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Mens Concordet Voci
Anno III, n. 1 - Foglio informativo della Commissione Diocesana per la Liturgia - Crema, febbraio 2010
Il ministero del lettore
S
intesi dei vari contributi offerti ai lettori liturgici (Mons. Pier Luigi Ferrari, Mons. Angelo Lameri, don Carlo Bozzetti,
Marucco Gianpietro del Gatal, Nuvola De Capua). Crf. anche Il ministero del lettore (dalla rivista “La vita in Cristo e nella
Chiesa”) e Il ministero del lettore di don Giovanni Gritti, Diocesi di Brescia, 2007.
Prestare voce a Dio, per la Chiesa
Q
uando un lettore proclama i brani della Parola di Dio,
si fa collaboratore di Dio che realizza la sua opera di
salvezza: si deve rendere conto che proclamare la Parola non è
cosa da fare a cuore leggero,
vale a dire, come se si trattasse di fare una cosa come
un’altra!
La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture
come ha fatto per il Corpo
stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi
del pane di vita dalla mensa
sia della parola di Dio che
del Corpo di Cristo, e di
porgerlo ai fedeli. (Dei Verbum, 21)
Quando un lettore proclama la Parola, compie un atto ecclesiale: non fa una cosa a nome suo, ma partecipa alla missione della Chiesa, di cui è parte.
Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale
nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della Messa, sia
nella persona del ministro, essendo egli stesso che, «offertosi una
volta sulla croce, offre ancora
se stesso tramite il ministero
dei sacerdoti», sia soprattutto sotto le specie eucaristiche.
È presente con la sua virtù
nei sacramenti, al punto che
quando uno battezza è Cristo
stesso che battezza. È presente
nella sua parola, giacché è lui
che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura.
(Sacrosanctum Concilium,
cap.1 n 7)
Il lettore quindi presta la
voce a Dio; diventa in certo
modo suo ministro. Attraverso la sua voce, Dio fa risuonare la
sua Parola! È vero in ogni forma di annuncio della Parola, ma
lo è in maniera speciale nell’assemblea eucaristica.
Le letture
L
a riforma liturgica ha istituito per la Messa festiva tre letture perché i diversi passi della Scrittura s’illuminino a vicenda e perché
è impossibile capire il Nuovo Testamento senza conoscere l’Antico.
È molto importante che vi siano lettori diversi per ogni lettura: la varietà dei lettori, i movimenti che essa provoca nel presbiterio,
l’eventuale alternarsi di una voce maschile e di una femminile sono elementi che servono a rompere la monotonia e contribuiscono
a suscitare l’attenzione nell’assemblea.
Chi sono i lettori? Il miglior sistema è quello di permettere al maggior numero di fedeli adulti di fungere da lettori, a condizione
però che non si faccia leggere qualcuno senza essersi assicurati che ne sia capace e che sia adeguatamente preparato.
I documenti del dopo Concilio in tema di liturgia insistono ripetutamente sulla necessità che i lettori siano «veramente idonei e
preparati con impegno» (cf PNMR 66) attraverso un cammino di formazione «biblica, liturgica e tecnica» (cf OLM 55). Lo scopo
di tale formazione non è certo quello di creare professionisti della lettura, ma di far capire anzitutto che l’azione liturgica del leggere
la Parola di Dio ha un’importanza fondamentale nell’economia della celebrazione, poiché è soprattutto da come vengono lette le
letture che dipende se la Parola di Dio giunge al cuore dei fedeli oppure no: ciò è fondamentale affinché la Parola agisca e sia efficace.
E inutile aver ridato alla Parola di Dio un posto importante nella liturgia se poi non c’impegniamo ad ottenere una buona lettura.
Il lettore deve anzitutto investirsi della sua funzione, deve prendere coscienza che l’impegno di leggere la Parola di Dio non può
esaurirsi ad un semplice atto da compiersi, ma deve diventare un vero e proprio ministero, coinvolgente l’intera vita di chi lo compie.
Il lettore, pertanto, non può occuparsi della Parola di Dio solo quando si accinge a leggerla, ma deve «porsi in ascolto» ben prima,
deve fare (come ogni cristiano dovrebbe) della Parola di Dio il nutrimento della propria vita. Il lettore è l’altoparlante di Dio, il suo
inviato affinché la sua Parola, diventata Scrittura, ridiventi Parola oggi; è il servitore dell’Alleanza tra Dio ed il suo popolo, che si
manifesta nel continuo dialogo testimoniato dalla Scrittura; è colui che fa sì che Dio parli al suo popolo, riunito per ascoltarlo.
Alcuni consigli pratici per i lettori
✔Le letture devono essere lette dall’ambone messo bene in
evidenza e dal lezionario, non da fogli volanti, libri vari,
ecc.
✔Il lettore deve sempre preparare la lettura con cura
e sotto ogni aspetto.
✔Prima d’iniziare a leggere è bene attendere
sempre che l’assemblea
sia seduta, in silenzio, in
disposizione di ascolto;
anche scenograficamente
è importante uno stacco
per distinguere i riti d’introduzione dalla liturgia
della Parola. Se c’è anche
qualche secondo di silenzio, meglio!
✔Non è bene che i lettori stiano tutti ammassati all’ambone,
uno accanto all’altro, né che ogni lettore si avvii all’ambone
dopo una passeggiata attraverso mezza chiesa. È bene invece
che i lettori abbiano dei sedili a loro riservati e che li occupino fin dall’inizio della Messa. Sia l’avvicinamento sia l’al-
lontanamento dall’ambone devono essere fatti con calma,
lentamente e senza intralciare gli altri.
✔ Giunto
all’ambone,
prima di iniziare a leggere, il
lettore regola alla propria altezza sia il leggio sia il microfono, poi guarda in faccia la
gente, come per presentarsi, e
solo quando tutto è a posto
e l’assemblea in silenzio comincia a leggere.
✔ Non leggere mai ciò che
è scritto in rosso (es.: «prima
lettura», «salmo responsoriale», ecc.): sono cose da farsi,
non da dirsi!
✔Il titolo dev’essere staccato dalla lettura mediante una pausa:
il titolo è un insegna che deve essere pertanto anche evidenziata con un cambiamento di tono e di volume. Al termine
della lettura bisogna fare risaltare anche la frase «Parola di
Dio», facendola precedere da una pausa, cambiando tono e
guardando in faccia la gente mentre la si dice.
Mens Concordet Voci
Mettiamoci dalla parte dell’assemblea: che cosa dev’essere
in grado di fare mentre un lettore sta leggendo la Parola di Dio
✔Sentire materialmente: è questione di volume, di ritmo, d’impianto di sonorizzazione
✔Ascoltare, cioè prestare attenzione; ciò esige dal lettore che legga bene. Il lettore non legge per sé, ma per gli altri: è una
differenza radicale poiché sono due azioni diverse: nella prima si può anche non usare la voce, nella seconda la voce è fondamentale. L’obiettivo del lettore non è la sua personale comprensione (perché quando legge la lettura deve già averla capita
e studiata), ma è che gli altri, attraverso la comunicazione orale, ascoltino, si trovino interessati al testo e non si annoino.
✔Capire, il che non è per nulla automatico, come alcuni ritengono, per il semplice fatto che in qualche modo è stata letta una
pagina della Bibbia. Dipende invece dal modo in cui il lettore si è preparato a leggere il brano e da come lo ha effettivamente
letto. È quindi questione di ritmo (pause, velocità), intonazione, articolazione, interpretazione (colore). Senza questa preparazione difficilmente certi testi non facili e complessi riescono comprensibili a chi li ascolta. Pertanto dobbiamo lasciare il
tempo alle parole non soltanto di essere pronunciate, ma soprattutto di essere capite. La regola fondamentale è: adagio e con
senso. Inoltre è fondamentale l’aver fatto precedere la lettura da una breve introduzione che stimoli l’assemblea a prestare
attenzione e l’aiuti a comprenderne il senso.
La preparazione delle letture
A
questo punto ci si può chiedere: in pratica che cosa deve fare un lettore per prepararsi a leggere una lettura? Si può rispondere suggerendo una serie di operazioni che gli consentono di studiare e approfondire progressivamente e sotto i diversi
aspetti il testo.
1. Sapere con congruo anticipo quando e che cosa si dovrà leggere: ciò comporta l’esistenza del gruppo lettori, che si deve
occupare anche di stabilire turni di lettura; bisogna fare di tutto per evitare di scegliere un lettore poco prima della celebrazione (o addirittura a celebrazione già iniziata).
2. Leggere e studiare il testo per capirne bene il significato, aiutandosi eventualmente con un commento e partecipando
inoltre alle riunioni del gruppo liturgico parrocchiale (per poter fare ciò è indispensabile che ogni lettore possegga un
messalino).
3. Individuare il «genere letterario» del testo, facendosi almeno un’idea del libro da cui è stata tratta la lettura e del tipo di
lettura.
4. Cercare le parole o frasi chiave del brano, perché è su di esse che dovrà centrare l’intera lettura.
5. Studiare il testo dal punto di vista tecnico allo scopo di leggerlo correttamente, ovvero: andare alla ricerca della cosiddetta
«punteggiatura orale» della lettura (pause, incisi, cambiamenti di intonazione, di ritmo, ecc.), mettere in evidenza le
parole di difficile pronuncia, il tipo d’interpretazione adatto, ecc.
6. Leggere la lettura ad alta voce più volte, cioè fare vere e proprie prove, possibilmente di fronte a qualche ascoltatore o
anche al registratore.
Sei domande per preparare bene una lettura
1) Quale brano verrà letto, oggi?
- procurarsi il testo.
2) Di che cosa parla?
- leggere il testo.
3) Posso avere qualche notizia in più?
- leggere l’introduzione al brano sul messalino;
- leggere l’introduzione alla celebrazione sul messalino;
- leggere sulla Bibbia l’introduzione al libro da cui è tratto il brano;
- consultare sussidi.
4) Quali sono le parole, le frasi chiave?
- leggere il testo sottolineandole.
5) Come posso leggere il brano?
- leggere il testo sillabandolo, provando volume e ritmo;
- leggere il testo applicando volume, ritmo e pause;
- leggere il testo mettendo in rilievo le frasi chiave;
- leggere il testo «vedendo le immagini».
6) La mia lettura è «ascoltabile»?
- leggere il testo ascoltandosi, verificando se con il proprio modo di leggere
l’assemblea è in grado di: sentire, capire, ascoltare.
San Marco Evangelista,
antica miniatura
Il salmo responsoriale
C
ome l’«acclamazione al Vangelo», costituisce uno dei cosiddetti canti «interlezionali», che hanno lo scopo di creare un
dialogo tra Dio che parla ed il suo popolo radunato per ascoltarlo. Bisogna farvi molta attenzione poiché spesso il salmo
responsoriale è la cenerentola della liturgia della Parola. Le modalità di esecuzione più utilizzate sono le seguenti:
✔ Salmo letto, ritornello detto. È la soluzione minima, di pura esecuzione, da non raccomandarsi. Anzitutto non si deve dire:
«Salmo responsoriale/ritornello». Bisogna inoltre fare molta attenzione, perché in questo caso si corre il rischio che il salmo diventi una quarta lettura: la lettura dev’essere fatta con stile lirico, come si declama una poesia (senza cantilena però); dev’essere
interiorizzata, pregata, ben diversa da quella delle due letture.
✔ Salmo letto, ritornello cantato. È la forma più usata. Ricordiamo che, nel tempi forti, è suggerito l’uso di salmi comuni (es.:
Avvento, salmo 24; Quaresima, salmo 50).
✔ Salmo letto con sottofondo musicale, ritornello cantato o detto.
✔ Salmo cantato, ritornello cantato. È la forma più appropriata per eseguire il salmo, poiché i salmi in origine erano preghiere
cantate; il momento del salmo deve pertanto essere un momento lirico, poetico, che comporta anche l’elemento musicale. Chi
canta il salmo? Non il coro, ma il salmista, cioè un solista, con l’intervento dell’assemblea
nel ritornello.
La scelta della forma di esecuzione fra quelle citate o fra altre ancora, non è assoluta, dev’essere fatta in base a criteri ben precisi
(il testo del salmo, la sua natura spirituale, il contesto liturgico, il tipo di assemblea), preferendo, ove possibile, il canto sia del
ritornello sia delle strofe (cf PNMR 39).
Altri consigli pratici per i lettori
✔Leggere in Chiesa è completamente diverso dal leggere in teatro.
✔Occorre individuare le parole chiave e le unità tematiche, capire le letture.
✔Si deve cogliere il senso delle letture e creare una «comunicazione» delle emozioni con chi ci sta ascoltando.
✔Non conta tanto avere una bella voce, quanto riuscire a far vivere il testo attraverso di sé.
✔La voce «ideale» non dovrebbe essere né troppo alta, né troppo bassa. Bisogna fare attenzione alla respirazione ed alla «direzione dell’energia». Il microfono si limita ad «amplificare». (quindi amplifica anche eventuali problemi).
✔Non bisogna mai parlare esattamente in direzione del microfono, ma leggermente spostati di lato, in modo che la voce
lambisca il microfono e non vi entri direttamente dentro; questo serve ad evitare i rumori assai sgradevoli che si producono
quando si pronunciano nel microfono le consonanti esplosive (p e b) e quelle sibilanti (s e z).
✔È molto importante la «varietà» di volume, di tono e di pause.
✔Bisogna moderare il linguaggio del corpo e stabilire un contatto visivo con le persone che ascoltano , cercando di capire se
stanno seguendo.
✔Bisogna poi pronunciare le parole con chiarezza, muovendo bene le labbra e cercando di «dare tono» alle consonanti.
✔È importantissimo, infine, andare adagio, leggendo con calma, per creare un’ aspettativa.
✔Prima d’iniziare a leggere, ogni lettore deve preoccuparsi di regolare bene il microfono alla sua altezza, possibilmente senza
far rumore.
✔Quando si parla o canta assieme all’assemblea (ritornello del salmo responsoriale, acclamazioni alla preghiera dei fedeli,
canto in generale, ecc) bisogna farlo a mezza voce per non coprire l’assemblea stessa. È un grave errore credere che parlare o
cantare ad alta voce nel microfono stimoli la partecipazione dell’assemblea: in realtà, avviene esattamente il contrario.
Il lettore: evoluzione storica nella prassi liturgica
Mens Concordet Voci
L
a figura del lettore, quale incaricato della proclamazione della parola di Dio, nasce con l’ebraismo nell’antica sinagoga. Poteva
essere un sacerdote o un rabbino o un anziano o chiunque, studioso della legge, venisse invitato a farlo. In ogni caso la lettura, nei giorni di sabato o in altre ricorrenze festive, veniva fatta secondo un cerimoniale rigidamente prestabilito. E si trattava, si
badi bene, di una lettura intonata allo scopo di conferire al gesto un carattere solenne, quasi magico: probabilmente qualcosa di
analogo alla nostra cantillazione dei testi.
L’esempio del mondo ebraico fu seguito subito dai primi cristiani nell’organizzazione del nuovo culto. Tuttavia è solo nella
“Traditio apostolica” di Ippolito (III secolo) che troviamo il primo cenno ad un ministero del genere. Vi si dice che il lettore “è
istituito nell’atto in cui il Vescovo gli consegna il libro: non gli si fa infatti l’imposizione delle mani”.
Secondo l’antico Rituale Romano delle ordinazioni già elaborato al
tempo di re Gregorio Magno (+ 604), i lettori erano ordinariamente
adolescenti ai quali veniva impartita una istruzione adeguata. Venivano
anche sottoposti ad una prova che li impegnava a leggere durante una
veglia importante; superata la prova ricevevano una speciale benedizione da parte del Vescovo, e solo allora il giovane era costituito ufficialmente lettore nella Chiesa.
L’ufficio del lettorato è conferito nel Pontificale romano-germanico
(950 ca.) tramite la consegna del lezionario.
In esso si specifica che il lettore deve “leggere ea quae praedicat et
lectiones cantare et benedicere panem et omnes fructos novos”. La “Institutio generalis Missàlis Romani” (IGMR, 1969) accenna al lettore al
n. 66, fornendo indicazioni nuove, seppure transitorie:
«Il lettore: anche se laico, ha un ufficio proprio nella celebrazione eucaristica, che deve esercitare lui stesso, anche se sono presenti ministri di ordine superiore. A lui spetta di leggere tutte le letture della sacra Scrittura, eccetto il Vangelo, e l’Epistola, se è
presente il suddiacono. Mancando il salmista, può anche leggere il salmo fra le letture.
La Conferenza Episcopale può permettere che quando manchi un uomo adatto ad esercitare l’ufficio di lettore, una donna
idonea, restando fuori del presbiterio, possa leggere le letture che precedono il Vangelo».
Il servizio del lettore (come quello dell’Accolito, dell’Esorcista e dell’Ostiario) nel 1969 era ancora considerato “Ordine minore”, conferito con l’ordinazione. Paolo VI, con il motu proprio “Ministeria quaedam” del 15-8-1972, abolì gli Ordini minori
(nonché la tonsura e il suddiaconato) mantenendo tuttavia le funzioni del lettorato e dell’accolitato. Funzioni non più conferibili
mediante una ordinazione, bensì con l’“istituzione’’ in un ministero, in un servizio stabile.
Si è così fissata chiaramente la distinzione nel popolo di Dio tra ministeri ordinati attraverso l’imposizione delle mani del Vescovo (episcopato, presbiterato, diaconato) e tutti gli altri ministeri, oggetto della sola
istituzione (lettorato e accolitato) o semplicemente riconosciuti di fatto.
Il n. 66 dell’IGMR risulta così aggiornata nella seconda edizione del
Messale (1983):
«Il lettore è istituito per proclamare le letture della sacra Scrittura,
eccetto il Vangelo; può anche proporre le intenzioni della preghiera universale e, in mancanza del salmista, recitare il salmo interlezionale.
Il lettore nella celebrazione eucaristica ha un suo ufficio proprio, che
deve esercitare lui stesso, anche se sono presenti ministri di ordine superiore», (1) cui fa eco il n. 51 del OLM: « ... Il ministero del lettore,
conferito con rito liturgico, deve quindi essere tenuto in onore. I lettori
istituiti, se presenti, compiano il loro ufficio almeno nelle domeniche e
nelle feste, specialmente durante la celebrazione principale... »
Il fedele “istituito” in uno di questi ministeri non diviene un “chierico”, ma rimane un “laico” incaricato di un servizio permanente.
L’istituzione del lettore, (2) in particolare, viene fatta dal Vescovo (o
dal superiore generale) sia nel corso della Messa, sia in una Liturgia della
Parola. La rituale consegna del libro della S. Scrittura è preceduta da una
Pulpito, chiesa parrocchiale
preghiera e della monizione del vescovo: “... Proclamerete la Parola di
di Passarera (1559)
Dio nell’assemblea liturgica; educherete alla fede i fanciulli e gli adulti
e li guiderete a ricevere degnamente i Sacramenti; porterete l’annunzio
missionario del Vangelo di salvezza agli uomini che ancora non lo conoscono.» (3)
Prima di passare ad analizzare le competenze del Lettore (le competenze storiche, come si vedrà) è necessario affrontare una serie
di questioni per chiarire meglio chi sia il lettore; capire inoltre come andarono, verosimilmente, le cose nel corso dei secoli.
Anzitutto alla domanda se nel nuovo ordinamento liturgico anche le donne possano essere istituite nel lettorato sembra di poter
rispondere di sì; Paolo VI in “Ministeria quaedam” (1972) non faceva distinzione tra maschi e femmine e l’IGMR della seconda
edizione del Messale (1983), n. 66, come pure l’OLM, n. 51 non toccano il problema e neppure accennano alla norma secondo
la quale le donne dovrebbero agire al di fuori del presbiterio.
In secondo luogo si deve constatare come nella realtà ecclesiale quotidiana, o domenicale, il lettore istituito viene normalmente
sostituito dal lettore incaricato di fatto, anzi da qualcuno reclutato estemporaneamente.
Si comprendono allora le preoccupazioni dell’OLM: n. 51 « ... si potrà affidar loro [ai lettori istituiti] anche il compito di dare
un aiuto nel predisporre la liturgia della parola, e, se necessario, di preparare gli altri fedeli che per incarico temporaneo debbano
proclamare le letture nella celebrazione della Messa.»
Inoltre: “L’assemblea liturgica non può fare a meno
dei lettori, anche se non istituiti per questo compito
specifico. Si cerchi quindi di avere a disposizione alcuni laici, che siano particolarmente idonei e preparati a
compiere questo ministero». (ivi, n. 52).
Quindi la domanda più importante. Il lettore è colui che legge o colui che canta anche?
Per trovare una adeguata risposta a quest’ultimo
interrogativo dobbiamo tornare indietro ad indagare
ulteriormente.
Come leggevano i lettori ebraici?
Lo si è già accennato; la semplice lettura non esisteva, ma una lettura in qualche modo intonata. “La
Parabola del seminatore (il seme è la parola di Dio, Lc 8, 11)
letteratura rabbinica abbonda di ammonizioni di canBassorilievo sul pannello frontale del pulpito di Passarera
tare - afferma Eric Werner - e non semplicemente di
leggere la Scrittura in pubblico”. (4) Tuttavia questa
specie di cantillazione - continua Werner - “sta forse per un canto regolato musicalmente o per una recitazione semi-musicale
o per un’esposizione puramente oratoria?” Comunque “è generalmente risaputo che, nel mondo antico, cantare significava dire
parole e frasi con l’inflessione fonetica più appropriata”.
Nel caso degli ebrei l’esimio studioso si dichiara convinto che impiegassero diversi modi di “cantare”, a seconda dei diversi testi,
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dei tempi dell’anno liturgico e di altre particolari circostanze. “Così - aggiunge - il modo dell’Haftara (per la lezione profetica della
Sinagoga) è differente dal canto della Torah; questo, a sua volta, varia secondo le stagioni; la cantillazione della Torah delle grandi
feste o di altre occasioni è diversa dal comune canto sabatico.” (5) .
“Convertiti al cristianesimo, i lettori e i capicoro della Sinagoga istruivano la comunità cristiana nella declamazione melodica
e nel canto. Nei primi tempi del cristianesimo i lettori devono aver osservato le regole della recitazione intonata ebraica… conservare le formule e le cadenze.” (6)
Ma appare verosimile che prestassero attenzione anche all’«ars dicendi» che era ben conosciuta e praticata nel mondo greco e
latino. Le opere letterarie classiche infatti venivano diffuse mediante
lettura pubblica da parte di un “lector” a ciò preparato adeguatamente.
Quello che nel paganesimo era una professione, divenne nel cristianesimo un “ordine sacro”. La comunità cristiana sostituisce l’auditorium, e il lector cristiano prende il posto del lector pagano. (7)
È assai probabile dunque che la lettura biblico-liturgica risultasse
sostanzialmente analoga a quella della letteratura pagana in prosa;
una recitazione attenta a mettere in risalto il “cantus obscurior” (una
qualche musicalità) (8) che si nasconde già nella parola.
“Era il gioco degli accenti - acuto, grave, circonflesso - che portava
con sé l’elevazione, la caduta, la flessione della voce”. (9) Gli accenti
della parola, e il senso delle frasi, e il sapore delle figure retoriche ...
Nelle “Scholae lectorum”, che andavano diffondendosi un po’
dappertutto, gli adolescenti venivano istruiti nelle tecniche della lettura.
Nell’esercizio delle sue funzioni, il lettore saliva su un “pulpitum”
o “tribunal” e non disdegnava un uso moderato del gesto, come era solito fare un qualsiasi “orator” profano.
Secondo Isidoro di Siviglia, le funzioni del lettore erano quelle di: “Leggere le lezioni (dell’ufficio) e proclamare le profezie
davanti all’assemblea”. (10)
Senza entrare nella complessa questione dei rapporti tra lettori e cantori, tra Scholae lectorum e Scholae cantorum, ci limitiamo
ad osservare come, per circa tre secoli, il lettore fu l’unico personaggio incaricato sia di leggere le lezioni che di cantare i salmi;
infatti il cantore, come protagonista distinto, sarebbe apparso per la prima volta verso gli anni 341-363.
Questa iniziale vocazione al canto da parte del lettore si andò sviluppando anche quando l’ufficio del cantore si era ormai
consolidato avocando a sé la specifica competenza. Sembrò che anche le normali letture potessero essere trasformate in canto utilizzando essenziali schemi melodici, che in epoca tardiva furono, almeno in parte, codificati e tramandati. L’antica “ars dicendi”,
già raffinata e a suo modo musicale, ma sempre “sermo humilis” , si cambiava così in più sontuosa “laus canora”.
E questa sarebbe la probabile origine dei “toni di lettura”: causata da una accentuata voglia di solennità o meglio da una autentica voluttà canora, che andava a sovrapporsi alla semplice proclamazione della parola. Ma forse favorì il formarsi dei toni di
lettura anche il senso dell’arcano che venne a crearsi intorno ai riti liturgici in epoche in cui la lingua latina non era più espressiva
e diventava essa stessa rituale magico; da cui l’adozione di gesti sonori corrispondenti (toni di lezione, recitativi dei ministri),
astratti e stilizzati.
Come poi si siano formati concretamente e materialmente i toni di lettura (ma anche gli altri recitativi, il prefazio, il Pater noster, ecc.) non è dato di saperlo, dice G. Stefani: per una “semplificazione stilizzata di moduli salmodici”? per una “amplificazione
dell’accento tonico della parola?” (11) Personalmente non ci sembra assurdo pensare (certo semplificando di molto la questione)
che anche i toni di lettura, come tutto il canto liturgico, debbano considerarsi un semplice sviluppo del “cantus obscurior”. Perché
nei riti cristiani in principio ci fu sempre la parola.
Allora per rispondere alla domanda che ci siamo posti: “Chi è in definitiva il lettore? “, possiamo riassumere dicendo:
- il lettore «classico» fu un protagonista il cui ufficio ha sempre avuto stretti rapporti col canto; doveva cantare tutte le letture
della S. Scrittura (epistola della Messa, quando non era presente il Suddiacono, le lezioni dell’Ufficio, le profezie, ... ) su moduli
o toni distinti essenzialmente in due tipi: comune e solenne;
- oggi si tende a concepire il lettore quasi come colui che legge (con aggiunte incombenze di natura catechistica e missionaria);
così lo vedono tutti i documenti dalla riforma in poi; la seconda edizione del Messale (1983) non riporta formulari per il canto
delle letture, ma solo la melodia per l’acclamazione finale (Parola di Dio - Rendiamo grazie a Dio), il che significa che la figura
del lettore «cantante» è ormai tramontata.
Ciò nonostante, nella liturgia riformata, al lettore è riconosciuta la possibilità di cantare, oltre alla clausola finale delle letture
che recedono la lettura evangelica (dr. lGMR, n. 150), anche:
- i canti interlezionali in mancanza del salmista o del cantore (cfr. IGMR, nn. 66, 150);
- il “Passio” in mancanza di ministri competenti, lasciando, se è possibile, ad un sacerdote la parte del Cristo (cfr. Mess. Rom.
p. 122; S. Congr. dei Riti, decr. 25-3-1965); .’
- l’invocazione e le varie intenzioni nella “Preghiera dei fedeli” in mancanza del diacono (cfr. IGMR, nn. 66, 151; OLM, n.
53).
Conviene sottolineare, per amor di verità, che i documenti citati evitano accuratamente le parole «canto» o «cantare»; il che è
significativo.
Da Musica e Liturgia, V. Donella (ed. Carrara, 1991 - Bergamo)
(1) Ivi, n. 150: “Proclama all’ambone le letture che precedono il Vangelo. In mancanza del salmista, può anche proclamare il
salmo responsoriale dopo la prima lettura”; n. 151:
“In assenza del diacono, dopo l’introduzione del Sacerdote, il lettore può suggerire le intenzioni della preghiera universale”;
n. 152: “Se all’ingresso o alla comunione non si fa un canto, e se le antifone indicate sul messale non vengono recitate dai
fedeli, le dice il lettore al tempo dovuto”.
CEI, I ministeri nella Chiesa (1973), n. 7: “L’ufficio liturgico del lettore è la proclamazione delle letture nell’assemblea
liturgica. Di conseguenza il lettore deve curare la preparazione dei fedeli alla comprensione della Parola di Dio ed educare
nella fede i fanciulli e gli adulti. Ministero perciò di annunciatore, di catechista, di educatore alla vita sacramentale, di evangelizzatore a chi non conosce o misconosce il Vangelo...”
(2) CEI, Istituzione dei ministeri, Consacrazione delle vergini, Benedizione abbaziale, Libreria Ed. Vatic. 1980, p. 36.
(3) Ivi, p. 38, n. 11
(4) E. Wernèr, Il sacro ponte, p. 114
(5) Ivi
(6) Egon Wellesz, in Storia della musica, Feltrinelli (Oxford) II, p. 3-4.
Per tutto l’argomento vedere G.Stefani, L’espressione vocale e musicale nella liturgia, Appendice II (La recitazione delle
letture nella liturgia romana antica, pp. 168-191)
(7) A. Quaquarelli, alle origini del “lector”, in AA.VV., Convivium Dominicum, Catania 1959, p. 385; citato da G. Stefani
nell’op. cit., p. 176.
(8) G. Stefani, op. cit., p. 178
(9) G. Stefani, op cit., p. 179
(10) Epistola a Liutfrido, 558/6; PL 83,895
(11) G. Stefani, op. cit., p. 190
I simboli dei quattro Evangelisti
I
l teologo cristiano e padre della Chiesa Gerolamo assegnò quattro simboli agli evangelisti che, dal IV secolo in avanti, sono
stati frequentemente riproposti nelle raffigurazioni artistiche: è facile vederli nelle chiese, nelle miniature dei Lezionari, degli
Evangeliari, nelle decorazioni di amboni, leggii, pulpiti ed altari.
Sono i simboli del “tetramorfo” che compaiono nelle profezie di Ezechiele (1,10) , riprese poi nelle visioni dell’Apocalisse:
«Il primo vivente era simile a un leone , il secondo essere vivente aveva l’aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto
d’uomo, il quarto vivente era simile a un’aquila mentre vola; i quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro
sono costellati di occhi» (Apocalisse 4,7). Da notare che in Ezechiele ogni vivente ha quattro facce, ovvero tutte e quattro le
fattezze, a differenza di quanto è riportato nell’Apocalisse. Sulla
base di queste descrizioni e sulla base del modo in cui i rispettivi
Vangeli iniziano il proprio racconto, essi vengono associati a questi simboli:
Matteo è raffigurato come uomo (o angelo: tutte le figure sono
infatti alate). Il Vangelo di Matteo è quello che mette più in risalto l’umanità del Cristo (il Figlio dell’Uomo, come viene spesso indicato). Il testo esordisce con la discendenza di Gesù e, in seguito,
narra la sua infanzia, sottolineandone quindi il suo lato umano.
Matteo,
dall’Evangeliario
di Ada,
sec. VIII
Marco,
Evangeliario
di Lindisfarne,
sec. VIII
Marco è raffigurato come leone. Nel Vangelo di Marco viene
maggiormente indicata la regalità, la forza, la maestà del Cristo: in
particolare i numerosi miracoli accentuano l’aspetto secondo cui
Cristo vince il male. Inoltre è proprio questo Vangelo che narra
della voce di San Giovanni Battista che, nel deserto, si eleva simile
a un ruggito (di un leone, appunto), preannunciando agli uomini
la venuta del Cristo.
Luca,
Evangeliario
di Ada,
sec. VIII
Luca è raffigurato come bue ovvero come un vitello, simbolo di
tenerezza, dolcezza e mansuetudine, caratteri distintivi di questo
Vangelo per descrizione e teologia.
Giovanni,
Evangeliario
di Lorsch,
sec.VIII
Giovanni è raffigurato come un’aquila. Il suo Vangelo infatti
ha una visione maggiormente teologica e, quindi, è quello che ha
la vista più acuta. L’aquila è quello che vola più in alto di tutti gli
esseri e che, unico fra tutti, può vedere il sole con gli occhi senza
accecarsi, ossia vedere verso i cieli e verso l’ Assoluto, verso Dio.
Il Vangelo di Giovanni infatti si apre con parole di forte carica
trascendente: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e
il Verbo era Dio.» (Giovanni,1)
Secondo San Gerolamo il tetramorfo sintetizza la totalità del
mistero cristiano: Incarnazione (l’uomo); Passione (il bue); Resurrezione (il leone); l’Ascensione (l’aquila).
Mens Concordet Voci
Appuntamenti liturgico-musicali
Ministri straordinari della Comunione Eucaristica
Domenica 7 marzo 2010 ore 15.30 - Centro San Luigi
Incontro formativo per i Ministri straordinari della Comunione tenuto da Mons. Angelo Lameri.
Quest’anno giunge a conclusione il mandato quinquennale dei Ministri Straordinari della Comunione Eucaristica (anche
di quelli nominati nel corso del quinquennio) conferito dal Vescovo Mons. Oscar Cantoni nel 2005. Dopo Pasqua i Parroci
riceveranno la comunicazione ufficiale e l’invito a rinnovare o a indicare nuovi Ministri da inserire nelle rispettive parrocchie. Il mandato per il nuovo quinquennio verrà conferito dal Vescovo all’inizio del nuovo anno pastorale, probabilmente
nel prossimo mese di settembre.
XXIII Rassegna delle Corali liturgiche della diocesi
Sabato 29 maggio 2010, ore 21.00 - chiesa di S. Bernardino (auditorium B. Manenti)
Grafica: C.E.C. Libreria Buona Stampa