Cyprus Turkish

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Cyprus Turkish
Turco-ciprioti e turchi dell’Anatolia.
Rappresentazioni identitarie
a Nicosia Nord
di Francesco Grisolia
In questo saggio intendo delineare alcuni tratti della relazione fra
turco-ciprioti e immigrati turchi a Nicosia Nord (Lefkoşa)1. I dati etnografici cui farò riferimento derivano da una ricerca sul campo condotta nella parte settentrionale di Nicosia fra gennaio e settembre 20102.
Nelle pagine seguenti fornirò alcune coordinate sulla storia
dell’isola e sul dibattito politico interno, utili alla comprensione della
relazione esistente fra greco e turco-ciprioti, da un lato, e fra la Turchia e Cipro Nord, dall’altro. Proverò quindi a mostrare il modo in cui
il confine tra nativi e immigrati è quotidianamente riprodotto concentrandomi su due dimensioni del loro rapporto: la valenza identitaria
del dialetto turco di Cipro e i differenti modi di vivere la fede islamica.
1. Un’isola divisa
Cipro è un’isola divisa in due parti dalla Linea Verde3, linea del
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Nota sulla pronuncia dei termini turchi: la lettera c si pronuncia come “ge” in italiano,
la ç si pronuncia come “ch” in inglese; la ğ (“g morbida”) non ha un suono proprio
ma prolunga la vocale precedente; la ı è una “i” gutturale; la ö (“o” chiusa) si pronuncia mantenendo le labbra nella stessa posizione che assumerebbero per la pronuncia
della “o”, ma tentando di pronunciare la “e”; la ş si pronuncia come “sh” in inglese;
la ü (“u” chiusa) si pronuncia mantenendo le labbra come per la “u”, provando però
a pronunciare la “i”.
Il mio interesse verso Cipro risale al 2005; due anni dopo ho realizzato la mia prima
ricerca a Nicosia. I dati attraverso cui costruirò le mie argomentazioni sono stati raccolti nel corso di un periodo che precede e va oltre gli ultimi otto mesi trascorsi sul
campo.
La letteratura esistente sulla questione cipriota è ampia e articolata (vedi Attalides,
1979; Cockburn, 2004; Crawshaw, 1978; Diez e Tocci (a cura di), 2009; Hitchens,
1997; Varnava e Faustmann (a cura di), 2009); una sintesi accessibile e recente delle
sue principali dimensioni è offerta da Ker-Lindsay (2011). Nelle pagine che seguono
non mi occuperò degli aspetti giuridico-diplomatici della questione cipriota; adotterò quindi termini che definiscono in modo neutro, meramente geografico (“Cipro
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Migrare, fuggire. Ricostruire
cessate-il-fuoco che per decenni ha rappresentato un limite invalicabile tra greco e turco-ciprioti, le due principali comunità dell’isola1.
Sebbene dalla primavera del 2003 essi possano attraversarla, altri confini immateriali continuano a impedire il riavvicinamento tra i due
gruppi. Dal 1974, anno-spartiacque nella recente storia cipriota, la
parte settentrionale è separata dal resto dell’isola.
La storia di Cipro è caratterizzata da numerose dominazioni straniere e stratificazioni culturali2. Nel periodo ottomano (1571-1878)
dell’isola, la sua popolazione fu suddivisa secondo il sistema del
millet3, in base a criteri religiosi e linguistici. Tuttavia, i confini tra i
gruppi erano piuttosto porosi e rimasero tali fino al ventesimo secolo
(Sant Cassia 1986, Kappler 2008). Con ciò non intendo suggerire un
quadro idilliaco della convivenza nell’isola prima del radicamento di
contrapposti nazionalismi4. Fino alla metà del Novecento le differenze linguistiche, religiose e culturali tra gli abitanti di Cipro sono state
riconosciute, codificate e hanno plasmato le pratiche sociali quotidiane, senza essere rigidamente definite in termini etno-nazionali.
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Nord”), le realtà cui fanno riferimento, alternando ad essi alcune espressioni d’uso
comune fra i turco-ciprioti. Il ‘discorso del riconoscimento’ (Constantinou e Papadakis, 2001) ha prodotto negli anni alcuni imperativi lessicali cui le fonti ufficiali e
i media greco e turco-ciprioti si attengono scrupolosamente per conferire o negare
legittimità alla Repubblica di Cipro o alla RTCN. Si tratta, tuttavia, di espedienti retorici fuori luogo in un elaborato come il presente, cui sono estranee l’intenzione e la
capacità di contestare o attribuire legittimità istituzionale.
Oltre che da greco e turco-ciprioti, la popolazione dell’isola è composta dalle cosiddette ‘minoranze storiche’ (Varnava, 2010) e da più recenti comunità d’immigrati,
giunte nell’isola in tempi più recenti. Il dibattito pubblico interno, spesso focalizzato
sui rapporti tra i due gruppi principali, non concede molta attenzione ai punti di
vista degli “altri” ciprioti (Akçali, 2007).
Dopo l’arrivo dei primi coloni micenei e achei (1400-1200 a.C.), Cipro è stata possedimento bizantino (330-1191), franco (1192-1489), veneziano (1489-1571), ottomano
(1571-1878) e infine sottoposta all’amministrazione britannica (1878-1960). Sulla storia dell’isola vedi i quattro volumi di Hill (1940-1952); sul periodo ottomano: Hill, vol.
IV (1952) e Luke (2009).
Il termine si presta ad equivoci perché, pur essendo generalmente tradotto come
‘nazione’, indicava all’epoca una comunità distinta su base confessionale. L’identità
ottomana non era infatti declinata in termini nazionali; ogni gruppo assoggettato e
integrato nell’impero era identificato attraverso demarcatori religiosi.
La rappresentazione dell’irrisolto conflitto fra greco e turco-ciprioti quale esclusivo
prodotto di influenze esterne – da parte delle madrepatrie (Turchia e Grecia) o di
eterogenee ‘potenze straniere’ (Gran Bretagna, Stati Uniti, Nato, Unione Europea) –
caratterizza una certa produzione storiografica e mediatica greco e turco-cipriota da
decenni. Sull’argomento vedi Papadakis (1998) e Asmussen (2011).
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Greco e turco-ciprioti hanno assimilato in tempi e con ritmi differenti gli immaginari nazionalistici forgiati in Grecia e Turchia5. All’inizio del diciannovesimo secolo un ristretto numero di sudditi ottomani
di fede cristiano-ortodossa iniziò a guardare alla Grecia continentale
come propria madrepatria. I fermenti che avrebbero alimentato la
Rivoluzione Greca (1821) diffusero anche nell’isola il sogno della Megali Idea6 e dell’enosis, il progetto di unione alla Grecia. Tuttavia, una
vera e propria mobilitazione di massa emergerà solo un secolo dopo.
Posteriore e molto più rapido fu invece il radicamento del nazionalismo turco7. I membri del millet islamico dell’isola impareranno a
sentirsi turchi fra gli anni ’30 e ’50 del secolo scorso; alla rivendicazione greco-cipriota dell’enosis essi contrapporranno il progetto del
taksim (‘divisione’) dell’isola, probabile preludio all’annessione della
sua parte settentrionale alla Turchia.
La fine dell’amministrazione coloniale britannica non fu seguita
dalla materializzazione degli obiettivi politici dell’una o dell’altra comunità ma da una soluzione di compromesso che lasciò entrambe insoddisfatte: la proclamazione della Repubblica di Cipro (1960), fondata sulla condivisione del potere tra due gruppi che continuavano ad
immaginare il proprio futuro in modi inconciliabili. Dopo soli tre anni
la repubblica bicomunitaria giunse al collasso. Gli scontri interetnici
del ’63-’64 diedero inizio ad un periodo decisivo nel modellamento
dell’identità turco-cipriota: gli ‘anni difficili’ (zor yıllar), compresi fra il
1963 e il 19748. A seguito del ‘Natale di sangue (Kanlı Nöel) del 1963
i turco-ciprioti abbandonarono le istituzioni della Repubblica di Cipro
e si rifugiarono all’interno di enclave militarizzate sparse sul territorio
dell’isola; la più grande di esse coincise con la parte settentrionale di
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Un esauriente resoconto del modo in cui le contrapposte logiche nazionalistiche
sono state assimilate nell’isola è offerto da Bryant (2004).
La ‘Grande idea’ consisteva nel ricongiungimento in una medesima entità politica
di tutti i territori grecofoni irredenti - fra cui Cipro, ancora controllata dalla Sublime
Porta.
Le analisi storiche più equilibrate (Nevzat, 2005; Kızılyürek, 2006) interpretano la
trasformazione del millet islamico in comunità turca quale effetto congiunto di tre
processi: la reazione alla crescente mobilitazione nazionalistica dei greci dell’isola; la
nascita della repubblica turca (1923) e la diffusione della sua ideologia ufficiale – il
nazionalismo kemalista – fra i turchi di Cipro; l’effetto di pratiche coloniali divisive,
il cosiddetto divide and rule britannico.
Per una equilibrata e accurata analisi degli eventi che ebbero luogo nell’isola in
quegli anni vedi Patrick (1976).
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Migrare, fuggire. Ricostruire
Nicosia9. Le enclave furono coordinate da entità amministrative transitorie10, poste sotto l’autorità della T.M.T. (Türk Mukavemet Teşkilatı,
Organizzazione della Resistenza Turca)11 e degli ufficiali militari turchi
responsabili dell’addestramento dei mücahitler (‘combattenti’) locali.
Con il 1974 si giunge ad un anno-spartiacque nella storia dell’isola,
di cui greco e turco-ciprioti offrono interpretazioni ufficiali antitetiche
– capaci a loro volta di suscitare nette polarizzazioni all’interno delle
due comunità.
In risposta al colpo di stato realizzato il 15 luglio dall’E.O.K.A. B
– organizzazione paramilitare erede dell’E.O.K.A. e controllata dai
colonnelli greci – cinque giorni dopo la Turchia diede inizio ad un
intervento militare in due fasi (Barış Harekâtı, ‘Operazione di pace’)
che si concluse nel mese successivo con l’occupazione della parte
settentrionale dell’isola, corrispondente a circa il 35% del territorio.
Un contingente militare turco rimase di stanza a Cipro Nord12, ufficialmente con l’obiettivo di impedire nuovi scontri interetnici mantenendo lo status quo determinato. La Linea Verde, che già attraversava
Nicosia, fu estesa in modo da dividere l’intera isola. Fu quindi concordato uno scambio di popolazioni che ha reso pressoché etnicamente
omogenee le due parti dell’isola; dal 1974 la vita dei greco-ciprioti,
quasi interamente stanziati a sud della Linea Verde13, e dei turco-
A seguito degli scontri interetnici del 1963 i nomi con cui l’intera città era stata indicata fino a quel momento (Lefkosia dai greco-ciprioti, Lefkoşa, dai turco-ciprioti)
iniziarono ad identificare la capitale della Repubblica di Cipro (Lefkosia) e la sede
del potere turco-cipriota (Lefkoşa).
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Si tratta del Kıbrıs Türk Genel Komitesi (Comitato Generale Turco di Cipro, creato
nel 1963) e della Kıbrıs Geçici Türk Yonetimi (Amministrazione Provvisoria Turca di
Cipro, fondata nel 1967).
11
Omologa della greco-cipriota EOKA (Organizzazione Nazionale dei Combattenti Ciprioti), la TMT fu creata negli anni ’50 e, come la prima, rimase segretamente operativa dopo la fondazione della Repubblica di Cipro. Le due formazioni paramilitari
ebbero legami diretti con gli ambienti nazionalisti greci e turchi ed esercitarono una
sistematica repressione del dissenso all’interno delle rispettive comunità.
12
Il contingente turco è ancora oggi stanziato nella parte nord di Cipro. Non esistono
dati pubblici sulla sua composizione ma si stima che esso sia composto da circa
quarantamila unità, fra reclute, soldati professionisti e ufficiali. Lo stanziamento permanente di truppe straniere è considerato dalla Repubblica di Cipro quale segno
evidente dell’artificiosa esistenza dello stato turco-cipriota, frutto dell’occupazione
militare turca iniziata nell’estate del 1974.
13
Secondo i dati contenuti in un recente rapporto del Segretario generale delle Nazioni
Unite, a Cipro Nord risiedono 361 greco-ciprioti, stanziati nella penisola di Karpaz
(Karpasia), corrispondente all’estremità nord-orientale dell’isola (citato in Akçali,
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Turco-ciprioti e turchi dell’Anatolia
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ciprioti – a nord di essa – ha seguito percorsi distinti. Nel 2003 le
restrizioni all’attraversamento della Linea sono state eliminate; i nativi
dell’isola possono ormai recarsi dall’altra parte ma, come ricordato
sopra, le barriere materiali non rappresentano gli ostacoli principali
alla riconciliazione fra i due gruppi14.
Il 1974 costituisce un anno di svolta anche nel rapporto fra Cipro
Nord e la Turchia e, di conseguenza, nelle relazioni che emergeranno
fra nativi e immigrati turchi nei decenni seguenti. Dopo l’intermezzo
amministrativo del Kıbrıs Türk Federe Devleti (Stato Federato Turco di
Cipro, fondato nel 1975), il 15 novembre 1983 sarà proclamata la Küzey Kıbrıs Türk Cumhuriyeti (K.K.T.C.) o Repubblica Turca di Cipro
Nord (R.T.C.N.). Considerata un’entità separatista dalla Repubblica di
Cipro, de jure sovrana sull’intera isola, la R.T.C.N. controlla de facto la
parte settentrionale dell’isola ma sconta dalla sua nascita un isolamento diplomatico ed economico dalla comunità internazionale15. Solo
la Turchia – la madrepatria (Anavatan), in ottica nazionalista – ha
riconosciuto l’autoproclamazione della R.T.C.N., confermandosi imprescindibile punto di riferimento per Cipro Nord, la patria-bambina
(Yavruvatan). Tuttavia, nel corso degli anni il protettivo abbraccio
della madrepatria si è rivelato anche soffocante; Ankara è stata generosa dispensatrice di ogni genere di supporto e, simultaneamente,
la causa del perdurante stato di minorità internazionale dei turco-ciprioti. Ciò ha condizionato le relazioni fra nativi dell’isola e immigrati
turchi giunti a Cipro Nord a partire dal 197416.
2007: 61).
I molteplici significati della divisione di Cipro sono efficacemente rappresentati nei
volumi curati da Calotychos (1998) e Papadakis, Peristianis e Welz (2006).
15
La Repubblica di Cipro è stata giudicata unica entità politica legittima sul territorio dell’isola dalla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n.
186/1964. Il non riconoscimento della Repubblica Turca di Cipro Nord è invece
sancito dalla Risoluzione ONU n. 541/1983 e n. 550/1984. In particolare, sugli aspetti
economici dell’isolamento di Cipro Nord e le caratteristiche dell’economia turcocipriota, vedi Gökçeküş (2008) e World Bank (2006). Il volume curato da Dodd
(1993) contiene numerosi dati sullo scenario politico ed economico turco-cipriota
fino all’inizio degli anni ’90. Si tratta quindi di un’opera utile, sebbene alcuni dei
contributi in essa raccolti adottino prospettive vicine alle posizioni ufficiali delle
amministrazioni turco-cipriota e turca del tempo.
16
L’abbraccio protettivo ma soffocante della madrepatria si manifesta anche attraverso
alcuni segni tangibili della presenza turca a Lefkoşa e, in generale, a Cipro Nord.
Ne sono esempio la nuova toponomastica e i numerosi monumenti d’ispirazione
nazionalistica realizzati dopo 1974 (Killoran, 1998; Navaro-Yashin, 2010). L’agenda
14
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Le peculiarità di tale fenomeno non possono quindi essere lette
– se non in parte – come locale e ‘ordinaria’ manifestazione di xenofobia verso un gruppo esterno e contaminante; chi proviene dalla
Turchia è spesso percepito a Cipro Nord come rappresentante – più o
meno consapevole – di Ankara, un emissario che porta con sé i connotati che i turco-ciprioti associano all’amata (o odiata) madrepatria.
Per comprendere adeguatamente il rapporto fra turco-ciprioti e turchi
dell’Anatolia è quindi indispensabile tener conto di ciò che ha legato
i due gruppi in passato e delle molteplici relazioni tuttora esistenti fra
Turchia e Cipro Nord.
2.Un tema controverso: immigrati o coloni
La maggioranza degli immigrati di origine turca a Lefkoşa17 alimenta una riserva di manodopera a basso costo impiegata nel settore edile, alberghiero e della ristorazione. I dati ufficiali disponibili e
l’osservazione quotidiana mostrano che i lavori di tipo manuale che
non richiedano elevata specializzazione sono generalmente svolti da
immigrati di nazionalità turca18.
Il centro di Lefkoşa – Surlarici, ‘dentro le mura’19 – si è trasformato
politica trentennale di cui entrambi sono parte ha teso a rimodellare la memoria
collettiva turco-cipriota eliminando le tracce materiali e simboliche della presenza
greco-cipriota nella parte settentrionale dell’isola e “turchificando” lo spazio su cui
successive amministrazioni turco-cipriote hanno rivendicato la propria sovranità.
17
La letteratura sugli immigrati di origine turca a Cipro Nord è limitata e piuttosto
recente. La comunità residente nella capitale è stata analizzata da Hatay e Bryant
(2008, 2008a) e Kurtuluş e Purkis (2008); altri studi esaminano in termini economici,
o più generali, il flusso migratorio verso l’isola (Mehmet e Tahiroğlu, 2000; Besim e
Jenkins, 2006; Çolak, 2007) e le disposizioni che i turco-ciprioti mostrano verso gli
individui di nazionalità turca (Hatay, 2008).
18
Uno dei dati emergenti dalla ricerca di Kurtuluş e Purkis è la netta predominanza
di lavoratori autoctoni nel settore pubblico; esiste un deficit occupazionale strutturale nei settori emergenti dell’economia (edilizio, turistico-alberghiero). Tale lacuna
nell’economia formale e informale di Cipro Nord è colmata dai lavoratori di nazionalità turca (Kurtuluş e Purkis, 2008). Non casualmente, il titolo dello studio di Besim e
Jenkins (2006) sul contributo dei lavoratori non dichiarati a Cipro Nord è: “informale
ma non insignificante”. I due studiosi stimano che il lavoro sommerso rappresenti
circa il 35-40% della forza-lavoro totale. Se inglobato nella produzione ufficiale, il
lavoro in nero accrescerebbe il PIL turco-cipriota del 15-17%.
19
Si tratta delle mura di cinta che ancora oggi circondano l’intera Nicosia, realizzate
durante la dominazione veneziana di Cipro (1489-1571).
Turco-ciprioti e turchi dell’Anatolia
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dagli anni ’70 in un’area quasi esclusivamente abitata da immigrati,
mentre nuovi quartieri residenziali, destinati ad accogliere le famiglie
turco-cipriote, emergevano all’esterno delle mura veneziane. Alcuni
degli edifici abbandonati dai nativi durante gli scontri interetnici degli
anni ’60 e ’70 sono stati trasformati in ostelli economici in cui alloggiano – spesso in condizioni estremamente precarie – i lavoratori stagionali che cercano una sistemazione a buon mercato per poter inviare
il denaro risparmiato alle famiglie rimaste in Turchia (Çolak 2007:3941). Il livello d’integrazione d’immigrati o cittadini di origine turca
all’interno della società turco-cipriota è legato alla durata della loro
permanenza e – fattori ancor più importanti – al livello d’istruzione e
alla ragione per cui ciascuno di loro è giunto a Cipro Nord. I colletti
bianchi, i professionisti e coloro che hanno sposato nativi dell’isola
sono tendenzialmente più integrati nella realtà locale, mentre i lavoratori stagionali e gli immigrati con un basso livello d’istruzione sono
più esposti alla stereotipizzazione da parte dei turco-ciprioti.
Il loro arrivo a Cipro Nord20 è un fenomeno essenzialmente posteriore all’intervento militare turco del 1974. Durante gli ‘anni difficili’
(1963-’74) la presenza turca coincise con i soldati e gli ufficiali militari
inviati da Ankara per coordinare le attività della T.M.T. nelle varie enclave.
Se le autorità greco-cipriote definiscono ‘coloni’ gli individui di nazionalità turca presenti nella parte settentrionale dell’isola, la rappresentazione ufficiale adottata dalla R.T.C.N. etichetta come göçmenler
(‘immigrati’) sia le migliaia di turco-ciprioti che si spostarono da sud
a nord della Linea Verde a causa degli eventi del ’74, che gli individui
che giunsero dalla Turchia nello stesso periodo e negli anni seguenti. I secondi sono differenziati soltanto attraverso una specificazione
geografica: Türkiye kökenli göçmenler, ‘immigrati di origine turca’. In
modo più informale, i turco-ciprioti fanno riferimento ad essi come
Türkiyeliler, ‘[originari] della Turchia’21. Questo termine, tuttavia, non
Negli ultimi decenni la Repubblica di Cipro ha sistematicamente condannato l’arrivo
e l’insediamento di decine – in seguito, centinaia - di migliaia di cittadini turchi quale
deliberata politica di colonizzazione del territorio militarmente occupato da Ankara
nell’estate del 1974. Tale flusso migratorio, coordinato e assistito dalle autorità turche
e turco-cipriote, sarebbe volto all’alterazione degli equilibri demografici preesistenti
e alla “turchificazione” della società turco-cipriota. Vedi Ioannides (1991).
21
Il termine Türkiyeliler è usato quotidianamente dai turco-ciprioti per indicare – spesso in modo spregiativo – un raggruppamento sociale eterogeneo, composto da im20
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Migrare, fuggire. Ricostruire
è utilizzato dai principali canali d’informazione poiché sottolinea l’alterità socio-culturale dei referenti e la mancanza di un loro legame
pluri-generazionale con l’isola22.
Da decenni è in corso una ‘guerra dei numeri’ non solo fra le
amministrazioni separate dalla Linea Verde ma all’interno della stessa
comunità turco-cipriota. Non solo il numero effettivo dei residenti
– temporanei o permanenti – di nazionalità turca ma anche la natura
della loro presenza nell’isola è da decenni oggetto di polemiche. Il
censimento del 200623 registra una popolazione de facto di 265.100
unità, mentre la popolazione de jure è composta da 256.644 residenti. I cittadini della R.T.C.N. sono 178.031 (69,5% della popolazione legale); fra i residenti privi di cittadinanza turco-cipriota 70.525
(27,5%) sono di nazionalità turca. Fra i cittadini, 147.405 sono nati a
Cipro e 27.333 in Turchia. Infine, fra i cittadini della R.T.C.N. nati a
Cipro, 120.031 hanno entrambi i genitori di origine cipriota, 10.361
un genitore turco e uno cipriota, 16.824 hanno entrambi i genitori di
origine turca (Hatay 2007:30). Nel corso d’interviste e conversazioni
sul campo, tuttavia, molti dei miei informatori hanno espresso dubbi
in merito all’attendibilità dei dati ufficiali24.
migrati, residenti temporanei (studenti universitari, lavoratori stagionali, professionisti) e soldati di nazionalità turca a Cipro Nord.
22
Gli equivalenti in lingua turca dei termini ‘profugo’ e ‘colono’ sono mülteci e yerleşen,
etichette non neutre, il cui impiego comprometterebbe la tenuta delle rappresentazioni politiche e storiografiche prodotte dal 1974 ad oggi. Ad esempio, se i turco-ciprioti costretti a trasferirsi nella parte settentrionale dell’isola fossero definiti
“profughi”, temporaneamente dislocati nel nord dell’isola ma legati affettivamente
ai rispettivi luoghi d’origine, essi sarebbero legittimati dallo stato a coltivare la speranza di un ritorno al passato ed alla loro vita nella parte meridionale di Cipro. Per
analoghe ragioni le autorità turco-cipriote non hanno mai utilizzato la definizione di
“coloni” per le decine di migliaia di cittadini turchi arrivati nell’isola dagli anni ’70.
Infatti, accettando questa etichetta confermerebbero le accuse rivolte dalle autorità
greco-cipriote: la denuncia di uno stravolgimento demografico nell’isola rispetto alle
condizioni pre-1974, degli interessi politico-diplomatici dietro tale operazione e della
subalternità turco-cipriota nei confronti di Ankara.
23
I dati sono consultabili online: http://nufussayimi.devplan.org/Kesin-sonuc-index_
en.html. I risultati preliminari sulla popolazione de facto e de jure, corretti nel settembre 2007, sono contenuti nella pagina: http://nufussayimi.devplan.org/Census%20
2006.pdf.
24
Alcune oggettive responsabilità delle autorità turco-cipriote sono alla base delle recriminazioni sulla questione dei coloni-immigrati turchi; prima fra tutte, la scarsità
e l’incompletezza dei dati disponibili. L’ultimo censimento riconosciuto da greco e
turco-ciprioti risale al 1960, anno di fondazione della Repubblica di Cipro. Fra 1974 e
1996 non vi è stato alcun censimento della popolazione del nord dell’isola. L’ultimo
Turco-ciprioti e turchi dell’Anatolia
247
Successive classi dirigenti nazionaliste hanno sottostimato il flusso
migratorio dalla Turchia25; al contrario, i partiti e le forze d’opposizione hanno tradizionalmente considerato l’immigrazione turca a
Cipro Nord come prodotto di politiche ufficiali e, in una seconda
fase, ufficiose concordate fra le autorità turche e turco-cipriote. Non
si tratterebbe quindi di un fenomeno migratorio regolato da ordinarie
motivazioni di carattere economico ma di un deliberato progetto di
‘turchificazionè e ‘colonizzazionè di Cipro Nord da parte di Ankara26.
Una delle peculiarità della biopolitica della popolazione (Foucault
2005) di Cipro Nord può essere colta nella singolare combinazione
di eccesso e mancanza di controllo, ascrivibili alle autorità turche e
turco-cipriote. Secondo le voci critiche interne il coordinamento biopolitico centro-periferia si sarebbe manifestato mediante la pianificazione dei flussi e dell’insediamento dei migranti da parte di Ankara e
la simmetrica collaborazione – priva d’effettiva capacità di controllo
su dati e persone – delle autorità turco-cipriote27.
Oggetto di controversie sono anche gli incentivi che essi avrebbero ottenuto – o riceverebbero ancora – dallo stato in virtù di tale
progetto d’ingegneria politico-sociale nazionalista. A seguito degli
atto della ‘guerra dei numeri’ è rappresentato dal censimento intermedio della popolazione di Cipro Nord realizzato alla fine del 2011. Come nel 2006, l’esito è stato
contestato. In base ai risultati preliminari, la popolazione de facto ha raggiunto le
294.906 unità, registrando un incremento dell’11,2% rispetto ai dati precedenti. Nuove controversie sono emerse in merito alla metodologia adottata e, di conseguenza,
sulla complessiva attendibilità del censimento. Fra gli articoli che i quotidiani greco e
turco-ciprioti hanno dedicato all’argomento: Simon Bahçeli, “Census in North marred
by delays and doubts”, Cyprus Mail, 6 dicembre 2011, Carol Ament, “North Cyprus
Census a fiasco: early results show tiny population”, Famagusta Gazette, 16 dicembre
2011, e “Census goes awry?”, Cyprus Mail, 25 dicembre 2011.
25
Il partito politico che per decenni è stato simbolo dell’egemonia nazionalista a Cipro
Nord è l’UBP (Partito di Unità Nazionale). La sua preminenza, fondata sulla stretta
collaborazione con Ankara, è stata insidiata fra il 2003 e il 2009 dal maggiore partito
d’opposizione, il CTP (Partito Repubblicano Turco). Le ultime elezioni parlamentari
e presidenziali - svoltesi nel 2009 e 2010 - hanno ripristinato i precedenti rapporti di
forza.
26
Un timore diffuso fra i turco-ciprioti è di costituire ormai una minoranza (azınlık)
nel proprio paese e di essere destinati all’‘estinzione’ o ‘eliminazione’ (yok olma, yok
etme) per l’effetto combinato dell’emigrazione dei nativi con il flusso migratorio
dalla Turchia verso Cipro Nord. Facendo riferimento ai dati del censimento del 2006,
Hatay (2007) contesta tale rappresentazione.
27
Sulle peculiarità dello scenario politico turco-cipriota vedi Bahçeli (2004), Bahçeli e
Noel (2010) e Kaymak (2009).
248
Migrare, fuggire. Ricostruire
eventi del ’74 l’amministrazione di Lefkoşa realizzò in coordinamento
con il governo turco una politica volta a facilitare l’insediamento di
cittadini di nazionalità turca, la cui presenza era ritenuta necessaria
dalle autorità per il funzionamento dell’economia di Cipro Nord28. La
maggioranza degli immigrati fu costituita da contadini provenienti
dalle aree economicamente più depresse della Turchia, quali la regione del Mar Nero (Trabzon, Çarşamba, Samsun), l’Anatolia centrale
e meridionale (Konya, Antalya, Mersin, Adana), il sud-est (provincia dell’Hatay, al confine con la Siria). La spinta fondamentale alla
base del fenomeno migratorio sembra essere stata economica, più
che ideologica. Per molti di loro – contadini, allevatori, lavoratori non
specializzati – Cipro non possedeva un particolare valore simbolico.
È probabile – come hanno osservato alcuni fra i miei informatori
più critici nei confronti di Ankara – che le politiche coordinate fra la
Turchia e Cipro Nord negli ultimi decenni non siano state ‘innocenti’
e, al contrario, abbiano utilizzato oggettive necessità materiali per il
perseguimento di fini ulteriori e non dichiarati. Tuttavia, sarebbe opportuno distinguere la dimensione ideologica del fenomeno e i suoi
artefici materiali dalle migliaia d’individui che negli anni sono stati
coinvolti in questo flusso umano, spinti da ragioni spesso del tutto
personali ed estranee a logiche politico-istituzionali.
L’arrivo dei primi immigrati turchi è stato pianificato dalle autorità locali turche e dai consolati turco-ciprioti. Giunti nell’isola, i göç-
28
Fra le proprietà abbandonate dai greco-ciprioti vi erano infatti terreni coltivati, attività commerciali e aziende la cui conservazione e valorizzazione avrebbe richiesto
forze superiori a quelle della sola comunità turco-cipriota. Così i primi immigrati
turchi ricevettero una casa e un terreno “quasi immediatamente dopo il loro arrivo” (Hatay, 2007: 2). La legge n. 3 del 1975 offriva loro la possibilità di ottenere la
cittadinanza dopo un solo anno di residenza. Potevano beneficiare prioritariamente
di tali misure i veterani dell’ ‘Operazione di pace’, i soldati che avevano combattuto
a Cipro negli anni precedenti al ‘74, e i familiari dei caduti (şeytler), molti dei quali
tuttavia decisero di rimanere in Turchia (Hatay, 2005: 11). La legge prevedeva inoltre
che il Consiglio dei Ministri avrebbe potuto concedere la cittadinanza di propria
iniziativa a quanti si fossero distinti per la capacità di ‘recare beneficio’ allo stato. Si
tratta di una clausola che, osserva diplomaticamente Hatay, ‘è stata a volte abusata
dai partiti di maggioranza’, in particolare nei periodi pre-elettorali (Hatay, 2007: 3).
Gli incentivi all’emigrazione cessarono ufficialmente nel 1982, quando la legge su
“Reinsediamento, distribuzione dei terreni e proprietà di valore equivalente” (İskan,
Topraklandırma ve Eşdeğer Mal Yasası – İTEM, n. 41/1977) fu emendata; da qual
momento in avanti i nuovi arrivati non ebbero ufficialmente più diritto ad alcun
incentivo statale (ibidem).
Turco-ciprioti e turchi dell’Anatolia
249
menler erano trasferiti in villaggi abbandonati dai greco-ciprioti, nei
quali avrebbero trovato sistemazione definitiva (Hatay 2005:12-13). Il
processo di distribuzione delle proprietà abbandonate a causa degli
scontri del ’74 creò recriminazioni fra i profughi/immigrati turco-ciprioti e il resto della popolazione, già stanziato nel nord dell’isola. Le
procedure di assegnazione non furono sempre trasparenti e, almeno
in certi casi, furono condizionate da legami clientelari29.
Oltre alla percezione di irregolarità burocratiche e favoritismi, nel
corso degli anni si è diffusa tra i turco-ciprioti la sensazione che l’afflusso sempre più massiccio di immigrati/coloni turchi abbia contaminato la loro comunità30. Una delle lamentele che ho ascoltato più
Le affiliazioni ideologiche e il comportamento elettorale degli immigrati turchi che
hanno successivamente ottenuto cittadinanza turco-cipriota costituiscono un altro
tema controverso del dibattito pubblico a Cipro Nord. Le conversazioni di natura
politica fra turco-ciprioti non di rado contengono allusioni alla presunta fedeltà elettorale dei cittadini di origine turca nei confronti delle forze politiche nazionaliste, o
all’idea che le loro scelte di voto siano condizionate dalle posizioni di Ankara. Hatay
(2005) propone un esame di tali persuasioni diffuse, giungendo alla conclusione che
esse non sono confermate dai dati disponibili – peraltro lacunosi. La pluridecennale
egemonia delle forze nazionaliste a Cipro Nord non deriverebbe dal sostegno incrollabile dei Türkiyeliler ma sarebbe stata alimentata da legami clientelari che hanno
coinvolto sia i nativi dell’isola che i nuovi cittadini di origine turca. Sulla centralità
del clientelismo nel sistema di potere mantenuto per decenni dall’UBP vedi anche
Sonan (2010).
30
Il racconto di Özker Yaşın (1932, Nicosia) Kıbrıslı Kazım (“Kazım il cipriota”), pubblicato nel 1978, fa riferimento - attraverso il dialogo tra due cugini, Kazım e Yaşar,
agli eventi del 1974 e alla degenerazione morale che essi avrebbero prodotto all’interno della società turco-cipriota. Kazım è un onesto imprenditore turco-cipriota;
è stato proprietario di una stamperia fin quando le difficoltà del periodo hanno
imposto la chiusura della sua attività. Inoltre, è stato eletto in parlamento nelle file
dell’opposizione. Ascoltando le vicissitudini del cugino, Yaşar appare incredulo. Egli
osserva che, sebbene non tutti i dettagli del conflitto a Cipro siano giunti in Turchia,
l’opinione pubblica della ‘madrepatria’ è stata informata sui suoi sviluppi; in base alle
informazioni circolate in modo ufficiale e non, “grandi saccheggi”, “grandi raggiri” e
“grandi truffe” (Uludağ, 2009: 126) hanno accompagnato gli scontri, i trasferimenti
forzati della popolazione e la ridistribuzione delle proprietà abbandonate dal gruppo
nemico. Yaşar riconosce che la proverbiale onestà di Kazım ha naturalmente impedito ogni suo coinvolgimento in simili manovre, eppure – aggiunge il più cinico
dei due cugini – egli avrebbe potuto godere “in modo legale dei vantaggi derivanti
dall’essere deputato, usare alcune opportunità” (op. cit.: 132). Da quel che si sentiva
dire in Turchia, aggiunge Yaşar, “Cipro è diventato ciò che il Texas è stato in passato”:
“persone provenienti dalla Turchia si sono riversate nell’isola e hanno trovato miniere d’oro... tutti trovano miniere d’oro, più o meno” (ibidem). Replicando a questa
rappresentazione della realtà turco-cipriota successiva al 1974, Kazım nota che una
parte del sentito dire può esser vera e una parte solo un’esagerazione ma, come
29
250
Migrare, fuggire. Ricostruire
frequentemente riguarda la trasformazione del centro di Lefkoşa in
un’area insicura, in cui difficilmente una giovane coppia o un nuovo
nucleo familiare deciderebbero di vivere. Ho ascoltato numerosi riferimenti alla pericolosità del luogo dopo il tramonto per una ragazza
o una donna ‘non accompagnata’, a causa dell’elevato numero d’immigrati dai modi poco urbani che animano le kahvehaneler (‘case del
caffè’), le pansiyonlar (‘ostelli’), le sale da gioco o altri locali del centro
concepiti per una clientela quasi esclusivamente composta da Türkiyeliler. Indubbiamente la parte di Lefkoşa racchiusa fra le mura non
rappresenta un contesto particolarmente piacevole nelle ore serali e
notturne; le vie sono poco illuminate e quasi nessuno vi passeggia.
Tuttavia, la sensazione di degrado e pericolo che molti turco-ciprioti
avvertono è probabilmente alimentata da altri elementi. Allo stato di
abbandono in cui versa quasi tutto il centro della città si somma la
propensione di alcuni media locali alla etnicizzazione della devianza
– percepibile nel modo in cui i furti, gli atti di violenza o altri incidenti
attribuibili a individui di nazionalità turca sono posti in evidenza.
3.Nativi e immigrati: il confine nella vita quotidiana
Il confine immateriale fra nativi e Türkiyeliler è mantenuto da
numerosi demarcatori, fra cui un ruolo prioritario spetta all’uso della
lingua (turco standard o dialetto di Cipro) e, soprattutto, al rapporto
con la fede islamica31.
recita un proverbio, “dove c’è fumo, c’è anche fuoco” (ateş olmıyan yerden duman
çıkmaz). La vita associata a Cipro Nord sembra aver subito una degenerazione morale: chi viveva nell’isola già durante il periodo coloniale rispettava le leggi e i beni
altrui. “Se una ricerca statistica fosse stata condotta”, essa avrebbe mostrato che “i
casi di furto, omicidio per denaro, stupro e gli incidenti automobilistici erano molto
pochi nella nostra piccola isola”, commenta Kazım, “come una goccia in un secchio.
Ora il secchio è pieno e sembra che lo diverrà ancora di più” (Uludağ, 2009: 132). Di
fronte a queste parole, in un momento di disillusione, Yaşar chiede retoricamente al
cugino: “abbiamo trasformato Cipro in un’altra Turchia, non è vero?” (ibidem).
31
In termini più generali, i turco-ciprioti tendono a interpretare la propria alterità attraverso le convenzionali opposizioni binarie fra stile di vita rurale e urbano, tradizione
e modernità, civiltà orientale e occidentale: riconoscono la propria comunità nel
secondo elemento di ogni coppia. Gli stereotipi sono un potente strumento di semplificazione e classificazione. Come osserva Eriksen: “non devono essere veri e non
devono necessariamente fornire descrizioni realistiche di ciò che la gente fa effettivamente. Dobbiamo pertanto riflettere sulle cause e sugli usi degli stereotipi.” […] gli
Turco-ciprioti e turchi dell’Anatolia
251
Elementi dotati di maggior visibilità e legittimità (lingua e religione) si combinano ad altri più banali, familiari ma non meno rilevanti
agli occhi dei nativi dell’isola: divergenze nel modo di vestire, nelle
tradizioni gastronomiche o nei - reali o percepiti - modelli comportamentali. I capi d’abbigliamento che i turco-ciprioti generalmente
associano agli immigrati turchi sono lo şalvar (pantalone femminile
largo e a vita bassa) e i takunya (sandali di legno, ‘da bagno turco’).
In questi elementi, associati a uno stile di vita köylü (‘da contadino’),
molti fra i miei interlocutori hanno colto lo scarto fra il gusto dominante dei Türkiyeliler e quello, ‘più moderno’, dei turco-ciprioti.
Le distinzioni generalmente non sono neutre; il caso in esame non
rappresenta un’eccezione. La quotidianità nel köy (‘paese, villaggio’)
è generalmente associata ad una condotta gelenekçi (‘tradizionalista’)
e a un limitato livello d’istruzione (cehalet, ‘ignoranza’). Nelle differenze individuate sembrava spesso implicita la gerarchia di valore
cha caratterizza la logica binaria tradizione/modernità, rurale/urbano,
sottosviluppo/benessere materiale, religiosità/secolarizzazione. Tuttavia, focalizzando l’attenzione sulla distanza culturale fra due gruppi
si corre il rischio di trascurare le differenze materiali esistenti fra i
stereotipi […] sono cruciali nella definizione dei confini del proprio gruppo. Informano l’individuo sulle virtù del proprio gruppo e sui vizi degli altri […]. Nella grande
maggioranza dei casi gli stereotipi sottintendono, in un modo o nell’altro, la superiorità del proprio gruppo (Eriksen, 1993: 24). Nel corso della mia ricerca sul campo
alcuni informatori hanno attribuito valenze differenziali ad aspetti apparentemente
marginali delle tradizioni gastronomiche cipriote e turche. Alcuni alimenti (gologas,
molehiya, hellim) sono molto popolari e apprezzati nell’isola ma non altrettanto in
Turchia; in secondo luogo, le influenze greche o ‘italiane’ – risalenti probabilmente
alla dominazione veneziana – nel nome e nella preparazione di altre pietanze sono
valorizzate quali segni della diversità cipriota. Inoltre, alcuni dei miei interlocutori
hanno colto una differenza più sottile: l’opposizione fra sapori delicati e intensi. Il
sapore acı (piccante, aspro) di molte pietanze anatoliche sarebbe associabile ad una
più generale caratteristica della società turca. I diversi contesti socio-culturali cui
appartengono i sapori ciprioti e turchi possono essere riassunti nell’equazione ‘Cipro: Turchia = delicato (o moderato): piccante (o eccessivo)’. Anche considerando il
medesimo alimento o la stessa bevanda, la logica moderazione/eccesso non subiva
smentite. L’esempio che più spesso mi è stato fornito riguarda il tè. La bevanda gode
di diversa popolarità nei due paesi: çayhane e çay bahçesi (‘case del tè’ o ‘giardini del
tè’) sono locali molto diffusi in Turchia e il consumo della bevanda è frequente nel
corso della giornata. Il tipo più diffuso è il tè nero (siyah çay), bevuto nei tradizionali
bicchieri ince belli (‘a vita stretta’), a forma di tulipano. A contrario, il consumo di tè
nell’isola è ridotto; i turco-ciprioti optano generalmente per il tè verde, o miscele ‘più
leggere’, sostituendo inoltre gli ince belli con tazze dall’aspetto ‘più europeo’.
252
Migrare, fuggire. Ricostruire
medesimi e lo status ascritto che si accompagna ad esse. La percezione degli immigrati/coloni turchi è infatti legata ai contesti da cui essi
provengono; la logica della distinzione deriva quindi sia dal censo
che dai valori espressi nella prassi quotidiana. I Türkiyeliler giungono
a Cipro Nord non semplicemente dalla Turchia, ma dalle sue regioni
economicamente depresse e più conservatrici, distanti in ogni senso
dai centri più dinamici della Turchia occidentale32.
I termini impiegati dai turco-ciprioti per indicare gli immigraticoloni di origine turca esprimono in modo molto efficace l’idea di
uno scarto culturale fra i due gruppi, ponendo in secondo piano il
peso delle differenti risorse materiali a loro disposizione. I termini più
diffusi sono gaco, fellah, garasakal e fica. ‘Gaco’ è l’equivalente del
termine turco çingene (‘zingaro’) nel dialetto locale: le disposizioni
collettive dei Türkiyeliler sono assimilate a quelle dei rom, identificati
anche a Cipro Nord mediante una serie di pratiche devianti (furti, violenza, sfruttamento di minori). ‘Fellah’ indica invece il contadino, in
particolare di origine araba. In questo caso si può osservare un altro
meccanismo d’inferiorizzazione su base etnica: l’assimilazione degli
immigrati turchi ad un orizzonte socio-culturale orientalisticamente
percepito come sinonimo di arretratezza. ‘Garasakal’ (karasakal in turco standard, ‘barba nera’) è un termine divenuto popolare già durante
gli ‘anni difficili’ (’63-’74), sebbene a quel tempo avesse un diverso
32
Il modo in cui i turco-ciprioti tendono a percepire i Türkiyeliler potrebbe suggerire
un’affinità con la distinzione tra beyaz e siyah Türkler (‘turchi bianchi’ e ‘neri’), divenuta popolare in Turchia alla fine degli anni ’90. Le due etichette esprimono la contrapposizione fra due macrocategorie sociali: i ‘turchi bianchi’ risiedono nei centri
urbani, sono ‘moderni’, ben istruiti e la loro laicità confina col sospetto preventivo
verso la religione; i ‘turchi neri’, invece, sono originari delle province sud-orientali
e - se immigrati nelle città della Turchia occidentale - portano con sé un retroterra
culturale ispirato a valori islamici. I turco-ciprioti che colgono nel Türkiyeli un individuo altro da sé non devono tuttavia essere automaticamente accostati alla figura del
beyaz Türk (‘turco bianco’). Infatti, tramite un complesso lavoro di posizionamento
identitario, essi tracciano una distinzione anche nei confronti dei più occidentalizzati
cittadini turchi. In questo caso, l’elemento valorizzato è il passato coloniale, inteso
come esperienza civilizzatrice: “siamo stati governati dai britannici quando loro erano ancora sotto il potere del Sultano”, “avevamo in casa la televisione quando ancora
in Turchia non esistevano”, “qui tutti parlano inglese”. Da ciò derivano tre caratteristiche fondamentali che i turco-ciprioti attribuiscono alla propria società e, al contrario,
considerano limitatamente presenti in Turchia: la dimestichezza con la democrazia e
il dissenso, la modernità nei suoi aspetti materiali e simbolici, il riconoscimento nella
cultura europea.
Turco-ciprioti e turchi dell’Anatolia
253
significato33. La convivenza con gli immigrati-coloni arrivati dalla Turchia nei decenni seguenti ha modificato il senso della ‘barba nera’,
divenuta sineddoche per il conservatorismo religioso dei Türkiyeliler:
la barba nera del muezzin e del devoto che si reca regolarmente in
moschea, figure che non sembrano trovare spazio nell’auto-rappresentazione della comunità turco-cipriota. ‘Fica’ è invece l’equivalente
di deniz yosunu o varek (‘alga’) in turco standard. Il senso del termine è piuttosto offensivo perché allude all’indesiderata presenza dei
Türkiyeliler e la loro azione contaminante. Come le alghe giungono
sulla spiaggia, indesiderate e per effetto delle onde del mare, così i
turco-ciprioti avrebbero assistito all’arrivo non richiesto degli immigrati turchi, portati nell’isola dalle onde dell’Egeo. In secondo luogo,
come le alghe ‘sporcano’ la bellezza della spiaggia, così la presenza
dei Türkiyeliler avrebbe contaminato la società turco-cipriota34.
Accanto a questi termini tradizionali, vi è un’etichetta di recente
adozione: Amerikalı, ‘americano’. Scoprire il senso del nuovo termine
non è stato semplice per due ragioni: è ancora poco diffuso e i commenti offerti dai miei interlocutori alludevano alla sua funzione, ma
non al significato35. A mio giudizio l’impiego di Amerikalı potrebbe
essere un rovesciamento ironico dell’immagine in cui i turco-ciprioti
effettivamente riconoscono i Türkiyeliler. L’espressione più tipica e
– almeno secondo alcuni fra i miei informatori – più alta della civiltà
occidentale è lo stile di vita ‘americano’: la società e la cultura statunitensi offrirebbero il massimo delle acquisizioni occidentali, quindi
l’apice della civiltà tout-court. Al contrario, lo stereotipo dell’immi-
Come spiegato da alcuni miei informatori anziani, la ‘barba nera’ dei soldati e ufficiali militari turchi degli anni ’60 e ’70 era legata alle dure condizioni di vita e alle
operazioni militari. La ‘barba nera’ derivava insomma dal fatto di non poter curarsi
troppo della propria persona, ad esempio radendosi quotidianamente. Si trattava di
un segno di distinzione ma non d’inferiorità, potendo anzi essere associato all’importanza della presenza militare turca nell’isola per la sopravvivenza della comunità
turco-cipriota. I garasakal di quegli anni erano elementi esterni ma osservati con un
misto di gratitudine e soggezione dai nativi dell’isola.
34
La logica sottostante ricorda il nesso fra enti contaminanti e percezione collettiva del
loro essere “fuori luogo” (Douglas, 2003): molti turco-ciprioti ritengono infatti che gli
immigrati turchi siano culturalmente “fuori luogo” a Cipro Nord.
35
Coloro che si mostravano consapevoli dell’uso di questa nuova “parola d’ordine”
individuavano la sua ragion d’essere nella necessità di sostituire i termini precedenti,
ormai noti anche agli immigrati o cittadini di origine turca e alle seconde generazioni. Per poter parlare (male) dei Türkiyeliler senza che questi possano accorgersene
è ormai indispensabile un nuovo codice.
33
254
Migrare, fuggire. Ricostruire
grato turco a Cipro Nord – basso livello d’istruzione, tradizionalismo
religioso, famiglia di tipo patriarcale e relativa subalternità femminile,
fra le altre caratteristiche – rappresenterebbe l’esatto opposto, sbrigativamente riassunto da alcuni informatori in termini di ‘mancanza di
civiltà’. Etichettare i Türkiyeliler come ‘americani’, quindi, è un modo
ironico per sottolineare la notevole distanza che molti turco-ciprioti
percepiscono fra i due orizzonti socio-culturali.
Come ricordato in apertura di paragrafo, l’uso della lingua è un
importante demarcatore fra i due gruppi. I turco-ciprioti vivono una
tipica condizione di diglossia36: utilizzano il turco standard o ‘di Istanbul’ (İstanbul Türkçesi) nella comunicazione formale e il dialetto locale (Gıbrıslıca o Kıbrıs Türkçesi) in occasioni informali. Un’importante
caratteristica del dialetto turco di Cipro è l’ibridazione con il greco, il
francese e l’italiano – retaggi della dominazione franca e veneziana –
e con l’inglese, eredità del periodo coloniale. Nel parlato quotidiano
le commistioni sono frequenti; ne sono esempio la connessione di
proposizioni mediante anyway invece di neyse (comunque), o il saluto
bye bye al termine di una conversazione in turco. Il classico modo di
augurare buon compleanno in turco standard (doğum günün kutlu
olsun) diventa nice mutlu senelere: l’auspicio che gli anni (“seneler”)
36
La diglossia si differenzia dalla dilalia, condizione in cui la varietà ‘alta’ della lingua
è utilizzabile indifferentemente in ogni contesto, mentre la varietà ‘bassa’ è esclusivamente impiegata in ambiti familiari e informali. I due idiomi si distinguono innanzitutto per alcune differenza fonetiche: nel dialetto cipriota la k diventa g, la b diventa
p, la t diventa d (kara-gara, nero; Kıbrıs-Kıprıs, Cipro; taş-daş, pietra). Il dialetto
dell’isola conserva la nasale velare [ŋ], antica variante presente in altre lingue turchiche (son-soñ, “fine/ultimo”; bin-biñ, “mille”). Per quanto riguarda l’uso dei verbi, i
turco-ciprioti sostituiscono nella comunicazione informale il presente progressivo o
“attuale” (şimdiki zaman) con il presente “ampio”(geniş zaman): gidiyorum - giderim
(“vado”, ora – “vado”, generalmente). Il suffisso della prima persona plurale in –z
diventa –k: isteriz – isterik (“andiamo”, generalmente) (Kabataş, 2009: 19-26). Inoltre,
è tipica la lenizione delle consonanti, cioè il loro indebolimento da consonante sorda
a sonora, o da sorda a fricativa: hiç-hiş (niente, nessuno). Da un punto di vista sintattico, il turco standard è una lingua oggetto-verbo, mentre il dialetto di Cipro segue la
sequenza verbo-oggetto: okula gidecek misin? (andrai a scuola?) diventa gidecen okula?, “(sei) andante a scuola?”. L’esempio considerato mostra due ulteriori peculiarità
linguistiche locali: l’eliminazione delle particelle interrogative (-mi, –mı, –mü, –mu)
nella formulazione delle domande e la sostituzione della struttura canonica per il
futuro (gidecek misin) con il participio presente (gidecen) (Kabataş, 2009: 27-44). Il
saluto informale più comune (n’apan?) è indicativo della frequenza con cui viene
utilizzata questa forma verbale: “n’apan?” è forma contratta di “ne yapan (mı)sın?”,
“cosa (sei) facente”, ovvero “come va, che novità?”.
Turco-ciprioti e turchi dell’Anatolia
255
futuri del festeggiato siano belli (‘nice’) e felici (‘mutlu’) è formulato
per metà in inglese e metà in turco.
La mia esperienza sul campo mi ha permesso di cogliere l’ambivalente rapporto che i turco-ciprioti intrattengono con la lingua turca
ufficiale37.
La maggioranza dei miei interlocutori ha individuato nella Turchia una delle fonti principali dei valori che le famiglie e le scuole
turco-cipriote trasmettono alle nuove generazioni. In particolare, i
più anziani non mostravano esitazioni cogliendo nella storia ottomano-turca e in Istanbul – fulcro della connessa produzione culturale – il punto di riferimento essenziale della propria formazione.
Le tendenze letterarie, musicali, la moda, i movimenti politici emersi
fra gli anni ’60 e ’70 lungo il Bosforo si diffusero sistematicamente
nella comunità turco-cipriota; ogni prodotto turco, materiale o immateriale, acquisiva popolarità anche a Cipro Nord. Sebbene nei
decenni successivi questa egemonia sia stata pressoché sostituita
dall’influenza sulle nuove generazioni della cultura di massa statunitense e britannica, il rapporto centro-periferia prima considerato è
ancora parte della coscienza collettiva turco-cipriota. Ne è un esempio il modo in cui i turco-ciprioti spiegano la differenza tra il nome
che essi danno a Nicosia e quello usato in Turchia. I membri della
comunità ottomana, e poi turca, di Cipro hanno tradizionalmente
37
Kızılyürek e Gautier-Kızılyürek (2004) propongono un’utile analisi retrospettiva sull’argomento. La riforma della lingua fu una delle principali “rivoluzioni”
(inkılâplar) prodotte dal kemalismo negli anni ’20. L’impegno per la piena convergenza linguistica con la madrepatria raggiunse l’apice negli anni ’50, durante la
mobilitazione per la divisione (taksim) dell’isola: “In questo periodo, per la prima
volta nella storia, i turco-ciprioti conobbero la lingua turca standard. L’istruzione a
Cipro fu basata sullo stesso curriculum impiegato in Turchia. [...] Tuttavia, l’introduzione dell’alta cultura turca rese problematico il rapporto dei turco-ciprioti con la
lingua standard. Il dialetto locale iniziò ad essere giudicato inferiore e rozzo. In tale
processo la comunità turco-cipriota fu ridotta a periferia del centro nazionale turco
(Kızılyürek e Gautier-Kızılyürek, 2004: 47). I nativi dell’isola, osservano i due autori,
impararono a considerare l’İstanbul Türkçesi più elegante e raffinato del proprio dialetto, mai utilizzato in ambito formale ed educativo. Nasce in questi anni la diglossia
tuttora osservabile a Cipro Nord. A seguito del 1974 la convivenza con gli immigraticoloni farà emergere differenze culturali, oltre che linguistiche, sempre più evidenti
e insieme ad esse la tendenza ad un nuovo uso del dialetto dell’isola da parte dei
turco-ciprioti (op. cit.:50). Accanto al menzionato ‘complesso d’inferiorità’ verso l’alta
cultura prodotta in Turchia, iniziò quindi a delinearsi un’opposta tendenza: l’orgogliosa rivendicazione della propria diversità attraverso l’impiego del Gıbrıslıca, il
turco parlato a Cipro.
256
Migrare, fuggire. Ricostruire
chiamato ‘Lefkoşa’ la propria capitale. Si tratta di un semplice adattamento di ‘Lefkosia’ (variante greca) alle sonorità del dialetto ottomano-turco dell’isola. Tuttavia, il nome della storica capitale di Cipro
non si conforma ad un principio basilare della lingua turca ufficiale,
l’armonia vocalica38. Per questa ragione le istituzioni e i media turchi non adottano il termine ‘Lefkoşa’, preferendo ad esso ‘Lefkoşe’:
neanche il secondo rispetta pienamente l’armonia vocalica (l’ultima
e segue una o), ma ‘suona meglio’ all’orecchio del parlante turco
standard. L’osservazione di tale pratica suscita generalmente ironia
fra i turco-ciprioti; tuttavia, dietro le battute sembrano celarsi sentimenti misti che meritano di essere esaminati. Le reazioni dei miei
informatori di fronte ad articoli, reportage televisivi o dichiarazioni
di politici turchi in cui comparisse ‘Lefkoşe’ sono state una combinazione di risentimento (“non vogliono chiamare la nostra capitale
col suo vero nome”, “vogliono imporci il loro nome”) e umiliazione
(“pensano che non siamo in grado di parlare turco?”, “vogliono insegnarci come si scrive il nome della nostra capitale?”). Queste prassi mediatiche e istituzionali generavano nei ricettori turco-ciprioti
un prevedibile arroccamento nelle proprie abitudini comunicative,
rafforzando la voglia di parlare il proprio dialetto, di sottolineare
la propria diversità. Allo stesso tempo, in modo consapevole o inconscio, tali pratiche consolidavano il loro senso di subalternità di
fronte ad un potere esterno che può dare un nome diverso alla tua
capitale e, soprattutto, è in grado di definire molti altri aspetti della
tua vita quotidiana. In tale condizionamento linguistico potrebbero
essere colte molte altre forme d’influenza esercitate dal potere politico turco su Cipro Nord.
Tuttavia, la “crisi d’identità riflessa in una crisi linguistica” diagnosticata da Kızılyürek e Gautier-Kızılyürek (2004), riguarda il rapporto
della comunità turco-cipriota con la cultura e la società turca nel suo
complesso, ma non l’interazione quotidiana con gli immigrati provenienti dall’Anatolia. Molti dei Türkiyeliler residenti a Lefkoşa proven-
38
L’armonia vocalica (ünlü uyumu) è una delle regole basilari della riforma e standardizzazione della lingua operata dal kemalismo. In base a tale norma le vocali “sottili”
(ince) e “spesse” (kalın) non devono mescolarsi in sillabe adiacenti: ogni termine
può contenere solo vocali sottili (e, i, ö, ü), o spesse (a, ı, o, u), salvo rare eccezioni.
Il nome che i turco-ciprioti danno alla propria capitale combina quindi due categorie
di vocali: Lefkoşa (o-a).
Turco-ciprioti e turchi dell’Anatolia
257
gono dalla provincia dell’Hatay, al confine con la Siria, e in generale
dalla parte sudorientale della Turchia. La loro lingua madre non è
necessariamente il turco ma una variante del curdo (Kırmanca) o
dell’arabo (Hatay 2005:8). Il livello d’istruzione generalmente piuttosto basso non consente loro di parlare il ‘turco di Istanbul’. Pertanto,
nelle relazioni quotidiane con i migranti l’uso del dialetto di Cipro,
lungi dall’alimentare nei turco-ciprioti alcun senso d’inferiorità, rafforza in essi la consapevolezza d’appartenere a un gruppo socioculturale distinto.
Oltre all’uso del dialetto, i turco-ciprioti riconoscono nella laicità
una delle più rilevanti peculiarità del proprio gruppo; l’adesione ai
precetti dell’Islam definisce simmetricamente lo stereotipo del Türkiyeli.
La frequentazione delle moschee – nel giorno sacro del venerdì
o nei canonici momenti di preghiera della giornata – la natura patriarcale delle famiglie, il conservatorismo e alcuni modelli culturali
– come la famiglia patriarcale – che deriverebbero da tali presupposti
segnano, a giudizio di molti miei informatori, una netta differenza fra
turco-ciprioti e immigrati d’origine turca. “Sei entrato nelle moschee?
Quante persone hai visto dentro… poche vero?”, “Che aspetto avevano? Hai notato il loro accento? Erano turchi, vero?”: sono domande retoriche che ho ascoltato spesso durante la ricerca sul campo a
Lefkoşa. Ad esse si accompagnavano affermazioni come: “qui nessuno va in moschea, nemmeno il venerdì”, o “forse hai visto pregare
qualche anziano turco-cipriota: sai, quando si avvicinano alla morte
cominciano a pensare alla salvezza della propria anima!”.
La laicità dei turco-ciprioti ha radici secolari39. Il velo femminile
(başörtüsü) e il tespih (rosario islamico) – utilizzato anche come ‘pas-
39
Vedi Nevzat e Hatay (2009). Erdengiz (2001) fornisce un’interessante interpretazione
del peculiare rapporto con l’Islam osservabile nella comunità turco-cipriota. Egli
ritiene che l’elasticità con cui i turco-ciprioti vivono il proprio rapporto con la fede
derivi dall’orientamento religioso dei primi coloni anatolici giunti nell’isola nel sedicesimo secolo. Molti fra loro erano bektashi e aleviti; lo stile di vita degli appartenenti a tali comunità prevedeva il consumo di alcool, la rara frequentazione delle
moschee e, in generale, una sostanziale indifferenza alle leggi restrittive e alle forme
d’autorità religiosa dell’Islam sunnita. Fu una condotta particolarmente compatibile
con la secolarizzazione imposta in seguito dal kemalismo, ideologia che la società
turco-cipriota abbracciò senza le riserve manifestatesi in Turchia. A distanza di secoli,
qualcosa dell’eterodossia alevita e bektashi sembra sopravvivere nella contemporanea laicità dei turco-ciprioti.
258
Migrare, fuggire. Ricostruire
satempo’ maschile in Turchia – sono due simboli assenti dalle pratiche quotidiane turco-cipriote40.
Come alcuni dei miei informatori hanno evidenziato, religione e
politica sono ambiti nettamente distinti e la prima non gode di particolare visibilità nella sfera pubblica di Cipro Nord. In alcuni casi
ho colto persino un certo orgoglio nella rivendicazione della propria
incompetenza in materia di tradizioni e precetti islamici (“se andassi
in moschea, non saprei nemmeno cosa fare!”).
Le principali festività religiose (bayram) celebrate a Cipro Nord sono
il Ramazan Bayramı o Şeker Bayramı (Festa della fine del Ramadan, o
festa dei dolci) e il Kurban Bayramı (Festa del sacrificio). Le loro date
variano ogni anno, essendo legate al calendario lunare41, ma la loro
durata è fissa: il primo bayram dura tre giorni e il secondo quattro42.
Pochissimi fra i miei interlocutori sul campo hanno osservato il digiuno
(oruç) durante le settimane di Ramazan, una pratica al contrario piuttosto diffusa in Turchia. Per molti di loro i bayram costituiscono occasioni d’incontro familiari più che celebrazioni religiose. Sono momenti
importanti dell’anno, da trascorrere con i propri cari e con i parenti più
lontani; come osservava ironicamente qualcuno, i bayram sono anche
giorni di piacevoli eccessi alimentari. Secondo la tradizione, si fa prima
visita ai nonni, quindi agli zii più anziani e così via, secondo un ordine
d’età e prossimità parentale. Diversamente dal passato, l’uccisone rituale
Sul significato politico e identitario del velo in Turchia, vedi Yavuz (2003: 99-100),
Göle (1996: 83-130), Navaro-Yashin (2002: 78-113) e Çınar (2005: 53-98).
Nel 2010 lo Şeker Bayramı è stato festeggiato il 9, 10 e 11 settembre, mentre il Kurban
Bayramı è stato celebrato il 16,17,18 e 19 novembre.
42
Lo Şeker Bayramı ha luogo alla fine del Ramazan (dizione turca di Ramadan), ovvero il periodo di digiuno rituale lungo circa un mese. Il Kurban Bayramı, paragonabile per importanza al Natale, è la festa che ricorda la devozione e la mancanza di
esitazione di Abramo (İbrahim) di fronte alla richiesta divina di sacrificare suo figlio.
All’ultimo istante egli fu fermato e un montone sostituì il ragazzo nella funzione
di vittima sacrificale: questa è la ragione per cui in passato la ritualità della festa
prevedeva che ogni capofamiglia uccidesse una pecora durante il primo giorno del
Kurban Bayramı. Secondo la tradizione un terzo della carne prodotta dalla macellazione dell’animale sarebbe stato consumato dalla famiglia, un terzo donato a parenti
e vicini di casa, un terzo offerto in elemosina ai più poveri. Questa tradizione, hanno
sottolineato i miei informatori, non è più osservata dai turco-ciprioti o nei principali
centri turchi, ma sopravvive “in Anatolia centrale e nel sud-est, nei villaggi e nelle regioni più arretrate”. Le due feste sono oggi celebrate a Cipro Nord in modo diverso;
esse rappresentano semplici occasioni d’incontro con i parenti e, osservavano i più
disincantati, “l’opportunità per fare una breve vacanza”.
40
41
Turco-ciprioti e turchi dell’Anatolia
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di pecore per il Kurban Bayram non è più praticata – “qui non è come in
Turchia”, ha osservato un informatore. Il sacrificio delle vittime animali
è stato sostituito dalle donazioni di denaro o altri beni ai più bisognosi.
Un ulteriore esempio del modo in cui i turco-ciprioti vivono la propria fede e percepiscono la distanza fra la propria comunità e gli immigrati (o coloni) turchi è offerto dal mio tentativo di scoprire il significato
della Kutlu Doğum Haftası (‘Settimana della nascita benedetta’)43. Non
avendo mai sentito nominare questa festa, decisi di chiedere spiegazioni ai miei informatori. Dopo i primi inutili tentativi e le prime disarmanti
risposte – “non ho idea”, “hai chiesto alla persona sbagliata” – iniziai a
rivolgermi ai miei conoscenti più anziani, tra cui la madre della mia padrona di casa. Anche la signora Fezile, come altri genitori dei miei informatori, non sembrava sicura del significato della festa. Il fatto che più
mi lasciava perplesso era l’apparente indifferenza di tutti i miei interlocutori di fronte alla presenza di numerosi gazebo in un giardino pubblico appena oltre il centro storico di Lefkoşa, appositamente allestiti per
la Kutlu Doğum Haftası. Possibile che nessuno di loro avesse notato gli
striscioni riguardanti la festa e i gazebo che vendevano edizioni tascabili del Corano, testi di contenuto religioso e vestiti economici? Tutto
ciò mi stupiva perché lo spazio dedicato era proprio in prossimità di
un punto nevralgico della circolazione automobilistica della città, Girne
Kapısı, il varco nelle mura veneziane da cui un tempo passava la strada
per la città di Girne (Keryneia). Durante una sosta al Büyük Han44, distante pochi minuti dal giardino pubblico, provai a chiedere chiarimenti
alla signora Gülsen, ma i miei dubbi finirono per aumentare:
Penso sia la festa dedicata alla nascita di Mohammed, almeno questo è quello
che capisco dal nome, “settimana della nascita santa”. Si tratterà della nascita del
Profeta, ecco perché è santa.
43
44
Celebrata nel 2010 fra il 14 e il 20 aprile.
La “Grande taverna”, per molti aspetti simile ai caravanserragli presenti in altre città
turche, possiede una caratteristica singolare: è dotata non di una ma due entrate.
In epoca ottomana, le sessantotto stanze situate al primo piano offrivano rifugio ai
commercianti e altri visitatori di passaggio nella capitale. Al di sotto di esse, le gallerie ad archi accoglievano piccole botteghe artigiane e racchiudevano un cortile nel
cui centro è ancora oggi osservabile una fontana per le abluzioni rituali e una mescit
(piccola moschea) sorretta da quattro colonne. Esteriormente simile ad una fortezza,
fu utilizzato come prigione durante l’amministrazione britannica. Oggi il Büyük Han
comprende botteghe artigianali, ristoranti e altre attività commerciali rivolte essenzialmente ad una clientela di turisti.
260
Migrare, fuggire. Ricostruire
Tuttavia, in base alle spiegazioni della signora Fezile, la festa dedicata alla nascita di Maometto è il Mevlid Kandili45, già celebrato due
mesi prima, il 25 febbraio:
Se non è una festa per la nascita del Profeta, non so cosa dire… forse è una festa
per l’inizio della gravidanza di sua madre. Sì, questo potrebbe essere il significato
ma non sono sicura. Quando lo scopri, dillo anche a me!.
Fortunatamente le competenze di Evren, uno dei miei più preziosi informatori, e una pubblicazione piuttosto recente (Dayıoğlu e
Hatay 2009) mi hanno aiutato a fugare i dubbi accumulati. Da circa
dieci anni “i turco-ciprioti hanno iniziato a celebrare il Mevlid Kandili,
anniversario della nascita del Profeta, come Kutlu Doğum Haftası”
(Dayıoğlu e Hatay 2009: 84). Sebbene la festa fosse celebrata anche
in passato, “sotto l’influenza di tendenze provenienti dalla Turchia,
l’evento di un giorno è diventato un festival lungo una settimana, con
attività educative di tipo religioso, conferenze e seminari” (op. cit.:
85). Tutto questo, comunque, sembrava accadere nella più totale indifferenza dei nativi dell’isola. Infatti, a giudizio di Evren:
Questa festa non esisteva in passato, è una novità introdotta dall’AKP46. L’hanno
fatto in Turchia e ora provano a ripeterlo qui, ma come vedi i risultati sono negativi! Nessun turco-cipriota visita quei gazebo. Sei stato lì, hai visto e sentito parlare
turco-ciprioti? Ovviamente no, queste iniziative sono per gli immigrati e i coloni,
non per noi. L’AKP cerca di farci diventare bravi mussulmani ma è inutile, non c’è
speranza [sorride], fidati di me!.
I Kandil (Candela) sono cinque festività del calendario islamico, durante le quali le
moschee vengono illuminate per annunciare le celebrazioni ai fedeli. Oltre al ricordato Mevlid (anniversario della nascita di Mohammed), vi sono il Regaip Kandili
(inizio della gravidanza della madre di Mohammed), il Miraç (l’ascesa al cielo del
Profeta), il Berat (festa del perdono dei peccati) e il Kadir Kandili (apparizione
del Corano). La signora Gülsen, pensando alla gravidanza della madre del Profeta,
confondeva il senso del Regaip Kandili con la ‘misteriosa’ Kutlu Doğum Haftası.
46
L’Adalet ve Kalkınma Partisi (Partito della giustizia e dello sviluppo), guidato dal carismatico Recep Tayyip Erdoğan, è un partito di ispirazione islamica moderata. I suoi
avversari affermano che, dietro il piano di riforme realizzate negli ultimi anni, vi sia
una preoccupante ‘agenda segreta’ volta all’indebolimento degli assetti esistenti nelle
istituzioni tradizionalmente depositarie della laicità kemalista (esercito, apparato giudiziario e burocratico) e la trasformazione della Turchia in un paese confessionale o
addirittura teocratico. Yavuz (2003: 256-264) offre una sintesi esaustiva dello scenario
politico entro cui hanno avuto luogo il “terremoto e la restaurazione” dell’AKP. A
giudizio del politologo, “una nuova identità e nuovi ruoli, ibridi, nazionali, islamici e
moderni sono in costruzione” in Turchia (Yavuz, 2003: 263).
45
Turco-ciprioti e turchi dell’Anatolia
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Ponendo l’accento sullo scarso peso della religione nella propria
società, i miei interlocutori sembravano voler segnalare la propria distanza dalla Turchia ed appartenenza all’Europa, spesso chiamata in
causa nelle nostre conversazioni. Ai loro occhi la Turchia è in grado di
suscitare rispetto – o incutere soggezione – sul piano militare, diplomatico, politico ed economico ma è un paese ‘arretrato’, un giudizio
a volte argomentato attraverso convenzionali rappresentazioni orientalistiche. L’Europa, al contrario, rappresenta non soltanto un modello
politico-amministrativo (l’Unione Europea) ma una patria putativa,
una comunità immaginata trans-nazionale cui i turco-ciprioti sentono
di appartenere da sempre. La laicità è intesa come valore europeo,
ancor più che occidentale; rivendicare la partecipazione della propria
comunità a tale orizzonte è un modo per aspirare ad una posizione
non troppo marginale nella “gerarchia globale del valore culturale”,
attraverso cui ogni gruppo sembra essere ancora chiamato – “dopo lo
scioglimento degli imperi politici e militari” (Herzfeld 2002: 920) – a
misurare la propria dignità.
262
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