Ishtar 2 . Cronache dal mio risveglio

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Ishtar 2 . Cronache dal mio risveglio
Monastero S.Maria del Monte Carmelo ::: Concenedo di Barzio
Ishtar 2 . Cronache dal mio risveglio
di C.Dobner
ANTONIA ARSLAN
Ishtar 2 . Cronache dal mio risveglio
Rizzoli, Milano 2010.
Italianista di vaglia, persona raffinata nella sua semplicità, Antonia Arslan ha abituato i suoi lettori ad attendersi un dettato
fluente, preciso, denso di reminiscenze storiche, mitologiche, geografiche, spie tutte del mondo classico a lei caro, dei
viaggi compiuti e dei grandi affetti che hanno abitato la sua esistenza: la vasta famiglia di origini armene, gli amici, le
grandi figure della storia dell’umanità che balzano vive, dipinte con qualche pennellata.
I quadretti che A. Arslan compone per diverse testate ci hanno resi familiari con i genitori, gli zii, i cinque turbolenti figli e
le innumerevoli avventure che solcarono la loro infanzia e giovinezza. Sempre tutto dipanato nel pudore, nella
riservatezza ma anche nel dono del proprio sentire in toni aristocratici, non solo di sangue blu ereditato ma di virtù
umane praticate.
In Ishtar 2, Cronache dal mio risveglio, Antonia “Leone”, questo il significato del suo cognome armeno, non
ha porto solo un frammento di sé, ma ha lasciato a chi legge il compito, arduo e gioioso, di lasciarsi lambire dal suo io
profondo, dal quel magma che tutti abita e che emerge quando le nostre censure di educazione e di cultura, si
sgretolano.
È la notte fra il 12 e il 13 aprile 2009, notte che segnerà un varco nei giorni della scrittrice e della donna Antonia: ha
superato il limite della coscienza e viaggia fra coscienza ed incoscienza in una nebulosità ora attiva ora passiva, ora con
presa sulla realtà, ora con fasi oniriche soffuse.
Lo shock settico da calcolosi renale la porta dentro il labirinto della rianimazione, Istar2, che la malata percorrerà in tutta la
sua tragicità e in tutta la gravità di un coma farmacologico.
Scattano tutte le strutture profonde della personalità: Istar, sigla ospedaliera, diventa Ishtar la dea, le stanze diventano
giardini, il silenzio si fa ora accattivante ora lancinante nei suoi sussurri lugubri: «Ma ormai sei chiusa dentro, e fra poco
metteranno il coperchio alla stanza, e tutto sarà finito».
Antonia soffre nel corpo immobilizzato, nella gola chiusa da un tubo, ma nello spirito è ancora più dolente: sola e lasciata
ai suoi pensieri, alle sue fantasie, alle sue preoccupazioni, impotente: «… mi trovai di nuovo di fronte la finestra
malefica sul nulla, il vuoto buco rettangolare da cui si affacciava il Male».
Nel racconto non prevale il tono prefico, lamentoso, il curvarsi su di sé per leccarsi costantemente le ferite ed esibirle,
anzi, nella disavventura che le avrebbe potuto costare non solo la vita ma anche la qualità della vita, trapassa nelle pagine
una robustezza interiore che stupisce. Quel sottofondo ancorato a principi saldi, a una fede sperimentata ma non
ostentata, ad una paura (legittima) ma consegnata.
La persona non viene svilita da una simile esperienza ma si ritrova arricchita, un “Leone” che ha saputo
dare le sue zampate per risalire il tunnel, scuotere la sua criniera al vento della vita.
L’ansia e il male, sempre in agguato, con maligni bisbigli, vengono fugati dalla presenza di “Colei che al
dimandar precorre”: «Lei c’era, da qualche parte, la Signora che scacciava le tenebre. Lontano sul mare
scintillavano una vela e una stella. E allora sentii la sua mano sui miei capelli».
Nella lettura ci si attenderebbe di vedere comparire la donna vestita di lavanda di Rilke, tale è il profumo delle parole
poetiche, in un susseguirsi di immagini che scorrono le une nelle altre, senza soluzione di continuità, stemperandosi in un
abbandono che sa percepire il bene offerto da chi le è vicino nella malattia: medici, infermieri, amici, l’amata figlia
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e il marito. Tutti volti nitidi e precisi, non risucchiati nel vortice scuro del malanno, ma rimandati, quasi colmati di grazia,
dopo l’incontro con il dolore vivo.
Queste posture non si improvvisano, crescono dentro, nel più profondo, in tutto il corso dell’esistenza, parlano di
riflessione, di bontà, di dedizione, di amore all’arte e alla natura, alla vita e al Signore della vita.
Una torchiatura che ha spremuto olio puro, che ha donato ancora un tratto di strada, perché, sotto la grande quercia
mentre il cavaliere gioca a scacchi con la Vecchia Signora e la danza dei morti è «struggente e bellissima», è avvenuta
la grande alchimia: «Ma loro non erano venuti a prendermi, non ancora. E tuttavia non c’era da aver paura,
perché un giorno sarebbero venuti tutti insieme, pazienti e affabili, quelli che sovrintendono, quelli che sanno….
Torneranno insieme danzando, e mi prenderanno per mano, il mio amico Antonio il Portoghese, il santo col fiore di giglio
in mano, san Procopio, san Demetrio, sant’Ilarione, santa Cesira e gli altri santi dal nome dimenticato. E io saluterò
con l’altra mano, gioiosamente, le signore del castello sul mare e i miei amici di Ishtar, tutti coloro che ho amato e
quelli che ho dimenticato».
febbraio2011
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