Il Case Management tra potenzialità e criticità: possibili applicazioni
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Il Case Management tra potenzialità e criticità: possibili applicazioni
Il Case Management tra potenzialità e criticità: possibili applicazioni al contesto italiano Le Origini A partire dagli anni sessanta in America e in Europa la crescita economica fu tanto significativa da orientare l'utilizzo delle risorse verso la costruzione di un welfare in grado di promuovere prosperità e benessere, soprattutto nei confronti delle categorie più svantaggiate. Tuttavia ci si rese subito conto che mancavano le basi teoriche per la costruzione di tale modello di welfare e cominciarono così a proliferare le strategie di intervento per orientare le politiche pubbliche al soddisfacimento dei bisogni delle persone. Il Case Management è appunto una di queste strategie. Nasce sulla scia del movimento di de-istituzionalizzazione verificatosi a partire dagli anni settanta, che si proponeva di fare uscire i malati mentali dagli istituti per reintegrarli nella società. In Italia tale movimento portò all'approvazione della legge n. 180/1978, la famosa “Legge Basaglia” sulla chiusura dei manicomi. L'uscita dagli istituti si rivelò però spesso “selvaggia”, non era infatti accompagnata da un progetto di supporto e di accompagnamento per un adeguato reinserimento nella comunità. I malati passavano repentinamente dall'ambiente protetto e ovattato dell'istituto alla complessità della vita nella società e questo creava non pochi problemi di riadattamento. Il Case Management nacque proprio per ovviare a questo tipo di problematica, tuttavia si scontrò da subito con la settorializzazione dei servizi e con la mancanza di coordinazione tra gli stessi. Ecco la definizione di Case Management che ritroviamo nei Principles of Accreditations of Community Mental Health Service Programs: “I servizi di case management sono delle attività il cui scopo è assicurare il collegamento tra la rete dei servizi ed il destinatario e coordinare le differenti componenti della rete al fine di fornire un servizio adeguato al destinatario. Il case management è prima di tutto una funzione di risoluzione del problema destinata ad assicurare la continuità delle cure ed a combattere la rigidità della rete, la frammentazione dei servizi, l'inadeguato utilizzo di alcune risorse e l'inaccessibilità delle cure.”1 Il Case Management ha dovuto primariamente rivolgersi alla necessità di coordinare la rete dei 1 S.S. Leavit, Case management: a remedy for problems of community care,in C.J. Sanborn (a cura di), Case Management in mental health services, Haworth Press, New York, 1983. servizi, infatti la settorializzazione impediva un approccio olistico allo studio del caso. L'approccio globale è invece indispensabile nel processo di aiuto, questo perché le problematiche di una persona sono tutte correlate e si riversano spesso le une sulle altre, ad esempio i problemi di salute possono portare a problemi economici, le difficoltà economiche a loro volta potrebbero influire sulle condizioni abitative e via discorrendo. La necessità di coordinamento però “svalutò” il Case Management, la cui mission originaria non era il soddisfacimento dei bisogni dei servizi, ma la cura delle persone. Presto dirigenti e operatori se ne resero conto e si cercò di ritornare all'obiettivo principale, cioè fornire percorsi di accompagnamento personalizzati. Per fare questo si rese necessario restringere il numero di utenti, in modo che il Case Manager potesse stabilire rapporti personali significativi e quindi incidere meglio sul progetto di intervento. Si tentò di limitare il bisogno di coordinamento procedendo all'integrazione dei servizi. Le esperienze americane di Case Management più riuscite furono quelle basate non su una sola persona ma su una equipe multidisciplinare, si ricorda a tal proposito il programma di Stein e Test denominato “modello del Wisconsin”, in cui l'integrazione tra le componenti viene fornita proprio attraverso il lavoro di equipe.2 Ciò che maggiormente caratterizza il modello nordamericano di Case Management è che i servizi non vengono forniti all'interno delle istituzioni, ma si realizza un “accompagnamento nell'ambiente di vita”. Riprendendo quanto detto da Jerome Guay, si può dire che questo fattore conferisce tre caratteristiche principali al Case Management: 1) Il Pragmatismo: gli interventi operati nell'ambiente di vita devono necessariamente tenere conto delle diverse problematiche di tutti i giorni, ad esempio l'adeguatezza dell'alloggio e dell'alimentazione o la capacità di gestire le risorse finanziarie3. Tutte queste problematiche vengono meno all'interno dell'istituto in quanto vengono fornite dalla struttura stessa, al contrario, in un'ottica di reinserimento, esse diventano elementi da non trascurare. Un vantaggio derivante dall'accompagnamento nell'ambiente di vita è la possibilità di rispondere rapidamente ai bisogni dell'utente, modificando gli interventi con il mutare delle problematiche. 2) L'intervento è finalizzato all'acquisizione di autonomia: il case management si propone di reinserire pienamente la persona, supportandola per quanto concerne gli aspetti patologici, 2 Cfr. J. Guay, Il case management comunitario, Liguori Editore, Napoli, 2000 3 Cfr: L. I. Stein, Rèallocation de ressources, intervento alla 69ª Conferenza Annuale dell'Associazione Canadese per la Salute Mentale, Saskatoon, 25 settembre 1987, in Id, pag 9. ma soprattutto enfatizzandone le potenzialità. L'utente non è più quindi destinatario, ma promotore del progetto di reinserimento, parte attiva del percorso di guarigione. Si afferma dunque quel principio di autodeterminazione al quale “si accompagna, quale necessaria conseguenza, la partecipazione dell'utente al processo di aiuto. Il soggetto del percorso di aiuto non è quindi soltanto o primariamente l'operatore, ma l'utente stesso che ne diviene l'attore principale”.4 3) La polivalenza: come detto, i bisogni delle persone non sono settoriali come i servizi, il Case Manager diventa quindi una figura duttile, prossima e poliedrica, capace di diversificare interventi e ruoli per rispondere efficacemente alla complessità dei bisogni. Si delinea un modello di Case Management in grado di affrontare l'aumento di complessità degli obiettivi dei servizi, infatti “ Gli obiettivi del community care e del long -term care diventano sempre più complessi […] Molti operatori e responsabili stanno cambiando in modo considerevole le proprie filosofie e le proprie prospettive, ponendo molteplici e complessi obiettivi ai servizi”.5 Gli obiettivi principali sono tre: − Il mantenimento delle persone non autosufficienti (soprattutto anziani) nella propria abitazione, al fine di garantire una migliore qualità della vita. − La diminuzione dello stress per i caregiver informali, anch'essi da considerarsi utenti. − L'utilizzo efficace ed efficiente delle risorse pubbliche e la riduzione della crescita dei costi6 Il Case Management consente di allocare le risorse disponibili secondo delle logiche non guidate dall'offerta, ma dalla domanda, consente inoltre di mantenere coerenza tra i servizi erogati e gli obiettivi complessivi delle politiche pubbliche. E' proprio questa capacità di far fronte alla crescente complessità di bisogni e strategie organizzative e gestionali che il Case Management sta ottenendo grande spazio nei dibattiti nazionali ed internazionali sulle politiche dei servizi territoriali7. Ma quali sono le sue concrete modalità operative? 4 S. Chicco, Proposte per una valutazione “valoriale” dellintervento dell'Assistente Sociale, in A. Campanini (a cura di): La valutazione nel servizio sociale, proposte e strumenti per la qualità dell'intervento professionale, Carocci Editore, 2006. 5 J.F. Bleddyn Davies, Il case management: ottenere equità ed efficienza nell'allocazione delle risorse, in: Prospettive Sociali e Sanitarie, Anno XXXI n. 9 maggio 2001. 6 Cfr: Ibidem 7 Cfr: Ibidem. Le modalità operative Il Case Management possiede delle peculiarità operative che caratterizzano ogni fase dell'intervento, dall'individuazione del caso alla sua chiusura . E' utile analizzare tali peculiarità per ogni fase prevista8: Il Case finding: individuare il caso appropriato per l'applicazione di strategie di case management è molto importante per la buona riuscita dell'intervento. E' bene che i destinatari presentino situazioni problematiche con specifiche caratteristiche. Gli interventi di case management ben si prestano a situazioni che presentano: − Necessità dell'intervento di più servizi. − Necessità di supporto ai caregiver informali. − Necessità di accompagnamento nell'ambiente di vita, per intervenire in momenti in cui solitamente non c'è disponibilità dei servizi. La valutazione: E' necessaria una valutazione olistica del caso, che ne metta bene in evidenza tutti gli aspetti rilevanti. Il contesto sociale si caratterizza per la sua estrema complessità e le problematiche scaturiscono da una molteplicità di variabili. A queste difficoltà si aggiunge anche la soggettività dell'operatore che trova inevitabilmente spazio nella dimensione del processo di aiuto. In ragione di ciò appare difficoltoso elaborare degli strumenti di valutazione, tuttavia è proprio in questa direzione che è necessario orientarsi, per raggiungere quegli standard di qualità, efficacia ed efficienza a cui oggi tendono i servizi. La logica da adottare è innanzitutto quella di investire sulla formazione degli operatori, in modo da svilupparne la professionalità, poi è necessario potenziare gli strumenti valutativi non meramente quantitativi, i quali, sebbene si prestino ad un'analisi dell'efficienza, poco possono dirci sulla qualità delle prestazioni erogate. A tal proposito appare più consona una valutazione partecipata, che coinvolga tutti gli attori, sia operatori che destinatari, al fine di avere una visione globale e di potenziare l'empowerment dell'utente.9 Una buona valutazione richiede: 8 Cfr Ibidem. 9 Cfr. A. Campanini ( a cura di): La valutazione nel servizio sociale, Proposte e strumenti per la qualità dell'intervento professionale, Carocci Editore, Roma, 2006. − Investigazione delle problematiche dell'utente e familiari, comprensione delle loro necessità e del loro universo valoriale. − Individuazione dei punti di debolezza, ma soprattutto di quelli di forza, su cui costruire il progetto di crescita. − Porre le basi per la costruzione di legami significativi con l'utente e i principali caregiver informali E' bene sottolineare che la valutazione non è un singolo momento, ma è un processo che si ripropone (e quindi può sovrapporsi) alle fasi successive dell'intervento. Riprendendo quanto affermato da Lia Sanicola10, la valutazione non è un processo diacronico, che si caratterizza cioè per la sua linearità, bensì sincronico, ovvero un processo flessibile, che ben si adatta alla dinamicità dei problemi. Una buona, approfondita ed efficace valutazione è alla base dell'elaborazione delle strategie operative. Progettazione e attuazione del progetto di intervento: alla base della progettazione, come detto, c'è la valutazione, la quale deve essere una fase precedente e necessariamente distinta, in modo che l'analisi delle caratteristiche e dei bisogni dell'utenza sia disgiunta dalle risorse effettivamente disponibili all'interno dei servizi. La progettazione dell'intervento è una sorta di contratto in cui vengono puntualmente stabilite priorità, procedure e oneri di tutti i soggetti coinvolti, esso mira al raggiungimento degli obiettivi previsti con il minore investimento di risorse. Nello specifico il progetto contiene: − Gli obiettivi da raggiungere. − La natura e la quantità delle prestazioni da erogare. − Le modalità di supporto da fornire all'utente e ai caregiver informali. − I diritti dell'utente e dei caregiver informali. 10 L. Sanicola (a cura di): Il bambino nella rete, Jaca Book, Milano, 1990. − Il ruolo e gli specifici compiti che il Case Manager dovrà svolgere nel corso dell'attuazione dell'intervento. − Gli accordi in merito agli aspetti economici, compresa l'eventuale partecipazione ai costi da parte degli utenti.11 Conclusa la fase della progettazione si passerà all'attuazione degli obiettivi prefissati, che richiede la formulazione di strategie di fund raising, ovvero di “ricerca delle risorse” e della loro conseguente attivazione. Monitoraggio e revisione: uno degli aspetti fondamentali del Case Management è proprio la continuità degli interventi, che deriva dall'accompagnamento nell'ambiente di vita. Il progetto di intervento non si attua su una linea retta, ma si caratterizza per la sua circolarità. Tale caratteristica risulta fondamentale in contesti in cui i bisogni si ridefiniscono rapidamente e necessitano perciò di continui “aggiustamenti” per ottenere interventi significativi. La continua revisione conferisce alcuni vantaggi: − Verifica l'attuazione del progetto. − Verifica l'appropriatezza degli interventi in relazione agli effettivi bisogni dell'utenza. − Offre una valida restituzione dell'operato a dirigenti ed operatori. − Permette di elaborare modificazioni al piano di intervento, ove necessario. − Offre la possibilità di monitorare i costi delle prestazioni. Una buona attività di monitoraggio consente di fornire le prestazioni più adeguate, razionalizzando l'utilizzo delle risorse pubbliche. Chiusura del caso: uno degli obiettivi del Case Management è senza dubbio il mantenimento dell'utente nell'ambiente di vita. Non sempre però tale obiettivo è attuabile, sia per quanto riguarda i rischi dell'utente sia per quanto 11 Cfr. J.F. Bleddyn Davies, Il case management: ottenere equità ed efficienza nell'allocazione delle risorse, in: Prospettive Sociali e Sanitarie, Anno XXXI n. 9 maggio 2001. ( op cit.) concerne l'investimento emotivo dei caregiver. In questo caso non è più auspicabile la permanenza in casa e il Case Manager ha il compito di trovare la struttura più adeguata e di sostenere l'utente e la famiglia nella fase di transizione. Il Case Manager: da coordinatore ad accompagnatore Come già sottolineato in precedenza, inizialmente il Case Management si concentrò esclusivamente sul coordinamento dei servizi. Questo influì negativamente sulle potenzialità del Case Management e in più limitò grandemente la figura del Case Manager, il quale, dovendo gestire una mole enorme di casi, non poteva di fatto creare relazioni significative con l'utenza. Il suo era diventato sostanzialmente un lavoro d'ufficio e gli interventi si svolgevano soprattutto al telefono. Il cambio di rotta già analizzato potenziò le capacità operative del Case Management e modificò radicalmente la figura del Case Manager. Attraverso l'integrazione dei servizi si limitò la necessità di coordinamento e si aprì la possibilità per il professionista di dedicarsi al lavoro diretto con l'utenza. Il Case Manager divenne il punto di riferimento dell'utente e dell'intera rete dei servizi e, creando relazioni significative, riuscì a trasformarsi nell'operatore prossimo capace di realizzare l'aspetto fondamentale del Case Management, ovvero l'accompagnamento nell'ambiente di vita. Così delineata, questa figura appare duttile e polivalente, in grado di diversificare ruoli ed interventi. Molti autori hanno criticato il Case Manager proprio per la sua mancanza di una identità professionale specifica. L'idea era che ci si aspettasse troppo dall'intervento di una singola persona, la quale ha il compito di interpretare troppi ruoli, mettendo in campo competenze multi-professionali eccessivamente specifiche. Sebbene un professionista del genere fosse l'ideale per contrastare la settorializzazione dei servizi, gli oneri richiesti forse erano eccessivamente gravosi per poter essere attesi12. Per descriverne meglio la complessità mi servirò della classificazione dei ruoli del Case Manager operata da Jerome Guay13: Persona Prossima: ruolo che si desume dall'applicazione della funzione dell'accompagnamento nell'ambiente di vita. Le esperienze di Case Management hanno dimostrato l'inutilità della distanza 12 C.D Austin, Case management: myths and realities, in “Families in Society: The Journal of Contemporary Services”, 2, 1990. 13 Cfr J. Guay, Il case management comunitario, Liguori Editore, Napoli, 2000 [op. cit.] pag. 13. terapeutica, in questi casi è necessario creare relazioni di fiducia, la prossimità appare quindi più appropriata. Agente di collegamento: il Case Manager ha il compito di costruire una rete di servizi e di attivare risorse formali ed informali, sostenendo anche la famiglia. Professionista: il lavoro del Case Manager tende alla “ normalizzazione” e alla dipendenza dell'utente, gestisce i momenti di crisi e deve essere anche in grado di gestire le proprie reazioni emotive. Alle critiche ai limiti della polivalenza del Case Manager Guay risponde: “Anche se la molteplicità di questi ruoli, dei quali alcuni sembrano contraddittori, può sembrare troppo estesa, occorre capire che si tratta di una polivalenza naturale in cui tutti questi ruoli si integrano facilmente in quanto essa è determinata dalla necessità di rispondere ai bisogni multipli della persona nel suo ambiente di vita”14. La prossimità espone il Case Manager alla saturazione psicologica tipica del burn-out. Tale termine, che tradotto significa “bruciarsi”, indica una condizione di deterioramento psicologico dovuta alla continua esposizione a fonti di stress, ed è un problema molto comune tra gli operatori sociali. Infatti il contatto continuo con la patologia e le situazioni di bisogno, le condizioni di lavoro spesso difficili (precariato, salari bassi, mancato riconoscimento professionale), può portare all'esaurimento totale delle risorse personali disponibili e ad una diffusa sensazione di impotenza. Il modo migliore per scongiurare il rischio di burn-out è senza dubbio la condivisione della responsabilità. In quest'ottica il lavoro d'equipe appare indispensabile all'operato del Case Manager. Un altra soluzione è quella offerta dalla Community care15, secondo questo approccio il Case Manager dovrebbe effettuare un lavoro di rete non concentrandosi sul singolo caso, ma elaborando un progetto di intervento per casi affini, in cui si attivino dei volontari con il compito di seguire i singoli casi, facendo però ovviamente sempre riferimento al Case Manager. Questo strumento di condivisione della responsabilità dovrebbe garantire sia la prossimità di un operatore sul singolo caso sia, allo stesso tempo, la possibilità per il Case Manager di seguire efficacemente più casi. Riassumendo l'obiettivo principale dell'operatore è stabilire un rapporto di scambio con tutte le risorse presenti e potenziali. Per fare in modo che la sua azione porti ai migliori risultati è però 14 Ibidem. 15 F. Folgheraiter, Il servizio sociale di comunità in un'ottica di rete, in: L. Sanicola ( a cura di),Reti sociali e intervento professionale, Liguori Editore, Napoli, 1995. necessario che si verifichino alcune condizioni16. Riconoscimento formale: di compiti, responsabilità e poteri del Case Manager nella definizione dei piani di intervento Responsabilizzazione dei servizi: non si deve “scaricare” tutte le responsabilità sul Case Manager il cui compito non è, come ricordato, unicamente quello del coordinamento. Possibilità di dialogo con gli attori sociali coinvolti nel piano di intervento: in modo che l'operatore sia in grado di attivare la rete e le risorse disponibili. Formazione: Il carattere polivalente di questa figura professionale presuppone un ingente sforzo formativo per fornire le adeguate competenze necessarie al lavoro. Tale formazione deve includere nozioni provenienti da diverse discipline, da quelle infermieristiche a quelle economiche e di servizio sociale. Un adeguato numero di casi: in modo che l'operatore possa avere il tempo necessario da dedicare ai casi di cui è responsabile, è importante che il carico sia adeguato anche alla complessità delle situazioni problematiche. Un adeguato stanziamento di risorse17: porre l'attenzione sulle risorse da stanziare per il Case Management consente di evitare che i Case Manager possano dedicare la loro attività unicamente alla valutazione e progettazione iniziale del piano di intervento, senza avere poi il tempo per l'altrettanto importante attività di monitoraggio. Il Case Manager è un professionista che, in virtù della condivisione della responsabilità, cerca di ristabilire i legami tra l'utente, la famiglia e la comunità circostante, per fare ciò deve andare oltre la visione individuale del lavoro sociale, ampliando la sua idea di cliente designato. Non è più infatti solo l'utente protagonista della situazione problematica l'unico destinatario del suo operato, ma l'intera comunità18. In quest'ottica, oltre al lavoro sull'utente, assumono notevole rilevanza sia il lavoro sulla famiglia che quello di rete, che meritano a mio avviso particolare attenzione. 16 C. Gori, Quale case management per l'Italia? In: Prospettive Sociali e Sanitarie, Anno XXXI n. 9 maggio 2001. 17 C. Gori, Quali prospettive per il case management in italia? In: Prospettive Sociali e Sanitarie, Anno XXXI n. 9 maggio 2001. 18 Cfr. J. Guay, op. cit. Il lavoro con la famiglia Compito essenziale del Case Manager è mobilitare al cambiamento e il lavoro sulla famiglia è una delle modalità privilegiate per realizzare tale obiettivo. Sembrerebbe logico supporre che le persone che provano sofferenza siano proprio quelle con maggior voglia di apportare cambiamenti nella loro vita, l'esperienza pratica però dimostra che non è così. Nelle famiglie che versano in gravi condizioni multi-problematiche, molto spesso si sviluppa addirittura una forma di resistenza al cambiamento, infatti la paura di stare peggio è più forte della voglia di stare meglio. E' impressionante la facilità con la quale ci si riesce ad abituare alle situazioni difficili, molte famiglie sembrano “anestetizzate” nei confronti del dolore, in realtà questo atteggiamento nasconde una forte paura di rivivere situazioni traumatiche. Il Case Manager deve prospettare i cambiamenti positivi effettivamente raggiungibili attraverso gli interventi, rispettando le resistenze, ma lavorando per vincerle. Come detto, è necessario ampliare il concetto di cliente designato, in quanto molto spesso non è l'utente ad accusare la sofferenza, ma è la famiglia ad essere particolarmente traumatizzata dal suo comportamento. “ Così in numerose famiglie, sono i comportamenti sintomatici di uno dei loro membri che recano disagio mentre la persona in causa sembra uscirne indenne. Ciò perché le persone che chiamiamo clienti pre-designati raramente sono in partenza i bersagli dell'intervento, bensì i familiari, che sono le persone più colpite dalla situazione”19. I comportamenti cambiano se cambiano le aspettative, il Case Manager deve dunque creare aspettative di un miglioramento raggiungibile. Il lavoro sulla famiglia si svolge per tutte le fasi del piano di intervento, con la circolarità tipica del processo di aiuto sottolineata in precedenza. Alla base di un buon lavoro sulla famiglia troviamo la valutazione, essa ha il compito di indagare l'effettiva situazione in cui si trova la famiglia al momento dell'intervento. E' necessario analizzare prima di tutto le cause della sofferenza, le richieste e le aspettative di ogni singolo membro devono essere considerate e valorizzate. Occorre valutare l'intensità delle relazioni e gli attaccamenti psicologici tra le persone, tutto ciò per verificare il grado di interesse e di partecipazione al piano che c'è da aspettarsi da ogni componente. Come presumibile, tale valutazione è particolarmente complessa. Ogni individuo è unico e uniche sono le relazioni che instaura con gli altri, perché unici sono i 19 Ibidem. legami di reciprocità che si creano. L'attività di valutazione, già complessa se centrata sul singolo utente, si complica ulteriormente quando oggetto dell'analisi è un gruppo di soggetti legati da relazioni molto significative quali quelle familiari. Una volta effettuata la valutazione, come si costruisce il cambiamento? Il Case Manager in genere comincerà a prescrivere dei compiti per ogni singolo utente. Dapprima tali compiti saranno abbastanza semplici, questo perché la loro realizzazione avrà lo scopo di accrescere la fiducia dei membri sull'effettiva possibilità di poter fare qualcosa di concreto per attuare il cambiamento. Il Case Manager sarà la costante figura di riferimento e si creerà un legame particolare in cui egli dovrà svolgere due funzioni apparentemente in contrasto, cioè essere una figura prossima e sostenitrice da un lato e mantenere la distanza necessaria a non creare dipendenze dall'altro lato . L'obiettivo ultimo si ricorda essere l'acquisizione di autonomia, per questo motivo si tendono a privilegiare degli approcci a breve termine (la durata dell'intervento viene stabilita di volta in volta in virtù della particolarità del caso). Un altro meccanismo da scongiurare è quello di scaricare tutte le responsabilità sull'operatore, la famiglia infatti si sente impotente e sopraffatta dalla situazione e vede nel Case Manager la soluzione di tutti i problemi, un modo per evitare questa de-responsabilizzazione è il lavoro sulla costruzione dell'autostima. L'operatore che lavora con la famiglia deve concentrarsi particolarmente sulla costruzione di un dialogo tra i membri che sia funzionale all'espressione dei bisogni degli stessi e al rispetto reciproco. In quest'ottica è opportuno che il Case Manager20: Favorisca le interazioni tra i membri: deve evitare che i bisogni vengano espressi a lui o tramite lui, ma deve stimolare una discussione costruttiva. Favorire l'espressione delle emozioni: non è sufficiente che si dica unicamente cosa si vuole, è importante che si dica il perché, affinché tutti i membri possano comprendere gli stati d'animo degli altri. Favorire l'interpretazione della comunicazione non verbale: può essere molto utile soprattutto per quanto riguarda i soggetti in crescita, i quali molto spesso non riescono a formulare richieste specifiche. Questa può essere un'ottima chiave di lettura per i genitori per poter interpretare i 20 Ibidem. sentimenti dei figli. Impedire le interazioni negative: è opportuno che qualsiasi concetto venga espresso senza assumere atteggiamenti aggressivi, altrimenti si rischia di creare circoli viziosi di reazioni e contro-reazioni negative. E' importante dunque educare all'ascolto. Analizzato il modus operandi del lavoro con la famiglia, può essere utile concentrarsi sull'altro compito fondamentale del Case Manager: l'attivazione degli altri soggetti formali ed informali, ovvero il lavoro di rete. 3.2) Il lavoro di rete Inizialmente il lavoro sociale assumeva un atteggiamento individualistico nei confronti della società, si aveva una visione semplicistica della realtà sociale, in cui le persone potevano avere problemi solo in virtù di condizioni sfortunate o di insuccessi personali, non erano per nulla presi in considerazione possibili fattori esterni alla sfera individuale. Tali interventi rivelavano una concezione assistenzialistica e meramente riparatoria del lavoro sociale, il cui obiettivo ultimo era un sollievo momentaneo più che un concreto progetto di intervento a lungo termine. Dalla fine degli anni sessanta, grazie anche all'affermazione della Sociologia come scienza, si cominciò a considerare le problematiche individuali come possibili effetti dell'ambiente circostante. Questa nuova concezione dell'uomo e del suo ambiente ebbe inevitabilmente delle conseguenza sull'approccio del lavoro sociale, si cominciò quindi ad orientare gli interventi verso l'acquisizione dell'autonomia degli utenti, ottimizzando l'uso delle risorse disponibili. Dagli anni settanta e ottanta la società divenne ancora più complessa e la pratica sociale dovette uniformarsi. Nella nuova società complessa i legami tradizionali si indeboliscono e si assiste alla creazione di nuovi legami, più o meno forti ed estremamente duttili21. Tali legami si creano, si modificano e si scompongono secondo dinamiche estremamente complicate, per questo il lavoro sociale deve modificare le sue metodologie e i suoi ruoli professionali. Il lavoro degli operatori sociali non può più prescindere dal tenere in considerazione tutti i nodi del 21 P. Donati, L'intervento sociale in una società “reticolare”: nuovi profili metodologici e professionali, in: L. Sanicola (a cura di): Reti Sociali e intervento professionale, Liguori Editore, Napoli, 1995. reticolo che sta intorno all'utente, sia le reti informali (famiglia, amici, vicinato) che quelle formali (servizi di welfare, terzo settore, volontariato). L'approccio di rete è una miniera di risorse per l'operatore, il quale deve avere le competenze specifiche per poterne ottimizzare l'utilizzo. Il problema delle reti è che molto spesso sono alternative le une alle altre, l'aiuto familiare è alternativo ai servizi di welfare e questi sono a loro volta alternativi al terzo settore. L'operatore deve agire secondo una logica integrata dei vari componenti della rete, infatti, in situazioni problematiche, una collaborazione tra reti formali ed informali può garantire un approccio globale alle problematiche dell'utenza, incidendo positivamente sull'esito del progetto di intervento. Come sostiene Collins, nel modello di rete “ Gli attori individuali sono considerati nello stesso tempo liberi e vincolati. Gli esseri umani hanno la capacità di creare o di negoziare tutto ciò che è in loro potere, ed in qualsiasi momento del tempo. Ma essi agiscono sempre in una situazione strutturata, cosicché le conseguenze e le condizioni della loro creatività e della loro negoziazione sono sempre strutturate in base a rapporti più vasti che sono al di là della loro capacità di controllo. La prospettiva dell'analisi di rete riesce ad evitare non solo la reificazione della macrostruttura, ma anche una visione disincarnata delle interazioni micro in quanto mostra le strutture come modelli che si formano tra individui”22. Tale affermazione ben descrive una caratteristica della rete, ovvero che, per quanto essa possa essere un concetto astratto, assume la sua concretezza nella misura in cui è in grado di “limitare” la vasta libertà individuale. Le strutture in cui si muovono gli utenti possono quindi dire molto sulle loro logiche operative, sulle problematiche profonde e sulle aspettative. Un aspetto da non trascurare è che le reti non sono fisse e immutabili nel tempo, esse cambiano in funzione dei vari cambiamenti che intervengono al loro interno, come ad esempio le fasi della vita di una persona, la perdita di parenti o amici, le differenti posizioni lavorative assunte23. Proprio questo elemento rende lo studio delle reti ancora più complesso, in quanto richiede continue rivalutazioni e rivisitazioni delle dinamiche interne, questo è il motivo per cui, come detto, il monitoraggio e la revisione sono una fase fondamentale dell'attuazione del piano di intervento. L'analisi delle reti sociali ha portato allo sviluppo di diverse pratiche operative, infatti l'esigenza di considerare la dimensione collettiva, ha portato gli operatori ad inventare nuove tecniche orientate a tenere in considerazione entrambe le dimensioni, sia quella individuale che quella collettiva. Molte non sono state sistematizzate, rimanendo quindi patrimonio professionale empirico degli operatori, altre invece sono state ben teorizzate, con formulazioni metodologiche specifiche. 22 R. Collins, Teorie sociologiche, Il Mulino, Bologna, 1992, pag 512. 23 Cfr: P. Di Nicola, Modelli e dinamiche di rete, in: L Sanicola ( a cura di) [op cit.] Riprenderò la classificazione dei quattro principali orientamenti del lavoro di rete operato da Lia Sanicola24 ,abbiamo: Lavoro di rete ad indirizzo terapeutico: la rete viene considerata come una realtà “curante” , in questo approccio troviamo: − La terapia di rete − La terapia di sostegno − La rete curante Lavoro di rete ad indirizzo organizzativo: le reti vengono considerate come offerta di risorse, ogni nodo della rete viene considerato come organizzazione. Lavoro di rete ad indirizzo relazionale: fa riferimento alla scuola fondata da Brodeur e Rousseau e introdotta in Italia dalla Scuola per Assistenti Sociali dell'Università di Parma. Tale approccio, denominato “intervento di rete”tende a valorizzare le reti naturali del soggetto, ovvero quelle caratterizzate dai rapporti di prossimità, dalle relazioni faccia a faccia. Lavoro di rete ad indirizzo comunitario: fa riferimento alle pratiche di community care, enfatizza quindi il ruolo della comunità e del terzo settore, dimensione molto presente e significativa nella realtà italiana. In questo approccio abbiamo: − Il lavoro sociale di rete − La community care L'attivazione della rete consente di alleggerire il fardello che grava sulle persone prossime, esse molto spesso hanno smesso di lottare perché ogni tentativo esperito non è andato a buon fine e quindi si sono lasciate sopraffare dal sentimento di impotenza. E' importante che il Case Manager esalti l'operato delle persone-sostegno, attribuendo l'insuccesso non ad incompetenze personali, ma ad una situazione troppo problematica per essere affrontata senza il supporto di altri soggetti. Dopo ciò è necessario attivarli, mobilitarli “riattivando e rendendo stabile la rete di supporto sociale quando le sue risorse di mutuo aiuto sono discontinue, inattive o instabili. Poiché le risorse di mutuo aiuto che sono presenti nell'ambiente sociale degli utenti sono spesso 24 L. Sanicola, L'intervento di rete. Una innovazione nel lavoro sociale, in id. momentanee, l'operatore dovrà garantire un ruolo di coordinatore delle risorse di aiuto formali e informali, di catalizzatore o di mediatore. Si tratta infatti di rinforzare i legami che già esistono”25. Riassumendo il lavoro di rete è un ottimo strumento di cui si serve il Case Manager per la gestione del caso e, alla luce di quanto detto, costituisce sicuramente un elemento imprescindibile per un intervento globale, accurato e con buone possibilità di risoluzione. Il Case Management in Italia Un'analisi dell'applicazione del Case Management all'interno di contesti nazionali specifici, non può prescindere dal porre attenzione alle peculiarità che quel contesto nazionale presenta. In Italia una delle principali caratteristiche dei servizi sociosanitari è la frammentazione. Questa porta purtroppo a delle spiacevoli conseguenze, ad esempio alla mancanza di appropriatezza, nella misura in cui impedisce al lavoro dei diversi attori coinvolti nel progetto di intervento di direzionarsi verso il raggiungimento di un obiettivo comune. Inoltre crea squilibrio, facilitando i soli utenti che dispongono di maggiori risorse economiche, relazionali e conoscitive, i quali riescono meglio a districarsi nella confusa rete dei servizi. In un contesto del genere non stupisce che sia cresciuta l'attenzione nei confronti di una metodologia di intervento a valenza estremamente pragmatica quale il Case Management, caratterizzata dall'integrazione delle risorse sul singolo caso, dal decentramento del potere decisionale sul territorio e dalla costruzione di piani finalizzati al raggiungimento di obiettivi verificabili, tutto ciò con un'adeguata attenzione al contenimento della spesa pubblica26. In Italia l'utenza deve confrontarsi con un insieme complesso di servizi eterogenei, i quali sono scarsamente collegati tra loro. Di fatto molto spesso sono le famiglie i veri Case Manager delle situazioni problematiche di cui sono protagoniste, solo che non dispongono di adeguati strumenti conoscitivi. Va da sé che, in queste condizioni, gli utenti e i familiari hanno bisogno di potenziare gli strumenti di informazione in merito alle risorse effettivamente disponibili. Nel corso soprattutto degli anni novanta il bisogno di informazione è stato riconosciuto anche a livello normativo, si pensi alla Carta dei Servizi o agli Urp, inoltre l'art. 22 della L. 328/00 stabilisce che, tra i livelli essenziali da garantire su tutto il territorio nazionale, ci siano “informazioni e consulenza alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione di servizi e per promuovere iniziative di auto-aiuto”. Inoltre i servizi sociosanitari italiani, stanno seguendo delle direttrici di sviluppo che ben si 25 J. Guay, [op.cit] pag. 94-95 26 C. Gori, Quali prospettive per il Case Management in Italia?, in: In: Prospettive Sociali e Sanitarie, Anno XXXI n. 9 maggio 2001. conciliano con il Case Management, ad esempio27: − La sfida alla de-istituzionalizzazione pone l'enfasi sui servizi territoriali come valida alternativa a quelli residenziali, sia per garantire una migliore qualità della vita all'utente, sia per contenere i costi. Il Case Management appare un valido strumento per il raggiungimento di tale obiettivo. − Il Case Management si propone come valida metodologia di integrazione di interventi sociali e sanitari. − Il Case Management si concilia con il dibattito italiano sulla valutazione. Cresce l'attenzione sull'efficacia e l'efficienza dei servizi e sul modo di raggiungere tali obiettivi senza spreco di risorse. Il Case Management si propone giusto questo: raggiungere obiettivi specifici attraverso l'utilizzo di risorse date, verificando in itinere i risultati ottenuti. − In Italia cresce il dibattito sui possibili benefici derivanti dalla creazione di un mercato concorrenziale di servizi, in cui gli utenti possano scegliere liberamente a quale rivolgersi. Tale scelta è stata facilitata dall'introduzione di strumenti come i voucher (scelta tra diversi erogatori accreditati) oppure gli assegni di cura (dare una somma da utilizzare come meglio si crede). Tale libertà comporta però una ulteriore frammentazione della rete dei servizi, appare quindi utile la presenza di un Case Manager che possa orientare gli utenti. Ovviamente, il Case Management in Italia può funzionare a condizione che si verifichino alcune condizioni. In primo luogo è importantissimo investire sulla formazione del Case Manager, egli infatti è chiamato ad assolvere molte funzioni, specifiche ed eterogenee. In secondo luogo è importante che i servizi siano pronti ad accogliere il Case Management. Gli operatori devono essere in grado di costruire dei “pacchetti di prestazioni” adeguati al soddisfacimento dei bisogni dell'utenza, per fare ciò devono potersi muovere liberamente nel disporre le prestazioni che ritengono necessarie. In ragione di ciò “pare imprescindibile un accordo istituzionale che definisca l'ambito d'azione dei case manager nella costruzione del piano. Sembra necessario, in particolare, un accordo tra Asl e Comuni, i quali devono stabilire insieme le regole per l'operato dei manager ed i confini entro cui essi possono esercitare la propria autonomia decisionale”28. 27 Cfr Ibidem. 28 Ibidem, pag. 17. E' importante non cadere in uno dei possibili equivoci del Case Management, ovvero che esso possa essere utilizzato per superare i problemi legati agli assetti istituzionali. E' vero, semmai, il contrario: sono le istituzioni a dover appoggiare e favorire il Case Management, attraverso una chiara esplicitazione degli obiettivi da raggiungere e del target di utenza. Oltre all'appoggio delle istituzioni il Case Manager ha bisogno di ottenere un riconoscimento da parte della famiglia e una legittimazione da parte dei soggetti privati e di volontariato che operano nel territorio di riferimento. Le esperienze internazionali fanno ben sperare nella buona riuscita del Case Management in Italia. La speranza è che esso possa portare a29: − Maggiore appropriatezza: il Case Manager, coordinando le risorse e le azioni dei molteplici attori sociali coinvolti, può elaborare un piano di intervento adeguato ai bisogni dell'utente. − Maggiore efficacia: un progetto adeguato ha molte possibilità di risultare efficace, questo è stato verificato anche nelle sperimentazioni degli altri paesi. − Maggiore equità: il Case Manager diventa lo strumento attraverso cui l'utente e la famiglia diventano più capaci di scegliere autonomamente il percorso preferibile tra quelli esistenti. Questo risulta particolarmente importante nella frammentata realtà dei servizi del territorio italiano. E' importante sottolineare che l'introduzione del Case Management in Italia ha buone possibilità di migliorare la qualità dei servizi e delle prestazioni, però deve essere accompagnato da un investimento dei servizi pubblici. Nella sua fase introduttiva esso comporterà sicuramente un aumento dei costi per i servizi pubblici, però, una volta che funzionerà a pieno regime, tali costi potranno essere sicuramente contenuti. Gli obiettivi sono ambiziosi e la condizione complessa, sembra utile quindi promuovere le sperimentazioni locali e settoriali. 29 Cfr. Ibidem. BIBLIOGRAFIA Austin, C.D., Case management: myths and realities, in “Families in Society: The Journal of Contemporary Services”, 2, 1990. Bleddyn Davies J.F., Il case management: ottenere equità ed efficienza nell'allocazione delle risorse, in: Prospettive Sociali e Sanitarie, Anno XXXI n. 9 maggio 2001. ( op cit.) Campanini A.( a cura di): La valutazione nel servizio sociale, proposte e strumenti per la qualità dell'intervento professionale, Carocci Editore, Roma, 2006. Collins R., Teorie sociologiche, Il Mulino, Bologna, 1992 Gori C, Quali prospettive per il Case Management in Italia?, in: In: Prospettive Sociali e Sanitarie, Anno XXXI n. 9 maggio 2001. Gori C, Quale case management per l'Italia? In: Prospettive Sociali e Sanitarie, Anno XXXI n. 9 maggio 2001. Guay J, Il case management comunitario, Liguori Editore, Napoli, 2000 Sanborn C.J. (a cura di), Case Management in mental health services, Haworth Press, New York, 1983. Sanicola L. (a cura di): Il bambino nella rete, Jaca Book, Milano, 1990. Sanicola L. ( a cura di), Reti sociali e intervento professionale, Liguori Editore, Napoli, 1995.