Domenica 11 Marzo 2007, ore 21

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Domenica 11 Marzo 2007, ore 21
Associazione NAPAPIIRI ONLUS
LICEO “Brocca” di Gozzano
con il contributo della Regione Piemonte
MOZART VIAGGIATORE D’EUROPA
Foro della Cultura Europea
Salone Fondazione Ermanno Medana - Invorio (Novara)
Sabato 21 aprile 2007 - ore 21:00
Presentazione del Prof. Fabrizio Filiberti
e del Dr. Nicola Fonzo, Dirigente dell’I.C. di Invorio
Duo «Divertimento Musicale»
Marino Mora e Marina Verzoletto
pianoforte a quattro mani
Lezione-concerto
IN VIAGGIO CON MOZART MUSICISTA EUROPEO
Un concerto raccontato con «Guida all'Ascolto»
Wolfgang Amadeus Mozart
Sonata in do maggiore KV 19d
Allegro, Menuetto - Trio,- Rondò (Allegretto)
Sonata in re maggiore (123a)
Allegro - Andante - Allegro molto
Sonata in do maggiore KV 521
1° movimento: Allegro
Eine kleine Nachtmusik KV 525
Allegro – Romanza (Andante) - Minuetto – Trio (Allegretto) - Rondò (Allegro)
In collaborazione con la Biblioteca di Invorio e con la “Nuova Filarmonica”
Ingresso libero
1. Gruppo di famiglia in un interno
Se visitate la casa-museo di Mozart sulla Makartplatz (ex Hannibalplatz), a Salisburgo, nel Tanzmeistersaal vi accoglie il
grande ritratto della celebre famiglia che al pianterreno di questo palazzo abitò a partire dall’autunno 1773. Il quadro fu
commissionato probabilmente sul finire dell’estate 1780 al pittore salisburghese Johann Nepomuk della Croce. Sicuramente lo
volle il pater familias Leopold, che vi appare dietro il fortepiano, appoggiato alla coda, con in mano il violino, di cui era
prestigioso didatta. Alla tastiera, in atto di suonare a quattro mani, siedono la figlia maggiore Marianne (Nannerl) e Wolfgang
Amadé: la destra di Wolfgang, che tiene la parte del «secondo», incrocia la sinistra di Nannerl, cui è affidato il «primo». Più
che nell’esecuzione, la povera Nannerl appare impegnatissima a tenere in equilibrio la monumentale acconciatura che le hanno
eretto sul capo: a forza di ferri caldi, per poco il parrucchiere non la mandava a fuoco... In alto sulla parete dietro Wolfgang e
Leopold, al centro della tela, Anna Maria Mozart, nata Pertl, ci guarda un po’ stranita da una cornice ovale, quadro nel quadro:
non poteva essere effigiata con il marito e i figli, perché era morta a Parigi nell’estate del 1778 e colà era stata sepolta nel
cimitero di Saint-Eustache.
Il curioso e un po’ comico espediente non è l’unico trucco nascosto dietro l’idilliaco gruppo di famiglia in un interno. I tre
Mozart viventi non hanno mai posato insieme così come sono stati ritratti. Il primo a sedersi davanti a della Croce fu
Wolfgang: all’inizio di novembre doveva infatti partire per Monaco, dove il 29 gennaio 1780 era in programma la prima
rappresentazione della sua nuova opera Idomeneo, re di Creta. Come era accaduto tre anni prima, in occasione della sfortunata
trasferta parigina, partiva senza Leopold, cui l’arcivescovo Colloredo non concedeva più i lunghi congedi dal servizio
musicale di corte elargiti dal predecessore, il buon Schrattenbach. Anche Marianne rimase a casa, da dove nelle lettere
descriveva al fratello le imprese pirotecniche del coiffeur. Chissà se Leopold, nel commissionare quella celebrazione
iconografica di unità familiare sotto il segno dell’arte, presagiva la sua natura postuma o cercava di esorcizzare l’inevitabile.
Perché da quella casa e da Salisburgo Wolfgang stava per andarsene definitivamente, la famiglia unita di musici itineranti
apparteneva al passato.
2. In viaggio con papà
Un passato non così lontano: nella breve vita di Mozart - non arrivò a compiere 36 anni - tutto è precoce e tutto arde
rapidamente nel fuoco di una creatività senza riposo. «A volte la verità è quasi leggenda», diceva Glenn Gould: le leggende
sull’infanzia di Mozart sono difficilmente distinguibili da una verità che era forse più stupefacente di eventuali invenzioni. A
sei anni, il padre lo portò con Nannerl a esibirsi alle corti di Monaco (gennaio 1762) e Vienna (settembre-dicembre 1762). Nel
giugno del 1763 la famiglia lasciava nuovamente Salisburgo: sarebbero tornati solo dopo tre anni e mezzo di peregrinazioni
attraverso la Germania, i Paesi Bassi, la Francia e l’Inghilterra. L’elenco infinito delle tappe dei loro spostamenti si alterna con
le lunghe soste nei centri più importanti: Parigi (18 novembre 1763-10 aprile 1764), Londra (23 aprile 1764-24 luglio 1765),
L’Aja (10 settembre 1765-fine gennaio 1766), Amsterdam (fine gennaio-inizio marzo 1766), ancora Parigi (10 maggio-9
luglio 1766), prima del ritorno via Monaco (novembre). La sosta più lunga, che lascerà in Wolfgang il ricordo più gradito e un
desiderio di ritorno mai esaudito, è quella londinese. A Londra viveva uno dei più importanti compositori dell’epoca: Johann
Christian Bach, il più giovane dei figli musicisti di Johann Sebastian. Quando il Cantor era morto, nel 1750, aveva solo
quindici anni. Preso sotto tutela a Berlino dal fratellastro maggiore Carl Philipp Emanuel, appena possibile se n’era andato:
viaggiatore d’Europa anche lui, troncò decisamente con la vita provinciale dei Bach di Turingia per cercare fortuna in Italia, a
Milano, dove sposò una cantante lirica e si convertì al cattolicesimo e al melodramma (difficile dire che cosa avrebbe
scandalizzato di più il padre), e poi in Inghilterra.
Quando incontrò il bambino Mozart e ne divenne amico ed estimatore, il Bach «milanese» diventato «londinese» era dunque
intorno ai trent’anni, ben avviato al successo sia come artista, sia come impresario: con Carl Friedrich Abel, un altro esule dal
magro mercato musicale tedesco verso i ricchi lidi borghesi d’Albione, aveva fondato i Bach-Abel Concerts, una delle prime
istituzioni concertistiche moderne. Nascevano in gran copia sonate, concerti, sinfonie, che «John» Bach aveva imparato a
comporre secondo il gusto lombardo di Sammartini, autore rinomato in tutta Europa e ben noto a Londra. La frequentazione
con Johann Christian, brillante maestro dello «stile galante», è il fatto artistico fondamentale del lungo soggiorno britannico di
Mozart. Non a caso nascono in questi mesi molti pezzi per pianoforte e le prime Sinfonie.
Si colloca in tale contesto biografico l’origine della Sonata per pianoforte (clavicembalo) a quattro mani, KV 19d, che i
cataloghi datano «Londra, prima del 13 maggio 1765». Esiste ancora, infatti, la locandina apparsa sul Public Advertiser di quel
giorno, che annunciava «un concerto alla tastiera del giovane compositore e di sua sorella, sia singolarmente, sia in coppia».
Qualche tempo dopo, il 9 luglio, secondo la testimonianza di Nissen, il secondo marito di Constanze Mozart, Leopold scrisse
al corrispondente e sponsor salisburghese Hagenauer: «A Londra Wolfgangerl ha scritto il suo primo pezzo per quattro mani.
Prima di allora non era mai stata composta una sonata per quattro mani» (l’ultima affermazione non corrisponde al vero in
assoluto, ma il «quattro mani» era effettivamente una novità per l’Inghilterra). Sommando questi indizi, si ritiene che tale
opera sia la Sonata attribuita a Mozart in fonti più tardive, a partire da una poco accurata edizione francese del 1788. Il
modello di Johann Christian - delle Sonate a due mani, visto che le sue Sonate a quattro mani erano di là da venire - è palese
nella scorrevole scrittura «galante» del primo movimento e nella sua forma, che non è ancora la «forma-sonata» classica: si
profila già il contrasto nell’esposizione iniziale tra un primo tema alla tonica, squillante e scandito, e un secondo tema alla
dominante, più morbido e cantabile; ma la seconda parte, dopo uno sviluppo che porta in territori tonali non scontati e contiene
inopinati scarti ritmici, riconduce, proprio alla maniera di Johann Christian, non alla ripresa del primo tema, bensì a quella del
secondo riportato alla tonica. L’originalità del giovanissimo genio si riconosce anche qui: un inciso del primo tema rispunta
prima della coda. Il secondo tempo è un Minuetto, la danza galante per eccellenza: coloro che, vista l’insicurezza delle fonti,
dubitano dell’autenticità di questa Sonata, dovrebbero spiegare chi altri se non il Mozart più giovane possiede il segreto di
quella «improvvisa tenerezza» (Hildesheimer) che fa capolino nelle ombreggiature modulanti del Trio: davvero - citiamo
ancora Hildesheimer - «posa sulla sonata un delicato fascino, caratteristico, ristoratore, come solo un bambino può evocare, ma
come un solo bambino ha saputo evocare». Il Rondò finale, che con i suoi «virtuosistici» incroci tra le mani degli esecutori fa
irresistibilmente pensare al quadro di Salisburgo, si basa su un tema molto simile a quello dell’analogo movimento nella Gran
Partita per fiati di molti anni dopo (1781); è come se il piccolo compositore acquistasse sicurezza via via che procede nel
lavoro, fino a permettersi la sorpresa di un minuetto lento che precede l’accelerazione conclusiva.
3. Di qua e di là delle Alpi
Tornati a Salisburgo il 29 novembre 1766, meno di un anno dopo (settembre 1767) i Mozart erano di nuovo in tournée a
Vienna. Viaggio sfortunato, perché l’ambizione di profittare dei festeggiamenti per il previsto matrimonio tra Ferdinando di
Borbone-Napoli e una figlia dell’imperatrice Maria Teresa sfumò a causa dell’epidemia di vaiolo che si portò via la promessa
sposa e contagiò anche Wolfgang e Nannerl. Comunque restarono nella capitale o nei paraggi fino al dicembre 1768; In questo
soggiorno viennese avviene l’incontro di Mozart con il grande amore della sua vita: l’opera lirica. Non poteva che seguirne un
viaggio nella patria del melodramma, l’Italia. Il grand tour nella penisola per un musicista era in prima istanza viaggio di
studio, e al tempo stesso in cerca di commissioni, nella terra del bel canto, con i suoi luoghi deputati: Napoli e, seppur
declinante, Venezia, ma soprattutto, in ascesa in quanto capoluogo asburgico affidato all’attenta politica di promozione
culturale del governatore Firmian, Milano.
Oltre che nell’opera lirica, però, almeno in altre due «discipline musicali» ci si poteva specializzare solo attingendo alle loro
sorgenti italiane: la secolare gloriosa tradizione polifonica rinascimentale e la nuova civiltà strumentale. Ecco dunque l’ormai
adolescente Amadé visitare Roma e «rubare» ai cantori della Cappella Sistina, trascrivendola a memoria e a orecchio, la
partitura del Miserere di Gregorio Allegri; eccolo, a Bologna, a lezione di contrappunto da padre Martini, maestro
internazionalmente riconosciuto dello «stile sodo alla Palestrina»; eccolo quindi sottoporsi all’esame dei dotti accademici
bolognesi sotto la severa ma benevola supervisione del buon francescano, che di fatto gli corregge il compitino in modo che il
giovane genio sia, in anticipo sull’età regolamentare, ammesso all’Accademia Filarmonica. Non sarà dall’archeologia
palestriniana di padre Martini che Mozart apprenderà a rinvigorire di linfa contrappuntistica le scarne linee dello stile galante,
ma dal ben più vivo retaggio bachiano che gli farà conoscere a Vienna il barone van Swieten.
In questo primo viaggio italiano molto più fecondo è il contatto con la moderna civiltà strumentale italiana: un nome lombardo
su tutti, Sammartini, già accostato a Londra attraverso la mediazione di Johann Christian Bach. Nasce in una sera di sosta in
una locanda di Lodi il primo Quartetto per archi, anticipatore della serie di sei «Quartetti Milanesi»; mentre la progenie
sinfonica iniziata a Londra si arricchisce di nuovi frutti già sorprendentemente maturi. Infine - hoc erat in votis - arrivano le
sospirate e prestigiose commissioni per il Regio Ducal Teatro di Milano, quello che di lì a pochi anni, distrutto da un incendio,
lascerà il posto alla Scala. Per la cui inaugurazione nel 1778, come è noto, non si chiamò Mozart, ma Salieri. Nel 1770, invece,
il ragazzino fu incaricato di aprire la stagione, a Santo Stefano, inizio del tempo di Carnevale, componendo in pochi mesi cominciò durante il soggiorno nella tenuta Pallavicini presso Bologna, dal 10 agosto al 1° ottobre - Mitridate re del Ponto. Un
successo, confermato dalla nuova commissione per i festeggiamenti, nell’ottobre del 1771, in occasione del matrimonio
estense di Ferdinando d’Asburgo - Ascanio in Alba - e ancora di un’opera per il 26 dicembre 1772, Lucio Silla. Ascanio e
Lucio saranno quindi occasione di una seconda e una terza discesa a sud delle Alpi, ma solo per il tempo necessario
all’assolvimento dell’incarico: il viaggio in Italia propriamente detto è il primo, sia per l’arricchimento musicale, sia per quello
più ampiamente culturale - non manca neppure la visita ai recenti scavi di Pompei.
Tante suggestioni si trovano riassunte nella Sonata in re maggiore KV 123a (o KV 381, nella vecchia edizione del catalogo
Köchel), composta a Salisburgo nel 1772, tra il secondo e il terzo viaggio in Italia. Come la sorellina KV 19d destinata
probabilmente a essere eseguita in coppia con Nannerl, pare quasi uno studio per una sinfonia, teatrale o concertistica (i generi
erano intercambiabili). Tutto un vocabolario di locuzioni sinfoniche viene quasi programmaticamente esibito: blocchi massicci
di unisoni orchestrali, imitazione di tremoli degli archi acuti sul movimento dei bassi in ottava, ampia gestualità melodica,
ritmi lombardi (nota breve accentata seguita da nota lunga) o anapestici (due note brevi seguite da nota lunga) con la loro
incalzante spinta dinamica, incisi dei legni per terze e seste parallele. Nel tempo lento, con la sua calda cantabilità melodica, i
due esecutori fanno vivere sulla tastiera colori e dinamiche dei settori orchestrali. E il finale risponde già ai criteri che
guideranno i concertati a chiusura d’atto delle grandi opere comiche: strepitoso, arcistrepitoso, strepitossissimo.
4. Senna, Danubio e Moldava
Ciascuno ha i suoi fiumi. Come Ungaretti, anche Mozart avrebbe potuto dire che nelle acque torbide della Senna si era
rimescolato e si era conosciuto. Quell’acqua da cui forse Anna Maria Pertl, nel caldo estivo della metropoli, si prese
l’infezione fatale. Dal punto di vista della carriera, il viaggio del 1777-1779, tappe principali Monaco, Mannheim e soprattutto
Parigi, fu un fallimento. Dal punto di vista esistenziale, segnò il passaggio all’età adulta, attraverso la cognizione del dolore: le
frustrazioni per il mancato riconoscimento del suo genio, ora che non era più un bambino prodigio; la morte della madre, cui
Leopold, trattenuto a Salisburgo dall’arcitanghero, lo aveva incautamente affidato; la delusione sentimentale del grande amore
respinto per Aloisia Weber, sedicenne bellissima e talentuosa cantante che lo illuse, salvo scaricarlo quando capì che non
aveva bisogno di lui per fare carriera.
Qualcosa di buono riportò comunque da quel viaggio, oltre alla pur dolorosa crescita umana e alle nuove esperienze musicali,
in primo luogo quella dell’orchestra di Mannheim: erano i Berliner o i Wiener dell’epoca, anche grazie all’apporto di
strumentisti boemi. Il principe musicofilo di Mannheim, Karl Theodor, in conseguenza della morte dell’elettore di Monaco
Maximilian III, ultimo esponente del ramo principale dei Wittelsbach, ne ereditava il trono e trasferiva la sua corte nella
capitale bavarese. Non senza i buoni uffici degli amici musicisti di Mannheim ora traslocati nella nuova sede, Mozart ottenne
la commissione per l’Idomeneo. Il successo di questo suo primo capolavoro teatrale assoluto congiurava con l’ambiente vivace
di una Monaco alle soglie del suo apogeo culturale, così diversa dalla chiusa e provinciale Salisburgo: di tornare al servizio
dell’arcivescovo, proprio non ne aveva voglia. E quando questi lo fece venire direttamente a Vienna, dove era in visita a corte,
e poi volle obbligarlo a ripartire per Salisburgo proprio mentre era indaffarato a conquistare il pubblico viennese, Wolfgang
non ebbe più esitazioni: si licenziò e rimase a Vienna.
Rompere con l’autorità dell’arcivescovo fu anche, nonostante rimanessero in fitto rapporto epistolare, emanciparsi dall’autorità
del padre. Wolfgang mise su famiglia, sposando, contro il parere di Leopold, la sorella di Aloisia, Constanze Weber (1782).
Sono gli anni delle trionfali accademie, quando i successi dei suoi Concerti per pianoforte e orchestra gli facevano credere di
essere arrivato nel «Clavierland». Non credeva agli avvertimenti del conte Arco, capo delle cucine dell’Arcivescovo e suo
superiore, quando l’aveva formalmente licenziato: i Viennesi tanto facilmente si entusiasmano per una novità, quanto
rapidamente dimenticano e passano a un nuovo idolo. In effetti non fu sulle sponde del Danubio che Mozart incontrò il
pubblico più competente e affezionato, ma sulle rive della Moldava, a Praga. Capitale asburgica anch’essa, incrocio di élites
colte internazionali, applaudì con totale convinzione Le nozze di Figaro (Vienna 1° maggio 1786, Praga dicembre 1786).
Wolfgang andò dunque a Praga, nel gennaio del 1787, a mietere il meritato trionfo per l’opera comica su libretto dell’abate
libertino Lorenzo Da Ponte (l’ebreo convertito Emanuele Conegliano da Ceneda, oggi Vittorio Veneto) e soggetto tratto dalla
commedia di Beaumarchais che tanto scandalo politico aveva suscitato al suo debutto francese nel 1784. Il viaggio, che a
Eduard Mörike ispirò una delle più belle novelle della letteratura tedesca (Mozart in viaggio per Praga, 1866), procurò anche
la commissione di una nuova opera: il Don Giovanni.
Presissimo dai molti impegni, Mozart ormai poco si curava persino dei contatti epistolari con la sempre più lontana Salisburgo.
«Finalmente ho ricevuto da tuo fratello una lettera di dodici righe... Si scusa perché deve portare a termine a rotta di collo
l’opera Le nozze di Figaro», si lamentava nel novembre 1785 Leopold scrivendo a Nannerl, ora baronessa von Berchtold su
Sonnenburg per aver sposato un piccolo aristocratico funzionario a Sankt Gilgen, due volte vedovo, con cinque figli e quindici
anni più di lei. Leopold, nato nel 1719, aveva ancora poco tempo a disposizione per godere e trepidare degli incerti successi di
quel figliolo geniale e imprudente, così diverso da lui con le sue talora ingenue cautele politico-diplomatiche nei confronti dei
potenti. Nella famosa ultima lettera al padre malato, datata 4 aprile 1787, mentre lavorava al Don Giovanni e a una quantità di
altre opere, una sola delle quali basterebbe ad assicurare l’immortalità a un compositore (i Quintetti per archi KV 515-516, il
Rondò per pianoforte in la minore KV 511, il Lied der Trennung e Abendempfindung), dimostrò che gli rimaneva il tempo per
le buone letture: gli argomenti con cui cercava di confortare Leopold sono tratti dal Fedone, o dell’immortalità dell’anima di
Moses Mendelssohn, il filosofo nonno del musicista Felix. Non si sa quanto confortato dal filosofeggiare del figlio sulla morte
«ottima amica dell'uomo», Leopold rese l’anima a Dio il 28 maggio. Due giorni dopo, Wolfgang scrisse all’amico e fratello
massone Gottfried von Jacquin:
Carissimo amico! - La prego di dire al signor Exner di venire domani alle 9 per fare un salasso a mia
moglie. Le accludo qui il suo Amynt e il Kirchenlied [probabilmente opere di Jacquin, compositore
dilettante, inviate a Mozart per una «consulenza», ndr]. - Abbia la bontà di consegnare alla signorina
sua sorella la sonata insieme ai miei omaggi; - le dica di applicarvisi subito perché è un po’ difficile. adieu. il suo amico sincero
Mozart m
p
Le comunico che oggi appena giunto a casa ho appreso la triste notizia della morte del mio ottimo
padre. - Si può immaginare il mio stato! In questo bozzetto surreale di quotidianità tragica, la Sonata che viene affidata allo studio diligente dell’allieva Franziska von
Jacquin è la Sonata in do maggiore per pianoforte a quattro mani KV 521, che reca la data del 29 maggio. Conoscendo
Mozart, è possibile che sia stata scritta tutta in quel giorno, nonostante sia un lavoro impegnativo non solo per gli esecutori, ma
anche nella complessità e profondità di elaborazione dei temi. C’è qualcosa del nascente Don Giovanni nell’«allure
impetuosa e cavalleresca del primo tempo» (Carli Ballola), modello di unità strutturale e di sapiente sfruttamento di tutte le
minime unità ritmiche e melodiche. Nessun tentativo di imitare l’orchestra, ma una perfetta parità di trattamento tra le quattro
mani in tutti i registri dello strumento; l’ormai assimilata lezione bachiana produce non sterili imitazioni di forme antiche, ma
un modernissimo gioco dialogico tra le diverse voci, quello «stile di conversazione» che è il corrispondente in musica della
civile dialettica delle opinioni, quale si esercitava nei migliori salotti tra gli intellettuali illuministi.
Vicinissima nella cronologia alla Sonata KV 521 è la più famosa di tutte le composizioni mozartiane, Eine kleine Nachtmusik
KV 525. Originariamente concepita per quintetto d’archi (due violini, viola, violoncello e contrabbasso), abitualmente proposta
in dilatazioni orchestrali, nella trascrizione per pianoforte a quattro mani ritrova l’essenzialità delle sue singole parti dialoganti
in un purissimo gioco sonoro. Il titolo «Nachtmusik» colloca il brano nella cospicua fioritura di musiche d’intrattenimento,
anche se l’epoca d’oro di divertimenti, notturni, serenate e cassazioni per Mozart sono gli anni di Salisburgo, quando doveva
soddisfare molte richieste per le occasioni ufficiali o mondane dell’Università e delle famiglie aristocratiche o altoborghesi. A
Vienna, la produzione «leggera» è piuttosto quella delle innumerevoli danze per i balli della Redoute, quando a Carnevale la
Corte si apriva ai festeggiamenti collettivi. Di fatto non si sa perché e per chi sia stata composta la celeberrima KV 525: forse a
una festa privata con i suoi amici. Mozart teneva un catalogo cronologico delle sue opere e in data 10 agosto 1787 vi registra
«Eine kleine Nacht Musick, consistente in un Allegro, Minuetto e Trio - Romanza, Minuetto e Trio, e finale». Perduta e
fortunosamente ritrovata (mutilata del primo minuetto e trio) dall’editore Offenbach, che la pubblicò nel 1827, è astrazione di
forme geometriche e trasparenti, idealizzazione miniaturizzata dei decorativi e piacevoli generi d'intrattenimento ma anche di
una perfetta sinfonia completa di tutte le sezioni e sottosezioni: «dominio incontrastato dell’evocazione e gioco degli specchi
di Mnemosine» (Carli Ballola), destinata a restare per sempre, certo senza alcuna intenzione dell’autore, l’icona della musica
classica europea.
Marina Verzoletto
Mozart ritratto nel 1782-1783 dal cognato Joseph Lange, attore e pittore, marito di Aloisia Weber