Corel Ventura - CAP-3.CHP

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Corel Ventura - CAP-3.CHP
CAPITOLO 3
LA RELAZIONE TRA ESAME ED OUTCOME
Elaine Kling, John R.Hess
Prenderò....provvedimenti a vantaggio dei malati secondo le mie capacità ed il
mio discernimento; evitarò loro danni ed ingiustizie. - Il Giuramento di Ippocrate
Vi sono elementi immutabili nel rapporto tra il malato e chi presta loro assistenza. I malati danno a chi fornisce assistenza le informazioni che, secondo
loro, devono conoscere, mentre i pazienti custodiscono i loro segreti più profondi. I curanti devono cercare di raccogliere le evidenze, valutarle in modo critico
ed applicarle in modo saggio ai problemi clinici specifici del momento. La necessità di saggezza e la possibilità di nuocere non sono mai da considerare troppo distanti.
La evidence-based laboratory medicine porta nuove opportunità e nuove richieste. Gli strumenti producono montagne di numeri, referti ed immagini. La
relazione tra questi risultati di laboratorio e la salute o la malattia è complessa.
La precisione, l’accuratezza e l’intervallo di riferimento di un esame, lo stato
delle conoscenze cliniche, la natura della inferenza statistica e la variabilità naturale del decorso clinico pesano sulla relazione tra esame ed outcome.
Questo capitolo mette a fuoco la relazione tra gli esami di laboratorio e l’outcome clinico con riferimento a quattro esempi clinici specifici. Gli esempi sono
scelti da patologie frequenti degli adulti e gli esami di laboratorio sono comuni.
In questo contesto importanza particolare è attribuita alle caratteristiche degli
esami e alla natura della informazione clinica che lega i valori del risultato di un
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Elaine Kling, John R. Hess
esame alla diagnosi ed alla prognosi.
ESEMPI DI ESAMI E DI OUTCOME
Ciascuno dei seguenti quattro esempi clinici inizia con uno scenario. Un esame viene eseguito in un individuo di cui vengono indicate alcune caratteristiche.
Nell’esempio, lo scenario è seguito da:
-
analisi epidemiologica della condizione clinica considerata,
caratteristiche di performance dell’esame,
interpretazione clinica del risultato.
Questi tre elementi, la probabilità pre-test (a priori), l’esame e la probabilità
post-test (a posteriori), derivano dalla letteratura evidence based. Comunque, la
relazione tra probabilità pre-test ed outcome clinico viene alterata, in pratica, da
un contesto psicosociale che comprende sia il paziente che il medico curante.
Alla fine dell’esempio, lo scenario è riesaminato in modo da valutare come il
contesto psicosociale modifica l’outcome. Il prodotto più importante della evidence-based laboratory medicine è costituito da ampi studi clinici sulla resa di
specifici esami, all’interno del contesto sociale, dell’assistenza medica e della
vita di ogni giorno.
Scenario 1: John Stone, un dirigente di 42 anni, aveva effettuato il dosaggio del
colesterolo totale nel contesto di un programma di screening aziendale. L’infermiera della sede aziendale centrale chiamò dopo due giorni il Sig. Stone e gli
comunicò che il risultato dell’esame, pari a 250 mg/dl (6,50 mmol/L), era al di
sopra del livello decisionale del National Cholesterol Education Program
Un attacco cardiaco è la più comune causa di morte nei paesi sviluppati ed è
responsabile di più del 40% di tutte le morti negli Stati Uniti (1). La fisiopatologia che sta alla base dell’attacco cardiaco è quasi sempre un danno alle arterie,
associato alla deposizione di colesterolo nelle placche. L’aterosclerosi, l’accumulo di queste placche di colesterolo nelle arterie e la conseguente distruzione
dell’integrità delle arterie sono anche responsabili della maggior parte degli ictus, di quasi tutti gli aneurismi dell’aorta e di molte amputazioni degli arti inferiori. All’aterosclerosi è, pertanto, imputabile più della metà di tutte le morti nei
paesi sviluppati; essa è responsabile, inoltre, del fatto che molti individui conducono la propria esistenza con gli effetti di una patologia aterosclerotica, come,
ad esempio, una limitata capacità di esercizio fisico per un attacco di cuore precedente o una paralisi in seguito ad un ictus. La prevenzione della aterosclerosi,
come mezzo per migliorare la salute e la produttività di una nazione, è il più
grande obiettivo di politica sanitaria delle nazioni più evolute.
La relazione tra la concentrazione sierica di colesterolo ed il verificarsi di
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La Relazione tra esame ed outcome
eventi cardiovascolari critici, come un attacco cardiaco, una morte improvvisa
su base cardiaca e l’ictus, sono stati esaminati in una serie di ampi studi di coorte prospettici, basati sulla popolazione. Il più importante di questi studi, il Framingham Heart Study, è stato condotto in più di 40 anni. Questo studio ha identificato numerosi fattori di rischio per lo sviluppo di una patologia aterosclerotica nell’adulto. I più importanti di questi fattori di rischio sono il fumo, l’ipertensione, il colesterolo, il diabete mellito e la familiarità per malattia cardiaca. Individui con quattro o più fattori di rischi hanno un’incidenza di nuovo attacco cardiaco o di morte improvvisa maggiore del 40 % nell’arco di 10 anni, mentre
quelli senza nessun fattore di rischio hanno meno del 2 % di incidenza (2). Contemporaneamente, la combinazione lineare di questi fattori di rischio incide per
il 50 % di tutti i casi di malattia cardiaca. Le differenze nella concentrazione del
colesterolo incidono per circa il 10% di tutte le nuove malattie cardiache in questi modelli di previsione del rischio e, a causa dell’ampio range di incidenza di
malattia cardiaca, una diminuzione del colesterolo sierico dell’1% è associata ad
una diminuzione pari al 2% del rischio di malattia cardiaca. Così si può prevedere che una riduzione del 33 % della concentrazione di colesterolo da 250 mg/dl
(6.50 mmol/L) a 167 mg/dl (4.34 mmol/L) riduca della metà il verificarsi di
nuovi eventi cardio-vascolari nei 10 anni successivi; tale riduzione sarà dal 30 al
15% in un individuo con tutti i fattori di rischio e dal 4 al 2 % in un individuo
che presenta solo un aumento del colesterolo.
La misura accurata di valori elevati di colesterolo è difficile per molte ragioni. Innanzitutto, il colesterolo è un alimento ed un metabolita intermedio. Il colesterolo è assunto nel cibo ed è prodotto dal fegato come supporto per costruire le
membrane cellulari e per l’assorbimento degli alimenti liposolubili. La sua concentrazione cambia in relazione all’assunzione di cibo, al consumo di alcool,
all’attività fisica e allo stato metabolico generale. Non tutti i pazienti o gli individui sani sottoposti a screening hanno misure basali di colesterolo eseguite sotto le strette condizioni utilizzate nello studio di Framingham, che includevano
un digiuno di 14 ore, nessuna assunzione di alcool per 3 giorni, attività fisica regolare e condizioni di salute normali.
In secondo luogo, il colesterolo sierico totale risulta dalla somma di molte
frazioni lipoproteiche di colesterolo, incluso il colesterolo "buono"delle lipoproteine ad alta densità (colesterolo HDL), e quello "cattivo" delle lipoproteine a
bassa densità (colesterolo LDL); le concentrazioni di colesterolo HDL sono
principalmente il risultato di fattori genetici e di attività fisica, mentre la concentrazione del colesterolo LDL è più strettamente collegata alla dieta ed allo stato
di malattia.
Anche le singole frazioni di colesterolo, come il colesterolo LDL, sono eterogenee. Una concentrazione di colesterolo LDL può rappresentare poche particelle LDL sature o molte particelle più piccole contenenti meno esteri di colesterolo nel core della particella stessa. Questa differenza è stata determinata con lo
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screening dei sieri del Framingham Offspring Study, con determinazioni effettuate con risonanza magnetico-nucleare delle sottoclassi di particelle lipoproteiche, che non dipendono dal contenuto di colesterolo (4). In quello studio il maggior numero di particelle LDL era associato a maggiore mortalità. Questa associazione, tuttavia, non è stata confermata in altri studi prospettici come è avvenuto, invece, per la correlazione con il colesterolo totale.
Infine, l’errore di misura contribuisce anche alla variabilità nella misurazione
del colesterolo totale, e gli errori di misurazione interagiscono con la soglia per
il trattamento. Così, un paziente la cui attuale concentrazione di colesterolo è vicina alla soglia di trattamento, può ricevere una terapia se il valore misurato è
leggermente aumentato, ovvero può ricevere suggerimenti dietetici se tale valore
è solo leggermente più basso. Per superare questo effetto, alcuni gruppi raccomandano, per migliorare la precisione della misura, determinazioni multiple.
Reynolds e coll. (5) hanno dimostrato come l’inaccuratezza inerente ad una misura singola di colesterolo sierico possa portare al fatto che il 30 % dei pazienti
che necessitano di trattamento non lo ricevano, e che il 20 % dei rimanenti siano
trattati senza necessità. La ripetizione della determinazione tre volte, porterebbe
un miglioramento della precisione, che potrebbe ridurre alla metà il numero di
individui misclassificati.
Il dosaggio di colesterolo è ampiamente considerato importante. È raccomandato come parte dello screening periodico da U. S. Joint American Preventive
Service Task Force, Canadian Task Force on the Periodic Health Examination,
American College of Physicians e British National Health Service. Una volta
che un paziente è identificato come un soggetto con colesterolo sierico elevato,
deve essere avviato alla opportuna assistenza sanitaria.
Qualcuno, un medico, un suo assistente oppure un’infermiera deve raccogliere l’anamnesi e realizzare altre procedure di screening e cliniche. Il tipo rapporto
tra il paziente e quel medico di base è da considerare con attenzione. Il paziente
avrà molti quesiti cui occorre dare risposta, il medico, avrà a sua volta, da porre
molte domande che necessitano di risposte complete ed accurate, così come,
probabilmente, la ripetizione degli esami del paziente in condizioni di digiuno e
senza assunzione di alcolici. La cura ideale dipenderà da altri fattori aggiuntivi e
può richiedere un trattamento a lungo termine ed un follow-up. Tutte queste interazioni cliniche richiedono tempo e si verificano in una società in cui non trattare un colesterolo alto è considerata negligenza.
Follow-up: il signor Stone fece visita all’infermiera dell’ufficio, alcuni giorni
dopo, per ringraziarla del messaggio ricevuto ed informarla che il fratello maggiore e il padre stavano bene e di non aver mai fumato. La misura della sua
pressione sanguigna risultò normale; ammise che, a causa della moglie che doveva accudire la madre malata, dell’attività calcistica di sua figlia e a causa del
suo stesso lavoro, aveva mangiato di più ed aveva svolto un’attività fisica infe-
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La Relazione tra esame ed outcome
riore rispetto a quanto avrebbe desiderato fare. Era in sovrappeso di 10 chili rispetto al peso ideale. Promise di parlare al suo medico di famiglia del suo colesterolo, ma aggiunse che ciò non sarebbe potuto avvenire prima della fine della
stagione calcistica. La segretaria si offrì di riferire lei stessa le informazioni al
medico, ma il signor Stone precisò che avrebbe preferito discutere personalmente il problema..
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Scenario 2: Jane Smith era stata affetta da cancro alla mammella con metastasi
ai linfonodi locali molti anni prima. Era stata trattata con nodulectomia, irradiazioni alla mammella ed alle ascelle e chemioterapia adiuvante. È stata in
buone condizioni di salute per due anni; ora ritorna all’osservazione con ittero
e con una massa epatica. Un tempo di protrombina, richiesto per valutare il rischio di sanguinamento prima di programmare una agobiopsia della massa
epatica, era allungato a 17 secondi. A questo punto la procedura di agobiopsia
è stata annullata.
Le procedura chirurgiche e le altre procedure di tipo invasivo, eseguite o
programmate, rappresentano la maggioranza delle ospedalizzazione per casi
acuti negli Stati Uniti. Per tutte queste procedure, deve essere preso in considerazione il rischio di sanguinamento severo. L’Organizzazione Mondiale della
Sanità (WHO) ha classificato gli episodi di sanguinamento in quattro gradi:1=lieve, 2=moderato che non richiede trasfusione nelle prime 24 ore, 3=moderato che richiede trasfusione nelle prime 24 ore, 4=severo e con immediato
pericolo di vita, anche con trasfusione. Negli Stati Uniti si verifica un sanguinamento di grado 3 o 4 nel corso di una procedura invasiva in circa 2.000.000 di
persone all’anno. Un numero ancora maggiore di pazienti sono a rischio di sanguinamento serio in conseguenza di una ferita, una procedura chirurgica programmata o di emergenza, una procedura invasiva diagnostica o terapeutica
Per l’alta frequenza e per la natura severa del sanguinamento, i medici eseguono uno screening per individuare i pazienti con rischio di sanguinamento aumentato. Per eseguire uno screening generale dei disordini legati al sanguinamento, la maggior parte dei medici chiede se in passato si sono verificati ematomi o emorragie anomale in seguito a ferita, cura dentaria, intervento chirurgico
o parto. L’anamnesi rappresenta uno screening molto sensibile per i disordini
emocoagulativi congeniti di grado severo, ma tali disordini sono rari. Quelli acquisiti, che si sviluppano nel caso di altre patologie o di ferite, sono più comuni
e richiedono una costante e vigile attenzione. Di conseguenza, prima di intraprendere una procedura invasiva legata ad un significativo rischio di sanguinamento, i medici richiedono spesso il conteggio delle piastrine, il tempo di protrombina (PT) ed il tempo di tromboplastina parziale (PTT).
Il PT e il PTT sono misure della coagulazione del plasma. Il sangue intero è
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raccolto utilizzando il citrato come anticoagulante e si procede alla separazione
del plasma. Questo viene mescolato con un attivatore della coagulazione, come
una tromboplastina completa di cervello di coniglio per il PT, o una tromboplastina parziale, come frammenti di mica per il PTT, e viene aggiunto il calcio. Il
tempo per la formazione del coagulo è misurato con un sistema meccanico o ottico. Nel PT, lo specifico fattore proteico tissutale ed il fosfolipide derivato dal
cervello di coniglio attivano il fattore VII della coagulazione e portano alla rapida formazione di un coagulo, tramite la via estrinseca, in circa 12 secondi. Nel
PTT, i frammenti di mica forniscono una superficie carica che attiva il fattore
XII e porta alla formazione di un coagulo, tramite la via intrinseca, in circa 30
secondi. Una ridotta concentrazione dei fattori delle vie di attivazione porta ad
un allungamento di questi tempi di coagulazione.
Il PT e il PTT sono risultati molto utili per la diagnosi e per la classificazione
dei disordini congeniti o acquisiti della coagulazione del plasma, come l’emofilia o il deficit di vitamina K, ma, risultano meno utili (6) come dosaggi generali
per una ridotta attività della coagulazione, e questo è dovuto a molteplici cause.
1) I reagenti usati negli esami non sono standardizzati. Lotti diversi di cervello
di coniglio o di particelle di mica hanno una diversa capacità di attivazione del
coagulo e la stabilità dei reagenti non è uniforme. Così, l’errore standard dell’intervallo di riferimento risulta ampio e la concentrazione dei fattori può abbassarsi fino al 25-40% della norma prima che venga rivelata una qualche anomalia. 2)
I tempi di coagulazione risultanti non sono correlati in maniera lineare alla concentrazione dei fattori. Una riduzione del 50% di un singolo fattore comporta un
tempo di coagulazione normale, ma una riduzione del 25% di due fattori può
causare un allungamento del tempo di coagulazione. Inoltre, i fattori di coagulazione attivati per primi nel processo hanno un effetto maggiore di quelli finali
nella cascata coagulativa. Il PT è abbastanza sensibile al deficit di fattore VII, e
quindi risulta utile per il monitoraggio della terapia con warfarina, ma il fibrinogeno può abbassarsi fino a 60 mg/dl senza causare anomalie misurabili. 3) Il test
misura solo una parte del processo di coagulazione. L’emostasi fisiologica è funzione dell’attività dei vasi sanguigni, del numero e della funzionalità delle piastrine, dell’attività dei fattori di coagulazione e della fibrinolisi. Il PT ed il PTT
misurano solo la formazione di fibrina e solamente ad una temperatura standardizzata.
Così la problematica si limita alla relazione tra anomalia del PT ed emorragia
in associazione ad una biopsia epatica. I pazienti che necessitano di biopsie epatiche frequenti hanno un prolungamento del PT a causa della loro patologia epatica di fondo. Essi spesso presentano anche molteplici altre cause di emostasi
anomala. Molti studi hanno fatto riferimento alla relazione tra un prolungamento
del PT ed un sanguinamento clinico in corso di biopsia epatica percutanea.
Uno studio condotto da Ewe (7) riferiva di una serie consecutiva di 200 pazienti con malattia epatica, compresi pazienti con steatosi epatica, cirrosi e meta-
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La Relazione tra esame ed outcome
stasi epatica, sottoposti a biopsia. Le biopsie erano effettuate utilizzando un ago
Menghini di 1.8 mm, in laparoscopia. Un ago Menghini è un’asta di acciaio
inossidabile, senza una metà del cilindro, per un breve tratto dietro l’estremità a
punta. Quando l’ago viene introdotto in un organo molle come il fegato, lo spazio vuoto all’interno del cilindro si riempie di tessuto. Una guaina di acciaio che
oltrepassa la punta con bordi di entrata taglienti, recide il tessuto nel cilindro
vuoto e lo trattiene in posizione, mentre l’ago viene ritirato. Nella procedura di
biopsia il fegato viene punto e lacerato per circa 2 cm. Il laparoscopio permette
di visualizzare la puntura ed il tempo di sanguinamento nel punto di lesione, per
l’azione dell’ago, viene registrato.
Non vi era nessuna correlazione tra il PT ottenuto prima della procedura e la
lunghezza del tempo di sanguinamento della zona bioptica. Solo due tra200 pazienti sanguinarono per più di 15 minuti, cioè tra 18 e 30 minuti, e nessuno richiese un trattamento ulteriore. Questo outcome di buon livello si verificò nonostante che nessun paziente fosse stato escluso sulla base di un tempo di PT troppo lungo e nonostante che nessun paziente avesse attuato una profilassi con plasma per un tempo di PT allungato. Un diagramma della relazione osservata trial
PT ed il tempo di sanguinamento epatico è mostrato nella Figura 1.
Figura 1
Relazione trail tempo di protrombina ed il tempo di sanguinamento, osservato in laparoscopia, dopo biopsia epatica con ago di Menghini, in 200 pazienti Ewe,1981 (7), usata
con permesso
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Un secondo studio di uno screening effettuato per prevenire il sanguinamento durante la biopsia epatica condotto da McVay e Toy (8), ha riferito di 177 pazienti con un PT o PTT allungati o con un basso conteggio di piastrine ed includeva 76 pazienti con un PT prolungato fino a 1.5 volte il valore medio dell’intervallo di riferimento (18.5 sec.). La definizione di sanguinamento correlato alla
procedura in questi pazienti, sottoposti in " cieco" a biopsie percutanee epatiche,
era una diminuzione di emoglobina di 2 g/dL o evidenza clinica di sanguinamento. Solo otto pazienti sanguinarono nel gruppo più ampio e nessuno di loro
aveva un PT allungato.
Un terzo studio, condotto da Caturelli e coll. (9), esaminava il sanguinamento
in 85 pazienti sottoposti a biopsia con aspirazione mediante ago sottile, che avevano un basso conteggio di piastrine (< 50.000) o un PT allungato (> 18.5 sec).
Nessun paziente era stato sottoposto a profilassi con piastrine o plasma. Nessun
paziente aveva manifestato un sanguinamento significativo dimostrato con l’ultrasonografia.
Follow-up: Con un ritardo di 2 giorni la Signora Smith si sottopose ad una
biopsia eco-guidata della massa epatica mediante aspirazione con ago sottile,
che mise in evidenza metastasi da carcinoma mammario. La biopsia non fu associata a sanguinamento.
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Scenario 3: Bill Sterling, un sovraintendente tecnico colore di 62 anni, chiese di
effettuare uno screening per il cancro alla prostata. Il suo internista effettuò una
esplorazione rettale,che rivelò una prostata moderatamente ingrossata. Il valore
dell’antigene prostatico specifico (PSA) risultò di 4,5 µg/L. Si rivolse ad un urologo e fu sottoposto a 6 biopsie prostatiche transperineali eco-guidate (tre al
lobo sinistro e tre al lobo destro). Tutte le biopsie risultarono negative per cancro.
Il cancro alla prostata è la forma più comune di cancro nel maschio (10). E’
la seconda più comune causa di mortalità per cancro negli uomini americani,
preceduta solo da quella per cancro al polmone. L’incidenza di cancro alla prostata aumenta notevolmente con l’età. Si stima che il cancro alla prostata si sviluppi in uno ogni sei uomini che arrivano all’età di 80 anni. Il cancro alla prostata è presente in meno del 2% di uomini tra i 49 e i 59 anni, ma può essere trovato in circa il 15% degli uomini di età compresa tra i 60 e i 79 anni.
Vi sono differenze razziali/etniche marcate nell’incidenza e nella mortalità
relative al cancro alla prostata (11). I neri americani hanno la più alta incidenza
e la più alta mortalità, in funzione dell’età, per cancro alla prostata nel mondo
(12). L’incidenza annuale del cancro alla prostata è circa 225 ogni 100.000 uomini afro-americani, 150 ogni 100.000 americani bianchi ed approssimativa-
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La Relazione tra esame ed outcome
mente 100 o meno ogni 100.000 uomini americani di altre razze od etnie (13).
La mortalità per cancro della prostata negli afro-americani è del 55%, contro
meno del 25% per i bianchi e le altre etnie. Essi hanno una peggiore sopravvivenza a 5 anni correlata alla malattia, confrontata con quella dei bianchi americani (14,15).
Un buon screening per il cancro alla prostata è un importante obiettivo per la
salute pubblica. Se individuato in maniera precoce, il cancro alla prostata può
essere curato con terapia chirurgica o radiante e molti uomini così trattati possono vivere una esistenza completamente normale. Una diagnosi precoce, inoltre,
previene una malattia particolarmente dolorosa e la morte. Un cancro alla prostata che non è tenuto sotto controllo, può essere causa di dolore, fratture patologiche, perdita del controllo della vescica e dell’intestino, ostruzione linfatica, paraplegia, tutte condizioni associate a terapie croniche ad alto costo. Quindi,
l’aver riconosciuto nel PSA un marcatore tumorale altamente specifico, ha costituito un importante successo (16).
Il PSA è una serina-proteasi sintetizzata nelle cellule epiteliali della ghiandola prostatica. Di solito è misurato con un dosaggio ELISA ed ha una riproducibilità intra-saggio del 4-7 %. Le differenze tra gli individui normali nella concentrazione di PSA sono maggiori, a causa della differenza sia nella produzione e
nel catabolismo, sia nell’entità di legame alle proteine. Il legame del PSA alle
anti-proteasi plasmatiche, soprattutto alla 1 anti-chimotripsina, fa aumentare la
concentrazione del PSA totale (t PSA), in condizioni per le quali tali proteine
non sono collegate alla sua velocità di produzione. Tuttavia, dal momento della
sua introduzione nel 1997, il tPSA è diventato il principale mezzo sia di screening che di gestione del cancro alla prostata (ad es. per la capacità di rivelare un
cancro alla prostata residuo o una recidiva dopo irradiazione o prostatectomia
radicale), a causa della sua specificità tissutale (17).
L’uso del PSA nello screening del cancro in associazione con l’esplorazione
rettale (DRE) o con l’ultrosonografia transrettale della prostata, per rivelare un
cancro clinicamente significativo, è stato validato in un’ampia serie consecutive
di casi ed in studi caso-controllo di screening (18). La cautela circa il cancro clinicamente significativo è importante, perché molti uomini anziani muoiono con
evidenza di malattia di basso grado, che sembra non abbia causato loro nessun
problema durante la vita. Per scoprire e trattare uno stato di malattia significativa, l’American Cancer Society, l’American Urological Association e l’American College of Radiology raccomandano che gli uomini sopra i 50 anni eseguano annualmente una DRE ed un PSA come screening per il cancro alla prostata.
Per gli uomini neri o per quelli con familiarità per cancro alla prostata, hanno
raccomandato di iniziare lo screening all’età di 40 anni.
I livelli di PSA aumentano con l’età, soprattutto a causa di un aumento del
volume della prostata per ipertrofia prostatica benigna (BPH). Tutto ciò ha portato Oesterling e coll. (19) a sviluppare un intervallo di riferimento specifico per
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Elaine Kling, John R. Hess
età per i bianchi della contea di Olmested nel Minnesota. Altri autori hanno ottenuto un simile intervallo di riferimento in popolazioni prevalentemente di bianchi. Il limite superiore dell’intervallo di riferimento era posto al 95° percentile
dei valori per coorte di età, per avere un ragionevole equilibrio tra sensibilità e
specificità.
Comunque, tra i pazienti con cancro alla prostata seguiti presso cliniche di
Oncologia e Radioterapia, è stato osservato che gli afro-americani hanno un valore medio di PSA più elevato, anche dopo aggiustamenti per età, stadio del tumore e grading (20, 21). In un ampio studio del Walter Reed Army Medical
Center, Morgan e coll. (22) hanno trovato che gli afro-americani avevano livelli
sierici di PSA più elevati rispetto ai bianchi, sia nel gruppo dei soggetti con cancro alla prostata che in quelli senza tumore. In questo studio, l’area sotto la curva ROC riferita alla razza era di 0,91 per i negri e di 0,94 per i bianchi, messa a
confronto con un’area di 0.70 per la colorazione Papanicolau nel cancro della
cervice, dimostrando il valore del PSA nello screening. Come nello studio di
Oesterling, i loro intervalli di riferimento specifici per età (22) sono stati stabiliti
al 95° percentile, ma sono disponibili valori di riferimento (22) per i bianchi e
per i neri americani (Tabella 1). La sensibilità è stata perfezionata per i maschi
più giovani indicati in parentesi (44-49 anni) e per quelli con un aumentato rischio di cancro alla prostata. Comunque, nel gruppo di età più avanzata (70 o
più anni) e di quelli con aspettativa di vita limitata, è necessario un test più specifico. Com’è noto, molti pazienti anziani muoiono con e non a causa di un cancro alla prostata. Pertanto, questi valori di riferimento dovrebbero essere usati
solo come guida, poichè devono essere presi in considerazione i fattori di rischio
associati, le condizioni coesistenti ed il desiderio del paziente di sottoporsi ad ulteriori accertamenti.
I clinici dovrebbero aiutare i pazienti a prendere decisioni relative allo screening, discutendo assieme a loro sulle opzioni di follow-up e di trattamento, nel
caso in cui il test di screening risultasse positivo.
Tuttavia, lo screening diventa in un dilemma perché i livelli del marcatore
possono essere elevati in presenza di cancro ma anche in condizioni di patologia
benigna, come l’ipertrofia prostatica benigna (BPH) e la prostatite. La correlaTabella 1
Intervalli di riferimento del PSA età-specifici, basati sul 95°percentile di distribuzione dei
livelli di PSA, secondo la razza (22)
Età, anni
40-49
50-59
60-69
70-79
10
Bianchi, µg di PSA/L
Neri, µg di PSA/L
0.0-2.5
0.0-3.5
0.0-3.5
0.0-3.5
0.0-2.0
0.0-4.0
0.0-4.5
0.0-5.5
La Relazione tra esame ed outcome
zione clinica è difficile perché i sintomi di cancro alla prostata sono molto aspecifici (ad es. difficoltà alla minzione, scarso getto urinario, nicturia) e sono presenti anche nelle condizioni benigne, come la BPH o in caso di restringimento
dell’uretra.. I clinici devono discutere su tutte le possibili alternative, compresa
la ripetizione dell’esame dopo un certo tempo, per vedere se si è verificato qualche cambiamento.
A dispetto delle raccomandazioni delle organizzazioni di professionali, molti
professionisti della medicina preventiva si sono resi conto che il PSA non è un
buon test di screening. Un piccolo campione esemplificativo mette in mostra alcuni problemi. Se quattro neri di 40 anni riconoscono che uno si ammalerà di
cancro della prostata prima di compiere 80 anni ed accettano di sottoporsi a
screening annuale, questa decisione ha le seguenti conseguenze. 1) Si può prevedere che essi saranno sottoposti a 150 esami prima che in uno di loro, all’età media di 73 anni, venga riscontrato un cancro alla prostata. Il tempo, le risorse mediche ed i costi economici ed ambientali per essersi recati 150 volte all’ambulatorio medico, impiegando un’ora per recarsi dal medico ed un’ora in ambulatorio ed il tempo impiegato per eseguire ed interpretare i risultati degli esami non
sono trascurabili. 2) Collocando il limite superiore dei valori di riferimento normali al 95° percentile della popolazione, circa sette di questi 150 campioni raccolti avranno un PSA al di sopra del limite di riferimento. Non è noto il comportamento corretto per il clinico o per il paziente di fronte ad un risultato borderline o moderatamente elevato, come un PSA di 3 µg/L in un nero di 49 anni. E’
controverso se si debba effettuare immediatamente una biopsia o ripetere il dosaggio del PSA dopo qualche tempo. Ovviamente, valori elevati di PSA sono
più preoccupanti rispetto a quelli borderline e a quelli lievemente elevati, ma i
clinici spesso si sentono sotto pressione e richiedono una biopsia per tutti i pazienti con risultati anche modestamente aumentati. 3) Solo uno su sette di quanti
hanno un PSA anomalo, avrà un cancro alla prostata. Un gran numero di maschi
può sottoporsi a procedure invasive con risultati negativi, rischiando, invece,
possibili danni fisici (come un’aumentata perdita di sangue, infezione o lesione
urogenitale). 4) Un certo numero di casi di cancro alla prostata, una volta scoperti, cresceranno lentamente e con basso potenziale metastatico. Individuando e
trattando questi cancri di basso grading, aumenta il carico del sistema sanitario,
senza necessariamente un miglioramento della vita per il paziente. Infine, a dispetto dello screening, alcuni cancri che crescono rapidamente compaiono e si
diffondono nell’intervallo trale visite di screening.
Riassumendo, il PSA è un eccellente marcatore tumorale per il monitoraggio
dei pazienti con cancro. Comunque, il suo uso come test di screening per il cancro si è diffuso, senza una precedente validazione in trial prospettici randomizzati. Con uno sguardo retrospettivo, è chiaro che l’area sotto la curva ROC del
PSA totale è più bassa rispetto a quella riferita originariamente, probabilmente
intorno a 0.6 nell’intervallo 2-5 µg/L. Un esame migliore, basato sul calcolo del
PSA libero derivato dalla misura contemporanea del PSA totale e di quello lega-
11
Elaine Kling, John R. Hess
to, sembra in grado di aumentare l’area sotto la curva ROC fino a 0.74 (23). Anche migliorando la performance, il PSA risulterà ancora un esame costoso e difficile da usare.
Follow-up: Un anno dopo, il PSA del signor Sterling era di 4.70 µg/L; sua moglie è preoccupata per il fatto che il marito correrà un grave rischio se non eseguirà un’altra serie di biopsie prostatiche.
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Scenario 4: Brenda Jones, un’insegnante in pensione di 66 anni con diabete,
presentò un dolore di tipo compressivo al torace mentre lavorava in giardino. Si
recò a piedi fin dal vicino di casa, che chiamò il 118. In ospedale le fu detto che,
sulla base dei sintomi, del reperto elettrocardiografico e di un valore elevato di
troponina era vittima di un attacco cardiaco. Fu inviata in un’unità di terapia
coronaria e venne programmato immediatamente un cateterismo con angioplastica ed eventuale inserimento di uno stent.
Un attacco cardiaco, ovvero un infarto acuto del miocardio, si verifica quando vi è un rapido sviluppo di un ischemia del miocardio, causato da rottura di
una placca coronaria instabile, formazione di un trombo, con uno squilibrio tra
l’approvvigionamento e la richiesta di ossigeno nel miocardio. L’infarto acuto
del miocardio fa parte del quadro delle "sindromi coronariche acute", un complesso di patologie che includono l’angina instabile. La caratteristica fisiologica
comune delle sindromi coronariche acute è la rottura di una placca ateromatosa,
che si verifica frequentemente nei vasi epicardici. La formazione di un trombo
nelle coronarie, porta ad una occlusione parziale o completa e, nel caso di infarto
del miocardio, alla morte della cellula cardiaca. L’occlusione totale di un vaso
per più di 30 minuti porta ad una necrosi irreversibile del miocardio, ma una riperfusione, effettuata entro le sei ore (e di fatto fino alle 12 ore), può salvare il
miocardio e ridurre la morbilità e la mortalità.
Come ricordato precedentemente, l’infarto del miocardio è la principale causa di morbilità e mortalità negli Stati Uniti, e circa 500.000-700.000 decessi ogni
anno negli USA sono causati da malattie cardiache ischemiche. Circa un terzo
dei pazienti con un nuovo attacco cardiaco ischemico o presenta un’aritmia, che
può essere associata a morte improvvisa, o sviluppa fibrillazione ventricolare
entro le prime 24 ore. Molti decessi di tal genere possono essere prevenuti con il
trattamento o la prevenzione della fibrillazione. La formulazione di una diagnosi
rapida ed il rapido trattamento degli attacchi cardiaci sono considerate procedure
ad alta priorità.
La definizione classica di infarto acuto del miocardio della Organizzazione
Mondiale della Sanità richiede che almeno due dei tre successivi criteri siano
presenti: una storia di sintomi tipici di dolore toracico-ischemico; un tracciato
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La Relazione tra esame ed outcome
elettrocardiografico evolutivo che comprende comparsa di onde Q ed aumento
dell’isoenzima cardiaco selettivo "creatina chinasi-MB" (CK-MB), con concentrazione superiore di due volte al limite superiore di riferimento (24). Il dolore
toracico spesso è aspecifico, e può verificarsi in caso sia di malattie cardiache
che in presenza di patologie non cardiache (es. embolia polmonare e reflusso gastro-esofageo). L’elettrocardiogramma è specifico da un punto di vista diagnostico, ma molto poco sensibile, mostrando variazioni diagnostiche in meno del
50 % dei pazienti con infarto acuto del miocardio. Di conseguenza, basarsi solamente dall’evoluzione di un tracciato elettrocardiografico tipico, può essere dannoso per il paziente. Nel sospetto di un infarto acuto del miocardio, i clinici fanno spesso affidamento sulla determinazione dei marcatori cardiaci, ma il CKMB ha un ampio intervallo di riferimento ed è poco sensibile nel caso di attacchi
cardiaci relativamente piccoli o in fase iniziale. Lo sviluppo dei dosaggi di troponina sierica cardiaca T ed I ha permesso di rivelare, in maniera sensibile e
specifica, piccole necrosi miocardiche. Questo fatto, a sua volta, ha suggerito
una definizione aggiornata di infarto acuto del miocardio.
Il complesso troponina è composto da tre proteine denominate troponina (Tn)
I, TnT e TnC; questo complesso è essenziale per la contrazione della muscolatura striata scheletrica e miocardica e si trova ad elevate concentrazioni in questi
tessuti (25). Sono state scoperte ed isolate le isoforme cardiaco-specifiche di
TnT e TnI, e sono stati sviluppati degli immunodosaggi per la TnT cardiaca e
per la TnI, che hanno dimostrato prestazioni eccellenti nella valutazione clinica
del danno cellulare del miocardio (26). D’altra parte, la TnC esiste nella stessa
isoforma sia nel tessuto scheletrico che in quello miocardico, per cui la misura di
questa proteina non è clinicamente utile. La TnT o la TnI cardiaca sono presenti
in concentrazioni molto basse nel sangue di individui normali; si può dimostrare
per questi marcatori un notevole rilascio dopo la morte della cellula miocardica
e, di conseguenza, essi sono sia sensibili, da un punto di vista diagnostico, che
tessuto specifici. Subito dopo l’inizio di un danno del miocardio, la TnT o la TnI
cardiaca raggiungono concentrazioni anomale in circa 3-6 ore dopo l’infarto del
miocardio, raggiungendo il 100% di sensibilità dopo 9-12 ore. Di contro, il CKMB raggiunge di solito un massimo di sensibilità di circa il 90%, con un campionamento seriale dopo circa 6-9 ore; i valori di picco per entrambe le proponine cardiache TnT o TnI si verificano, in genere, dopo 18-24 ore, per poi diminuire gradualmente fino ai valori normali durante i successivi 7-14 giorni.
È largamente riconosciuto che la troponina si può considerare come un surrogato quasi perfetto di misura della necrosi miocardica. I primi studi hanno dimostrato che un valore di TnI cardiaca inferiore a 0.4 ng/ml è associato ad una mortalità a 42 giorni inferiore all’1%, ma il rischio aumenta progressivamente, fino
a una mortalità del 7.5%, per valori di 9 ng/ml o per valori più alti (27). Studi
successivi hanno mostrato che, nell’ischemia e del miocardio, anche modesti aumenti di TnT o I cardiache, indicano un aumento del rischio. Questa acquisizione è stata responsabile, in parte, della ridefinizione dell’infarto del miocardio da
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Elaine Kling, John R. Hess
parte del Joint Committee della European Society for Cardiology (ESC) e
dell’American College of Cardiology (ACC) (28). Secondo questo organismo, il
limite superiore di riferimento dell’intervallo di riferimento è rappresentato dalla
concentrazione di troponina al 99° percentile di una popolazione di riferimento.
Molti centri hanno sostituito oggi il CK-MB con la troponina come test diagnostico di scelta per l’infarto del miocardio, sulla base della sua accuratezza e per
l’interpretazione relativamente semplice del risultato. I criteri ESC/ACC per
l’infarto del miocardio richiedono una singola troponina positiva entro le prime
24 ore dopo l’inizio dei sintomi o un tipico aumento seguito da diminuzione del
CK-MB, associati ad almeno una delle seguenti condizioni: sintomi ischemici,
sviluppo di onde patologiche Q all’elettrocardiogramma, variazioni elettrocardiografiche indicative di ischemia o un intervento alle coronarie. Questa definizione è in grado di identificare quei pazienti che necessitano di cure e trattamenti urgenti, e di una prevenzione secondaria aggressiva. L’identificazione di questi pazienti cardiopatici può ridurre la morbilità e migliorare la qualità della vita.
Si dovrebbe notare che il contesto psico-sociale in cui viene effettuato il dosaggio della troponina, avvantaggia il test nella pratica clinica. L’urgenza per il
dolore toracico, il trasporto in ambulanza, i protocolli del dipartimento di emergenza, implementati dall’entusiasmo dei giovani medici e delle infermiere,
l’esame fisico completo, il monitoraggio elettrocardiografico e l’esame del sangue con la procedura Stat, "catturano" l’attenzione dei pazienti. Pochi pazienti
non completano l’iter diagnostico perché infastiditi, spaventati o per altri impegni e attendono la risposta del laboratorio e del conseguente intervento clinico.
Inoltre, pochi medici del dipartimento di emergenza ignorano le implicazioni di
una troponina cardiaca elevata in un paziente con dolore toracico. Come conseguenza, la grande maggioranza di pazienti che arrivano al dipartimento di emergenza con dolore toracico, viene inserita nei protocolli cardiaci che sono, in gran
parte, evidence based ed è dimostrato che riducono la mortalità.
Follow-up: la Signora Jones fu sottoposta a cateterismo cardiaco e le fu riscontrata una patologia di una singola arteria coronaria. Subì un intervento percutaneo alle coronarie (angioplastica) con posizionamento di uno stent senza complicazioni.
RIASSUNTO
Gli esami diagnostici di laboratorio rappresentano un importante progresso
della medicina moderna. I medici li utilizzano per predire già in utero le malattie
future, per determinare post-mortem la causa di un decesso e per numerosi scopi
clinici e di salute pubblica. I pazienti, a loro volta, vedono la consegna dei campioni al laboratorio come un momento di collegamento personale con il grande
investimento della società nella scienza moderna. Essi spesso sono dell’opinione
che le tasse e quanto pagano per l’assistenza e l’assicurazione sanitaria danno
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La Relazione tra esame ed outcome
loro il diritto ad eseguire gli esami, ed il diritto alla salute, che si ritiene sia assicurata dagli stessi esami.
Vi sono molti problemi importanti in relazione a questo punto di vista: 1)
Sono molte le variabili, non misurabili in laboratorio, che contribuiscono alla salute ed alla felicità. Così, un paziente con severa insufficienza cardiaca congestizia può considerare questa situazione come la ragionevole fine di una esistenza
lunga ed utile, mentre un altro individuo può essere profondamente amareggiato
e risentito. 2) Anche analiti che possono essere misurati bene in laboratorio, in
molte circostanze possono avere uno scarso effetto sulla salute. Il vanto del medico internista che "nessuno muore con elettroliti alterati presso la Medicina universitaria", probabilmente rappresenta un considerevole spreco di risorse. 3) La
relazione con l’outcome anche di esami di laboratorio chiaramente correlati alla
causa di malattia e misurati a tempi appropriati, può essere complessa. E’ in
queste situazioni complesse che la relazione traesami di laboratorio ed outcome
clinico deve essere misurata con trial clinici ben disegnati. Gli Standards for Reporting of Diagnostic Accuracy (STARD) finanziati dal Dutch Health Care Insurance Board, the International Federation of Clinical Chemistry, il British Medical Research Council’s Health Services Research Collaboration, e l’Academic
Medical Center in Amsterdam, rappresentano un modo eccellente per migliorare
la qualità della informazione disponibile per i trial sugli interventi (29).
Questo capitolo ha analizzato quattro esempi di esami di laboratorio comuni.
Il colesterolo totale è chiaramente correlato all’incidenza dell’attacco cardiaco e
dell’ictus, ma la relazione è modificata da molti altri fattori. L’outcome è grandemente determinato dall’abilità del medico e del paziente nell’usare l’informazione fornita dall’ esame di laboratorio, al fine di ottenere variazioni nello stile
di vita o di continuare una terapia per decenni. Il PT è stato indicato come un
esame che aiuta ad esplorare il sistema di coagulazione del plasma. E’ usato ora
in maniera routinaria nella medicina clinica, per evidenziare coagulopatie, prima
di procedure minori invasive, ma, per questo scopo, dimostra scarsa utilità. La
concentrazione sierica di PSA è chiaramente correlata alle dimensioni della prostata, alla patologia prostatica ed alla massa del tumore prostatico.
A fronte della frequenza del cancro alla prostata, l’uso del PSA come esame
di screening è una strategia costosa, che crea varie situazioni difficili. La TnT o
la TnI cardiache rappresentano una eccellente di misura surrogato per la necrosi
cardiaca e sono diventate la procedura diagnostica "sine qua non" per l’infarto
del miocardio. La misura della troponina si è diffusa rapidamente come lo standard per la diagnosi del dolore toracico. I quattro esempi qui riferiti sono solamente un’istantanea del modo con cui quanti forniscono le cure sanitarie, i pazienti ed i loro familiari usano correttamente e non correttamente le informazioni fornite dagli esami diagnostici.
Il contesto psico-sociale è altrettanto importante. I vantaggi di una buona informazione disponibile al momento critico dell’interazione con il clinico, posso-
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Elaine Kling, John R. Hess
no essere dimostrati dalla rapida diffusione dell’uso degli esami Point-of-Care in
ospedali e cliniche. Come è noto, i pazienti con dolore toracico non vengono dimessi dal dipartimento di emergenza fino a quando il loro livello di troponina,
assieme agli indicatori clinici e all’elettrocardiogramma, non indicano che essi
non sono più pazienti ad alto rischio. D’altra parte, non vi è evidenza che un PT
moderatamente anomalo debba essere trattato, prima di procedure invasive comuni. L’evidenza supporta il primo approccio non il secondo.
L’edificio della evidence-based laboratory medicine è stato creato raccogliendo buoni studi clinici uno alla volta. Intanto, gli esami eseguiti e le malattie
stesse sono in evoluzione. La malattia coronaria è diventata meno comune, i miglioramenti nel trattamento hanno alterato la storia naturale del cancro, gli incrementi nella longevità aumentano l’importanza delle malattie della tarda età e la
rapidità della diagnostica consente la cura immediata di chi ne ha bisogno.Tutte
queste situazioni richiederanno nuovi studi in futuro ed un numero sempre più
numeroso di scenari clinici devono essere studiati oggi. Nel prossimo futuro sarà
necessario continuare a raccogliere evidenze di alta qualità clinica sul rapporto
tra esami clinici ed outcome clinico. Questo influenzerà il valore che il paziente
riceve da quanto investe in salute ed il successo che il medico sente di avere.
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