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LETTURE
DI APPROFONDIMENTO
STRALCI DAL “DIARIO DI LUCILLO MERCI”
Appunti di diario compilato a Salonicco negli anni 1942 – 1943 riguardo le persecuzioni, le
deportazioni, il supplizio degli Ebrei, fino alla completa distruzione della Comunità Ebraica di
Salonicco in applicazione delle leggi razziali germaniche.
-Riproduzione tratta dall’Archivio Storico del Comune di Bolzano.L’impegno del Consolato a Salonicco
5 aprile 1943
“E’ indescrivibile il lavoro che danno a me ed alla segretaria signorina Carolina Capasso, una
brava donna anziana, bilingue. Tutti i casi possibili di parentele e di interessi di italiani e di quelli
imparentati con ebrei greci vengono presentati da una moltitudine di persone; a costoro devonsi
aggiungere gli italiani ariani che aspirano ad avere un alloggio (perché il loro è stato incluso nel
ghetto) o un negozio lasciato dagli ebrei greci, o un’occupazione nuova avendo perduto la
precedente.
Inoltre ci sono coloro che chiedono informazioni su pratiche avviate e che bisogna riesaminare
secondo le istruzioni avute dalle autorità tedesche. Sentire gli interessati, poveretti, esporre le
questioni al sig. Console, scrivere le lettere ai tedeschi che comandano e con loro discutere ogni
caso, tutto ciò assorbe tanto tempo e molta energia. Lavoro dalle 7 alle 20 con una breve
interruzione. Sento che le mie forze vengono sempre meno, e, francamente, temo per la mia salute.”
6 aprile 1943
“Da circa due settimane prosegue la deportazione degli Ebrei greci in Polonia su treni formati da
40 carri bestiame, su ciascuno dei quali vengono pigiate 60 persone di ogni età: uomini, donne,
vecchi, giovani e bambini, tutti con la stella di David. Ogni trasporto è di 2400 persone. Ne sono
già partite circa 20.000 e sempre dal vicino “Campo di concentramento Barone Hirsch”(…). Il
giorno precedente vengono bloccati nelle case degli altri ghetti e per l’ora che vien loro fissata,
devono essere pronti; incolonnati vengono scortati, come detto, al “Baron Hirsch”indi alla
stazione ferroviaria.
Ogni deportato può portare con sé 20 chilogrammi di roba, vestiario e alimenti.”
Minaccia di deportare donne italiane sposate a ebrei greci
11 aprile 1943
“Ci viene letto il telegramma giunto da Berlino, in cui sta scritto che le donne italiane, sposate a
israeliti greci, sono da considerarsi greche a tutti gli effetti e quindi esse pure devono venir
deportate. Rientrati in sede, il dott. Zamboni informò subito telegraficamente il Ministro
Plenipotenziario di Atene, Chigi a Roma, e chiese urgenti istruzioni circa il conferimento della
cittadinanza italiana per poter salvare il più possibile gente dalla deportazione.”
Rilascio di certificati di cittadinanza italiana
7 maggio 1943
“Continua in Consolato il rilascio di certificati di cittadinanza italiana, secondo le istruzioni
impartite da Roma, agli Ebrei coniugi di cui uno di origini italiane, che abbiano consanguinei,
ascendenti, discendenti (figli) o collaterali tanto per via maschile, quanto femminile, fra i quali ci
sia o ci sia stato un congiunto di qualsiasi grado di parentela già italiano o con cognome italiano.
Esempio specifico: quello dei coniugi Daniele e Bella Mentesch, contadini, con tre figlioletti.
Ignorano la lingua italiana. Tra gli ascendenti ci fu un cognome italiano.”
Liberazioni
5 –28 maggio 1943
“Dal Campo “Baron Hirsch”sono stati liberati oggi 60 ebrei nati italiani o dichiarati italiani. Il 26
ne uscirono altri 5 e il 27 altri 4. Anche la famiglia di Rachele Modiano è stata liberata. Tutti
insieme si sono dati appuntamento al nostro Consolato, oggi 28 maggio alle ore 10 fecero una
grande dimostrazione di gratitudine e di riconoscenza al Signor Console Generale Comm. Dott.
Guelfo Zamboni ed a me che, essi lo sanno, faticai tanto per loro, per la loro liberazione.”
9 giugno 1943
“E’ giunto da Atene il nuovo R. Console Generale Dott. Giuseppe Castruccio, Medaglia d’Oro
della prima guerra mondiale. Ha 56 anni.”
18 giugno 1943
“E’ partito oggi, definitivamente, diretto ad Atene, il R. Console Generale Comm. Dott. Zamboni.
Rientra a Roma, a disposizione del Ministero.”
SALUTO DI COMMIATO AI FUNERALI DI MAREK EDELMAN
di Konstanty Gebert
Varsavia 2009
Nel 1979 Marek venne a un incontro dell’Università Volante Ebrea. Ci guardò e si mise a ridere.
“Voi non siete Ebrei – disse - ve lo siete inventato. Ormai non ci sono più Ebrei polacchi, sono stati
tutti ammazzati.” Dovevano passare molti anni, prima che smettesse di ridere del nostro “ebraismo
inventato”, ma in realtà non cambiò completamente opinione. Però non aveva ragione sostenendo
che tutti gli Ebrei polacchi erano stati ammazzati. Finché lui è rimasto vivo, loro sono rimasti vivi
in lui. Adesso su ognuno di noi ricade una parte di responsabilità perché continuino a vivere. Non
voglio costruirgli nessun monumento: lui per primo si vergognerebbe. Marek era un anti sionista:
“Gli Israeliani” diceva “non sono Ebrei, è un’altra nazione”. La nazione uccisa di Marek erano i
poveri Ebrei, per i quali la Patria era dolce e selvaggia, e non le sabbie del Negev, erano gli aderenti
al Bund che volevano costruire non un nuovo stato, ma una Polonia migliore, soprattutto, quando si
cercò di scacciarli da questa Polonia. Quando questa nazione morì, Marek le rimase fedele. Ahawat
Israel, l’amore per il popolo di Israele, non gli permetteva di amare Israele, quando divenne uno
stato. Guardava allo stato di Israele con lo stesso sguardo esigente con cui osservava i suoi
oppositori, e con cui guardava la Polonia. E non ha mai permesso a nessuno di strumentalizzarlo per
giustificare il proprio odio. Considerava la religione una sciocchezza dannosa. “La fede mi è
estranea; non mi piace solo quando la si ostenta.” Mi disse una volta: “Io penso che sia importante
credere in Dio e che sia ancora più importante affidarsi a Dio, attraversare la vita, così come Egli ci
ha insegnato a fare. Ma la cosa veramente più importante è che Dio possa credere in te, possa
credere che tu non sarai vile, non fuggirai, non tradirai il Bene, sia che tu creda in Dio o no.” Dio
poteva credere nel dottor Marek Edelman durante l’Insurrezione del Ghetto e l’Insurrezione di
Varsavia, nel marzo 1968 e nello stato di guerra, nel convoglio verso Sarajevo e al capezzale di un
paziente. Dio sapeva che non sarebbe stato deluso. Quando tornai dalla Bosnia, andai a farmi curare
da Marek: mi propinò una forte terapia a base di vodka e dichiarò che in fondo eravamo il primo
esperimento della Natura con un animale dotato di ragione, che per essere il primo esperimento non
era andata poi così male, e che sicuramente la seconda volta con i delfini o i pipistrelli sarebbe
andata meglio. Non val la pena litigare sulla fede. Adesso però ci sarà più difficile vivere
onestamente, senza lo sguardo esigente di Marek, senza la paura che ci potesse cogliere mentre
sfuggivamo a una responsabilità o dicevamo una piccola bugia, che apre la porta a quelle grandi.
Questo timore fino a oggi ci ha aiutato a tenere il nerbo morale. E adesso dovremo cavarcela da
soli. Diremo che lui era “una figura storica”, “ che la sua morte è la fine di un’epoca”, perché che
cosa dovremmo mai dire? La storia va avanti, le epoche si succedono le une alle altre. E io vorrei
che il nascente Museo della Storia degli Ebrei Polacchi avesse il nome di Marek Edelmann.”
MAREK EDELMAN EROE DEL GHETTO
di Francesco Cataluccio
“Il Sole 24 Ore”, 4 ottobre 2009
Marek Edelman, è morto venerdì sera a Varsavia, all’età di 87 anni, circondato dai suoi amici. Era
uno dei pochi sopravvissuti dell’eroica insurrezione del Ghetto di Varsavia, nella primavera del
1943: uomini e donne che, certi di essere votati allo sterminio per mano dei nazisti, decisero di
morire con le armi in pugno, mettendo in scacco per parecchie settimane l’esercito nemico e dando
un segnale di coraggio e dignità a tutta l’Europa. Il giovane comandante Edelman, era stato nel
dopoguerra uno dei migliori cardiologi polacchi, primario dell’Ospedale di !ód". Al primo
approccio, poteva sembrare aggressivo come solo i timidi sanno essere, cinico e sprezzante nel
volersi difendere dalla fama di “eroe”, a volte ingiusto nei giudizi verso altre persone, che si erano
date la morte nel Ghetto (di Anielewicz disse: “non bisogna suicidarsi, ma lottare fino all’ultimo”, e
di Czerniakow: “era una persona onesta, ma con il suo suicidio ha trasformato l’ordine di annientare
l’intera popolazione del ghetto in una sua vicenda privata, e ha sprecato una pallottola”). Ma, dopo
un po’, diventava amichevole e scherzoso, dolcissimo e premuroso come i medici all’antica, freddo
e lucido nelle analisi.
Edelman non è stato un eroe di una volta sola: una vita sempre all’opposizione. Socialista in
gioventù (faceva parte del partito socialista ebraico, Bund), dopo la guerra fu tra i primi a dar vita al
movimento dei dissidenti e poi fu uno dei dirigenti di Solidarnosc. Si è sempre battuto per tutti gli
oppressi. Negli anni Novanta, fece suo lo slogan “Sarajevo come il Ghetto di Varsavia”. Quello che
colpiva, sia negli incontri ufficiali che nelle conversazioni private, era il suo atteggiamento
antiretorico, volutamente e orgogliosamente modesto: “Non facemmo niente di particolare (…). La
mia non è una testimonianza sulla bravura militare. Probabilmente eravamo bravi. E con ciò? Siamo
stati sconfitti lo stesso. La mia è una testimonianza sui valori, sugli uomini e le donne, sull’amore e
la politica, sui legami fraterni” (M. Edelman, H. Krall, Il ghetto di Varsavia. Memorie e storia dell’
insurrezione, Città nuova, Roma 1993). In modo sincero ha sempre spiegato molte sue scelte, e dei
suoi compagni di lotta, non con motivazioni ideologiche, ma amorose: “Ero deciso a rimanere a
Varsavia, non solo per motivi politici, ma anche sentimentali. Ero innamorato” (R. Assuntino, W.
Goldkorn, Il guardiano. Marek Edelman racconta, Sellerio editore, Palermo, 1998). Anche la
questione dell’amore, nella degradazione fisica e morale del Ghetto è stato il segno dello “sguardo
diverso” di Edelman e della sua accanita volontà di mostrare la “normalità” della tragedia. Nel suo
ultimo libro, C’era l’amore nel ghetto (2009, che verrà pubblicato da Sellerio il prossimo
novembre), con delicatezza ma anche con la consapevolezza di sfatare un pregiudizio tragico,
Edelman ha lasciato un messaggio di speranza sull’ostinata forza dei sentimenti e dell’attrazione
fisica anche in mezzo al trionfo della morte. Spiazzanti erano i suoi aneddoti e i commenti che ne
dava: “Sono tornato in Israele nel gennaio 1997 (…). In quell’occasione, a Gaza, ho incontrato
Arafat. Mi ha detto: ‘Noi lottiamo per gli stessi valori per i quali Lei ha combattuto’. Mi è sembrata
una persona onesta”. Una volta gli chiesi perché dopo tutto quello che aveva passato (compresa la
campagna antisemita delle autorità comuniste nel 1968 che lo fece cacciare dall’ospedale e
l’internamento nella prigione di Leczyca, dopo il colpo di stato del 1981) non se ne fosse andato
dalla Polonia. La risposta che ricevetti, con una smorfia, fu la solita, come se fosse la più naturale
del mondo: “Il mio compito è quello di fare la guardia alle tombe del mio popolo”.
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LA BONTA INSENSATA DI VASSILIJ GROSSMAN
di Gabriele Nissim
(riproduzione vietata)
Vassilij Grossman, pensatore e scrittore russo, è a mio modo di vedere la
persona che forse ha riflettuto di più sull’essenza del sistema totalitario e sulle
modalità di resistenza a questi sistemi.
Vassilij Grossman aveva vissuto dall’interno il sistema totalitario, credendoci. Era
stato uno scrittore che aveva taciuto i crimini di Stalin, aveva taciuto, ad esempio,
quando avevano arrestato i suoi familiari. Aveva firmato persino un documento di
condanna dei medici ebrei accusati (ingiustamente) di aver tentato di avvelenare
Stalin. Ma poi Grossman, in seguito ad una sorta di purificazione morale, è arrivato
a una verità nuova come è testimoniato dai suoi romanzi.
Quando scrive il suo libro fondamentale Vita e destino, che viene immediatamente
censurato, si vede privato della macchina da scrivere e di tutti i manoscritti. Nel
1962 durante un duro incontro con Michajl Suslov, il potente responsabile
dell’ideologia, gli venne detto che un libro del genere non sarebbe mai dovuto
uscire in questo secolo, né nel prossimo e in quell’altro ancora: per trecento anni un
libro del genere non sarebbe stato visto.
Quindi le riflessioni di Grossman sono per noi molto importanti. Io cercherò di
esporre l’impianto teorico-concettuale di questo scrittore.
C’è un aspetto che lo collega alla filosofia di Moshe Bejski. Sia Bejski che
Grossman sono partiti da una posizione pessimistica. Bejski si era reso conto che il
male non si può estirpare dalla storia, che nonostante Auschwitz il male continua a
ripetersi (Rwanda e Bosnia ad esempio). Bejski affidava la speranza per il futuro
del mondo al continuo riemergere nella storia di uomini liberi e responsabili. Bejski
sosteneva in modo paradossale: il male non si può estirpare, però il mondo potrà
essere sempre salvato da uomini giusti.
E’ una posizione pessimistica da cui nasce una speranza. Il male si ripresenta nella
storia e gli uomini intervengono per debellarlo.
La stessa concezione ha Vassilij Grossman. Grossman afferma che, quando i
totalitarismi appaiono sulla scena della storia, l’uomo è sconfitto. Riferendosi alle
campagne terroristiche in Russia e al genocidio nazista, rileva che durante
campagne simili la maggioranza della popolazione non ha aderito ideologicamente
e solo una ristretta minoranza è stata coinvolta attivamente: idioti convinti,
sanguinari e malvagi, oppure gente interessata al proprio tornaconto, ad appropriarsi
di cose e case altrui e di posti vacanti. Sebbene atterriti dal massacro in corso, molti,
quasi tutti, hanno nascosto ciò che sentivano non solo ai familiari, ma anche a se
stessi.
In sostanza, Grossman ha la convinzione che, nonostante i totalitarismi portino a dei
crimini terribili contro l’umanità perché distruggono l’uomo, essi non hanno la
possibilità di annientare l’uomo: milioni di uomini vengono distrutti, però nello
stesso tempo l’uomo non viene annientato.
Grossman si pone questa domanda: nella morsa della violenza totalitaria la
natura umana subisce un mutamento? Si modifica? L’uomo perde il suo ideale di
libertà? Dalle risposte a queste domande dipendono le sorti dell’uomo e del
totalitarismo: una mutazione della natura umana implicherebbe il trionfo universale
ed eterno della dittatura, mentre l’anelito inviolabile alla libertà condannerebbe a
morte il totalitarismo.
Grossman sostiene che il senso della libertà si può soffocare ma non distruggere:
l’uomo non rinuncia mai all’idea della libertà e questa conclusione è il faro della
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nostra epoca, un faro acceso nel nostro futuro. Nei sistemi totalitari rimane
l’irriducibilità dell’essere umano, perciò l’uomo è capace di una resistenza, anche se
può essere annientata. Queste osservazioni sono molto simili a quelle di Moshe
Bejski che, riflettendo sulla Shoah, affermava che nel male esiste sempre la
possibilità di una resistenza.
E’ ora importante capire Grossman cosa intende per male. Egli riflette sul male
politico del totalitarismo e in particolare del totalitarismo comunista.
Il male nuovo che si è presentato nella storia è quello partorito dalla tentazione del
bene universale. Esso si verifica quando qualche movimento politico o religioso si
propone di costruire un modello di società perfetta nella quale il male è estirpato
con una operazione chirurgica. In nome di un futuro radioso tutto sembra essere
permesso: eliminare gli uomini che non sono d’accordo, le religioni diverse dalla
propria, le idee considerate non compatibili con la propria nazione, le classi sociali
considerate nocive ed inquinanti ed accettare come necessari e giustificare i
peggiori compromessi con la propria coscienza. Questa tentazione si ripresenta di
continuo nella storia illudendo di essere la scorciatoia per risolvere, con un colpo di
bacchetta magica, le storture della condizione umana.
Grossman vede il bene universale come risposta ad un bisogno insopprimibile
dell’uomo. L’uomo è attratto cioè dai sistemi politici che si propongono di
eliminare il male e vogliono creare un paradiso in terra. Come è stato per il
fascismo, il nazismo e il totalitarismo comunista, oggi la stesa tentazione si
ripresenta nel mondo arabo dove il fondamentalismo islamico propugna l’idea che
si possa costruire una società nuova eliminando gli infedeli, gli ebrei, gli
occidentali.
Grossman osserva che tutti questi sistemi totalitari hanno un punto in comune:
vogliono eliminare la pluralità umana, cioè vogliono costruire un mondo sulla base
di un unico modello, dove tutte le persone devono diventare fotocopie uno
dell’altro. C’è un’ affermazione di Hannah Arendt che si avvicina alle riflessioni di
Grossman. Ella osserva che non un uomo , ma gli uomini con le loro differenze non
ricomponibili abitano la terra. Il totalitarismo invece vuole eliminare la pluralità
umana, vuole creare una società dove tutti devono comportarsi secondo un modello
unico. Tutti devono essere uguali con lo stampino.E’ questa l’ideologia dell’uomo
nuovo, sovietico.E’ nuovo perché ha eliminato le sue caratteristiche particolari ed
irripetibili.
In nome di questo bene universale si sono fatti dei crimini terribili. Nel romanzo
Ikonnikov fa questa osservazione durante la sua prigionia in un campo di
concentramento nazista. “ Ho visto la forza incrollabile dell’idea del bene sociale,
che è nata nel mio paese. L’ho vista nel periodo della collettivizzazione forzata e
nel trentasette.Ho visto uccidere nel nome di un ideale bello e umano come quello
cristiano.Ho visto le campagne morire di fame, e i figli dei contadini che morivano
tra le nevi della Siberia; ho visto le tradotte che da Mosca,Leningrado e altre città
della Russia portavano in Siberia centinaia di migliaia di uomini e donne,i nemici
della grande,luminosa idea del bene sociale.Era un’idea bella e grande, e ha ucciso
senza pietà,ha rovinato le vite di molti, ha separato le mogli dai mariti,i figli dai
padri.1”
E quando il comunista Mostoskoi, rinchiuso nella stessa prigione gli cerca di
spiegare che proprio per la sua finalità di bene il comunismo riuscirà a sconfiggere
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il nazismo, Ikonnikov lo sorprende dicendogli che anche Hitler ha costruito il suo
progetto in nome del Bene.
“ Se lo chiede ad Hitler le dirà che anche questo lager è a fin di bene.2”
Grossman come forse nessun altro testimone del Novecento ha sottolineato che
questo concetto di bene che seduce ciclicamente l’umanità si rivela un flagello, un
male peggiore del male.
E così attraverso i pensieri del colonnello Pëtr Pavlovic Novikov che si appresta a
lanciare le sue truppe nella controffensiva di Stalingrado mostra la contrapposizione
che si crea nella società totalitaria.
“ Le assemblee umane hanno un unico scopo: conquistare il diritto ad essere
diversi, speciali, il diritto di sentire, pensare e vivere ognuno a suo modo, ognuno a
suo piacimento.
E’ per conquistarsi questo diritto, per difenderlo od estenderlo, che le persone si
riuniscono. Di qui tuttavia ha origine anche il pregiudizio tremendo ma fortissimo
che l’unione in nome di una razza, di un Dio, di un partito, o di una nazione non sia
il mezzo,ma il senso della vita.No e poi no! L’unica ragione vera ed eterna della
lotta per la vita è l’uomo, la sua pudica unicità, il suo diritto ad essere unico.”
E dimostra quindi in modo molto chiaro che il totalitarismo cerca di creare un
modello unico di uomo, di estirpare l’individualità, perché questa è la sua ragione di
esistenza e la resistenza nasce proprio di fronte a questo progetto.
Grossman fa anche un’analisi molto chiara di come funziona il meccanismo di
omologazione. Possiamo individuare in quattro i livelli in cui avviene questo
processo.
LA DISTRUZIONE DELL’ANIMA
Il primo livello è quello dell’educazione: gli individui devono abituarsi a guardare il
mondo con lo spirito di partito e a sostituire il loro giudizio personale con
l’interpretazione del mondo che di volta in volta le autorità politiche propongono
dall’alto.
E’ questo il compito di Dementy Trifonovich Getmanov, il segretario del partito di
una delle regioni dell’Ucraina, metafora del dirigente ideale del sistema totalitario.
Il potere gli accorda la fiducia se egli si dimostra fedele alla partijnost” (partiticità),
unità di misura fondamentale della società sovietica e la antepone con uno spirito di
sacrificio ad ogni sentimento personale.
Per raggiungere questo stato di immedesimazione nei confronti del sistema egli è
chiamato a fare dei sacrifici “ crudeli e durissimi” perché deve superare qualsiasi
condizionamento della sua coscienza personale.
Si può sentire rasserenato e ritrovare un equilibrio soltanto quando finalmente
comprende che in nome dello spirito di partito“sentimenti privati come l’amore,
l’amicizia e lo spirito di campanile non potevano semplicemente esistere.3”
E’ così che un comunista sovietico si dimostra all’altezza del suo compito.
Non pensa ,non si commuove ,non agisce più con la sua testa,ma pensa ed agisce in
nome della politica del partito in una dimensione più grande ed importante. Non lo
turbano le carceri, i gulag ,le sofferenze e le vicissitudini degli amici, dei colleghi,
delle persone vicine, degli altri esseri umani,perché egli deve portare a termine la
missione storica che gli è stata affidata.
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Egli incute paura e rispetto perché ha il potere di giudicare se la vita degli altri sia in
sintonia con gli indirizzi politici del partito comunista.
Il suo verdetto può cambiare da un momento all’altro la vita delle persone, aprendo
le porte dell’inferno o del paradiso.
Si dimostra così un maestro di tipo nuovo nei confronti della società: insegna agli
uomini ad abdicare alla propria anima e a vivere e a pensare secondo quanto
prescrive la partiticità.
Il ruolo che egli doveva svolgere era in fondo l’antitesi dell’insegnamento socratico:
il filosofo greco Socrate insegnava a pensare da soli, diceva che era meglio il
disaccordo con il mondo intero piuttosto che il disaccordo con la propria coscienza.
Il segretario di partito invece educa gli uomini a censurare il proprio talento, il
pensiero autonomo, i sentimenti personali quando non sono in accordo con la
volontà del partito, perché il partito deve creare un controllo sull’anima.
Molti hanno detto che il comunismo cercava di realizzare l’uguaglianza tra gli
uomini. Io credo che il comunismo cerchi l’uguaglianza delle anime, cioè di rendere
uguali gli animi degli uomini e questo era il compito del partito.
Il secondo livello dell’omologazione avveniva attraverso il meccanismo della
delazione. Il film Le vite degli altri descrive la vita nella DDR. Qui gli uomini
parlano sempre lontano dal telefono e quando devono dire delle cose che sono
sospette vanno a parlare nei parchi perché hanno paura di essere ascoltati.
Il meccanismo della delazione non è costituito soltanto da microfoni, che sono solo
degli elementi tecnici. Nella società sovietica i microfoni erano tutti gli esseri
umani, nel senso che tutte le persone erano invitate a controllarsi uno con l’altro e
rapidamente a informare il partito dei comportamenti sospetti. Quindi il controllo
della persona avveniva attraverso gli amici, i colleghi di lavoro, in quanto si era
affermata come virtù morale il “fare la spia” e andare dagli agenti del partito e dalla
polizia segreta a raccontare quello che era scoperto.
Quale il movente dei delatori? Grossman scrive che nel mondo sovietico la
delazione avveniva per molti motivi. Alcuni delatori lo facevano per convinzione,
convinti di fare il bene; altri per interessi economici perché se tu denunciavi un tuo
collega potevi occupare il suo posto e nello stesso tempo ti dimostravi fedele al
partito e potevi trovare dei vantaggi; altri lo facevano perché pensavano di avere
una “colpa sociale”. Le persone nelle società totalitarie, infatti, erano etichettate e
chi proveniva da una classe non protetta, per esempio, era come macchiato da una
colpa originaria da cui non poteva liberarsi. Grossman afferma che diventavano
delatori coloro che volevano purificarsi dalle loro colpe, perciò era un fenomeno
molto esteso. Ciò fa capire come la delazione fosse un controllo che bloccava la vita
degli uomini e di conseguenza portasse all’abitudine di autocensurare il proprio
pensiero.
C’è un episodio emblematico nella vita giovanile del grande protagonista del
libro, lo scienziato nucleare Viktor Pavlovi Štrum che , racconta l’autore, va a
comperare il giornale La Pravda, il giornale del partito, e sfogliandolo esprime
spontaneamente il suo pensiero “Che schifo questo giornale!” e lo getta per terra
vista la sua completa inutilità. Dopo pochi minuti si pente però di questo gesto,
perché era stato visto da un amico che si trovava per caso vicino. Allora riprende il
giornale da terra, va dall’amico e si giustifica.
“ Mi è caduto involontariamente dalle mani”, cerca di fargli capire.
Dopo quella sua “debolezza” Štrum si ripromette di non fare più in futuro delle cose
simili. Di cosa aveva paura lo scienziato ? Aveva paura che la persona accanto lo
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denunciasse al partito, perché la delazione era normale consuetudine nel sistema
sovietico:
Un altro elemento caratteristico del sistema sovietico è che le persone sono
continuamente sollecitate. E’ una forma sofisticata del controllo dell’anima.
Questo fatto può sembrare paradossale, perché si immagina che una dittatura si
occupi solo delle persone non consenzienti, per perseguitarle. Invece nella società
totalitaria il regime chiede in continuazione un consenso, per cui la persona nella
vita quotidiana è costretta sempre a mostrare la sua adesione. Se non la mostra, può
essere considerata un nemico potenziale. Questo è un elemento caratteristico della
società sovietica e ci mostra fino a che punto fosse arrivato il controllo sociale.
Il terzo stadio del controllo dell’anima avviene attraverso il meccanismo del terrore.
Le religioni hanno cercato di imporre certi comportamenti ipotizzando l’inferno
nell’aldilà per peccatori,i totalitarismi hanno invece costruito con i campi di
concentramento ed i campi di lavoro l’inferno sulla terra.
Chi non si adegua sa quale è la sorte che lo aspetta.
Una delle dimensioni fondamentali dell’uomo è che egli ha paura : per ciò che gli
può capitare nella vita quotidiana,per il futuro incerto che gli si prospetta, fino al
timore per la sua sopravvivenza.
La paura ha origine dalla precarietà e dalla limitatezza dell’essere umano e può
essere superata soltanto dall’amore degli altri e da un sentimento di solidarietà.
Il comunismo invece per cementare le coscienze e le volontà secondo il suo disegno
esaspera il senso di solitudine della persona, gli fa avvertire la sua debolezza nei
confronti dello Stato, e diffonde in modo capillare un timore per il possibile esito di
ogni azione.
Il messaggio è diretto: se vuoi salvarti e vivere sicuro devi ascoltare la voce del
partito ed adeguarti ad essa.
Il tipo di sicurezza proposto dal potere è sempre comunque precario perché il
regime cambia in continuazione le regole di condotta e ha bisogno per mantenere il
controllo sulla persona di istillare uno stato perenne di tensione.
L’individuo si sente costantemente in bilico e così paradossalmente è spinto a
diventare sempre più servizievole nei confronti dello stato perche non sa mai quale
sorte lo attende.
C’è una novità fondamentale nell’uso del terrore da parte del totalitarismo
sovietico. Esso è esercitato non solo per ottenere l’obbedienza e l’omologazione dei
cittadini, ma anche per ottenere la resa definitiva delle vittime e dei prigionieri.
La macchina della repressione sovietica è costruita in modo tale che il condannato
non solo sconti la sua pena,ma che ammetta delle colpe inesistenti.
E’ il meccanismo coatto della confessione.
Quando Nikolaj Grigorevi Krymov, il commissario politico dell’Armata Rossa si
trova agli arresti alla Lubjanka è picchiato e torturato con lo scopo di fargli
ammettere il crimine più assurdo ed insensato per un combattente di Stalingrado.
E’ colpevole di avere abbandonato i suoi uomini durante la battaglia e di essersi
fatto trasportare da un aereo allo stato maggiore tedesco per fornire al nemico
importanti informazioni.4
L’accusa nasce da una costruzione ideologica come è accaduto a migliaia di
comunisti stritolati dalle purghe staliniane. Qualcuno ha riportato un apprezzamento
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di Trockij per un suo articolo e dunque egli è considerato una quinta colonna della
reazione internazionale.
Da simpatizzante trockista diventa così una spia tedesca
Egli capisce in quei momenti terribili come fu possibile che personaggi come
Bucharin, Rykov, Kamenev,e Zinov’ev avessero ammettessero le loro colpe. Fino a
quel momento gli era rimasto un dubbio,ora diventa consapevole che avevano
confessato sotto tortura.
Ma l’ostinazione degli inquirenti per estorcere la confessione è qualcosa di ancor
più terribile.
Il potere dopo averlo distrutto fisicamente prende possesso della sua anima.
“ La mossa vincente del lavoro d’inchiesta, osserva Krymov, consiste quasi
sempre nella combinazione di fisico e psichico. Corpo e anima sono vasi
comunicanti , distruggendo, schiacciando le difese della componente fisica della
persona, chi attacca riesce sempre a far breccia e a far entrare i blindati,
conquistando anche l’anima e costringendo l’uomo ad una resa incondizionata.”
A quel punto il prigioniero si sente cosi distrutto che non “ chiede più giustizia,né
libertà e nemmeno requie,ma solo che ti venga tolta quella vita che oramai odia.”
Chi infatti sotto sevizia è costretto a confessare un crimine che non ha commesso
perde il rispetto per se stesso e diventa un oggetto senza più resistenza che il potere
può usare a suo piacimento.
Piuttosto che diventare uno zombie, suggerisce Grossman, è preferibile morire.
L’inquisizione moderna che con tanta raffinatezza il potere sovietico ha costruito,
gli permette di trovare tra le stesse vittime una legittimazione per le sue azioni
abominevoli.
Le perseguita ingiustamente e impone loro di affermare che il potere ha ragione.
“ Se si crede davvero capace di un pentimento sincero, se le resta un briciolo di
amore per il partito, ci venga incontro e confessi.”5
Così l’inquirente apostrofa lo sconcertato Krymov nel suo interrogatorio.
E poi ammette paradossalmente che il potere ha comunque bisogno della sua
confessione,anche se è innocente.
“ Possiamo tirare avanti così anche una settimana,un mese, un anno…Ma proviamo
a semplificare: lei è innocente,ma mi firma lo stesso tutto quello che le dico. E
quelli smettono di picchiarla. E chiaro? Forse la sezione speciale la condannerà,ma
niente più botte. E’ già successo,no? Crede che mi piacciano che la picchino? E la
lasceremo anche dormire. E chiaro?”6
Il meccanismo sovietico della confessione segna una differenza con il nazismo.
I carnefici di Hitler perseguitavano e sterminavano gli ebrei, ma non importava loro
cosa pensassero. I carnefici di Stalin esigevano invece che le vittime ammettessero
le loro “ colpe” e fossero d’accordo con le decisioni prese.
I primi erano interessati alla distruzione dei corpi, i secondi al controllo dell’anima.
Infine l’ultimo stadio del processo del controllo delle persone avviene attraverso la
corruzione.
Non basta la promessa del bene universale, l’educazione ideologica del partito, il
terrore esercitato sulle persone, ci vuole qualche cosa di più terreno e concreto che
convinca i cittadini a seguire il potere.
“ La cosa più angosciante ,la più tremenda, la peggiore era che-oramai –per la
fedeltà allo scopo, osserva Grossman la rivoluzione pagava in razioni
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supplementari,in pasti al Cremlino,in pacchi di viveri, automobili, viaggi a Barvicha
e vagoni di prima classe.”
La gente così pratica la delazione, accetta di convivere con la menzogna, segue
pedissequamente il messaggio del partito perché sa di poterci guadagnare a livello
personale.
Il vertice politico è perfettamente consapevole che si può convincere un uomo ad
abdicare alla propria coscienza, alla propria dignità con la promessa di un bene
economico.
E’ quella che lo cecoslovacco Sismecka negli anni 70 a Praga chiama” la violenza
civilizzata del totalitarismo.”
Il regime premia con l’accesso ai beni di consumo, ai viaggi, ai privilegi economici
chi ubbidisce e abbassa la propria testa.
Punisce invece con la perdita del lavoro, l’esclusione dei figli dall’istruzione e
dall’università, l’ostracismo in tutti i campi della vita quotidiana, chi non si
conforma alle regole del sistema.
Grossman dopo aver concluso questa analisi si pone la domanda: come resistere al
potere totalitario? E’ possibile? Ikonnikov pone il punto centrale di tutta la
riflessione di Grossman
“ Non ci credo, io,nel bene. Io credo nella bontà.7”
E’ quella che si contrappone al bene universale e al terrore imposto sulla società in
nome di un futuro meraviglioso.
“ E’ la bontà dell’uomo per un altro uomo, una bontà senza testimoni,piccola, senza
grandi teorie. La bontà insensata,potremmo chiamarla.La bontà degli uomini al di là
del bene religioso e sociale”.
I “giusti” sono coloro che hanno un cuore e gli occhi per vedere la realtà e
comprendere i bisogni degli altri uomini.
Essi nel comunismo hanno una dote particolare. Si rifiutano di fare del male in
nome del bene. Non denunciano i propri amici e colleghi di lavoro quando il partito
invita la società a smascherare i “nemici del popolo”.
Non accettano di ripudiare i mariti o i genitori quando lo Stato sovietico colpisce i
membri delle loro famiglie e ordina loro di censurare i propri affetti personali. Non
si preoccupano di frequentare o di aiutare le persone che il potere mette all’indice e
rinchiude nelle prigioni .Non credono che il terrore e la lotta contro i cosiddetti
nemici possano portare alla realizzazione di una società migliore.
Sono invece capaci di un atto di umanità apparentemente insensato perché questo è
l’unico antidoto contro i guasti del bene politico.
E’ la bontà che rifiuta il ricatto del bene universale la forma di resistenza
primordiale nella società totalitaria.
Ikonnikov racconta un episodio avvenuto durante l’occupazione nazista.
Le SS prendono possesso di un villaggio russo e si apprestano a compiere una
fucilazione di massa dopo avere costretto i contadini a scavare una fossa sul limitare
del bosco.
Alcuni di questi carnefici si sistemano per la notte a casa di una vecchia e le rubano
per rifocillarsi le uova ,il miele e la vodka.
La mattina all’alba controllano i mitra,il più vecchio preme involontariamente il
grilletto e si spara una raffica allo stomaco.
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Dovendo comunque partire per l’adunata i tedeschi ordinano alla donna di prendersi
cura del ferito. Lei si rende conto che basterebbe poco per soffocarlo: quello
farfuglia ad occhi chiusi, si lamenta,schiocchia le labbra. Poi apre gli occhi di colpo
e dice distintamente : “ Donna, acqua”. “ maledetto” gli risponde lei. “ Potessi
soffocarti…” ma gli dà da bere. Lui la prende per un braccio e le fa segno di tirarlo
su, che gli impedisce di respirare.Lei lo solleva,lui si aggrappa al collo di lei.In
quello stesso momento si sente sparare, e la donna trema come una foglia.
In seguito, quando racconterà l’accaduto, nessuno la capirà, né lei saprà spiegarsi.
E’ un episodio che nel mondo comunista farebbe scandalo. Prestare aiuto ad un
nazista, mente i suoi compagni fanno strage in un villaggio sembra senza senso, se
non un vero e proprio tradimento.
Invece suggerisce Ikonnikov la bontà illogica che sembra recare danno ad una
causa, impallidisce dinanzi alla luce emanata da coloro che la possiedono.
Chi ha la grande dote di commuoversi di fronte alla sofferenza umana non può
diventare ostaggio delle ideologie del bene universale.
Ancora più sorprendente è il comportamento di un’altra donna al termine della
battaglia di Stalingrado.
Persa nella folla assiste sconvolta al percorso dei prigionieri tedeschi che portano
fuori dalle cantine del comando della Gestapo decine di cadaveri di prigionieri russi
che fino a poco prima avevano torturato.
Di fronte al corpo martoriato di un adolescente non se la sente di rimanere passiva e
con un grido urla a tutti che è sua figlia.
“ Bambina! Bambina mia! Tesoro adorato!”
Non è vero,ma lei vuole accarezzare quel volto e dare un ordine ai suoi cappelli per
trasmetterle il suo conforto di madre.
Vuole trasmettere alla moltitudine la sua emozione per una vittima innocente.Tra lei
e la gente c’è una sintonia perfetta.La sua mano pietosa è diventata la mano di tutti.
Poi come se interpretasse il sentimento della folla comincia ad avvicinarsi ad un
soldato tedesco mentre i suoi occhi cercavano un mattone che la sua mano avrebbe
staccato da terra per conficcarglielo con violenza sul suo volto.
Tutti si aspettano da un momento all’altro ciò che era inevitabile,ma quella donna
senza capire cosa le stesse succedendo e in preda ad un sentimento inaspettato cerca
nella tasca un pezzo di pane e lo porge al tedesco. “ Tieni, mangia.”
Grossman non commenta,ma sembra quasi di ascoltare il brusio della folla delusa e
stupefatta per il mancato atto di vendetta pubblica.
Lei doveva lanciare quel mattone e ora non la rappresenta più.
Passano molti giorni e lei si accorge che per quell’episodio ha pagato un prezzo,
come le è capitato in molte circostanze della sua vita quando non si è arresa alle
piccole ingiustizie di cui era costellata la sua vita.
Rigirandosi nel suo letto arrabbiata e nervosa continua a pensare
“ Scema ero e scema rimango.”
Scema non è stata, lei ha visto in quel nemico il volto di un essere
umano,nonostante l’odio montante nei confronto dei tedeschi.
E’ andata contro il senso comune della gente ed in quei frangenti è riuscita a
pensare che non è lecito comportarsi contro i nemici sconfitti con lo stesso metodo
che i nazisti avevano impiegato contro di loro.
Ha cosi fatto un atto di bontà insensata perché non si è fatta condizionare da quel
Bene universale che proponeva la resa dei conti finale.
Non ha ascoltato la folla,ma ha ascoltato soltanto la sua coscienza.
La vittima adolescente ed il soldato della Gestapo non sono comparabili,ma un
gesto di pietas non si nega neanche a chi merita di essere giudicato.
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LA RESISTENZA AL TOTALITARISMO
Grossman riflette a lungo sulla possibilità dell’uomo di resistere al male nel sistema
totalitario e descrive due itinerari possibili.
Uno è l’itinerario eroico, la resistenza cioè delle persone che, nonostante
sappiano di non poter cambiare nulla, agiscono. Anche se sanno che le loro azioni
porteranno solo alla loro morte, difendono la dignità, la vita umana. Grossman, a
questo riguardo, racconta come Nikolaj Grigoreviche Krymov,alla fine degli
interrogatori pur sapendo cosa lo aspetta in un vero e proprio atto di catarsi rifiuta di
firmare l’atto di confessione. E’ pronto a morire perche non vuole più fare parte di
quel meccanismo del sistema di cui egli stesso era stato per anni un assertore
convinto.
Un altro esempio dell’eroismo è una storia estrema ambientata in una camera a gas.
Sof’ja Osipovna una dottoressa ucraina viene deportata in un campo di
concentramento. Al momento della selezione nel campo di concentramento quando
i nazisti decidono chi far lavorare e chi invece mandare all’inferno Sof’ia non
risponde all’appello dell’ufficiale delle SS.
“ Dottori e chirurghi un passo in avanti.”8
Lei era l’unico medico in quel convoglio,ma non si sposta di un millimetro.
Resta in silenzio perché si voleva prendere cura di un ragazzino incontrato nel
treno. Non è suo figlio, ma è come se in quel frangente fosse diventata sua madre e
non se la sente di abbandonarlo.
Lo rincuora quando lo vede spaventato di fronte alle SS che impongono a
prigionieri di spogliarsi prima dell’ingresso nella camera a gas.
“Cosa ti prende? Eh? Guarda che andiamo solo a lavarci.”9
E poi alla fine lo avvinghia con le sue braccia forti e calde nel disperato tentativo di
proteggerlo di fronte alla nube di gas che sommergeva per sempre tutti i prigionieri.
Sof’ja aveva sacrificato la sua vita per rendere meno crudele la morte al piccolo
David.
Grossman racconta queste storie di resistenza per dire che l’uomo ha sempre la
possibilità di fare qualcosa, anche se sono storie di resistenza estrema.
Ovviamente è possibile che in condizioni estreme l’uomo non si comporti in modo
umano. Non possiamo chiedere all’uomo di essere umano in condizioni disumane,
come ha affermato Gustaw Herling in Un mondo a parte. Tuttavia queste storie di
resistenza estrema testimoniano la speranza, nel senso che mostrano l’irriducibilità
dell’uomo.
L’altro itinerario che descrive Grossman è la modalità di resistenza che
porterà alla fine dei sistemi totalitari. L’uomo che si ribella genera una scintilla che
può mettere in moto altre forze di resistenza e dal sostegno così generato egli può
trovare il coraggio di rischiare: è il sostegno morale necessario per continuare la sua
azione. Lo schema proposto da Grossman è il seguente: se fai una azione giusta
forse gli altri ti seguiranno, se non la fai, sentirai un senso di vergogna non soltanto
dentro di te, ma anche da parte delle persone che ti sono vicine.
C’è un episodio che riguarda lo scienziato Štrum , l’uomo che aveva gettato a
terra La Pravda.
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Egli aveva fatto una grande scoperta, ma nel suo laboratorio non era ben visto. Il
partito lo considerava un elemento sospetto e pensava che la sua ricerca andasse
contro i crismi del marxismo leninismo. Oltretutto era ebreo, per cui il suo pensiero
era pericolosamente cosmopolita.
Essendo un elemento sospetto, a Štrum fu chiesto di fare un’autocritica. Gli venne
fatto capire che, se voleva continuare a fare il suo lavoro, doveva assoggettarsi a
questo atto di cedimento, ossia doveva affermare che il partito aveva ragione e lui
torto. Ci pensò e poi decise di non farlo. Grossman commenta con queste parole:
egli resistette per la sua dignità, perché si sentiva bene solo facendo così. In questo
modo attorno a Štrum si creò una rete solidale di amici e parenti, che nel
laboratorio lo vedevano come un elemento morale e gli assicurarono la loro
solidarietà. Štrum sarebbe andato incontro al processo, ma aveva intorno questa
solidarietà. A questo punto nel romanzo accade una cosa inaspettata: Stalin in
persona interviene in suo favore. Riconosciuto come autore di una grande scoperta
scientifica, divenne all’interno del laboratorio un eroe. Il mondo di punto in bianco
si era capovolto: tutti quelli che lo attaccavano erano diventati suoi amici, anche se
il sistema non era cambiato.
Una seconda volta il potere chiese a Štrum di mentire. Doveva dichiarare che una
serie di scienziati avevano ucciso Gorkij e che la campagna occidentale che li
sosteneva era solo propaganda. Questa volta cedette e firmò. Subito dopo si pentì,
perché aveva perduto la faccia davanti alle persone che gli stavano attorno. Sentì di
aver perso la dignità e vide che i colleghi di lavoro che credevano in lui erano
rimasti male, capì così il male che aveva fatto.
Questo racconto rivela l’intuizione di Grossman della nascita di una società
parallela, che si formerà più tardi nei paesi dell’Est Europa. Uno degli elementi che
ha portato alla crisi dei sistemi comunisti è stata proprio l’esistenza di una polis
parallela, cioè i movimenti del dissenso.
In fondo questa polis parallela non era altro che una rete di solidarietà nata attorno a
persone che hanno fatto atti di resistenza. Questa rete ha creato solidarietà tra i suoi
membri, ma ha anche esercitato una funzione di riferimento morale. In una società
totalitaria la virtù morale è seguirne gli orientamenti. Quando si crea una struttura
sociale parallela invece, la persona che risponde alla sua coscienza può anche
guardare a questa rete di solidarietà, che divide così un punto di appoggio.
Ritorniamo alla storia di Štrum . Štrum in un primo tempo si ribella e crea
attorno a sé questa rete di solidarietà, poi cede e allora la rete di solidarietà che si
era creata attorno gli si contrappone, così Štrum capisce che ha sbagliato.
Secondo me questo meccanismo descritto da Grossman è il meccanismo della
resistenza nelle società totalitarie. I movimenti del dissenso sono nati come società
parallele di solidarietà, al loro interno si sono creati nuovi valori e questo è stato
uno degli elementi che ha permesso l’erosione del sistema.
Credo che Grossman abbia avuto una grande intuizione. Egli scrive negli anni
sessanta. Il movimento del dissenso comincerà dopo il ’68, con la primavera di
Praga, quando nessuno più credeva nella possibilità del partito di riformare la
società. E’ importante allora mettere in risalto che Grossman ha intuito la possibilità
del bene attraverso questa rete solidale.
Io mi scuso per la lunghezza, ma volevo introdurvi questo grande scrittore. Vi
consiglio di leggere Vita e destino: è un libro straordinario ed un romanzo che fa
capire dall’interno che cosa è la società totalitaria e la possibilità di resistenza al suo
interno.
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Ma soprattutto da questi esempi morali noi possiamo trarre delle conseguenze per i
comportamenti da assumere nella democrazia. Anche la democrazia può essere
fortemente totalitaria e quindi ci deve essere al suo interno la capacità di vedere e di
resistere.
Per iniziare un lavoro sulla resistenza al totalitarismo comunista, suggerisco ai
docenti e a tutti voi di leggere questo libro. Vi consiglio di affrontarlo fino in fondo,
perché è un libro che cambia la vita. Se voi leggerete Grossman sarete diversi, come
si è diversi dopo aver letto Hannah Arendt o Primo Levi.
Tu sei diverso quando hai letto Grossman e Grossman diventa un grande amico che
ti accompagna. Io penso questo.
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