CONFIGURAZIONI D`IMPRESA PER IL VANTAGGIO GLOBALE

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CONFIGURAZIONI D`IMPRESA PER IL VANTAGGIO GLOBALE
CONFIGURAZIONI D’IMPRESA
PER IL VANTAGGIO GLOBALE
Paolo Stampacchia∗
Abstract
I cambiamenti intervenuti negli ultimi anni nello scenario internazionale hanno reso
obsoleti i modelli pre-esistenti di analisi della competizione e di supporto allo sviluppo
internazionale delle imprese. Tali modelli si sono basati inizialmente sul concetto di
vantaggio comparato (Ricardo, Leontief, Hirsh, Porter 1990) e, successivamente, in
alternativa al primo, sul concetto di vantaggio competitivo (Dunning, Porter 1985, Grant,
Barney, Nonaka). In entrambi i modelli, peraltro, l’unità elementare di analisi è l’intera
impresa e non vengono considerati, perciò, i macro-processi di cui queste sono parte, né le
singole attività secondo cui i processi aziendali si articolano; infine, non vengono evidenziate
le similitudini esistenti tra le categorie più di recente considerate per elencare, da un lato, i
“fattori” di cui può essere “dotata” una determinata nazione (o area) e, dall’altro, le
“risorse” su cui può basarsi il vantaggio competitivo delle imprese.
Il modello che si propone sviluppa l’analisi al livello delle singole attività d’impresa e
considera una classificazione omogenea per le risorse “site specific” (o “di mercato”) e
“firm specific” (o “distintive”), ciascuna delle quali, a sua volta, si caratterizza per il fatto di
essere trasferibile e non trasferibile nello spazio.
Ne consegue la possibilità per le imprese di selezionare attività, localizzazioni e
modalità di proprietà/controllo che integrano gli effetti positivi del vantaggio competitivo e
del vantaggio comparato e determinano “configurazioni” in grado di garantire il “vantaggio
globale” e, cioè, la capacità di essere stabilmente competitive nel nuovo scenario
internazionale.
Key words: vantaggio globale, risorse, attività, configurazione.
Changes in international scenarios made out of date previous models on both
international competition and business international development. Such models based
initially on the concept of comparative advantage (Ricardo, Leontief, Hirsh, Porter 1990)
and, in the next years, in opposition to the former, on the concept of competitive advantage
(Dunning, Porter 1985, Grant, Barney, Nonaka). Both the models, indeed, view the entire
enterprise as the elementary analysis unit and do not consider the macro-processes to which
enterprises participate, nor specific activities of the business processes; finally, they don’t
analyze the similarities among the categories recently introduced to describe, on one side, the
“factors” with which a specific nation (or area) can be “endowed” and, on the other side, the
“resources” on which an enterprise can found its competitive advantage.
∗
Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Napoli
“Federico II”
e-mail: [email protected]
sinergie n. 60/03
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CONFIGURAZIONI D’IMPRESA PER IL VANTAGGIO GLOBALE
The model proposed in this article bases the analysis on specific business activities and
considers an homogeneous classification for “site specific” (or “market”) resources and
“firm specific” (or “distinctive”) resources, both of which can be also characterised by
transferibility in the space or not.
The enterprises have so the possibility to select activities, locations and forms of
property/control to integrate positive effects of both competitive and comparative advantage
and to define “configurations” able to assure “global advantage”, that is the capacity to
remain competitive in the new international scenario.
Key words: global advantage, resources, activities, configuration.
1. I cambiamenti dello scenario internazionale
Fra la fine degli anni Ottanta ed oggi, sia nel contesto “esterno” sia nel modo di
essere e di operare delle imprese, sono intervenuti cambiamenti tanto rilevanti da
configurare una rottura sostanziale rispetto alla situazione ed ai trend evolutivi
dell’epoca precedente.
Non ritenendo utile ripetere in dettaglio cose già ampiamente riportate, sembra,
tuttavia, opportuno richiamare l’attenzione sui mutamenti intervenuti che appaiono
più rilevanti ai fini delle considerazioni che si intendono sviluppare.
Per quanto attiene al contesto in cui le imprese operano, i cambiamenti più
importanti sono soprattutto cinque:
1.
2.
3.
4.
5.
la liberalizzazione della circolazione internazionale di merci, capitali e servizi, i
cui passaggi cruciali sono stati l’accordo G.A.T.T. del 1994 e la connessa
creazione della W.T.O.;
la diffusione di un sistema globale di comunicazioni a basso costo e di facile
accesso, i cui passaggi cruciali sono stati la demilitarizzazione e la conseguente
diffusione della rete Internet;
l’ampliamento dell’economia di mercato a vaste aree dell’Est Europeo ed
Asiatico, i cui passaggi critici sono stati la caduta del Muro di Berlino del 1989
ed il recente ingresso delle Cina nella World Trade Organization;
la conseguente, forte differenziazione culturale, sociale, tecnologica e di
dotazioni infrastrutturali delle realtà locali in cui è ora possibile avviare attività
economiche, rispetto alla sostanziale omogeneità che caratterizzava il territorio
precedentemente utilizzabile per l’insediamento di attività aziendali;
la formazione di mercati interni regionali (CEE, NAFTA, MERCOSUR,
ASEAN, ANZCER, ecc.) più o meno evoluti dal punto di vista politico, ma,
comunque, tendenti a porsi come nuove unità elementari dello scenario
economico internazionale.
Per quanto attiene, invece, al modo di essere e di operare delle imprese, sembra
importante sottolineare soprattutto sei fenomeni specifici:
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1.
2.
3.
4.
5.
6.
91
l’accesso a normali processi di internazionalizzazione da parte di imprese di
media e piccola dimensione;
l’articolazione delle attività produttive in senso lato (manifatturiere, di direzione
e controllo, di ricerca & sviluppo, di logistica, marketing, ecc.) fra più imprese
in base alla differenziata disponibilità di specifiche competenze e risorse;
la de-localizzazione nelle nuove aree dell’economia di mercato di molte attività
produttive (soprattutto manifatturiere, ma sempre più spesso anche di supporto
direzionale e/o di innovazione e ricerca);
l’articolazione in più località, spesso anche lontane tra loro, delle attività della
stessa filiera o della stessa impresa;
la conseguente acquisizione di rilevanza strategica da parte dei sistemi logistici
necessari per assicurare il collegamento operativo ed informativo tra attività
interdipendenti, ma, spesso, fisicamente lontane tra loro;
la concentrazione di attività analoghe (o di processi produttivi più o meno
completi) in aree specifiche (volta a volta definite “distretti”, “aree a tema”,
ecc,) ed in fiera concorrenza tra loro nel caso di “vocazioni” simili o sostitutive,
come accade, ad esempio, per Silicon Valley e Bangalore nella produzione di
software o di analisi matematiche, o per New York, Londra, e Tokio per le
attività direzionali delle imprese di grande dimensione.
2. I limiti dei modelli tradizionali di analisi della competizione internazionale
I cambiamenti così rapidamente evidenziati hanno prodotto una realtà operativa
che negli elementi di struttura e nelle modalità evolutive correnti è sostanzialmente
diversa da quella vigente fino a quindici anni or sono. E’ evidente, dunque, la
necessità di valutare se gli schemi precedentemente impiegati ed ancora oggi
proposti per l’analisi dello scenario internazionale siano ancora utili e significativi,
soprattutto come strumento di supporto ai processi decisionali delle imprese.
I modelli tradizionali si sono basati inizialmente sul concetto di vantaggio
comparato e, avendo come obiettivo fondamentale quello di spiegare i flussi
internazionali di import-export, sono evoluti nel tempo sia in virtù di una
individuazione via via più articolata dei fattori da cui dipende il vantaggio
comparato, sia attraverso una sempre più spinta formalizzazione e quantificazione
delle relazioni tra fattori e flussi, sia, infine, per la possibilità di riferire i risultati
delle analisi condotte non solo ad intere nazioni, ma anche a gruppi di imprese
esportatrici in esse operanti.
A partire dagli anni ‘70, tuttavia, l’analisi del fenomeno all’epoca “nuovo” degli
investimenti internazionali diretti ha messo in evidenza il ruolo svolto dalla imprese
“multinazionali”, principali attrici di tali investimenti, e la necessità di concentrare
l’attenzione sul vantaggio competitivo di cui queste imprese disponevano e sulle
“fonti” da cui questo derivava. Si è venuta così a creare una separazione netta tra gli
ambiti di impiego dei concetti di vantaggio comparato e di vantaggio competitivo. Il
primo è stato posto alla base di analisi generali, relative ai flussi di import – export
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di intere nazioni (o aree) e, per quanto riguarda le imprese, è stato impiegato
soprattutto per spiegare le capacità di esportazione delle imprese di dimensioni
minori, ritenute, perciò, prive di specifici elementi di vantaggio aziendale. Il
secondo, invece, ha destato in misura nettamente maggiore l’interesse degli studiosi
di gestione d’impresa ed, infatti, è stato ampiamente analizzato ed utilizzato per
spiegare la capacità di espansione internazionale di singole imprese e, soprattutto, di
quelle che hanno fatto ricorso ad investimenti internazionali diretti.
La separazione degli ambiti di riferimento fondamentali e la preminenza
accordata, di fatto, al vantaggio competitivo, rispetto al vantaggio comparato,
rappresentano, già da soli, gravi elementi di inadeguatezza dei modelli tradizionali a
supportare le decisioni d’impresa nel nuovo contesto “globale”. Approfondendo
l’analisi, tuttavia, è possibile, individuare almeno altri cinque elementi di debolezza
di tali modelli, la cui evidenziazione può aiutarci nella costruzione di un nuovo
impianto metodologico.
Tali ulteriori elementi di debolezza possono essere così sintetizzati:
1.
2.
3.
4.
5.
considerano l’impresa come un tutto unitario e non sono, perciò, in grado di
spiegare l’articolazione territoriale delle differenti attività aziendali ed, ancor
più, la distribuzione internazionale delle attività che fanno parte di una stessa
filiera, sistema o costellazione del valore, entro cui si inseriscono le attività
svolte dalle specifiche imprese;
spesso non considerano neppure le singole imprese come unità elementari
dell’analisi, ma gli interi “settori” industriali cui queste appartengono e,
comunque, si limitano a considerare questi ultimi come l’ambiente
competitivo/cooperativo in cui le imprese operano. Non emerge, perciò, la
visione dei processi entro cui si iscrivono e secondo cui si sviluppano tutte le
attività d’impresa;
non considerano la trasferibilità ormai acquisita di alcuni “fattori” (in
particolare capitali, merci, servizi ed informazioni codificate) e, quindi, non
considerano che di tali fattori non interessa più il luogo in cui sono prodotti, ma,
piuttosto, la possibilità di disporne grazie alla presenza nei diversi siti di idonei
terminali di accesso;
considerano il vantaggio comparato di specifiche aree soltanto in termini di
contributo alla riduzione dei costi e non di supporto alla generazione di valore,
con la possibilità, pertanto, che una specifica area venga scelta per il maggior
valore che in essa può essere generato, piuttosto che per il minore costo dei
fattori in essa utilizzabili;
infine, nonostante il modello del vantaggio comparato sia tradizionalmente
basato sul concetto di “dotazione dei fattori”, non viene evidenziato che tali
fattori altro non sono che “risorse”. Partendo da questa evidente similitudine,
invece, da un lato, si individua una straordinaria similitudine fra le più recenti
classificazioni dei “fattori” del vantaggio comparato (soprattutto in Leontief ed
Hirsh) e le tipologie di risorse individuate dalla R.B.V.; dall’altro, emerge il
ruolo determinante svolto anche in questo campo dalle risorse di conoscenza e
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di relazione. In proposito, è significativo notare che anche il ben noto modello
del “Diamante” di Porter considera, come determinanti del vantaggio delle
nazioni, alcuni fattori elementari (condizioni della domanda, condizioni dei
fattori, settori correlati e di supporto, strategia, struttura e concorrenza delle
imprese) che, di fatto, non sono altro che fattori di sviluppo di particolari
conoscenze/competenze; queste ultime, tuttavia, soprattutto se implicite (e,
perciò, non facilmente codificabili e trasmissibili a distanza), diventano una
componente fondamentale della dotazione di fattori di un’area e, quindi, una
fonte specifica del vantaggio di cui possono godere le imprese che vi si
localizzano con unità produttive o con attività di mera “osservazione” (o di
“ascolto”) delle evoluzioni in corso nel campo di conoscenze in cui quell’area è
specializzata.
3. I lineamenti di un nuovo modello
3.1 Le condizioni da soddisfare
Sulla base di quanto evidenziato, un modello che sia in grado di supportare le
analisi e le decisioni, soprattutto strategiche, nella realtà attuale deve avere le
seguenti caratteristiche:
1.
deve evidenziare, e se necessario stressare rispetto ad altri elementi, la “visione
processuale” dell’impresa e, perciò, il suo essere caratterizzata da un insieme di
attività che, peraltro, sono parte di processi più ampi in cui l’impresa si inserisce
e si posiziona. Si tratta, perciò, di operare una duplice sostituzione concettuale:
dalla visione “monadica” alla visione “processuale” dell’impresa e,
contemporaneamente, dal riferimento al settore, come contenitore logicooperativo delle imprese in competizione/cooperazione tra loro, al riferimento ai
macro-processi (filiere, reti, sistemi o costellazioni del valore) in cui l’impresa
si inserisce e di cui è parte (cfr. fig.1);
P
R
Settore “A”
O
C
E
Settore “B”
S
S
I
Settore “C”
Fig. 1: Settori e processi
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2.
in questo diverso ambito di riferimento è necessario considerare, come unità di
analisi, non già intere imprese (né, tanto meno, interi settori), ma, bensì, le
singole attività in cui si articolano i processi d’impresa ed i macro-processi di
cui queste sono parte;
3.
ogni singola attività deve essere considerata come titolare di un suo specifico
“bilancio delle risorse”, cioè di un rapporto diretto e particolare fra risorse
generate e risorse impiegate. Tale rapporto, pur con tutti i limiti ed i rischi di
valutazioni parziali, ex ante e necessariamente qualitative, evidenzia il “valore”
che l’attività è in grado di generare a vantaggio dell’azienda e dei diversi
stakeholder di quest’ultima.
4.
premesso che, per ogni attività, l’accesso è possibile solo disponendo delle
qualità e quantità di risorse necessarie, il “bilancio delle risorse” di ciascuna di
esse può variare sia a seconda dell’impresa che la realizza, sia a seconda del
luogo in cui l’attività è realizzata.
Nel primo caso, il risultato può variare (da impresa ad impresa) soprattutto in
funzione delle differenti necessità e dotazioni di risorse “firm specific”
(competenze aziendali, assets particolari, ecc); nel secondo caso, invece, il
valore generato da una specifica attività può variare in funzione della differente
dotazione e produttività delle risorse (soprattutto non trasferibili) disponibili nei
diversi luoghi e che, per assonanza e contrapposizione alle prime, potremmo
definire “site” o “place specific”. Tali risorse, peraltro, a differenza delle risorse
“firm specific”, sono disponibili per tutte le imprese che si insediano nell’area e,
perciò, potrebbero essere definite anche risorse “di mercato” (cfr. figura 2).
Sulla base di quanto detto si evidenzia un modello che può orientare le scelte
strategiche delle imprese in funzione del perseguimento sia del vantaggio
competitivo che del vantaggio comparato e, perciò, in funzione di un obiettivo
complessivo che possiamo definire di “vantaggio globale”.
Tali scelte, peraltro, hanno per oggetto le attività da avviare (o
abbandonare/delegare), i luoghi in cui sviluppare attività ed acquisti ed, infine, le
modalità di proprietà e controllo delle attività: esse, pertanto, delineano, la
“configurazione strutturale” che le imprese devono assumere per perseguire il
vantaggio globale e che, come tale, rappresenta una sorta di pre-condizione,
logicamente ed operativamente anteposta alle altre scelte di gestione, che dalla
configurazione strutturale vengono influenzate anche per l’efficacia con cui
potranno contribuire alla capacità dell’impresa di competere e di generare valore nel
nuovo contesto globale.
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RISORSE
“FIRM
TRASFERIBILI
NELLO SPAZIO
•
•
•
•
•
ACQUISIBILI SUL MERCATO/
“DI MERCATO”
SPECIFIC”/“DISTINTIVE”
Conoscenze di proprietà o uso
esclusivo “codificate” (brevetti,
informazioni tecniche, ecc..)
Simboli di fiducia (marchi,
certificazione universalmente
riconosciute, ecc.)
Competenze “aziendali” (ciò che le
aziende sanno fare)
Routine aziendali
………………………..
•
•
•
•
•
Denaro
Materie prime e semilavorati non
deperibili
Conoscenze esplicite codificate
Competenze individuali di marketing,
produzione, di gestione corrente , ecc.
(in caso di disponibilità a spostamenti
personali)
……………………………..
“SITE SPECIFIC”/”PLACE SPECIFIC”
•
•
NELLO SPAZIO
NON TRASFERIBILI
•
•
•
Assets fisici di proprietà
…………………………
•
•
•
•
•
Materie prime e semilavorati non
trasferibili (deperibili, ecc.)
Risorse di lavoro (in caso di non
disponibilità a spostamenti personali)
Terminali di accesso alle (reti di
distribuzione delle) risorse trasferibili
Conoscenze “implicite/contestuali”
Servizi relazionali
Condizioni “specifiche” dell’ambiente
locale in grado di consentire alle risorse
di generare in quel luogo più valore che
altrove (clima, condizioni istituzionali,
capitale “sociale”, centri di ricerca e
formazione, ecc.)
Condizioni “specifiche” dell’ambiente
locale in grado di consentire all’impresa
di trattenere più valore che altrove
(tassazione dei redditi, brevettabilità,
ecc.)
………………………………
Fig. 2: Classificazione delle risorse
3.2 I criteri di scelta delle attività
La “configurazione” delle imprese per il vantaggio globale risulta, perciò, da un
insieme di scelte che, in prima istanza, riguardano, le attività da svolgere
direttamente ed in proprio, piuttosto che da delegare a terzi o da svolgere in
partnership con altre imprese.
Per le scelte relative alle attività si possono individuare le seguenti alternative e
criteri di base:
96
1.
2.
3.
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sono scelte come attività da svolgere direttamente quelle per le quali il bilancio
delle risorse e, perciò, le attese di valore generato sono influenzate
significativamente dall’impiego di risorse di cui l’impresa dispone in via
esclusiva o in modalità particolari e che, perciò, non sono immediatamente
disponibili sul mercato delle risorse o facilmente acquisibili da parte di altre
imprese; nella scelta delle attività da svolgere sono, perciò, fondamentali le
risorse “firm specific” (competenze aziendali, ma anche particolari assets, fonti
di approvvigionamento, ecc.) che non possono essere acquisite tal quali dai
concorrenti sul mercato delle risorse e la cui disponibilità può garantire,
pertanto, all’impresa un vantaggio competitivo sostenibile nel medio periodo;
contemporaneamente, non saranno svolte in proprio le attività dello stesso
sistema (o della stessa costellazione) del valore per le quali altre imprese
dispongono delle risorse distintive necessarie; con tali imprese, peraltro, si
cercherà di stabilire idonei contratti di fornitura a medio termine, al fine di
acquisirne in condizioni privilegiate non soltanto i relativi prodotti/ servizi, ma
anche il connesso vantaggio competitivo;
infine, saranno tendenzialmente delegate a terzi anche quelle attività la cui
realizzazione non richiede (ora o in prospettiva) l’impiego di specifiche risorse
“distintive”; in questo caso la delega a terzi non si affiancherà, tuttavia, alla
ricerca di contratti di fornitura a medio termine, ma, piuttosto, ad acquisti
realizzati di volta in volta, in funzione delle particolari condizioni di offerta e
delle specifiche esigenze aziendali.
3.3 I criteri di localizzazione delle attività e degli acquisti
La selezione delle attività, dei fornitori e delle modalità di approvvigionamento
in funzione della dotazione di risorse “firm specific” e del “vantaggio competitivo”
non è, tuttavia, sufficiente, nella realtà attuale, a garantire all’impresa condizioni di
vantaggio veramente stabili.
Infatti, le singole attività di un qualunque sistema o costellazione del valore
impiegano, di norma, non soltanto risorse distintive di specifiche imprese, ma anche
risorse correntemente disponibili sul mercato, seppure con prezzi, modalità
qualitative e condizioni di disponibilità e di offerta differenti da zona a zona. In tal
senso, un ulteriore contributo al miglioramento del “bilancio delle risorse” di ogni
specifica attività, può essere fornito dalla localizzazione di quelle attività nelle aree
in cui le risorse “di mercato” necessarie sono disponibili a prezzi più contenuti,
hanno una maggiore capacità di generare valore o, infine, consentono all’impresa di
trattenere all’interno di essa una maggiore “quantità” del valore complessivamente
generato.
Le aree in cui tali condizioni si manifestano sono caratterizzate da un particolare
“vantaggio comparato” e dovranno essere preferite alle altre, sia per la realizzazione
delle attività svolte in proprio, sia per la localizzazione degli acquisti e per la scelta
dei possibili fornitori. Nel breve periodo, tali localizzazioni consentono di
“difendere” il vantaggio competitivo da possibili aggressioni di concorrenti
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localizzati nelle aree più avvantaggiate; nel medio termine, invece, la localizzazione
delle attività o degli acquisti nelle aree più avvantaggiate consente di rinnovare e
rafforzare ulteriormente le fonti del vantaggio competitivo: l’impresa, infatti, sarà a
contatto con il mercato locale più significativo a livello globale nell’offerta di risorse
pur altrove disponibili e questa contiguità fornirà una spinta specifica ad innovare
anche le proprie conoscenze ed i propri processi.
E’ evidente, peraltro, che nella prospettiva dello sviluppo internazionale delle
proprie attività, le imprese potranno trovarsi anche nella condizione di dovere/volere
operare anche in paesi o aree non caratterizzate da condizioni di vantaggio
comparato, ma che siano, comunque, interessanti, ad esempio come mercati di
sbocco dei prodotti e servizi offerti. In tal caso, le imprese dovranno comunque
localizzare alcune attività nelle aree in questione, ma si limiteranno a perseguire
obiettivi di “presidio” locale e non, invece, di supporto strategico alla capacità
competitiva globale dell’intera impresa. Rispetto a tale schema, un livello
intermedio è, spesso, rappresentato dalle attività di “presidio regionale”, che,
tendenzialmente, vengono localizzate nelle aree caratterizzate da un vantaggio
comparato almeno “regionale”, con lo scopo di supportare in modo specifico le
attività svolte nei mercati interni regionali di cui si è detto in precedenza.
In tal senso, le imprese tenderanno a localizzare nelle aree specificamente più
avvantaggiate le attività di cui beneficia l’intero sistema aziendale o una parte
rilevante di esso; nelle aree prive di vantaggio comparato, invece, verranno
localizzate, se necessario, attività di “presidio locale”, il cui “prodotto” specifico,
cioè, non è destinato ad impieghi in aree/attività differenti in cui pure l’impresa
opera.
3.4 I criteri di scelta delle forme di proprietà e controllo
Un ultimo elemento della configurazione delle imprese per il vantaggio globale,
anch’esso dipendente dal modo di essere del vantaggio competitivo e del vantaggio
comparato, è rappresentato, infine, dalle modalità di presenza nelle diverse
attività/aree, e, quindi, anche dalla prospettiva temporale degli investimenti che
saranno realizzati.
L’eventuale condivisione con altre imprese delle competenze “distintive”
necessarie per realizzare una determinata attività genererà tendenzialmente
“partnership imprenditoriali” di respiro globale, destinate, cioè, a manifestare i loro
effetti in tutte le aree in cui l’impresa, comunque, vorrà operare. Le forme che tali
partnership potranno assumere sono, ovviamente, diverse da caso a caso; in linea di
massima, però, a differenza dei contratti di fornitura di cui si è parlato sopra, esse
manifestano una più marcata partecipazione comune al rischio e, di conseguenza,
sfociano normalmente in veri e propri contratti d’impresa, piuttosto che di “mera”
fornitura.
Le modalità di realizzazione delle attività possono essere influenzate, tuttavia,
(sia in caso di attività proprie che di partnership imprenditoriali) anche dalla
prospettiva temporale del vantaggio comparato presente in una certa area.
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Indipendentemente dall’influenza esercitata da altri fattori (politici, di conoscenza
delle realtà locali, ecc.), il grado di stabilità percepita del vantaggio comparato di
una data area rappresenta un ulteriore specifico elemento di orientamento delle
modalità di controllo di un’attività. Nel caso di instabilità percepita del vantaggio
comparato si manifesterà, infatti, una spinta specifica a sperimentare modalità di
controllo dell’attività in grado di consentirne anche una rapida dismissione e si
avranno, perciò, delle Joint Venture, che, per differenza dalle prime, potremmo
definire “strumentali” e che saranno tanto meno azionarie e tanto meno impegnative
per l’impresa, quanto più prossimo o elevato è il rischio percepito del venire meno
delle condizioni di vantaggio comparato.
3.5 I lineamenti del Modello
In sintesi, come mostra lo schema che segue, si evidenzia un modello generale
in cui il concetto di vantaggio “globale” integra le due categorie precedentemente
separate del vantaggio competitivo e del vantaggio comparato (cfr. fig. 3). Il
vantaggio “globale” è il risultato di tutte le attività e scelte che caratterizzano la
gestione d’impresa; esso, tuttavia, dipende in modo rilevante da una pre-condizione
strutturale che possiamo definire “configurazione delle imprese”.
La configurazione delle imprese consiste nel mix di attività, localizzazioni, e
modalità di proprietà e controllo, in cui si articola il sistema aziendale; la
configurazione d’impresa per il vantaggio globale, invece, è quel particolare mix di
attività, localizzazioni e modalità di proprietà e controllo, che consente di
massimizzare, contemporaneamente e per l’insieme delle attività aziendali, sia il
vantaggio competitivo che il vantaggio comparato.
La configurazione per il vantaggio globale è specifica di ciascuna impresa in
funzione delle risorse distintive (o “firm specific”) di cui dispone, delle attività in cui
tali risorse sono rilevanti e della distribuzione e trasferibilità internazionale delle
risorse di mercato, pure necessarie per realizzare le diverse attività. La
configurazione delle imprese per il vantaggio globale, peraltro, può variare nel
tempo in funzione del variare delle tecnologie (e, quindi, del mix di risorse
necessarie per realizzare le diverse attività), del cambiamento (programmato e non
programmato) della dotazione aziendale di risorse “distintive” ed, infine, delle
condizioni locali di disponibilità e produttività delle risorse di mercato non
trasferibili (o “site specific”).
Le imprese devono orientarsi per il breve termine verso la configurazione che
assicura il vantaggio globale sulla base dell’assetto attuale delle risorse “firm
specific” e “site specific”. Per il medio termine, invece, devono ri-configurarsi (con
continuità) in funzione dell’assetto prevedibile delle risorse necessarie per le diverse
attività, delle risorse “firm specific” di cui l’azienda potrà/vorrà disporre rispetto ai
possibili concorrenti ed, infine, della prevedibile distribuzione internazionale e
produttività delle risorse “site specific”.
Fig. 3: Verso la configurazione delle imprese per il vantaggio globale
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CONFIGURAZIONI D’IMPRESA PER IL VANTAGGIO GLOBALE
Per delineare quale sia la configurazione “obiettivo” per il vantaggio globale le
imprese devono considerare le singole attività (produttive in senso stretto, di
marketing, di logistica, di direzione e controllo, di ricerca e sviluppo ecc.) in cui si
articola il sistema o la costellazione del valore di cui sono parte. Per ciascuna attività
devono evidenziare sia le tipologie, quantità e disponibilità delle risorse necessarie,
sia i flussi di risorse che da queste possono essere generate, sia, infine, il “valore” di
queste ultime nell’ambito del complessivo processo aziendale di generazione di
valore.
Dall’analisi comparata delle risorse da impiegare e delle risorse producibili si
evidenzia il “bilancio delle risorse” che può essere espresso anche in valori
monetari, ma che potrebbe dover essere misurato, o integrato, anche in termini
qualitativi, ad esempio considerando il contributo offerto al valore economico
dell’impresa dal rafforzamento di conoscenze particolari o dei livelli di fiducia, cui è
difficile attribuire uno specifico valore monetario.
Il passaggio successivo è quello di individuare quali tra le risorse necessarie
siano normalmente acquisibili sul mercato e quali, invece, siano distintive di
specifiche imprese ed, in particolare, dell’impresa per conto della quale si sta
svolgendo l’analisi. Infine, sulla base dell’analisi del vantaggio competitivo e del
vantaggio comparato, si individua la configurazione-obiettivo sia per il breve che
per il medio periodo. La seconda impone più spesso un programma effettivo di
riassetto delle attività aziendali ed un’epoca di definizione di esso; la
configurazione-obiettivo per il breve periodo, invece, potrebbe coincidere con quella
già in essere o potrebbe essere nettamente superata dalle esigenze di cambiamento
nel medio termine.
4. Considerazioni conclusive
Il modello proposto è stato delineato soltanto in termini generali, dati i limiti di
tempo e gli obiettivi specifici di questo intervento.
Indipendentemente da ciò, è fuori di dubbio, tuttavia, che ulteriori elementi
vanno approfonditi, soprattutto per quanto attiene alle classificazioni più opportune
sia delle attività che delle risorse. Su tali elementi sono già state formulate alcune
ipotesi, ma ulteriori dibattiti ed analisi empiriche sono necessari per verificare la
validità delle ipotesi formulate e, successivamente, modificare o rigettare “in toto” il
modello proposto.
Per ora si può dire che le prime analisi, condotte peraltro in modo non
sistematico, sembrano evidenziare che, esplicitamente o implicitamente, le imprese
caratterizzate da più elevati indicatori di successo si orientano secondo il modello
esposto e sembrano, perciò, dargli concretezza e sostanza.
Del resto, i cambiamenti repentini manifestatisi anche di recente nella posizione
competitiva internazionale di molte imprese (Ibm, Compaq, Fiat, Skoda, Hiunday,
ecc.) sembrano evidenziare proprio i rischi derivanti da un inefficace presidio di
tutte le variabili da cui deriva la posizione competitiva ed, all’opposto, i vantaggi
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101
derivanti da scelte di configurazione che tengano conto, contemporaneamente, sia
del vantaggio competitivo che del vantaggio comparato.
Bibliografia
Teoria delle risorse/competenze
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