pagu sent giüst. A l'è scüri cmè 'ñ buca 'l lüv. L'è ardì cmè 'ñ sigulin. Ai pias dromi fin che la vaca la cânta. Venta mai lassassi büta 'i pè 'ñs 'al col. Mangià 'ñ pum al dì, sensa medi sa sta ardì. A sân Giuan as rânca l'ai. At vari nen in'orbu. A sân Valentin, as samna 'i piantin. L'è cmè bütà na caramela 'ñ buca n'asu. La ven a verssi sêgi. Par stà vira, iuma tacaij na ciapa. Al Signur iù fa e pô iù cumpagna. Nas ca 'l pissa 'ñ buca, guai a chi lu tuca. Truassi 'ñ mes l'inquisu e 'l martel. Carn ca sa stira, la var nen 'na lira, dopo ca l'è stirà iè nün sold ca 'l la possa pagà. Fra Mudest, l'adventa mai Priur. Carn ca la crêss la sta mai ferma. Se 't vôli nen che 'l carton al sübia, venta onsij 'l roui. La vôia dal marià, la ven cmè la vôia 'd cagà. Ai ven la vista ca la fa Batista. Chi la pü fil, al fa pü telia. T'à slargami 'na spana 'd côr. A Sân Martin, al must l'è vin. L'è 'ñcantà cmè 'ñ viru. Se 'i cânta la râña, la piôva l'è nen luntâña. Venta sgnassi cun la mân manssiña. Drucà da 'ñt la pela ant la brasca. Sach papè, pistola 'd paia. Chi 'l dovra nen la testa, al meña 'l gâmbi. Antè ca 'i riva 'i müradur, 'i fân scapà L'ann ad trêdas lüni 'l fa piânsi 'l masnà 'ñt al cüñi. Magg urtulân, tânta paia e poch grân. Se 'l fa bel a sânta Bibiâña, 'l fa bel quaranta di e 'na smâña. 79 Quând ca l'è nivu, l'è privu. Mort in Papa, nu fân in'at. Se nuvembar al troña, l'è n'anada boña. Quând che mal a l'à d'andà, fiña 'l galiñi 'i fañ fora 'd cà. Uarti chi 't uardrô. O tüt câmp, o tüt prà. Chi l'à pagüra 'd l'infer, al fa la fam istà e inver. Robi giüst, mai al mond. Sânt'Anzêgn-ti l'è ñ grân sânt. Al clomb, al mângia l'or e 'l caga 'l piomb. Iân rangià cula dal bütir. Chi 'l manten nen cân e gat, al manten ladar e rat. Iè 'lmach al muntagni ca 'i stân fermi. Ca dal frè venta nen tucà, cà dal spissiari venta nen sagià. Quand che 'l clomb l'è pin,. la vêssa l'è mara. La nôcc l'è la mari di pensè. Temp e paia, 'i madüra 'l nespuli. L'è mei têmi che trêmi. Al mal al ven an carossa e 'l va via a pè. Par in poncc Martin l'à pers l'asu. Ampramuà sensa rendi, l'è vivi sensa spendi. As pol nen gavà 'l sângh da 'ñt na rava. Ai var pü la pratica che la gramatica. Venta nen vendi la pell 'd l'urss, prüma d'aveilu massà. Buton ca 'i lüsu, o ca 'i tensi o ca 'i brüsu. La scua nôva, la scua ben la cà. Fin ca 'i gnè viva 'l Re, quand ca 'i gnè pü viva Gesü. Chi 's leva prêstu la matin e 'l va dromi bunura, 'l mânda 'l spissiari 'ñ malura. La pulenta, pü l'è oncia pü 'la va zü cuntenta. La dona l'è cmè 'l cutlêti, pü 't la bati e pü la ven têndra. Fin che 'l fich l'è nen visti, svististi nen nânca ti. L'è mei cunsümà 'l scarpi che 'i lansô. Pânsa vôia la vol quaicos, pânsa piña la vôl ripos. Par fa 'i taiarin, se t'à nen l'ôv, fatlu 'mprastà 'd l'avsin. Mei in bon amis, che 'ñ gram parent. L'è nen bon fa n'o cun in bicier. Tantu furtünà, che se 'l feisa 'i capei ai nassu sensa testa. 80 L'è nen fariña da fa 'd i'ostij. Nüñi nôvi boñi nôvi. Al va cmè 'i bô 'ñt la melia. La sucieta l'è boña par na marenda. Chi 'l vânsa par admân al vânsa par al cân. Venta mai di quat, fin che l'è nen ant'al sach. L'è scanà cmè 'l fânt da pichi. L'è 'ñtrei cmè 'na sepa. Tra mari e fia, iè nün ca s'asgarbya. Cuntadin, bray 'd früstâña e sarvel fin. Purtà 'i baston sleià, iè d'amprendi giernà. L'è russ cmè la losna. T'è 'ñt al mond parquè iè tânt post. Ai son cmè cül e camisa. Ai son vira couss e 'ñ cua. L'è tântu grossa ca l'asmeia na barossa. La ven pü larga che longa. L'à bütà 'i furniment da vitüra. Al parent l'è cmè 'l pess, dop tre dì 'l spüssa. L'è fürb cmè Garabuia. L'è 'ñdà 'ñ tera cmè 'ñ lardon. L'à fani da vendi e da pendi. L'è plà cmè 'na gaia. Parola 'd buca, tânt la var cmè poch a la custa. Ott etu a tücc, novetu quaidün, in chilu a nün. Chi 'l drom a magg, al zazüña a setembar. Quând l'omm al meur la dona la fa deur. Dona e teila 's uardu nen al ciar 'd la candeila. L'è n'at para 'd mâgnii. Chi 'l sta ben al bugia nen. Quând al puss l'è sücc, as capiss què la var l'aua. L'ha tânt ant la ment Diu, ca'l perd fiña l'anima. Par ancô, suma 'ñtè chi suma. Chi 's bagna 'l meis d'avust, al riva nen a beivi 'l must. Chi 's seta 'ñs la preia 'l fa tre dagn: al ven anfargià, al früsta 'l bray, al cül al fa nün uadagn. Fa dal mal as fa apcà, fa dal ben l'è temp sgarà. L'è bon bati e virà mân. La smurbietà la meña vissi. La dona ca la piâns e 'l caval ca 'l süda, ai son pü 'mpüstur che Giüda. Fami ne andà fora 'd carzà. 81 Ai mânca semp disnov sold par fa 'na lira. Chi 'l sta 'ñt al so desert, nè 'l uadagna e ne 'l perd. L'omm quaând al nass l'è bel, quând sa spusa l'è cuntent, quând al môr l'è brav. L'è scüri cmè 'ñ buca 'l lüv. Al sa pü tânt in fol cà sua che n'ansantur cà 'd i'acc. Al tort l'è mort maton parquè nün lu vôl. Venta bati 'l fer fin ca l'è coud. Al risot l'è la biava 'd l'omm. Par Sânta Crus ogni percia la so nus. La buntà 's dovra cmè cüra, parquè la blêssa poch la düra. La dona l'è cmè l'onda, o ca's suleva o ca la fonda. San Michel dnân o drè 's lava 'i pè. S'arpya set viri cmè la tampesta. A grân as samna 'ñt al puvrass, al ris ant al pautass. Ai bugia nen 'na fôia sensa che Diu vôia. Piôva d'avust, l'è or ca l'adventa must. Parola 'ñt l'urya l'ufend la cumpania. Posa piân dal bot fort. Và zü pân che la cumpanà l'è zà dadnân. L'è cmè Madama Ciribouda, 'ñ poch l'è frêgia 'ñ poch l'è couda. Travai 'd la cheña 'l fa nen mal la scheña. Venta 'ñvudalu Sân Fransêsch, se'i taca nen al verd ai taca 'l sêch. Par in poncc Martin l'hà pers la capa. L'è giuvu cmè 'na preia cita. I'amiss as cunossi 'ñt la svantüra. Dami, dami nen, pü che 's pass vagh nen. Ai carabiniè cun i fer, ai previ cun l'infer, ai teñu 'l mond ferm. La roba l'è nen ad chi 'l fa, ma 'd chi 'l la god. Ai sânt la fioca 'ñti câmp, ai mort la fioca 'ñt l'ort. La cà grânda la cunoss nen miseria. Suma 'ñtrames tnaia e martel. Chi l'hà 'na cà, l'è sgnur se lu sà. Par al caval al spron, par la dona 'l baston. Par fa 'ñ kirié 'i va 'ñ sach pin ad diné. Chi l'arnunsia a la so roba prüma 'd murì, 'l merita nen d'essi cumpatì. L'è scuri cmè 'l limbu. Tre robi dulurusi 'ñ famija: al camin 82 ca'l füma, al tecc ca 'l piôv, la dona ca la crija. Chi 'l drom cun i cân as leva sü cun al purs. ca'l cur». Du nus ant in sach e du doni 'ñt na cà ai fân scapà. Doni e ochi venta teñ-ni pochi. Al doni e 'i cavai s'amprêstu mai. As fa pü prest ciapà 'ñ busiard che 'ñ sop. Cun al but 'd la mel as ciapa 'l muschi, cun la zil as fân scapà. L'amur, la tuss e la fam, ai son robi ca's fân senti. Ai porch e 'i negussiânt as sà què 'i varu 'lmach dop mort. Ura 'd pagà venta andà dasi, ura 'd pià venta curi. Chi 'l vôl vivi sân e lest, al mângia poch e 'l va dromu prêst. Tücc i sânt ai vôlu la so candeila. Crêpa pânsa, pütost che la roba 's vânsa. Chi 'l fa mal an n'ha 'ñ butal, chi 'l fa bin in quartin. Chi l'ha tâncc fiôi, al va dromi cun al stomi vôi. Ai bicier crêp ai düru pü che cui nôv. A essi galantom 's adventa mai sgnur. Furtüna cmè 'i cân an gesia. Cun l'art e cun l'ingann as viv metà l'ann, cun l'ingann e cun l'art as viv l'atra part. Ai var pü n'onsa 'd furtüña che 'na lira da scienza. Trav an pè e dona 'ñ piân ai susteñu 'l Dom 'd Milân. Chi 'l nass sfurtünà ai piôv ans al cül beli da setà. Dulur ad gumi ed dona morta, 'l düra da l'üss fiña la porta. Diu ma scâmpa d'an cativ avsin e da chi l'amprend sunà 'l viulin. Diu iù fa, dop iù cumpagna, la fin as trou 'ñt la bagna. A la barba grisuliña ai fa ben al brod ad cantiña. Quând la fâm l'è tântu grânda, l'amur al sta 'd na bânda. Pissà sensa tirà 'ñ pêt, l'è cmè sunà 'l viulin sensa l'archêt. Nè dona nè teila, as uardu mai al ciar 'd la candeila. Nè malatia ne parson ai rendu l'omm pü bon. Ai fân pü schivi che sgiai. Al diss al dutur: «Venta nen teñi lon La cumpania 'd la dona: da giuvu l'è da caprissi, a vecc l'è da servissi. 83 Al bôcc 'd la gula l'è strêcc, ma 'i passa cà e têcc. L'è or dublè garantì dal tulè. Apcà cunfessà l'è mes pardunà. La regula la manten al cunvent. Se l'è nen süpa l'è pân bagnà. A quat robi venta crêdi: al sul d'iver, al nivuli d'istà, a l'amur 'd la dona, che dop la piôva l'è bagnà. Venta mai bütà la paia 'vsiña 'l feu. Chi 'l samna vent al rabaia tampesta. Se 'l piôv par San Vì, 'l racolt ad l'ua 'l va falì. Cmè 'i fa la giübiâña 'i fa tüta la smâña. Iuma tiralu bass. L'à semp al bulin an mân lü. Al crêd da fa munarca. Lon che Diu vôl l'è mai trop. La sunada, per essi bela la va cürta. L'è bianch e russ, l'è bon da insi cun in'ongia. Anima tua, bursa tua. L'è murzin cmè 'ñ pân 'd bütir. O tüt prà o tüt camp. L'è drolu cmè 'ñ ciuchin 'd bosch. L'è pü numinà che la bicornia dal magnân. Se 't fa mal tira 'ñ ual. Ai capissu nè stì nè uist. Chi 'l barata 'l grata. Al capiss semp ciò par brocla. Al ten al pè denta du scarpi. Sapà la vigna d'avust par avei bon must. Ant la prüma, tuta l'erba ca l'oussa la testa, l'è boña da fa la mnestra. Chi 'l drom d'avust al drom a so cust. La Quaresima l'è greva par sêndri e vêndri, ma la pias la so pas. Venti essi bon bati e virà mân. Ai nussent ai pagu par i pecatur. La tenca 'ñ camisa, al lüss cun la plissa. L'è pulid cmè 'l baston dal giuch. L'ha i'ôcc anfudrà 'd pel ad salam. Chi 'l fa 'l fala. La culomba l'ha la cua, chi 'l la ciapa l'è la sua. L'à nè dnân nè dreda, cmè 'l mâñi dal cassül. L'è cmè l'or 'd Bulogna, 'l ven russ 'd la vargogna. Chi 'l scua 'l ciar 'd la lüña, 'l scua fora la furtüña. 84 L'è sôlia cmè n'ass da lavà. La dona e l'umbrela, 's lassa nè al fradel nè a la surela. L'à bandunami cmè 'na gaia. Al pân l'à tropa fariña. Al fa tânti viri cmè 'ñ stur. As lassa tirà cun na bavela. Quând l'omm l'è 'ñ pension, la dona l'è 'ñ parson. Fin che i'ün l'à 'i dencc an buca, 'l sa nen lon ca 'i tuca. Al sa nè 'd ti, nè 'd mi. Iè semp al vendri ca 'l mângia 'l saba. Suma a cürti büschi. La roba trop desideraia o ca l'è tampesta o aua slaia. Fami nen amnì i'omi. L'è slaia cmè la tampesta. La furziña la taia cmè 'ñ borgnu. Mars, chi l'à nen ià scarpi 'l va scouss, ma chi ca 'i ià, ca ià porta 'ñ poch pü 'ñ là. La ressia di müradur la taia cmè 'ñ sülot, al sülot al taia cmè la ressi\a. Antè ca 'i gnè 'i nu va. Sessanta, pü nè 'l sübia, pü nè 'l cânta. In toch sul al fa nen fiama. Al va cmè cul di sinch. Venta semp lassà che l'aua la vaga 'l bass. Al nôvi beli 'i stân ans l'uss, culi brüti 'i vân dapartüt. Venta nen tüti 'l muschi daij 'ñ sgiaf. Lacc e vin, ai ven al plagi fin. Suma 'ñt al mân la mari madrêgna. L'ültim rivà a toula, 'i son i prüm a piânsi. L'à nen in uiciu. Ciar cmè dencc ad cân. Avril, che bel drumì, i'usei a cantà, al piânti a fiurì. Quând la va mal, la va mai mal par tücc. Al sa mai antè teñi 'l cül. Chi 'sla pia greva, al la meña greva. Al troua pân par i so dencc. La dona unesta tüt l'ani 'ñ cà la resta. L'è mei in gram istruì che 'ñ brav gnurânt. L'è rara cmè la boña gent. 85 86 PENSÈ 'D LA SERIA, FORA 'D LA REALTÀ 87 OMNI SUL Seria frêgia d'inver, piôva cmè gügi la trapàna la ghigna 'd la gent ca'i traversu 'na sità grisa cmè 'l ciel di sa stagion; na sucietà ca's fana prüma 'd nôcc, par truà cul nà cun la camisa. Omni sul, ai vân nân par marciapé slavà 'd puvri neria, bagnaia 'd la piôva, cichi, spuass, cun al spali ca's piegu suta 'l peis 'd la realtà, al trafich faraginus al scansela 'l vers di pass, ca's montu 'doss i'ün cun l'at sensa diression. Pass incert ad gent ca l'ha pagüra 'd la seria, parquè iù porta vers cà piñi 'd disperassion, antè l'ünica cumpania l'è l'ombra 'd la miseria. A uardà ben si omni 'i son nen sul, tânta gent iù urcioña, iù sbalota d'an cânt a l'at 'd la cuntrà, epüra 'i vivu la suferensa, sulitüdine, turment, ad chi 's sent spers, ant l'indiferensa 'd la sucietà. Sul vlong la strà, 'ñ mes la cunfüsion culuraia 'd l'ura che la giurnà 'i lassa 'l post la nôcc, sul pü tardi 'nt na stânsa 'd la vota parfümaia, antè na stivia pü che scaudà la fa brüsà i'ôcc. Ai son omni ca'i traversu diversi stagion e età, parquè l'è nen dicia che tücc cui sul ai siu vecc, primavera o autügn, ai sân nen cun chi parlà, svuens ai mânca 'l curagi 'd uardassi 'ñt al specc, par pagüra 'd vêghi 'na ghigna par lur frustera. Cust l'è 'l mond d'adess, t'ancontri gent, na vira t'eri amis, adess at uardu 'doss ant na manera, cmè 't füissi 'ñ marziân, l'è na roua ca la gira, ma la fin t'è semp al medem post, ant la cunfüsion, an mes al tran tran ca'l sgüia via indiferent, tânt da ciamati se l'amur l'è 'lmach n'invension, al calur ümân, se s'ancontra l'adventa aveniment. 88 Tânti giuieri lüsenti 'd ciar tânta gent la bragâla, ma tücc as fân i so afari, 'i tiru dricc la so strà, i'omni sul ai passu, cun 'na crus greva spala, al la bütu tüta par supurtà 'l peis. Püra la sucietà l'è piña 'd crus, ma tâncc ai riessu scrulassi da doss cul peis, opüra 'rfilailu a quaidün d'at, magara cui sul ca'l l'hân zà, e'ñveci d'arfüdassi, as fân carich ancà 'd l'atra, parêcc al so piat 'd la balânsa 'l va fiña 'ñ tera. Parêcc la seria semp pü sul e strach, ai strüsu 'l peis sut la piôva fiña es ciassa, ca la fura la ghigna, la miseria iù specia 'ñt la cà vôia, cun 'na suferenza nôva. Omni sul, ant al tran tran 'd na seria d'inver, frêgia, vlongh marciapè slavà 'd cichi, spuass, tânti lüci lüsenti, ma denta l'anima iân l'infer, antânt che sa sucietà civil l'arvitula 'ñcù pü bass. Mi entr ant na ca couda dal calur ad sentiment, ma mi son nen sul cmè si omni sul, l'indiferensa mi 'l la ser fora, trou al cunfort ad la me gent. Tropa gent, ant sa sucietà, la sent pü la cussiensa. 21/01/97 h 23,15/0,15 89 L'UDUR DAL PRUGRESS Al massim riess carêssà cun la ment i'udur ca'i caraterizavu la seria, tüti 'l stagion, ad primavera 'l pudiva essi 'd viulêti, o atri fiur, opüra cul dal mangià 'l fa traondi gulon. D'istà l'era l'udur dal fen, at pensavi 'l gril ca'l gratava 'l so viulin, o l'arsgnôl al cantava l'amur, ai frà e 'l rundâñi 's pusavi 'ñs al fil antânt che 'i cavai al scüri 'i rusiavi la biava. La seria d'autügn la spüssava 'd paia 'd ris, ad fich mamlent, ad pulenta cun la pivrunà, ad füm ad sigala, ad mucc ca'l brüsa 'i barbis, ad must ant al butal, d'omni ca'i sân da strassuà. Fiña l'inver, beli ca 'l smeia, l'ava bon udur, par esempi la füm di camin, la purtava cunfort, cun al bosch ca 'l brüsava, t'añmaginavi calur sân ant la cüsiña, par i povri l'era 'l port. Suquì 's parla 'd tânt temp fà, n'eternità, parquè iè passà 'na vita da si sensassion, tânt chi dübit fiña da essi stacc masnà, la manera ca l'è svapurà 'l calur 'd i'emussion. Adess, qualunque seria, ant qualsiasi stagion i'udur ai son pagn, talment gram da scanslà cui bon, l'udur dal prugress l'è nen invension, girlu cmè ca't vôli 'i barata nen la realtà. At ven fiña 'l dübi: “Ma i'esistu 'ñcù 'l fiur?”. Certu 'i fatigu tânt restà vivi e tüt al parfüm, as perd ant l'aria 'mpestaia, 'ñsema 'l calur, la magiur part di camin la fa nen 'd füm, o se la sort la sa 'd nafta oncia, opüra 'd gas, grassa e gialda 'd carbon, la taca 'ñt la gula, i'ôcc ai piânsu, et gula la stissa dal nas, propi cmè quând t'è custret trià la sigula. 90 L'udur dal prugress, semp pagn tüti 'l stagion, sia ca 'l veña 'd la risera, diserbânt o camin dal cà, o cimineia 'd la fabrica, l'è n'ussession, inquinament, adess at massu nen i sassin almach, ma l'inquinament al va nen an parson, se l'è par sulì nânca 'i sassin, ma l'aria 't respiri et crêpi, timur ant i pulmon, at brüsa 'l gargion, nün al vôl amêtlu, antânt mandich at tiri 'i bacc. T'at iù sogni cui udur ad mangià bon, tüt al ven sacrificà al prugress, che cun i'udur am sacrifica ans cul altar 'd la disperassion, antè la vita la düra 'l temp ca'i viv 'na fiur. Suquì pensava stasseria, pedalând vers la me cà, respirând l'aria frêgia, ampestaia 'd prugress, la ment la caressava l'udur 'd pulenta pivrunà, ma 'l me nas, povri nas, al nasava l'udur dal cess. Certu, i'era 'ñcà 'na vira, ma iè nen paragon, l'era n'udur pü genuin, l'era genuiña l'aliam, parquè tüt l'era amzüra d'omm, sens invension. Suquì l'ha purtà 'l prugress: mond e udur gram. 25/01/97 h 23,25/0,20 91 SVISTISSI DI SOGN Lu suma che par supurtà la düra realtà d'is mond venta vistissi 'd sogn e d'ilüsion, parquè altimenti 'l viagi l'è dür da supurtà, l'anima la s-ciopa, suprafacia da i'emussion. ma 'l vistì facc ad sogn l'è debal, sa s-ciânca al prüm impat cun i prublema 'd l'esistensa, al prümi delüsion riessuma nen fala frânca, t'ancontri l'indiferensa et da nen precedensa. T'at troui cun i to sogn a fruntegià la viulensa, i 'ün par vira 'i svanissu, ti 't resti disarmà, t'ha vôia da daij dament ai scupul 'd cussiensa, daspartüt ai spontâ ustacul, at riessi nen passà. Alura t'at rendi cünt ca'i va n'atra vistimenta par afruntà 'l mond, cun cula 'd sogn t'è biut an pienu invernu, at sucombi 'ñt la turmenta, alura 't capissi che par spuntala, rut par rut, at cunven lassà dreda cül vistì, l'è fora moda, la realtà 'ñt al mond d'adess, s'afronta cun grinta, ai dritu 'ñveci 'd l'aua, ai beivu vuischi e soda, par prosegui 'l viagi, ai va mincantânt 'na spinta. Ai son nen certu 'i sogn ca't fân vensi 'i traguard, venta bütà da part i scrupul, duvrà viulensa, i'ubietiv at iù centri nen certu duvrânda riguard, e nânca speciânda che 'l prossim at daga precedensa. Svistissi di sogn, l'è 'l sistema par rivà l'ubietiv, la sucietà l'ha nen rispet per vistimenti fantasiusi, ma 'd chi l'ha vistimenti cafoñi, sguard cativ, i'ansültu, t'afrontu cun paroli brüti, rabiusi. Vistissi 'd sogn al pol vari par al poeta sugnatur, ca'l pensa 'd uardà 'l nivuli cai curu per al ciel, duvrânda 'l beli maneri, magara parlà d'amur, sensa mai smuntassi; par grev ca'l sia 'l fardel. 92 No, cust l'è pü 'ñ mond, antè iè post par i sogn, antè chi 'l cultiva 'l fiur l'ha diritu a rispet, l'è passà 'l temp, ca s'uernava 'i pumpudogn an mes al fardel da spusa! Dess ai son difet gravi; il poeta 's troua navigà mar bürascus, antè 'l paroli 'i devu essi grevi, düri cmè preia, altrimenti t'è cundanà par semp purtà la curs, ai dritu, quând t'ancontru, 't pistu cmè veia. Venta svistissi di sogn, at portu nün ubietiv, ai va mur grintus, parlà cun ton arugânt, altrimenti dificilment at rivi 'l traguard viv. Ant al carti 'i var al re, se t'ha 'lmach al fânt t'ha pers, t'è a vêghi 'i to alura 't resti l'è longh, al cundanà pagà 'l pedagi, sogn svanì, i'ün dop l'at cmè füm, biut, fora 'l fa frêcc, al viagi ciar sa smorta, l'è sens'ôli la lüm. Svistissi di sogn, l'è necessari par supravivi, par nen truassi biut afruntà la brüta stagion, se t'ansisti, t'at troui cun ant al sach al pivi. Ant is mond, pü nün l'è dispost vivi d'emussion. 01/02/97 h 0,15/1,10 93 SUCIETÀ MUDERNA Mi chi ven da n'epuca cunsideraia antica, travers is mond cmè 'ñ mar an bürasca, ant la miseria 'd sa sucietà ca's crêd rica, resiguma semp drucà da la pela 'ñt la brasca. Sucietà muderna 'l la ciamu, ma 'd mudern iè 'lmach al modu d'andà finì la perdission, par cunquistà richêssa, s'andareia finì l'infern, a pagà pressi out, as rinunsia ogni emussion, an câmbi d'in cünt an bânca, opüra 'd traguard ca's cunquistu, sensa uardà trop par al sutil, par prosegui 'l viagi venta mai duvrà riguard, as riva a nün ubietiv se 't curi nen ans al fil. Parêcc, cui antich cmè mi, as trou 'ñt n'ingranagi, antè o's sua o's neia, par riessi a supravivi venta pudei dispoñi 'd na bela dosa 'd curagi, se 't vñli nen ogni mument bütà 'ñt al sach al pivi. Sucietà muderna 'l significa acetà situassion che la nosta cussiensa ñ temp l'avreia mai acetà, uardânda vers l'ubietiv, sensa mai cedi i'emussion, scarpuzânda cui valur chi iuma semp rispetà, sensa fassi scrupul da duvrà sistema pervers, cun la cussiensa ciara e 'l rispet par i valur, at sarà cun l'anima 'ñ pas, ma vistì da svers, par fa dal camin, mai preocupassi da pistà 'l fiur. Al mond as cunquista 'ñs la pel di nost aversari, rubânda l'aria 'l prossim, al sul ca'l fa ciar, cumbati l'ültim respir, par fa quadrà l'inventari, sensa pruà rimors, se a beivi 'l bicier pü mar al sarà 'l viandânt, ca'm cumpagnava par la strà. Ant sa sucietà, par emergi, venta mai duvrà rispet, se l'aria l'è scarsa, preocupti d'essi ti a respirà, se l'at al scogna, sicürament parquè l'ava 'ñ difet, 94 pensa mai d'essi 'ñ culpa, l'equival a'na cundana. Se ti 't rivi 'l traguard, l'è parquè t'eri 'ñ gâmba, cul sensa grinta, l'ha semp al fià longh 'na spana, pensa mai d'essi la causa di so uai, l'è n'idea strâmba, che mai par in mument la dev frulati 'ñ testa. Roba l'aria 'l prossim, roba püra 'l spassiu par vivi, sensa pruà rimors, cur ancontra la vita cmè festa, e se quaidün admân ai ven an ment da scrivi che ti t'è egoista, ca't sa pü què 'i son i valur, sapata 'l spala, l'impurtânt l'è rivà cul ubietiv ca t'avi prugramà. Altrimenti t'avrà vistì culur svers, a difarensa 'd cui ca't cunsideri cativi, ma che 'ñ barba la to cussiensa pulida 'i son rich, ti 'ñveci 't seguiti fa 'l gir, par nen pistà 'l fiur, dal to cumpurtament i'acc ai n'umporta 'ñ fich. Ti 't resti i'ün antich, ca'l seguita regalà l'amur, ant 'na sucietà muderna ca lu calcula fora curs. La fin i'acc ai passu, ti 't frêmi, 't resti 'ñdreda, at curi, ta sbanfi, at tussi cmè 'ñ caval sburs. Al to vistì l'è svers, la sucietà l'ha lassati 'ñdreda. 05/02/97 h 23,25/0,25 95 DISEGNÀ 'L SILENSIU Cun la fantasia 's pol realizà pruget grandius, fiña trasferì 'ñs la carta què 's sogna la nôcc, distacà la lüña dal ciel e bütala 'ñt al puss, trasfurmà realtà què 's vêgh nen cun i'ôcc. La fantasia la vistiss a culur ogni invension, sensa che mai cui culur ai siu esistì 'ñ natüra, fiña a tucà cun mân i sogn, pruà emussion, vulà par al ciel, ampinissi traondi aria spüra. Ma la dev rivà livel, ca 'i vân ultru 'l nurmal, par disegnà 'l silensiu, venta superà l'inventiva, parquè 'lmach n'inteligensa cun rifless special, la riss da furma a 'na roba, che se l'è viva nün l'è 'ñ gradu da garantì. Cmè 'l sarà mai facc al silensiu, se's sent nen e mai nün al l'ha vist? L'ha 'l culur 'd la nôcc o l'è biânch cmè 'l lacc? L'ha 'l mur alegar o la ghigna 'di 'ün ca l'è trist? As pudreia añmaginassi cmè parpaioli a culur, culi parpaioli ca'i volu 'ñ ciel sensa fa burdel, opüra quând par arpusassi 's postu 'ñs na fiur, e che 'l mach in pitur al pol stampà cun al pnel. Al silensiu 'l pudreia vei sembiânsi 'd masnà nussenti ca'i dromu e'i cunossu nün sagrin, opüra 'd la füm di camin, od l'aria 'd la cuntrà 'ñt al nôcc da istà. Disêgna müsica 'd viulin, se 't riessi 't pudreissi 'vsinati al so sembiânsi, ma certament l'ha culur dificil d'añmaginà. Cmè disegnà 'na roba che tüti 'l stânsi iè, e nün l'è mai stacc bon vêghi, futugrafà. Disegnà 'l silensiu l'è 'n impreisa da artista cmè disegnà l'aria, che nè 's-tuca, nè serassi ñt al pügn as riess nen, i'esist l'aria trista o alegra? Parêcc l'è 'l silensiu, 's pol anmaginassi 96 vistì 'd culur tranquil, cun nuânsi meravigliusi, ma 'l sarà parêcc dabon? Opüra l'è gris cmè ciel d'autügn, cun rundâñi ca 'i volu lamentusi, parquè la stagion ai büta 'ñ spala gross fardel? Pens nen che quaidün al riessa creà 'ñ turment, al silensiu riessuma 'ñmaginalu 'ñ modu divers, ognidün second al spirit ca 'l proua 'l mument, al pudreia smeià 'ñ sogn, o a l'amur ca s'ha pers, second se l'anima l'è 'ñ pas, o cariaia 'd turment. Sigürament al pudreia essi 'ñ fôi biânch, sensa nè righi nè culur, cmè 'ñ pensè che la ment la parturiss, e nün al riess nutà la presensa. Al silensiu, l'aria ca la carêssa 'l fiur la seria, e nânca l'urêgia pü fiña la sent nen al respir, la malincunia ca la passa, la vistimenta neria, e la spariss ant la nôcc, ligera cmè 'ñ suspir. Disegnà 'l silensiu, cmè disegnà l'ombra di sogn, ca 'i vivu n'atim e 'i svanissu cmè 'l ven ciar. Al silensiu 'l pudreia essi udur ad pupudogn. No, l'è quaicos ca'l lassa 'ñ buca 'lmach güst mar. 08/02/97 h 23,30/0,30 97 TRAVERSÀ LA PAGÜRA Ampustuma la vita ansuma sogn, aspirassion, diversament che sens l'avreia mai l'esistensa? Al sareia cmè vivi serà sü ñt na parson, uardà 'l ciel a quadrêt, sensa mai avei precedensa. Ma 'i sogn ai svapuru cmè 'l sul al ven ciar, i'aspirassion as realisu cun sacrifissi, suferensa, an cuntinuassion sa spua duss dop traondi mar, s'ancontra tâncc turment par salvà la cussiensa. Turment, suferensa, surzent ad pagüra, l'umanità l'è parsunera 'd la pagüra, dal mal e dal dulur, par pagüra 's rinunsia a traguard da cunquistà, i'omni i'acetu 'lmach realtà faci 'd rôsi e fiur a la pruspetiva da sofri 's preferiss n'esistensa mudesta, serà sü 'ñt la parson 'd l'indiferensa e dal distach. La pagüra la scava 'ñ mar agità 'd la tampesta, ca m'ampediss da traversà 'l pagini d'armanach, ca'i separu la nosta vita da ogni bela stagion. Al smeireia 'ñ contrasens, ma l'ümanità l'è parêcc, la pagüra dal resigh la cundissioña 'l nosti assion, desideruma 'l calur, ma acetuma da stà 'l frêcc, pütost che afruntà ustacul ca'i separu 'l brascal, dal percurs nurmal, par rivà 'l cumporta disagi, fatiga, alura rinunziuma, par pagüra dal mal. Par is mutiv, la nosta vita l'aceta 'ñ paesagi, che mal s'adata al nost modu 'd uardà l'urizont, sugnuma spassiu grandius e acetuma cui mudest, al sareia necessari cumbati, ma dal front sercuma sta luntân, cmè 'l füissa pest, e tranquil, restuma parsuné 'd la pagüra. Rinunziuma a pruget, 'i sogn ai restu 'ñt al tirêt, al nost cit mond am garantiss n'esistensa sigüra, is cuntentuma 'd spetacul ca's paga nen al biêt. 98 E la vita la passa, seruma fora la suferensa, al sbari 'd la parson am difendu da i'agression, ma finuma d'acetà percurs ca'i dân precedensa semp a i'acc, cui ca i'evadu da cula parson, che nui medesim iuma fabricà, contra 'l dulur. Uarduma i'acc traversà la pagüra, sbati 'l porti 'd la suferensa, andà 'ñcontra l'arcabilesta 'd l'amur, nui restuma lì, sentuma d'essi animi morti, ma fuma nen dal tüt par scapà vers la libertà. Traversà la pagüra, par ragiungi nôv urizont, antè l'è 'ñcura pussibal andà ñcontra realtà chi pensavu ormai fora discüssion. Al front antè cumbati 'l rend pussibal cunquistà ubietiv rich ad surpreisi, che la pagüra 'm pruibiva rendsi cünt 'na vira traversà, d'essi 'ñcù viv. E pensà che restà dreda la pagüra, la piva l'era ormai ant'al sach, rinunziavu 'l prugress, quând anveci la vita m'ofriva nôvi emussion. Traversà la pagüra, sensa dabsogn ciamà parmess, s'ancontra cerntament suferensa, ma che sufisfassion. 13/02/97 h 23,15/0,15 99 QUÈ L'È L'AMUR? Pensuma tücc da savei què 'l significa amur, ma prêst s'ancurzuma nen cunossi 's sentiment, al mond d'adess l'ha poch rispet par sa fiur, l'è pront s-ciancala 's preocupa nen di turment ca 'l prucüra, tüti 'l viri ca 'l la s-ciânca, sensa uardà se l'è zerba, se 'l büt l'ha 'l culur. L'impurtânt l'è rivà l'ubietiv e fala frânca, se'l brascal sa smorta, e nui restima sensa calur, l'ha nen impurtânsa, dmân sercuma n'at brascal, n'atra fiur zerba da s-ciancà, 'ñ barba 'i sentiment chi scarpüzuma, a la fiur, se la sentrà mal, basta 'vei in mutiv da vantassi 'dnân la gent. Què l'è l'amur? Par la magiur part piasì material, quaicos da cunsümà cmè 'l gelato, senti 'l güst, e dop in mument smentiassi, nen da special, la buca la turna couda e nui m'armagn al süst. Ma l'è nen parêcc. Amassi l'è dividi la suferensa, scambiassi 'l feriti che l'esistensa 'm lassa doss, iütassi supurtà 'l brüsur, 'l turment 'd la cussiensa, misinà 'l piaghi duerti ca i lassu vêghi i'oss. Pü l'è pü pü 'l piaghi 'i son tânti pü l'amur l'è tânt, travers la suferensa ca 'i madüra 's sentiment, s'è malandà, brüt da vêghi, scanà cmè fânt, la vita 's divert maltratami, prucürà turment, pü l'amur al crêss da ragiungi livei impensà. L'è travers al scâmbi dal feriti ca s'adventà ünì, parquè 's riva vêghi l'amzüra esata 'd la realtà, l'aumenta 'l limit ad supurtassion, ura 'd sufrì. Chi 'l traversa l'esistensa sensa pruà turment, chi 'l passa 'n mes al fiami dal brascal 'd l'amur sensa brüsassi, 'l viv nen in ver sentiment, parquè venta ca'i resta 'l piaghi, pruà dulur. 100 par savei què l'è verament. Chi 'l l'ama nen, l'amur, par essi tal, as Chi'l traversa cun indiferensa e 'l sensa vêghi chi 'l sofr, certament sort sân dev sufrì. uarda luntân l'ha nen capì la passion ca'm dev brüsà, par cultivà sa fiur. Sensa feriti 's traversa brascal sensa fiama, sensa fiama ca la brüsa i'esist nen l'amur, o l'è amur material, cul ca'l lassa la buca grama. L'amur l'è n'anima turmentaia 'd la suferensa cun piaghi vivi ca'i sanguinu, bsugnusi d'unguent, ca l'è pronta scambià 'l dulur, cun n'atra presensa turmentaia, ünissi par pasià tücc i turment. Ai sarà nen ombra d'amur sensa piaghi vivi, chi l'ha n'anima refrataria, ca la riess traversà l'esistensa sensa ferissi, l'ha tendensi cativi par l'amur as passa nen sensa brüsassi. La realtà, l'è facia 'd sentiment ümân, 'd mancânsa d'afet, d'emüssion, dificil rivà dadlà sensa ferissi, chi l'ama l'ha anima sensibil, magara cun difet da cumün murtal, ma 'd l'amur l'è al servissi. 17/02/97 h 23,30/0,35 101 LESSION D'ECUNUMIA Monti, Modigliani, parluma nen ad pitur, ma 'd gent ca'i ciamu ecunumista, ben pagà, che a pânsa piña 'i vivu 'ñt in mond a culur, ai spiegu la gent povra cmè 's fa risparmià, ai spiegu scola cmè 's fa 'ñdà nân la nassion, cmè fa par che la lira la tira mai al ribass, ai sacrifissi ca's dev fa par fa calà l'inflassion, antânt che par lur ans l'armanach l'è giobia grass. An virtü da stüdi e d'esperiensi a livel mondial, iân ragiungì pusission outi, d'antè i uardu la gent tirà la cureia, cmè steili da l'out ai mându segnal, a cula categuria 'd disperà, che tra mila turment ai tiru la carêta, e sensa binari rivà la stassion. S'ampinissu la buca d'ant i'università a la lession cmè fa funsiunà l'ecunumia, quadrà inventari, sensa che mai na vira i'abiu vivì situassion, cmè vivuma nui mandich 'd la minima pension. Lur ai sân calculà la cifra minima par vivi, ca l'è ben luntân da cula ca'm passa la nassion, ad nuiacc mandich, che par nen savei lesi e scrivi, suma custret sbarcà 'l lünari, cun cula miseria che ogni dui meis tnuma strêcia, dop na fila dnân la posta. Ai sân nen sa gent che roba seria la sia la vita, 'rparassi dal frêcc cun la querta sutila. A l'è facil spiegà che 'l cust 'd la vita l'è tre milion per na famija media, se cui nu ciapu la metà, e par rivà la fin dal meis as viv situassion, che lur, da l'out 'd la so careia i sân nen añmaginà. Al nosti doni 'i duvreiu vei na catedra d'ecunumia, lur che tücc i dì 'i fân miracul par sbarcà 'l lünari, par cui 'd la pânsa piña 'i va nen tânta fantasia, lur ai risülta facil fiña scondi scheletri 'ñt l'armari. 102 Proua essi 'l nost post,, ot sent mila 'ñveci 'd tre milion, epüra 'l nosti doni ai quadru bilanciu nassì 'ñ russ, sensa laurea 'i pudreiu brevetà la so invension, ai riessu 'ñdà nân drici beli cun an spala la crus. E suquì nen na vira sula, ma par meis, par agn, sensa picassi d'andà fa scola e mustaij 'i gat rampià, ai riessu fa sogn a culur ant in panurama semp pagn e fiña essi cunvinti ca l'è nen trop neria la realtà. Monti, Modigliani, riva 'l nosti doni 'i son zilêt, e si che lur ai polu vantassi d'esperiesi mundial, ma par viagià 'ñsema nui, ai sân nen antè catà 'l biet, parquè la nosta ecunumia la richied essi special. Al basta nen trancià prugrama da realizà da i'acc, qui venta fa miracul beli sensa essi Gesü Crist, qui i'anvartiu 'l mâgnii ant al mân iân quacc, ai teñu 'i sagrin a denta sensa fa vêghi 'l mur trist. Cun cui poich sentmila, ai realizu pruget da milion, e nu vânsu püra quaidün, al guvernu 'l pol falì, ai trucreia 'ñventà n'ecunumia ca la va a dubion. Iuma mai vist tre milion al meis, e suma 'ñcura qui. 20/02/97 h 23,10/0,05 103 PENS AL PASSÀ Chissà parquè tüti 'l viri chi uard la television cun cui spetacul ad mort, cmè quaicos da special, poss nen fani a menu, am ven ant al gargion in grup ca ma strenz e ca 'm fa senti mal. Mort massà 'd la uera, mort massà 'd la viulensa, cmè la roba pü nurmal, la vita sensa valur, ma dabon i'omni 'i son restà sensa cussiensa? Alura i'esitu pü 'i sentiment? L'estist pü l'amur? Tüti 'l viri chi mangiuma, cun cui quadar dadnân, pens al passà, pens cmè 'i vivivu 'i nost vecc, sensa nânca la fel mara e cun al côr an mân, che la seria strach, ai drumivu, peña ñs 'al lecc, sensa che mai la cussiensa 'i feissa senti rimors, sensa mai in rimprocc, parquè ogni so assion l'era ciara, pulida, fa 'l ben l'era mai in sfors, parquè 'i cunsideravu sentiment amur e cumprension. Ogni seria pens se 'i turneissa 'ñdreda 'i me vecc, dadnân 'd si spetacul, certament ai sareiu terurizà, as ciamreiu cmè 'i polu la seria 'ñdà 'ñ al lecc si omni e dromi, dop essi stacc autur 'd sa realtà? Anca mi 'm fagh sa dumânda: “L'ha pü nün valur la vita, se sa s-ciânca cun tânta indiferensa?” Què 'i son 'dventà 'i sentiment? Antè l'è finì l'amur, se cun tânta facilità 's massa e 's da precedensa l'intaressi e la pusission? Què 'i gireiu la me gent, che par tüta la vita iân cultivà certi valur, e adess vêghi 'l mond cmè l'è dventà indiferent, e cui ca i'eru 'i so brascal iân pers ogni calur? Sagh nen se 'i pudreiu supurtà certi situassion, lur che 'd la vita iân semp uernà rispet particular, què 'i pensreiu d'is modu 'd vivi sensa emussion, la vita l'è 'lmach 'na candeila, la brüsa 'ñs al candlar, 104 'na vira smorta n'atra la pia 'l so post, as va press cun n'indiferensa, cmè se la pel la fuissa 'ñ strass, 'na vistimenta, na vira lisa sa sbata. Ai cungress sa sgaru cunferensi, discurs ca'i fân drucà 'i brass, ma da tânti paroli 'i gavu nen in ragn dal bôcc. Dmân la gent la turna massà, se no la television l'avreia pü nün argument, cmè 's fareia fa mnì nôcc, sensa mort da presentà, iè zà tânti pochi emussion, se 'm gavu 'ñcà 'i mort, ad què parluma, 'd sentiment? No, 'i son robi früsti, 'i fân ormai pü nutissia, la va tüt atra diression la realtà dal present, smeia che ormai la viulensa la sia l'ünica primissia. Pens al passà, pens ai me vecc, al so mond tranquil, antè 'l massim as muriva d'avgiaia, strach ad travai, as traversava la strà, la pel l'era mai tacaia 'ñ fil, la fam, la miseria, cui i'eru 'i so ünich uai. Iuma bütala tüta par prugredì, eccu la situassion, ogni seria ura 'd mangià cüntuma 'i mort. Fati nüñi ilüsion, suquì 'm fa nen la pü cita emussion. Al vantagi dal prugress: indiferent cun al stomi fort. 27/02/97 h 23,25/0,20 105 AL GIARDIN DAL TEMP Chissà parquè pensuma, rivà 'na certa stagion che tirà 'i rêm an barca 'l sia roba nurmal, suma cunvint che 'l côr al ceda a i'emussion, ad na seria 'ñticipaia, ricevuma certi segnal, ca 'm cunvinciu lassà zerb al giardin dal temp. Ma l'è n'erur enorme, la fin ad tâncc pruget, al sbagliu 'l cunsist ant al lassà dreda par semp ogni ambission, anviaruma la stagion di difet, dal mument ca 's frêma da prêsta i'atension a cul giardin che fiña ier al parfümava d'amur, ans al nost santè 's prufila ombri 'd disperassion, e da ogni prôs ai spariss giurnà piñi 'd culur. Al temp sensa 'na guida al va prêst fora 'd carzà, as pol nen pensà da mulà tüt parquè l'è autügn, al trenu 'l dev andà dricc al binari, qualunque età, parquè cmè s'azarduma lassa duert al pügn, tüt què l'era or l'adventa puvri, la brasca sêndri, ai sogn ai svapuru, la nebia l'ascond al saren, l'ünica cuia ca 'm restava 'l la mangiuma 'l vêndri, am resta nè at che traondi gulà mari 'd velen. As pol nen pensà che rivà 'l fôi d'armanach cun al giurnà cürti, as deva lassà 'ñdà desert al giardin dal temp, peña frêm is sentuma strach, an cà i'entra 'i ladar, se lassuma l'üss duert, tüt què iuma custruì 'ñt na vita longa 'd travai al va a ramengu, pusà la sapa 'i sort la gramêgna, cmè 'i svapura 'l spirit, i'aumenta 'i uai, l'amur al fiuriss, fin che l'omu s'ampêgna. Cmè 'l pensa ca'l sia inütil puntà 'l traguard, la malincunia s'ampadruniss d'ogni pensè, l'arlogi dal temp al seguita scüri se s'ha riguard, se s'asmentüma 'd tiralu sü, 'l resta sübi ñdrè. 106 Guai smentiassi 'd cultivà 's guardin miraculus 's da modu la briña da brüsà i'ültimi fiur, ant al giardin desert al nost arsgnôl al perd la vus, cmè 'l brascal nen tissà sa smorta e adiü calur. Ant la tarda stagion, quând pensuma che 'i pruget ai siu tücc realizà, venta nen fermassi uardà, uardà 'l piânti ca sa svistissu, si früt perfet ai son nen perfet, se'i duma nen calur par madurà. Al svigiarin zü 'd cadeña 'l frêma, nui suma pers, parquè sensa temp is renduma nen cünt 'd la seria, anveci d'andà dricc percuruma la strà da l'invers, rivà 's puntu qui, la nosta vita l'è piña 'd miseria. I'avreiu mai duvü smêti da cultivà 'l giardin dal temp, parquè la vita s'ampiniss ad disperassion, sêca la pianta 'd l'amur, ai fiuriss cula di sagrin, la nôcc la cala l'ombra 'ñs al nosti emussion. i'ültimi, culi ca i'avreiu facc vivi la sperânsa. Iuma sbaglià fermà, lassà la gramêgna piantà 'l reis. L'erba grama sa svilüpa cun baldânda. Guai pensà che 'l guardin dal temp al pol essi bandunà. 03/03/97 h 23,45/0,35 107 LA PRIMAVERA CA IÈ PÜ Al vent ad marz l'ha ramassà 'ñ ciel lüsent, antè 'ñ sul ciar al scouda rami piñi 'd fiur, 'd persi rosa, al fa alegar 'l côr 'd la gent, usei ca i'anciarlatu, cun tânta vôia d'amur. La primavera l'è turna qui, cula 'd l'armanach, sa s-ciara 'ñs al piânti verdi, cun i prüm buton, ant al viulêti vargugnusi, ant al fiur d'armugnach, lu cunferma 'l merlu, cun al noti 'd la so canson. S'ha lassassi dreda l'inver, cmè tücc i'atr agn, l'è ricord luntân l'autügn carià 'd tristêssa, ca'l smeiava par semp, anveci 'i turna tüt pagn, l'ingranagi dal stagion l'è l'ünica certêssa. Tücc i'agn ai finiss in ciclo, tüt al smeia mort, ma l'ann nôv nu 'ñviara n'at, tüt al turna vivi, la barca la naviga sensa perdi 'd vista 'l port, la natüra l'è 'ñ scartari cun atri pagini da scrivi. Dop in longh silensiu, la tera la turna svigiassi, ai prà i'adventu verd, al piânti 'i turnu vistissi, al doni 'i bütu gali russi quând ai ceñu 'l quassi, parquè la primavera la ven ufrimi 'i so servissi. Mi uard tüt suquì, da l'out dal me tânti stagion, ma denta mi 'i piâns i rigret, par tânti stagion, parquè 'l temp l'ampuvrami sensa religion, l'armanach 'd l'esistensa, s'ustiña a nen girà 'i fôi, la me stagion la restà frêma l'autügn, al rami 'i restu biuti, pü nen 'na fôia nè 'ñ büt, ai culur 'd la primavera iù strenz an pügn, ma sensa fiur, al rami 'i restu sensa früt. La primavera 'd l'armanach, miracul natüral, ogni autügn la môr, par arsüssità 'l prüm calur, mars ai büfa 'l vent, ogni creatüra as segnal sa svêgia, sa stira e la cânta la so canson d'amur. 108 Ma la mia primavera, l'è morta tânt temp fà. L'ha vôia la natüra vistissi 'd parpaidi a culur, ad rami 'd persi rôsa, ad prà verd tücc fiuratà, la me prôs la resta biuta, ai son sêchi 'l fiur che 'ñ temp ai vistivu d'arlechin la me prôs. Magara n'arsgnôl al turna cantà la me canson, cula ca 'm fa bati 'l côr, ma 'l zel l'entra 'ñcrôs na certa età, pü nün sul al svêgia i'emussion, ca 'i favu trêmi 'l cordi dal viulin 'd la giuventü. Al nost armanach l'ha 'na pagina sula, giraia cula la stagion la finiss. Inütil sperà, mai pü i'avruma prà verd, l'autügn l'ha trasfurmà paia tüta la me erba, al rami 'i son sêchi, sensa büt, magara ta speri che par sbagliu 'i sia 'na fiur, no, sta püra tranquil, ai madüra pü nün früt, parquè 'l sul l'è smort, l'ha pers tüt al so calur. La primavera ca iè pü, quând i'era 'ñnamurà, e l'anima 's vistiva 'd parpaioli a culur ed fiur. Pudreia semp ampramuani quaidüña, basta pagà. Ma què 'l var, l'è denta ca'i fiuriss pü l'amur. 08/03/97 h 23,45/0,40 109 CMÈ CHI I'ERU Visassi cmè chi i'eru 'l svêgia diversi emussion, parquè 'i son divers 'i mument dal diversi età, nen semp ant la vita l'ha capitami ucasion boñi, svuens suma stacc trist, fiña disperà, e si mument la memoria s'arfüda 'd visassi, parquè i'arvivu piaghi mai uarì cumpletament, passagi strêcc, che par entrà 's pagava dassi, e'l pressi l'era out, parquè l'era calculà 'ñ turment. Cmè chi i'eru la stagion ca'l fiuriva 'l giardin, visassi 'l culura lavri 'd suris e 'l côr d'emussion, l'amur l'era persi rôsa e ciel lüsent sensa sagrin, i'inver i'eru scanslà da brascal visch ad passion. Is visuma 'lvuantè, sensa sfors, l'archiviu l'è ciar, la puvri 's posa mai ans ai mument miraculus, sa stufa mai d'anluminà la memoria 'l candlar, l'è 'rparà da l'aria, ancò 'd la strà 's vêgh nüñi crus. Ma 'l stagion dificil, cun percurs stort, acidentà, la memoria s'arfüda 'd uardà l'archivi dal passà, vüluma par esempi nen visassi quând la seria ñdavu dromi cun la fam. L'ha culur la miseria, ca'i rendu tristi, fiña 'l giurnà cun viv culur, figürumsi culi grisi, ciel ad piomb ans la testa, ant l'anima l'impression ca'i esista pü l'amur, cmè 's fa cumpurtassi cmè la vita la fuissa festa, se 'l ritrat ca's nu rigava l'è ne at che ricord brüt? Cul ciar ca l'anlümina l'archivi l'è sens'ôli 'l lüsêgn l'è sücc, cmè pretendi che rami sêchi i'abiu 'i früt, certi stagion 'd la vita 'i passu e 'i lassu 'l sêgn, piaghi che nânca 'l temp al riess nen cicatrizà. Visassi cmè chi i'eru cui mument ad disperassion, al significa ruià denta culi piaghi sensa pietà, antânt che i'acc ai uardu sensa pruà cumpassion. 110 E cmè 'i pudreiu vei cumpassion, se cul curtel ant la piaga lu giruma nui? L'è par sulì che nui s'asmentiuma di ricord ca s-vistussu cmè ciel culur piomb, e'l masnà 'm ciamu e 'm dân dal vui, parquè 'i lavri iân pieghi mari, sensa suris, di mur rüpient ai fân nen pensà a persi rôsa, ma ad autügn sensa rundâñi, culurà 'd gris, quadar sensa curnis, i'ispiru disperassion ancrôsa. Cmè chi i'eru a vint'agn, n'archivi semp duert, al temp l'è passà, sensa pusà puvri nè stagion, al nivuli 'l vent iù spassa, al ciel semp squert, denta l'anima 'i restava culur 'd vivi emussion. Cmè chi suma dess vüluma nen visassi, nè uardà cul ciel culur malincunia bandunà dal rundâñi, vüluma nen vêghi cmè l'è 's mond, al so realtà, parquè 'l prà l'è pü nen verd, 'l sperânsi tüti vâñi. Is visuma 'd lavri culur suris, buchi culur frola, par aussà 'l mural a denta, ura che la stagion l'ha pü nen da ofri, al nost castel an aria 'l crola. Visassi cmè chi i'eru, par vivi l'ültima emussion. 17/03/97 h 23,20/0,15 111 VENT AD PRIMAVERA Al piânti iân ancù nen livrà 'd vistissi, che zà 'l vent ai s-ciânca 'i prüm cavêi d'an testa, nen par necessità, ma par gavassi 'ñ caprissi, al var nen ca'l sia di 'd lavur, ancù menu festa, al al al al büfa cun tüta la so forsa, cmè fa 'ñ travai, s-ciânca 'l sgiafela, sensa cürassi da dament piânsi dal rami ca's rompu, cuntent ad fa uai, smeia sudisfacc quând al riess purtà turment. Ma a seria 'l ciel l'è sclent, dop sa bela ramassà al prôs ai son pulidi, 'd l'inver pü nen in segnal, ai testimoni 'd sa bataia, as trou tücc ambarunà 'ñti canton, ai camin ai fümu, suta iè 'ñ brascal. Passà sa füria, ognidün as barlica 'i so splon al piânti 's ceñu, e'i sercu d'asmentià 'l tribülassion, ai sapatu via la puvri, dmân al sarà n'atra giurnà, l'è nen na giurnà 'd vent ca l'ampediss da cuntinuà vivi, tüt al turna cmè prüma, as cüs cui squars facc da la primavera, al piânti 'i fân di 'acc büt, ad i'atri fiur, ant al sparzeri 'i sponta 'i spars, prêst d'is matrimoni i'avruma modu vêghi 'i früt. Ma 'ñt al giardin 'd la vita, nen tüt al scur sôli, què 'l vent di turment al s-ciânca 'i resta 'l bôcc, se la lüm sa smorta, 'l var nen arzonzi 'd l'ôli 's finiss da restà scüri 'ñcà quând ai cala la nôcc. La nosta piânta la ven verda par 'ña fiuridüra, se 'l vent al s-ciânca 'l rami, i'amnirà pü nün büt, restuma biut par al rest 'd la vita, cun la pagüra che l'autügn al sarà trist, se 'l madüra nün früt. La nosta primavera l'avreia nen dabsogn ad vent, parquè resiguma vêghi 'l nosti sperânsi distrüci, peña 'l present l'adventa passà, fiña la nosta gent s'asmentia 'd nui, la seria 'm troua sensa lüci 112 denta cà frêgi, cun pü nün dispost dami cunfort, la vistimenta s-ciancaia, l'è s-ciancaia par semp, remuma, ma la barca s'asluntâña da pü dal port, puduma fa nè at che pregà ca 'i düra 'l bel temp. La vita la suporta nen al vent, specie 'd tramuntâña, puduma nen resta biut, la primavera la finiss, nui seguituma bati 'i dencc, la frev barbantâña, da qualunque part as uarda, sa s-ciara nün amis. L'è trista la primavera, se denta iuma l'autügn, al vent ma sgiafela, 'l nosti rami i'armagnu biuti, am resta n'ünica fiur, da trenzi fort an pügn, al mument che tânti rami ai restu 'ñ tera ruti, vürreia vêghi se riess ancura madürà 'lmen in früt. Al sareia cul cal duvreia garantimi par l'avgiaia, dal mument che la me stagion la pruspeta temp brüt, ma la me pagüra l'è: “'L madüra pü nânca 'ñs la paia”. L'avreia stacc l'amur, ca'm ten viv rivà la fin, ma cmè slargh la mân, al vent lu porta via. Uard al ciel lüsent, par mi 'l parla 'lmach 'd sagrin. Lu sava che la primavera, la me età, l'è sensa puisija. 20/03/97 h 23,25/0,15 113 LA BAVELA DAL RAGN Chissà uari viri t'ha vist al ragn antarsà la so teila, cun cul fil sutil, lüsent e fort, al fila la so bavela d'ant cânt e l'at 'd la strà, e ti 't resti 'ñcantà a uardà d'antè la sort, cmè 's lassa purtà dal vent, cmè barca a vela ant in viavai travers al mar a ogni viagi la teila la crêss, al ragn, al fagot sut l'assêla al cur ans al fil. Chissà se l'è indiferensa o curagi? Certu 'i va dal curagi, avei la vita semp suspeisa a cul fil a ogni büf ad vent al pudreia s-ciancassi, ad sigür ogni mument ai riserva 'na surpreisa, al sa mai a què 'l va 'ñcontra, 'l pudreia paga dassi. Epüra, se's pensa ben, la nosta vita l'è parêcc, suma suspeis par 'na bavela, as pudreia drucà tücc i mument, se 's riflet am ven al frêcc, venta essi incunssient par andà contra la realtà, ant 'na cundission pustissa, sensa nüña garansia. La difarensa da nui al ragn, l'è tüta 'nt la bavela, al ragn al la fabrica lü, l'è nen facia cmessissia, l'è prudütur, la fabrica 'i mânda nen la parcela. Nui suma suspeis a 'na bavela facia 'd la sucietà, adess tücc i'amu 'l resigh, 'i piass vivi da incussient, as sa quând partuma, mai se suma sigür rivà, par is mutiv la nosta vita l'è tüta 'ñ turment. An temp i'omni i'eru quadrà, 'i scartavu l'imprevist ogni assion l'era prugramaia, cun certêssa 'd riessi, adess al robi sigüri 'i piasu pü, 'i rendu trist, al dmân ad dev'essi incert, l'amporta nen al pressi ca's duvrà pagà, par al ragiungiment ad l'ubietiv. L'omm, acmè 'l ragn, l'è 'ñcantà da l'incertêssa, 'd la precarità, al büta mai an preventiv d'essi viv a la fin 'd la giurnà, l'ama l'emussion 'd na carêssa, 114 dal pericul, cunvint che la vita l'à güst divers, nen al solit güst fat, at giurnà piati tüti pagni, suspeis a 'na bavela, 's pensa 'lmach què s'ha pers, al mument che la bavela sa s-ciânca e ti t'armagni sêch. As puntu lì iè pü poch da pensà, 'i finiss i sogn, i'ilüsion, chi 'l resta 'l fa na riflession ans la precarietà 'd la vita, chi 's cardiva 'ñ barbiss, ma rivà 'l traguard trop prêst, l'è risültà cuion. Epüra, ant s'epuca l'adventa 'na moda 'ñ balin che tâncc ai vôlu gavassi, par essi cmè i'acc, sensa mai bütà 'ñ preventiv al nümar 'd sagrin ca's lassa n'eredità, a cui che la vita m'hân facc. Què l'amporta vivi quadrà, se'l dà nüñi emussion, la vita la risülta bela, a spendla parquè la var, chi 'l fa razunament quadrà l'è cunsiderà cuion, l'è mai passà par fürb, beli se i'acc ai traondu mar. La bavela dal ragn, l'è 'l simbul d'is mond prugredì, antè tüt al dev essi brüsà 'ñs l'altar 'd la trasgression, la magiur part as nu frêga se la giurnà 's sera mesdì. Mi la vita lu stim, m'amporta 'lmach la me upinion. 24/03/97 h 23,30/0,20 115 T'AT VISI DAL RUNDÂÑI? Uard n'atra vira 'l piânti bütà la vistimenta nôva d'in bel verd têndri, 'i riva la stagion ca 'm büta 'ñt l'anima cula sensassion cuntenta, an gradu da slinguà ogni turment, tücc i magon. La primavera. Ai son tânti culi dal me armanach, talment tânti chi fagh fatiga fiña visami, parquè forsa 'd cüntà m'ancors da essi strach, 'na strachêssa ca la passa pü, nânca setami riess nen truà surlev. Uard atur, al smeia tüt pagn, ma 'na sensassion drola 'm fa capì ca iè cambià quaicos. Al prugress l'ha facc talment tâncc dagn, ca l'è nen facil rendsi cünt, quala nôva realtà duvuma afruntà. Tâncc ai son stacc i cambiament, da quând al me taquin al cüntava pochi stagion, prüma 'd tüt l'è diversa la gent, ogni cumpurtament l'è calculà, 's cunoss pü nè sentiment nè emussion. Eccu, i'emussion. Pü nün s'emussioña uardà 'l fiur, tântu menu 'l ciel, iân tücc 'd i'acc impêgn impurtânt al puntu, ca's vânsa pü nen temp pensà l'amur. La natüra, l'ünivers, ai fân part d'in pianeta distânt. A pruposit, missiunà 'l ciel am ven natüral uardà 'ñt l'aria, al ciel l'è biut, s-ciar nün vol ad fantasia, eccu i'ün di tâncc cambiament ad sa nosta realtà. Im rend cünt ca l'è pü nen pussibal truà la puisijaa. T'at visi dal rundâñi? Eben, al prugress l'ha scanslà cul miracul pü nün ad cui usei 'd la divisa neria, che da matin a seria sa stufavu nen disegnà cui percurs imaginari cai scunfigivu la miseria, e i'ampinivu l'anima 'd puisija e sentiment. T'at visi dal rundâñi? E ben, va nen a mat uardà t'iù s-ciari pü, pü 't uardi, pü 'i crêss i turment, parquè 't capissi che 'l mond l'è pü trist e disperà. 116 Sparì 'l rundâñi 'l vôl dì ca iè tânta suferensa, purtaia da l'inquinament, che l'aria da respirà 'i lassa pü nen spassiu la fantasia, la presensa 'd cui uslin 'd la vistimenta neria e strêcia, facià tirà righi, che nün al s-ciarava, 'm dava forsa par cumbati tücc i dì la bataia 'd l'esistensa. Adess at uardi 'l ciel, la to anima seraia 'd na morsa ca i'ampediss da sugnà. Al prugress al vôl precedensa. Ma che puisija, ma che sentiment, roba d'acc temp, quând la gent la stava lì uardà par aria, par mutiv che cui d'adess ai cumprendu pü, smentià par semp. Cun al ciel sensa rundâñi, bütuma püra 'ñ preventiv primaveri sensa amur, parquè cui vol ad fantasia i'atnivu viva la sperânsa, se 'spol pü nen sugnà 'l sarà dificil supravivi. Al mond l'ha bsogn 'd puisija, sensa, nüña invension am fa resisti si realtà, ogni giurnà pü turmentusi. T'ati visi dal rundâñi? Si? E ben, fa cünt ca t'abij sugnalu. Al stagion ca i'amnirà 'i purtrân primaveri barbantâñi. Fa cünt vêghi balà la vegia. L'è nè at che ilüsion. 31/03/97 h 23,25/0,20 117 MI SON ANCURA QUI Vachi grassi, vachi magri, stagion coudi e frêgi, garmêt dal pân semp vôi, la seria tânta fam, campagni 'd uera, palotuli ca 'i favu sübià i'urêgi, tânta miseria, tribülassion, la buca dal güst gram, forsa 'd traondi rospu, mai pudì dì 'l nosti razon. Sugnà cun i'ôcc duert, tâncc sogn mai realizà, tâncc sagrin da têñi denta, grup-ant al gargion, par la vôia 'd piânsi, nen savei ansema chi parlà. Mi son ancura qui, cun al spali têci forsa 'd purtà fardel trop grev, e mai nün ca 'm daga 'na mân, frisi 'd cuntantêssa, par longh mument disperà, che da qualunque bânda chi uarda son sul, cmè cân. Supurtà l'è na parola früsta, chi sagh a memoria, supurtà 'ñt la sperânsa ca 'i riva temp migliur, specià che micantânt 'i salm ai finissu 'ñ gloria, che 'ñ mes câmp ad gramêgna 'i fiurissa l'amur. L'amur, mi son ancura qui, grassie 's sentiment, che 'ñti mument ad vachi magri m'aussava 'l mural, e che se speciava che l'aiüt am riveissa 'd l'atra gent, st'ura sareia disperà, n'ateisa che dal me brascal smort ai veña fora na valospa, segnal ad fiama ca la duvreia scaudami, ma la resta sensa calur. Mi son ancura qui, 'na stagion dop l'atra grama, cun la briña tardiva ca la seguita brüsà 'l fiur dal me giardin, ad cunseguensa autügn sensa früt, inver da afruntà sensa 'ñs pion 'd farina 'ñt l'arca, primaveri cun al zel, rami dal piânti sensa büt, vent cuntrari, ca la sluntâña dal port la barca. Son ancura qui, dop tânta suciña ca l'ha scà 'l prà, quând i'avreia vülilu verd, e la sperânsa l'è mort, al vent al seguita essi cuntrari, purtà tristi realtà, cun i'ongi früsti a sgrapà la tera, vêghi se 'i sort 118 l'aua, ma la surzent la seguita restà sücia cmè 'l brênn. Barlich tacà 'na preia, al frêsch an buca 'l düra 'ñ mument, port i me pass press al santè, fin chi droch sfinì, dreda 'na mân frêgia 'm tuca. In gir nen, la pudreia essi la mort, ma 'l temp l'è 'ñcù nen scadì, vürreia sta qui 'ñcù 'ñ poch, l'amur al fiuriss ancura, prüma ca 'l sia par semp al mument ad la fin, serch da teñi 'ñsema 'i toch, vürreia nen che tüt al finijssa sensa nün preavis, beli dop tânti stagion, am resta quaicos da regalà, in quaicos pressius da pudei regalailu i'amis, cui ca m'hân semp dacc 'na mân, ura 'd tribülà. Mi son ancura qui, se par poch o tânt chissà, nui saruma mai an gradu da stabilì la durata, di 's nost mecanismo, suma quând l'acmensà girà, ma nen quând al frêma. Diu 'l stabiliss la data, ca'm piasa o ca 'm piasa nen, se 'i riva 'l mument, beli se vurreiu ñen essi quì, suma custret andà. Magara, cul dì, 'i tira 'ñ suspir ad surlev la gent. Ma via da qui, mi seguit al viagi 'ñt l'eternità. 03/04/97 h 23,40/0,30 119 120 ANTICHE TRADIZIONI 121 ANTICHE TRADIZIONI 1) 2) 3) 4) 5) 6) 122 La mattina di Pasqua, si mangiavano le uova che le galline deponevano il Venerdì Santo, fatte cuocere sode, una per ogni componente della famiglia. Si diceva avessero il potere di salvaguardare chi le mangiava dal pericolo di morire annegati. La notte di Natale si bruciava nel camino un grosso ceppo d'annata. Doveva ardere tutta la notte da solo, se al mattino era ancora acceso, si toglieva dal fuoco e si metteva fuori dall'uscio di casa. Una volta spento, quel che ne rimaneva si appendeva al muro della casa, esposto all'intemperia, avrebbe avuto il potere di tenere lontano i fulmini durante i temporali d'estate. Negli orti si contivava un'erbacea perenne, che in dialetto era chiamata «erba di San Pietro». Durante la processione del Corpus Domini veniva sparsa sul percorso dove si portava l'ostensorio con l'ostia consacrata. Alla fine della processione veniva raccolta in mazzetti e fatta essiccare all'ombra. Veniva poi appesa fuori dalle case per proteggerle dai fulmini. La festa di S. Isidoro (prima domenica di agosto) si benedicevano i bovini e gli equini. Si benedicevano anche dei cordini di canapa che poi venivano legati alle corna dei bovini oppure al collo degli equini e degli altri animali domestici (suini, cani, gatti) per proteggerli dalle epidemie. Dopo l'autunno, in chiesa, veniva fatta una questua di cereali e legumi (risone, grano, granoturco, fagioli). Dentro sacchi e mastelli, gli agricoltori deponevano a discrezione, un certo quantitativo di prodotti della campagna. Il giorno dei morti venivano messi all'asta; il ricavato andava al sagrestano che d'estate suonava “il tempo”, ovvero suonava a lungo le campane durante l'infuriare dei temporali per sollecitare i contadini a pregare, affinchè il Signore allontanasse il temporale e salvasse i raccolti. Pare che avesse una grande efficacia, o perlomeno, tale era la convinzione della gente. Era usanza durante la processione del Corpus Domini che le spose tirassero le corde per stendere il bucato e sopra di esse venissero stese le lenzuola ricamate del corredo, lungo tutto il percorso della processione. Venivano anche stese per terra le tele di canapa grezza che servivano per fare le lenzuola, affinchè il sacerdote che portava il Santissimo vi camminasse sopra, ad imitazione della Domenica delle Palme, quando Gesù Cristo entrò a Gerusalemme. 7) D'inverno, quando si macellava il maiale, si conservava la vescica del suino ben gonfiata, appesa sotto il portico, molto in alto affinchè non fosse raggiungibile dai gatti. Una volta seccata a dovere si riponeva, serviva in caso di malattie gravi come borsa del ghiaccio quando gli ammalati avevano la febbre. Veniva conservata anche la sugna del maiale, che si usava per massaggi in caso di distorsioni, anche se col tempo acquistava un forte odore di rancido. Pare fosse molto efficace per curare le slogature, sia dei cristiani che degli animali bovini ed equini. 8) Per i dolori articolari dei bovini e degli equini si usava fare cataplasmi di argilla impastata (antrunà). Si ricopriva la parte dolorante con un pastone di argilla e si lasciava asciugare ricoprendola con uno straccio. Era una maniera empirica per fare i “fanghi” a domicilio senza alcuna spesa. 9) I raffreddoti si curavano con suffumigi di fiori di camomilla. Si prendeva un recipiente di terracotta (s-ciufêta), si riempiva di brace, sopra si spargevano fiori e semi di camomilla, si faceva aspirare al paziente, uomo o animale, il fumo che ne scaturiva. Liberava prontamente il naso, anche se faceva lacrimare e tossire in maniera tremenda. 10) Quando si avvevano i bachi da seta, per la riproduzione, si selezionavano i bozzoli più grossi, pesanti, consistenti, perchè dentro a quelli si sarebbero formate le crisalidi più grosse, di conseguenza anche le farfalle più prolifiche, le quali venivano poste a deporre le loro uova sopra pezze di tela. Queste pezze di tela con le uova, venivano portate in processione il giorno dell'Ascensione. Le donne le ponevano in seno e lì le tenevano durante tutto il tempo della funzione e anche successivamente, finchè nascevano i piccoli bachi, i quali erano messi sopra un letto di foglie tenere di gelso, tritate finemente e qui iniziavano immediatamente a divorare le tenere foglioline, alternando periodi di alimentazione ad altri di letargo, durante i quali cambiavano pelle, fino a raggiungere il massimo sviluppo, per poi salire sui rami e fabbricare il bozzolo. 11) La sera della festa di Tutti i Santi, si lasciava sul tavolo di cucina una scodella di castagne lessate, un bottiglione di vino aperto e un bicchiere, perchè i nostri morti che in quella notte venivano a farci visita, potessero mangiare e bere. Questa era la credenza 123 popolare. 12) La seconda settimana di maggio si facevano le rogazioni. Per tre mattine consecutive il prete, al mattino presto, faceva una processione per le vie del paese, cantando le litanie dei santi. Queste cerimonie avevano lo scopo di implorare da Dio una buona stagione agricola, un abbondante raccolto, tenendo lontano la grandine. 13) I giovani di leva, ovvero al compimento del ventesimo anno, avevano il compito, per tutto quell'anno, di presenziare alle funzioni religiose più importanti, portando in processiona la Madonna o il Santo Patrono nelle varie ricorrenze, il baldacchino alla Processione del Corpus Domini, che proteggeva l'Ostensorio con il Santissimo, ovvero l'Ostia consacrata. Avevano pure il compito di fare procedere allineati gli uomini e le donne, che procedevano su due file. 14) La settimana di Pasqua, nei giorni dal giovedì Santo al sabato Santo prima che suonasse la gloria, ovvero nei giorni in cui le campane rimanevano mute, i ragazzi andavano in giro a suonare mezzogiorno, l'Ave Maria alla sera e a preannunziare le funzioni in chiesa suonando le raganelle (cantarâñi), strumento di legno con un ingranaggio rudimentale e una linguetta, tutto in legno, che facendolo girare produceva un rumore simile al gracchiare delle rane; si suonava pure la “tnebra”, uno strumento formato da una tavola di legno massiccio, lungo circa 60 cm., spesso 5/6 cm., sul quale erano infisse delle specie di maniglie di ferro mobili, le quali, agitando la tavola di legno vi sbatacchiavano contro, producendo un sordo rumore. Rimpiazzavano le campane nei giorni che il Signore era morto. 15) Al giovedì Santo era usanza turlupinare i ragazzi mandandoli a portare al Parroco una grossa e pesante fune. Doveva servire a legare le campane, perchè si diceva che in quei giorni le campane venissero legate per impedirle di suonare. 16) A metà quaresima si mandavano i ragazzi in giro con una grossa sega (arsion) da un capo all'altro del paese, dicendo che doveva servire al tale o al tal'altro. Se chiedevano spiegazioni sull'uso, veniva loro risposto che serviva per tagliare a metà la Quaresima. 17) Si consumava pure un altro genere di scherzo: quando si uccideva il maiale, al momento di insaccare la carne del suino, si mandava un ragazzo da un conoscente che abitava all'altra estremità del paese, a prendere la misura dei salami. La persona, che era già d'accordo, rifilava al ragazzo un sacco con grossi pezzi di legno (rotondini), oppure di mattoni. 124 Alla fine il ragazzo, dopo avere trascinato il pesante sacco, arrivato a casa tutto sudato, veniva preso in giro dai parenti, che si divertivano un mondo a questo stupido scherzo. 18) Era consuetudine che le ragazze da marito ricamassero il corredo da sposa, il cosidetto fardello, più o meno ricco, con capi più o meno numerosi, a seconda delle possibilità delle loro famiglie. Era scontato che le figlie uniche avessero corredi più ricchi, sia per numero di capi, sia per qualità dei tessuti. Dove le figlie in famiglia erano numerose, era gioco forza dividersi tra di loro in numero equo i capi di indumenti intimi che le disponibilità economiche permettevano di acquistare. Un segno di distinzione era il letto di piuma d'oca. Più la sposa era abbiente, più il letto era pesante; il numero di chilogrammi di piuma erano le credenziali della sposa. Dal peso delle piume si valutava la ricchezza della sposa. Anche il copripiedi “al quarpiè”, le figlie uniche l'avevano di piumino, ovvero la parte più leggera e più costosa di quanto producevano le oche dalla spiumatura. Le spose meno abbienti usavano piume normali, quelle più povere addirittura piume di gallina. L'impegno di ricamare il fardello, coinvolgeva le ragazze fin dai tempi della scuola, già alle elementari, nei giorni di vacanza. Negli anni successivi, quando cominciavano a lavorare nei campi, dedicavano la stagione invernale, quando nei campi le donne non lavoravano, e proseguivano fino al matrimonio. 19) Altra tradizione, che se vogliamo essere precisi nella definizione si trattava di un tabù, era la verginità. Le ragazze da marito dovevano arrivare al matrimonio illibate, dobbiamo dire che la quasi totalità venivano deflorate la prima nottte di matrimonio, alcune anche nelle notti successive, perchè non tutti i mariti erano in grado di completare il rapporto la prima volta. Nei tempi andati era un punto d'orgoglio per le donne, ma anche per gli uomini, che così avevano la garanzia di essere il primo uomo per la loro sposa. Oggi il mondo si è capovolto, per una ragazza arrivare al matrimonio integra, senza avere avuto esperienze, è una cosa da vergognarsi, perchè non si è più considerate normali. 20) Quando ancora non esisteva il vino D.O.C., gli abitanti della collina, d'autunno, quando vendemmiavano, il sabato mattina venivano a Trino al mercato, con il carro trainato dai buoi con sopra la bigoncia (l'arbi), piena d'uva appena raccolta dalle loro vigne. Ogni famiglia contadina, seguendo una consuetudine, andava in 125 piazza a comprare un carico d'uva per fare il vino, da imbottigliare e da conservare per le annate successive. Il produttore venditore portava il suo prezioso carico fino al domicilio del compratore, il quale in precedenza aveva preparato i tini, lavati e aromatizzati con erba menta e foglie di pesco. Qui giunto, il vignaiolo pigiava l'uva con i piedi e la riponeva nei tini, dove successivamente il mosto sarebbe fermentato e sarebbe diventato vino. Dopo la spillatura del primo vino, si aggiungeva nei tini un poco d'acqua e un altro poco d'uva e si ricavava il secondo vino, di bassa gradazione, che si doveva consumare al più presto, perchè altrimenti ai primi caldi si sarebbe deteriorato. Ma non era finita qui, gli acini e i graspi rimanevano nei tini, si tornava ad aggiungere acqua addizionata a zucchero ed acido citrico e si estraeva la “Cinciña” di un bel colore rosato e dal gusto frizzante, si spillava direttamente dalla “piola”, si beveva fino a primavera avanzata, dopo di che era veramente finita, l'uva ci aveva dato tutto, i graspi fermentati e sfruttati finivano a concimare l'orto. 21) In campagna era radicata la convinzione che se il datore di lavoro, ovvero l'agricoltore, iniziava la campagna di monda o di mietitura del riso di lunedì, portasse male. Si diceva persino che in caso non fosse rispettata questa regola, il padrone sarebbe morto entro l'anno. A scanso di equivoci, qualsiasi ciclo di lavoro veniva iniziato al sabato (un tempo non vigeva l'uso della settimana corta) oppure di martedì. Così l'agricoltore salvava la pelle. 22) Quando ancora gli uomini non avevano preso la brutta abitudine di passegguare sulla luna, questo astro godeva la massima considerazione da parte dei nostri antenati. La luna, con le sue varie fasi, regolava la vita della natura e quella dell'uomo. Innanzitutto le semine, non si doveva mai seminare, qualsiasi raccolto, se non era luna piena o luna vecchia, come dicevano in gergo i contadini; solo il prezzemolo e la cicoria da taglio si seminavano a luna nuova, perchè doveva ricrescere in fretta, dopo tagliata. Tutte le altre verdure dovevano essere seminate a luna vecchia, altrimenti montavano, ovvero emettevano le infiorescenze da seme ed erano da buttare. Il vino veniva imbottigliato a luna vecchia, altrimenti buttava via il tappo o rompeva le bottiglie. L'abbattimento delle piante da legno da lavoro, oppure del ceduo da ardere, eseguito a luna nuova, esponeva il legno all'attacco dei tarli (gamole). 126 Pure la spiumatura delle oche, il cui piumino era destinato ai letti da sposa, doveva avvenire a luna vecchia, per evitare di vedere quel tesoro divorato dalle tarme e ridotto in polvere. I vitelli, i puledri, i pulcini, le papere, nate a luna vecchia erano molto più arzilli e robusti, stavano subito in piedi, per tale motivo gli accoppiamenti e le cove venivano programmati di conseguenza. Anche la nascita dei bambini era subordinata alla luna. L'astro notturno condizionava la vita. Oggi nessuno bada più a queste cose, tutto viene programmato dai computer, con quali risultati è facile da verificare. Il mondo di oggi considera fisime queste regole, ma i vecchi basavano i loro criteri su esperienze consolidate e alla fine guardando come funziona la nostra società, non si può fare a meno di dare loro ragione. Senza dirlo forte, per non essere considerati dei pazzi. 23) La mattina del sabato Santo, in chiesa si benediva l'acqua destinata al fonte battesimale e per le acquasantiere, quelle di marmo sistemate all'ingresso delle chiese, dove i fedeli inumidivano la punta delle dita della mano destra per fare il segno della croce, al momento di entrare e di uscire, per presenziare alle funzioni. Contemporaneamente veniva benedetta anche l'acqua di un grosso mastello, dove poi, a cerimonia ultimata, i fedeli andavano a riempire ognuno una bottiglia, per portarsela a casa; detta acqua benedetta sarebbe servita ad alimentaer il benedettino che ogni coppia sposata aveva all'epoca appesa a capo del letto, assieme al crocifisso, per intingere la punta delle dita e fare il segno della croce al momento di andare a dormire. Ora i benedettini non sono più di moda, però quelli di una volta sono molto ricercati dai collezionisti di oggetti d'epoca; purtroppo non è nemmeno molto più di moda fare il segno della croce quando si va a dormire. 24) Ai tempi in cui ero bambini, si andava molto soggetti alla verminosi, ovvero a quei vermi intestinali che creavano non pochi problemi ai bambini in tenera età. Ebbene, il rimedio, all'epoca, era costituito da una collana di spicchi d'aglio che si fabbricava infilando in uno spago numerosi spicchi staccati dai bulbi di questo ortaggio aromatico, e fatto portare al collo dell'interessao fino a quando il disturbo non era sparito. Pare che il rimedio fosse molto efficace e soprattutto pure a buon mercato, perchè allora l'aglio era coltivato in ogni casa contadina. 127 finito di stampare giugno 1997 Tipografia AGS - Trino 128