Stato dell`iter parlamentare e principali contenuti delle riforme

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Stato dell`iter parlamentare e principali contenuti delle riforme
XI LEGISLATURA
V COMMISSIONE PERMANENTE
SOTTOCOMMISSIONE “AUTONOMIA SPECIALE DELLA REGIONE E RIFORME COSTITUZIONALI”
Stato dell’iter parlamentare e principali contenuti delle riforme
costituzionali in itinere
Nota n. 08 bis – 13 gennaio 2016
A cura dell’Area giuridico-legislativa del Consiglio regionale
1
SOMMARIO
INTRODUZIONE .................................................................................................................................................... 3
L’ITER PARLAMENTARE E I PRINCIPALI CONTENUTI DEL DDL COSTITUZIONALE APPROVATO IN
PRIMA DELIBERAZIONE DA CAMERA E SENATO .................................................................................................... 3
1.
2.
LO STATO DELL’ITER PARLAMENTARE E I PROSSIMI SVILUPPI ................................................................................................ 3
IL SUPERAMENTO DEL BICAMERALISMO: ORGANIZZAZIONE DEL PARLAMENTO E FORMA DI GOVERNO ......................................... 5
La differenziazione delle funzioni delle due camere .................................................................................................. 5
La nuova composizione e il nuovo sistema di elezione del Senato ............................................................................ 5
Status dei Senatori .................................................................................................................................................... 6
Il nuovo sistema elettorale della Camera dei Deputati ............................................................................................. 7
Il controllo di costituzionalità preventivo sulle leggi elettorali di Camera e Senato .................................................. 8
Gli effetti del bicameralismo imperfetto sulla forma di governo e sul procedimento legislativo statale .................. 9
Il Governo in Parlamento e i nuovi limiti alla decretazione d’urgenza .................................................................... 11
Le innovazioni riguardanti gli istituti di partecipazione popolare alla funzione legislativa .................................... 11
3.
IL NUOVO ORDINAMENTO COSTITUZIONALE DELLE AUTONOMIE TERRITORIALI ...................................................................... 12
Abolizione delle Province e nuova articolazione della Repubblica .......................................................................... 12
Il regionalismo differenziato di cui al terzo comma dell’art. 116 Cost. ................................................................... 12
Il nuovo riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni (ordinarie) ................................................................ 13
La potestà legislativa esclusiva statale ................................................................................................................... 13
La potestà legislativa esclusiva regionale residuale ................................................................................................ 14
La clausola di supremazia ....................................................................................................................................... 15
Potestà regolamentare di Comuni e Città metropolitane ....................................................................................... 15
Costituzionalizzazione dei principi di semplificazione e trasparenza ...................................................................... 15
Costituzionalizzazione dei costi e fabbisogni standard ........................................................................................... 15
Potere sostitutivo del Governo: obbligo di acquisizione del parere del Senato e potere di escludere gli
amministratori regionali e locali dalle loro funzioni ................................................................................................ 15
Limite agli emolumenti spettanti al Presidente della Giunta regionale e agli altri membri degli organi regionali . 16
Promozione dell’equilibrio tra i generi nella rappresentanza degli organi di governo delle Regioni ...................... 16
Potere di scioglimento dei Consigli regionali e di rimozione del Presidente della Giunta regionale: obbligo di
acquisire il parere del Senato .................................................................................................................................. 16
Divieto di trasferimenti a carico della finanza pubblica a favore dei gruppi consiliari ............................................ 16
4.
CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA DELLA SPECIALITÀ, PRINCIPIO DELL’INTESA E IPOTESI MACROREGIONALISTE................................... 16
5.
IL CONTRIBUTO DELLA CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE ASSEMBLEE REGIONALI ALL’ELABORAZIONE DELLA RIFORMA ............... 18
IL PROGETTO DI INIZIATIVA DEL CONSIGLIO DEL FVG DI MODIFICA DELLO STATUTO SPECIALE
PER L’ABOLIZIONE DELLE PROVINCE ...................................................................................................................... 18
1.
2.
LO STATO DELL’ITER PARLAMENTARE E I PROSSIMI SVILUPPI .............................................................................................. 18
I PRINCIPALI CONTENUTI DELLA PROPOSTA E LE MODIFICHE APPORTATE IN I LETTURA DAL SENATO ........................................... 19
LE CONCLUSIONI DEL TAVOLO TECNICO SULLE AUTONOMIE SPECIALI PRESSO IL MINISTERO
DEGLI AFFARI REGIONALI .......................................................................................................................................... 22
LE CONCLUSIONI DELL’INDAGINE CONOSCITIVA DELLA COMMISSIONE BICAMERALE SULLE
AUTONOMIE SPECIALI................................................................................................................................................ 24
2
Introduzione
I processi di riforma istituzionale avviati nel 2014 e attualmente in itinere presentano un rilevante
interesse per l’autonomia speciale di questa Regione.
Si tratta di processi che si possono raggruppare in due grandi filoni:
1) la riforma della parte II della Costituzione, finalizzata in particolare al superamento del
bicameralismo perfetto, che porterà ad un sistema di elezione e a funzioni completamente nuovi del
Senato della Repubblica, ad un diverso riparto della funzione legislativa tra Stato e Regioni ordinarie e
all’abolizione delle Province; a tale processo di riforma costituzionale si collega la riforma delle legge
elettorale della Camera, destinata a diventare l’unico ramo del Parlamento che accorda o revoca la
fiducia al Governo, varata dal Parlamento nel 2015 per superare le censure della Corte costituzionale;
2) la riforma dello statuto speciale del FVG, che si svilupperà, presumibilmente, in più fasi: la prima
con l’approvazione del progetto di modifica dello statuto proposta dal Consiglio regionale per l’abolizione
delle province della Regione, già approvato in prima lettura dal Senato; una seconda fase, per la disciplina
del procedimento di revisione e di attuazione degli statuti speciali, declinando il principio dell’intesa
previsto dalla riforma costituzionale in itinere, in modo sostanzialmente uniforme per le autonomie
speciali (a tal fine nel 2015 si è avviata l’elaborazione di un testo da parte di un tavolo tecnico, al quale
dovrebbe seguire la presentazione di un ddl costituzionale di iniziativa del Governo); infine una fase
(eventuale) di più ampia revisione dello statuto sulla base della previa intesa tra lo Stato e la Regione.
La presente nota intende fare il punto sullo stato delle riforme in itinere, analizzandone l’iter parlamentare
e i principali contenuti, con particolare riguardo al loro impatto sull’ordinamento della Regione FVG. Infine
la nota contiene una sintesi delle conclusioni del tavolo tecnico sulle autonomie speciali e dell’indagine
conoscitiva della Commissione bicamerale per le questioni regionali sulle procedure di attuazione degli
statuti speciali.
L’iter parlamentare e i principali contenuti del ddl costituzionale
approvato in prima deliberazione da Camera e Senato
1. Lo stato dell’iter parlamentare e i prossimi sviluppi
Nella seduta n. 544 dell’11 gennaio scorso, l’Assemblea della Camera dei deputati ha approvato, senza
modifiche rispetto al testo approvato dal Senato il 13 ottobre scorso, il disegno di legge costituzionale
recante “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei
parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la
revisione del titolo V della parte II della Costituzione”. L’esito della votazione nominale finale, quale risulta
dal Resoconto stenografico della seduta è il seguente: presenti: 566; votanti: 561; favorevoli: 367; contrari:
194; astenuti: 51
1
L’elenco riportante l’espressione di voto di ciascun deputato è riportato in allegato al resoconto stenografico della seduta.
3
La votazione finale è stata preceduta dalle dichiarazioni di voto dei deputati.
Hanno preannunciato il voto favorevole, a nome dei rispettivi gruppi o componenti politiche del gruppo
misto, i seguenti deputati:
Locatelli (Misto-PSI PLI); Albrecht Plangger (Misto-Minoranze linguistiche); Parisi (Misto-Alleanza
liberalpopolare Autonomie-Movimento associativo Italiani all’estero); Gigli (Gruppo Democrazia SolidaleCentro Democratico); Pinna (Gruppo Scelta civica per l’Italia); Lupi (Gruppo Area Popolare (NCD-UDC));
Orfini (Gruppo Partito democratico).
Hanno preannunciato il voto contrario, a nome dei rispettivi gruppi o componenti politiche del gruppo
misto, i seguenti deputati:
Civati (Misto-Alternativa Libera-Possibile); Corsaro (Misto-Conservatori Riformisti); Rampelli (Gruppo
Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale); Invernizzi (Gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con
Salvini); Quaranta (Gruppo Sinistra italiana-Sinistra Ecologia Libertà); Gelmini (Gruppo Forza Italia-Il
Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente); Toninelli (Gruppo MoVimento 5 Stelle).
Si ricorda che l’iter parlamentare del ddl costituzionale è iniziato con la presentazione di un disegno di
legge costituzionale di iniziativa del Governo Renzi, depositato al Senato l’8 agosto 2014 (A.S. 1429).
Il ddl è stato quindi approvato, con modificazioni, in I lettura dal Senato l’8 agosto 2014, quindi in I lettura
alla Camera, con modificazioni, il 10 marzo 2015, in II lettura al Senato, con modificazioni, il 13 ottobre
2015. Questo testo, trasmesso alla Camera il 14 ottobre 2015 (A.C. 2613-B) è stato esaminato dalla
Commissione affari costituzionali della Camera il 17 novembre, la quale, a maggioranza, ha dato mandato
al relatore Fiano del PD di riferire favorevolmente all’Assemblea sul testo trasmesso dal Senato2.
L’Assemblea, come detto, ha approvato questo testo, senza modificazioni, in II lettura, l’11 gennaio 2016.
Pertanto, con tale approvazione si è perfezionata, sul testo in questione (A.C. 2613-B), la prima delle due
deliberazioni che ciascuna Camera deve adottare per l’approvazione di una legge di revisione
costituzionale secondo la procedura di cui all’art. 138 cost.
Deve ora intervenire la seconda deliberazione3 nel corso della quale, in base agli art. 123 e seguenti del
regolamento del Senato e agli art. 97 e seguenti del regolamento della Camera, le Camere potranno
procedere solo alla discussione generale e alla votazione finale, mentre non saranno ammessi
emendamenti, né ordini del giorno, né lo stralcio di una o più norme, né questioni pregiudiziali e
sospensive.
Viste le posizioni espresse dai gruppi parlamentari alla Camera (oltre alle dichiarazioni di voti, vedi anche
le relazioni di minoranza della Commissione Affari costituzionali dei gruppi FdI-AN, LNA, SI-SEL e M5S) è
molto probabile che non si raggiunga in seconda deliberazione, in entrambi i rami del Parlamento, il
quorum dei due terzi dei componenti e quindi sia possibile sottoporre la legge costituzionale a
referendum confermativo, qualora, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne faranno domanda un
quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Tale
referendum potrebbe dunque tenersi verosimilmente nell’autunno 2016, e la legge non sarà promulgata
2
La relazione scritta dell’on. Fiano è stata deposita lo stesso giorno (A.C. 2613-C).
Ai sensi dell’art. 138, primo comma, cost., secondo cui le due deliberazioni devono essere adottate “ad intervallo non minore
di tre mesi”, la seconda deliberazione del Senato dovrà aver luogo non prima del 13 gennaio 2016 e quella della Camera non
prima dell’11 aprile 2016.
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se non sarà approvata dalla maggioranza dei voti validi, come prevede l’art. 138 cost., senza che rilevi la
percentuale degli elettori che parteciperanno al voto.
2. Il superamento del bicameralismo: organizzazione del Parlamento e
forma di Governo
La differenziazione delle funzioni delle due camere
E’ il tratto caratterizzante la riforma, la quale differenzia nettamente le funzioni delle due Camere: la
Camera dei deputati, unica camera titolare del rapporto di fiducia con il Governo e delle funzioni
legislativa, di indirizzo politico e di controllo dell'operato del Governo e il Senato, seconda camera
rappresentativa delle istituzioni territoriali, che svolge funzioni di “raccordo tra lo Stato e gli altri enti
costitutivi della Repubblica” (art. 55) e non ha più alcuna relazione fiduciaria con il Governo e esercita la
funzione legislativa solo “nei casi e secondo le modalità stabilite dalla Costituzione” (vedi infra).
Al Senato sono poi attribuite importanti funzioni di raccordo con l’Unione europea: esso concorre
all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione
europea; partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle
politiche dell’Unione europea; verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori.
Altre funzioni del Senato riguardano la verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato (in concorso con
la Camera) e la valutazione delle politiche pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni
(funzione parlamentare, che assume rilievo costituzionale, di esclusiva spettanza del Senato).
Svolge poi alcune funzioni consultive, concorrendo con la Camera all’espressione dei pareri sulle nomine
di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge ed esprimendo il parere al Governo nel caso di
esercizio del potere sostitutivo (art. 120, secondo comma) e di scioglimento del Consiglio regionale e la
rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi
violazioni di legge (art. 126)
Inoltre il Senato della Repubblica può disporre inchieste su materie di pubblico interesse concernenti le
autonomie territoriali (art. 82, primo comma) e può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento,
svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera
dei deputati.
Al Senato spetta anche la nomina di due dei cinque giudici di spettanza del Parlamento (previsione che
stata reintrodotta nella II lettura del Senato, dopo che la Camera l’aveva soppressa).
La nuova composizione e il nuovo sistema di elezione del Senato
Il nuovo Senato sarà composto da novantacinque senatori “rappresentativi delle istituzioni territoriali” e da
cinque senatori che potranno essere nominati dal Presidente della Repubblica: si passa dunque da 315
(6 dei quali eletti nella circoscrizione Estero) a 100 senatori (nessuno dei quali eletti nella circoscrizione
Estero).
Il metodo di elezione dei senatori “rappresentativi delle istituzioni territoriali” è stato uno dei punti più
controversi della riforma: alla fine la soluzione prevalsa mantiene l’elezione indiretta ad opera dei Consigli
regionali e delle Province autonome, con metodo proporzionale, tra i propri componenti e, nella misura di
uno per ciascun Consiglio, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori, ma essa dovrà avvenire “in
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conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi
organi” (art. 57, quinto comma, cost. come novellato).
Il principio dell’elezione vincolata alle scelte espresse dagli elettori in occasione del rinnovo dei consigli
regionali non riguarda i candidati sindaci, ma solo i “candidati consiglieri”: pertanto l’elezione del senatore
scelto tra i sindaci dei rispettivi territori non sarà vincolata in alcun modo.
Si tratta, evidentemente, di un principio non autoapplicativo, che dovrà dunque essere attuato con la
legge elettorale per il Senato (una legge bicamerale), alla quale le Regioni e le Province autonome
dovranno conformare le rispettive disposizioni legislative e regolamentari entro novanta giorni dalla sua
entrata in vigore (art. 39, comma 11, quarto periodo): fino all’entrata in vigore di tale legge le elezioni dei
senatori saranno regolate esclusivamente dalla disciplina transitoria contenuta all’art. 39 (vedi infra).
Nel nuovo Senato nessuna Regione potrà avere un numero di senatori inferiore a due, mentre ciascuna
delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne avranno due. Si noti che la vigente norma
costituzionale che assegna al Senato 315 componenti, assicura a ciascuna regione un numero minimo
di senatori pari a sette, due al Molise e uno alle Valle d'Aosta: queste ultime due regioni acquistano
dunque un peso ben maggiore nel nuovo Senato, grazie al nuovo meccanismo che assicura a tutte le
Regioni almeno 2 senatori.
Il metodo di ripartizione dei seggi tra le Regioni resta uguale: essa si effettua, previa applicazione della
disposizione che assicura il numero minimo di senatori per ciascuna Regione e Provincia autonoma, “in
proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti
interi e dei più alti resti”. Applicando l’attuale metodo di ripartizione utilizzato per la ripartizione dei seggi
del Senato alla popolazione risultante dall’ultimo censimento ufficiale si ottengono i risultati di cui alla
Tabella 1: come si vede nella nuova configurazione del Senato della Repubblica, alla nostra Regione
spetteranno 2 senatori, di cui un sindaco e un consigliere regionale.
Una modifica apportata dal Senato in II lettura alle disposizioni transitorie chiarisce che la nuova legge
elettorale del Senato potrà essere approvata anche durante la legislatura in corso: è questo il senso
dell’art. 39, comma 11, terzo periodo, secondo cui il termine iniziale per l’approvazione della legge,
previsto dal comma 6 dello stesso articolo 39, decorre dalla data di entrata in vigore della legge
costituzionale (mentre il termine finale – ovviamente ordinatorio – è fissato dal comma 6 alla scadenza
di sei mesi dalla data di svolgimento delle prime elezioni della Camera dei deputati successive alla data
di entrata in vigore della legge costituzionale).
Tuttavia l’entrata in vigore della nuova legge elettorale per il Senato non è necessaria per lo svolgimento
delle elezioni, che dovranno comunque tenersi “entro dieci giorni dalla data della prima riunione della
Camera dei deputati successiva alle elezioni svolte dopo la data di entrata in vigore della presente legge
costituzionale”: la disciplina transitoria di cui all’art. 39, commi 1-5, prevede appunto l’eventualità che le
prime elezioni del nuovo Senato si tengano prima dell’entrata in vigore della nuova legge elettorale per il
Senato, definendo le regole necessarie per il loro svolgimento, che però non contemplano l’elezione
indiretta “vincolata” dalle scelte espresse dagli elettori in sede di rinnovo dei consigli regionali. Pertanto
in mancanza della legge elettorale si deve ritenere che tale principio non trovi applicazione.
Status dei Senatori
Per i senatori “rappresentativi delle istituzioni territoriali”, il requisito per l’elezione a senatore è lo status
di consigliere regionale o di sindaco (mentre viene soppresso il requisito anagrafico dei 40 anni).
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In base all’art. 66, secondo comma, secondo cui “Il Senato della Repubblica prende atto della cessazione
dalla carica elettiva regionale o locale e della conseguente decadenza da senatore”, la permanenza della
carica elettiva regionale o locale è requisito necessario per mantenere la carica di senatore. Inoltre,
secondo l’art. 57, quinto comma “La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle
istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti”4 e quindi con quella dei Consigli regionali.
Pertanto la carica di senatore può cessare o per scadenza del Consiglio regionale da cui è stato eletto,
oppure per cessazione dalla carica di consigliere (anticipata rispetto alla scadenza del Consiglio) o da
quella di sindaco.
La durata del mandato dei senatori di nomina presidenziale viene limitata a 7 anni ed essi non possono
essere nuovamente nominati.
In base al nuovo art. 69 cost. l’indennità parlamentare spetta solo ai deputati, e non più a senatori (sul
presupposto che questi ultimi godano già di un trattamento indennitario in qualità di consiglieri regionali
o di sindaci).
Si costituzionalizza poi per i membri del Parlamento il dovere di partecipare alle sedute dell'Assemblea e
ai lavori delle Commissioni.
Il regolamento interno del Senato potrà stabilire i casi in cui l’elezione o la nomina alle cariche negli organi
del Senato possono essere limitate in ragione dell’esercizio di funzioni di governo regionali o locali (art.63).
Il nuovo art. 67 Cost. elimina la previsione in base alla quale tutti i membri del Parlamento rappresentano
la Nazione. La rappresentanza della Nazione è posta in capo infatti ai soli deputati, mentre si mantiene
anche per i membri del Senato il divieto di mandato imperativo.
Va infine sottolineato che i senatori mantengono il diritto di iniziativa legislativa anche per le materie
per le quali non è previsto il procedimento bicamerale (art. 71, primo comma).
Il nuovo sistema elettorale della Camera dei Deputati
Il superamento del bicameralismo perfetto si intreccia con la riforma del sistema elettorale della Camera,
già varata nel corso del 2015 dal Parlamento che si applicherà non prima del 1° luglio 2016. Infatti la
riforma elettorale non ha riguardato l’elezione del Senato, sul presupposto che nel frattempo venisse
portata a termine la riforma costituzionale per il superamento del bicameralismo perfetto.
La legge 6 maggio 2015, n. 52 è stata approvata dal Parlamento per adeguare la legge elettorale della
Camera alla sentenza della Corte cost. 1/2014, che ha dichiarato incostituzionali, per violazione dell’art.
3 cost., le disposizioni delle leggi elettorali di Camera e Senato che attribuivano il premio di maggioranza
alla coalizione di liste vincente, senza subordinare l’attribuzione di tale premio al raggiungimento di una
soglia minima di voti. Un tale meccanismo di attribuzione del premio è apparso alla Corte
manifestamente irragionevole, tale da determinare una “una eccessiva divaricazione tra la composizione
dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della
forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il
voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1,
secondo comma, Cost.”. Con la stessa sentenza la Corte ha dichiarato illegittime, per violazione dell’art. 48
cost., in quanto limitative della libertà di voto, le disposizioni delle leggi elettorali di Camera e Senato che
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Si noti che la Camera nella I lettura ha sostituito la parola “nei” con “dai”.
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disciplinavano l’espressione del voto, escludendo il voto di preferenza per i singoli candidati e prevedendo
solo il voto di lista.
La soluzione adottata dalla legge 52/2015 prevede l’attribuzione dei seggi che compongono la Camera,
esclusi quelli spettanti alla circoscrizione Estero5, in proporzione alla rispettiva popolazione, a 20
circoscrizioni (una per regione), a sua volta suddivise in 100 collegi plurinominali (con un minimo di 3 e un
massimo di 9 seggi), con eccezione delle circoscrizioni Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e Trentino-Alto
Adige/Südtirol, in cui i collegi sono uninominali6; la presentazione di liste di candidati in ciascun collegio
in ordine alternato per sesso, senza alcuna possibilità di formare coalizione di liste (a differenza della
precedente disciplina); una soglia di sbarramento di lista su base nazionale del 3 per cento, ovvero, per le
liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una regione
ad autonomia speciale il cui statuto preveda una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, del
20 per cento dei voti validi espressi nella regione medesima; una ripartizione proporzionale dei seggi tra
le liste, con l’eventuale attribuzione del premio di maggioranza, se nessuna lista ottiene almeno 340 seggi:
il premio consiste nell’attribuzione dei seggi che mancano per arrivare a tale soglia e va alla lista che al
primo turno ha ottenuto almeno il 40 per cento dei voti o che risulta vincente nel secondo turno di
ballottaggio, esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione.
Nell’ambito di ogni lista i seggi spettanti a ciascuna circoscrizione e collegio sono attribuiti in primo luogo
ai capilista dei collegi e quindi in base al numero delle preferenze ottenute dai candidati: ogni elettore
infatti ha diritto di esprimere fino a due voti di preferenza, con l’unico obbligo, qualora esprima due
preferenze, di differenziare il sesso del secondo candidato prescelto.
La legge contiene anche una clausola di differimento della sua operatività al 1° luglio 2016, finalizzata a
consentire che nel frattempo entri in vigore la riforma costituzionale di superamento del bicameralismo
perfetto, sancendo così la stretta correlazione tra le due riforme, quella costituzionale e quella elettorale.
Il controllo di costituzionalità preventivo sulle leggi elettorali di Camera e Senato
La riforma introduce nell’ordinamento questo inedito istituto tendente a consentire a una minoranza
qualificata di Camera o Senato l’attivazione di un controllo di costituzionalità preventivo (prima della
promulgazione che quindi è condizionata all’esito positivo del giudizio) sulle leggi elettorali di Camera e
Senato. Tali leggi, in base al nuovo art. 73, possono essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al
giudizio preventivo di legittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale su ricorso motivato
presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera dei deputati o almeno un terzo dei
componenti del Senato della Repubblica, entro dieci giorni dall'approvazione della legge, prima dei quali
la legge non può essere promulgata. La Corte costituzionale si pronuncia entro il termine di trenta giorni
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Si ricorda che, in base all’art. 56 cost., 12 seggi spettano alla circoscrizione Estero.
La delimitazione dei 100 collegi è stata operata con il decreto legislativo 7 agosto 2015, n. 122, nel rispetto dei criteri della
delega contenuta nella legge 52/2015, tra cui il criterio secondo cui nella circoscrizione Friuli Venezia Giulia è stabilita
l'esigenza che uno dei collegi plurinominali sia costituito in modo da favorire l'accesso alla rappresentanza dei candidati
espressione della minoranza linguistica slovena: per la circoscrizione Friuli Venezia Giulia sono stati delimitati 2 collegi: il 601
e il 602, il primo comprende il territorio della provincia di Pordenone e il territorio della provincia di Udine, esclusa la parte di
territorio inserita nel collegio 602; il secondo (il 602) che comprende il territorio delle province di Trieste e di Gorizia; il territorio
dei comuni di Chiusaforte, Resia, Malborghetto Valbruna e Tarvisio, del collegio uninominale di Gemona del Friuli della
provincia di Udine; il territorio dei comuni di Attimis, Cividale del Friuli, Drenchia, Faedis, Grimacco, Lusevera, Moimacco, Nimis,
Prepotto, Pulfero, San Leonardo, San Pietro al Natisone, Savogna, Stregna, Taipana e Torreano, del collegio uninominale di
Cividale del Friuli della provincia di Udine; il territorio dei comuni di Corno di Rosazzo, Manzano, Premariacco, San Giovanni al
Natisone, del collegio uninominale di Codroipo della provincia di Udine; il territorio del collegio uninominale di Cervignano del
Friuli della provincia di Udine. Ove si riferisce ai collegi uninominali, il decreto intende far riferimento alle delimitazioni operate
dal d.lgs. 356/1993.
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e, fino ad allora, resta sospeso il termine per la promulgazione della legge. In caso di dichiarazione di
illegittimità costituzionale, la legge non può essere promulgata.
La disciplina transitoria (art. 39, comma 11), consente, di attivare un controllo straordinario successivo
di costituzionalità (in quanto riguardante leggi in vigore) anche nei confronti delle leggi elettorali di
Camera e Senato approvate in questa legislatura (e quindi la legge 52/2015 e eventualmente la futura
legge elettorale per il Senato), con le stesse modalità, con l’unica differenza che il termine per proporre il
ricorso è fissato in dieci giorni dalla data di entrata in vigore delle legge costituzionale (per la legge
elettorale della Camera), ovvero in dieci giorni dalla data di entrata in vigore della nuova legge elettorale
del Senato.
Gli effetti del bicameralismo imperfetto sulla forma di governo e sul procedimento
legislativo statale
Il superamento del bicameralismo perfetto nel nuovo assetto costituzionale comporta in primo luogo che
solo il Governo deve avere la fiducia solo della Camera e che solo questa può essere sciolta ove si
determina una crisi del rapporto fiduciario e non sia possibile formare una nuova maggioranza (vedi nuovo
art. 88, cost).
Infatti la riforma costituzionale non modifica la forma di governo parlamentare: anche se rimane in
vigore, nella legge elettorale della Camera, l’obbligo per i partiti o i gruppi politici organizzati che si
candidano a governare di depositare il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome
della persona da loro indicata come “capo della forza politica”, resta ferma la prerogativa del Presidente
della Repubblica di nominare il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri, ai
sensi dell’art. 92 cost.
Inoltre il bicameralismo imperfetto incide in modo significativo sul procedimento di formazione delle
leggi.
La funzione legislativa infatti spetta alla Camera dei Deputati, salvo i casi tassativi espressamente previsti
dal nuovo art. 70, primo comma, cost.), in cui la funzione è esercitata collettivamente dalle due camere
(cd. procedimento bicamerale) e cioè:
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le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali
le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze
linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71,
le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni
fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme
associative dei Comuni,
la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla
formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea,
la legge che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui
all’articolo 65, primo comma,
le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma (elezione del Senato),
le leggi di cui all’art. 80, secondo periodo (leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi
all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea),
la legge di cui all’art. 114, terzo comma (ordinamento di Roma capitale),
la legge di cui all’art. 116, terzo comma (attribuisce alle regioni forme di autonomia differenziate
nelle materie ivi indicate),
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la legge di cui all’art. 117, nono comma (legge sul potere estero delle regioni),
la legge di cui all’art. 119, sesto comma (legge sul patrimonio degli enti territoriali),
la legge di cui all’art. 120, secondo comma (legge che disciplina il potere sostitutivo del Governo
e l’esclusione dalle funzioni di amministratori regionali e locali che hanno causato il dissesto
finanziario dei loro enti),
la legge di cui all’art. 122, primo comma (legge quadro sulle elezioni regionali), e
la legge di cui all’art. 132, secondo comma (leggi di variazione del territorio delle regioni).
Il nuovo art. 70, primo comma, istituisce quindi una riserva di legge bicamerale: ciò comporta che in tali
materie le leggi (che devono avere un oggetto proprio e quindi non possono essere inserite in
provvedimenti eterogenei) possono essere approvate (o abrogate, modificate o derogate) solo con il
procedimento bicamerale. Inoltre esse possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma
espressa, il che rende illegittima qualsiasi abrogazione, modifica o deroga implicita, operata quindi in sede
interpretativa. Il Governo può utilizzare il potere di decretazione d’urgenza anche per le materie riservate
alla legge bicamerale: in tal caso il decreto legge deve essere presentato per la conversione alla Camera
(art. 77, secondo comma).
Rispetto al testo del Governo, prima il Senato e poi la Camera hanno notevolmente ampliato l’elenco
delle leggi bicamerali, accogliendo con ciò, almeno in parte, i rilievi della Conferenza dei Presidenti delle
Assemblee: si ricorda infatti che il testo del Governo considerava leggi bicamerali solo le leggi
costituzionali e di revisione costituzionale.
In tutti gli altri casi la funzione legislativa spetta alla Camera (cd. procedimento monocamerale) e il
Senato può solo proporre modifiche ai disegni di legge già approvati in prima lettura dalla Camera stessa.
Infatti il Senato può, su richiesta di un terzo dei componenti entro dieci giorni dalla trasmissione della
deliberazione della Camera di approvazione di un disegno di legge, disporne l’esame (potere di
“richiamo”), per proporre eventuali modifiche entro i successivi trenta giorni, su cui la Camera deve
pronunciarsi con una seconda e definitiva lettura, nella quale essa non è vincolata in alcun modo ad
accogliere le modifiche proposte del Senato. Solo per le leggi con cui lo Stato si avvale della cd. clausola
di supremazia (art. 117, quarto comma, cost.), l’esercizio del potere di richiamo comporta un
aggravamento procedurale, in quanto, per non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato, la
Camera deve raggiungere nella votazione finale il quorum della maggioranza assoluta dei suoi
componenti. Se invece il Senato non esercita il potere di richiamo, la legge è promulgata senza un nuovo
passaggio alla Camera.
Eventuali questioni di competenza (in particolare sul procedimento da seguire, se bicamerale o
monocamerale), sollevate in uno nei due rami del Parlamento, secondo le norme dei rispettivi
regolamenti, saranno decise dai Presidenti delle Camere, d’intesa tra loro.
Non occorre che il Senato eserciti un potere di richiamo per leggi di approvazione del bilancio: in tal caso
infatti le leggi approvate dalla Camera dei deputati sono in ogni caso esaminate dal Senato della
Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della
trasmissione.
Termini particolari sono previsti per i disegni di legge di conversione dei decreti leggi nelle materie non
riservate alle leggi bicamerali (cd. decreti-legge monocamerali): il termine per esercitare il potere di
richiamo è di trenta giorni dalla presentazione del ddl di conversione alla Camera e quello per proporre
eventuali modifiche è di dieci giorni dalla data di trasmissione del disegno di legge di conversione.
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Un altro potere, che viene attribuito al Senato nell’ambito dei procedimenti monocamerali, è quello di
richiedere, con una deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, alla Camera dei
deputati di procedere all'esame di un disegno di legge. In tal caso, la Camera dei deputati procede
all'esame e si pronuncia entro il termine di sei mesi dalla data della deliberazione del Senato della
Repubblica.
Il Governo in Parlamento e i nuovi limiti alla decretazione d’urgenza
Il ruolo del Governo in Parlamento è oggetto di riforma in connessione al procedimento legislativo e alla
decretazione d’urgenza.
Si rafforza la posizione del Governo nella definizione dell’agenda dei lavori parlamentari. Viene istituita la
procedura di esame con voto a data certa per i disegni di legge indicati come essenziali per
l’attuazione del programma di governo (art. 72, settimo comma). Il Governo può chiedere alla Camera
di deliberare entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge qualificato come tale sia iscritto
con priorità all'ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati
entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione. Tale procedura non può essere utilizzata per le leggi
bicamerali, le leggi in materia elettorale, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, le
leggi di amnistia e indulto e la legge rinforzata di cui all’art. 81, sesto comma. Tale procedura comporta
inoltre il dimezzamento dei termini posti al Senato per l’esercizio del potere di richiamo. Il termine può
essere differito, di non oltre quindici giorni, in relazione ai tempi di esame da parte della commissione
nonché alla complessità del disegno di legge. Il regolamento della Camera dei deputati dovrà stabilire le
modalità e i limiti del procedimento, anche per assicurare l’omogeneità del disegno di legge.
A controbilanciare questo rafforzamento della posizione del Governo in Parlamento, nella definizione dei
tempi di approvazione dei disegni di legge, la riforma pone limiti alla decretazione d’urgenza, al fine di
contrastarne l’abuso, attraverso la costituzionalizzazione dei limiti oggi previsti solo dalla legge ordinaria
e dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
Il potere di decretazione d’urgenza non potrà più essere esercitato in alcune materie: in materia
costituzionale ed elettorale, con esclusione, per la materia elettorale, della disciplina dell’organizzazione
del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezione; non può essere usato per la delegazione
legislativa e per l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e per le leggi di approvazione di bilanci
e consuntivi.
Il Governo non può reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge e regolare i rapporti
giuridici sorti sulla base dei medesimi; né ripristinare l'efficacia di norme di legge o di atti aventi forza di
legge che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi per vizi non attinenti al procedimento.
I decreti legge dovranno recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e
corrispondente al titolo; inoltre nel corso dell'esame di disegni di legge di conversione dei decreti legge
non possono essere approvate disposizioni estranee all'oggetto o alle finalità del decreto.
Le innovazioni riguardanti gli istituti di partecipazione popolare alla funzione legislativa
La riforma costituzionale introduce anche alcune modifiche agli istituti di partecipazione popolare alla
funzione legislativa:
 per quanto riguarda le proposte di legge di iniziativa popolare si porta da 50 mila a 150 mila il
numero di elettori necessari per la presentazione, ma nel contempo si prevede che i regolamenti
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parlamentari debbano prevedere delle garanzie sui tempi di discussione e deliberazione
conclusiva su tali proposte;
 si introducono i nuovi istituti del referendum popolare propositivo e del referendum di
indirizzo, demandandone la definizione di condizioni ed effetti ad una apposita legge
costituzionale;
 si modifica il quorum di partecipazione al referendum abrogativo, qualora la richiesta sia
stata avanzata da almeno 800 mila elettori: in tal caso il quorum non è più la maggioranza degli
aventi diritto ma la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati.
3. Il nuovo ordinamento costituzionale delle autonomie territoriali
Abolizione delle Province e nuova articolazione della Repubblica
Uno dei capisaldi dell'intervento di riassetto dei livelli territoriali di governo disposto dalla nuova riforma
del Titolo V è costituito dall'eliminazione delle Province dal novero degli enti di cui si compone la
Repubblica. Nel contempo si elimina dalla Costituzione qualunque menzione delle Province, strutturando
l’articolazione della Repubblica sullo Stato, le Regioni, i Comuni e le Città metropolitane, quali uniche
autonomie territoriali di rilievo costituzionale.
Come è noto, posto che tali modifiche non avrebbero alcun effetto per i territori delle regioni ad
autonomia speciali i cui statuti contemplano le province quali enti necessari, il Consiglio regionale ha
proposto al Parlamento una revisione dello statuto speciale che si muove sulla stessa direttrice di riforma
e che attualmente è all’esame della Camera (vedi par. 3).
In concomitanza con la soppressione delle Province quali enti territoriali, viene abrogato il procedimento
per il distacco della Provincia e la sua annessione ad altra Regione. Rimane invariata la procedura per il
distacco dei Comuni e viene abrogato l’art. 133 Cost., che disciplinava il mutamento delle circoscrizioni
provinciali.
Il regionalismo differenziato di cui al terzo comma dell’art. 116 Cost.
Il ddl governativo proponeva di abrogare il terzo comma dell’art. 116 cost., aggiunto dalla riforma del 2001
e mai applicato, che prevede la possibilità di introdurre forme e condizioni particolari di autonomia ad
altre Regioni (cd. regionalismo differenziato o “a geometria variabile”).
Durante l’iter parlamentare la disposizione è stata ripristinata con riferimento alle seguenti materie:
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organizzazione della giustizia di pace,
disposizioni generali e comuni per le politiche sociali,
disposizioni generali e comuni sull'istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e
programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica;
politiche attive del lavoro e all'istruzione e formazione professionale,
commercio con l'estero;
tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente e ecosistema; ordinamento
sportivo; disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo;
governo del territorio,
Il testo novellato introduce inoltre la condizione che la Regione sia in equilibrio di bilancio affinché possa
ottenere l’attribuzione delle ulteriori funzioni nella materie anzidette.
12
Si rafforza così un modello di regionalismo “a velocità variabile”, che consente alle Regioni che hanno già
dimostrato di saper governare virtuosamente, essendo in equilibrio di bilancio, di acquisire ulteriori
funzioni legislative e amministrative. Funzioni che invece vengono riaccentrate allo Stato per le altre
Regioni.
Questa attribuzione, come nel testo oggi vigente, è effettuata con legge dello Stato, anche su richiesta
della Regione interessata (non più solo su iniziativa della stessa), sentiti gli enti locali e nel rispetto dei
principi di cui all'articolo 119. La legge che attribuisce queste ulteriori forme di autonomia resta una legge
bicamerale rinforzata, in quanto deve essere preceduta da un'apposita intesa tra lo Stato e la Regione
interessata.
Il nuovo riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni (ordinarie)
Quasi a fare da contraltare al nuovo modello di rappresentanza delle autonomie territoriali nel nuovo
Senato, il nuovo riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni (ordinarie) porterà ad un
riaccentramento della funzione legislativa con una notevole estensione delle materie di competenza
esclusivamente statale, con l’abolizione delle potestà legislativa concorrente e con l’introduzione di un
nuovo elenco di competenze regionali “nominate”.
Il disegno di legge prevede un'ampia revisione e razionalizzazione delle competenze legislative: la
principale innovazione è costituita dall'eliminazione della competenza legislativa concorrente, dal
conseguente riassetto delle materie di competenza esclusiva, rispettivamente statale e regionale,
aggiungendo alla competenza regionale residuali, già prevista nell’art. 117 vigente, talune competenze
regionali enumerate.
Infine, in base alla “clausola di supremazia” che si pone a chiusura del sistema, la legge statale, su
proposta del Governo, può intervenire in particolari casi su materie che non sono di competenza
legislativa esclusiva dello Stato ai fini della “tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica”,
nonché della “tutela dell'interesse nazionale”.
La potestà legislativa esclusiva statale
La legislazione esclusiva statale è stata, come detto, notevolmente ampliata rispetto all’art. 117 vigente.
Le nuove materie di esclusiva competenza statale sono le seguenti:
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mercati assicurativi
promozione della concorrenza (e non solo tutela della stessa);
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario
norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche tese ad assicurarne l'uniformità sul territorio nazionale;
disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza
alimentare
disposizioni generali e comuni sull'istruzione;
ordinamento scolastico;
istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica;
previdenza complementare e integrativa;
tutela e sicurezza del lavoro; politiche attive del lavoro;
disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale
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ordinamento di Comuni e Città metropolitane (e non solo la legislazione elettorale, organi di
governo e funzioni fondamentali)
disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni;
commercio con l’estero;
coordinamento dei processi e delle relative infrastrutture e piattaforme informatiche
dell'amministrazione statale, regionale e locale;
valorizzazione (e non solo tutela) dei beni culturali e paesaggistici;
ordinamento sportivo;
disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo;
ordinamento delle professioni e della comunicazione;
disposizioni generali e comuni sul governo del territorio;
sistema nazionale e coordinamento della protezione civile;
produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell'energia;
infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione d’interesse nazionale e
relative norme di sicurezza;
porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale.
Questo lungo elenco comprende gran parte delle materie che ora sono di competenza concorrente o
esclusiva regionale.
Tuttavia questo riaccentramento di competenze è attenuato da due elementi:
1) in primo luogo alcune delle materie di competenza concorrente restano sostanzialmente tali, in quanto
la competenza esclusiva statale è limitata alle disposizioni “generali e comuni”, (così le materie del
governo del territorio, della istruzione e formazione professionale, della tutela della salute, delle politiche
sociali, della sicurezza alimentare, che vanno ad aggiungersi alla materia dell’istruzione, per la quale già
vige questo riparto di competenze); mentre del tutto nuova è la potestà di dettare disposizioni generali e
comuni sulle attività culturali e sul turismo;
2) in secondo luogo per le infrastrutture strategiche, le grandi reti di trasporto e di navigazione, i porti e
aeroporti civili, il riaccentramento è limitato dall’interesse nazionale o internazionale
dell’infrastruttura, lasciando quindi alle regioni le infrastrutture di interesse sub-nazionale.
La potestà legislativa esclusiva regionale residuale
Il nuovo terzo comma dell’art. 117 Cost. introduce un elenco di materie espressamente riservate alle
Regioni (che si affianca così alla potestà legislativa residuale innominata):
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rappresentanza delle minoranze linguistiche,
pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno,
dotazione infrastrutturale,
programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali,
promozione dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito regionale dei servizi alle
imprese e della formazione professionale;
servizi scolastici, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, ,
promozione del diritto allo studio, anche universitario;
disciplina, per quanto di interesse regionale, delle attività culturali,
promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici,
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
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valorizzazione e organizzazione regionale del turismo,
regolazione, sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale, delle relazioni finanziarie
tra gli enti territoriali della Regione per il rispetto degli obiettivi programmatici regionali e locali di
finanza pubblica.
La clausola di supremazia
In base a tale clausola il Governo può proporre alla Camera di approvare una legge che intervenga in
materie o funzioni non riservate alla legislazione esclusiva, ma solo se lo richieda la necessità di tutelare
l'unità giuridica o economica della Repubblica, oppure l'interesse nazionale (che così ricompare nel testo
costituzionale).
Potestà regolamentare di Comuni e Città metropolitane
L’unica novità sostanziale, che supera un dubbio che era stato sollevato dalla dottrina, è la chiara
collocazione nel sistema delle fonti dei regolamenti di Comuni e Città metropolitane, posto che la loro
potestà regolamentare deve essere esercitata “nel rispetto della legge statale o regionale”: i regolamenti
dei Comuni e delle Città metropolitane quindi si collocano ad un livello gerarchicamente inferiore a quello
della legge, anche quando disciplinano l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Costituzionalizzazione dei principi di semplificazione e trasparenza
Con la novella all’articoli 97 viene costituzionalizzato il principio di trasparenza dell’amministrazione
pubblica, mentre il nuovo art. 118 cost. che riguarda le funzioni amministrative agli enti territoriali,
costituzionalizza i principi di semplificazione e trasparenza dell’azione amministrativa, che dovranno
essere perseguiti “secondo criteri di efficienza e responsabilità degli amministratori”.
Costituzionalizzazione dei costi e fabbisogni standard
Un'ulteriore innovazione è la costituzionalizzazione dei costi e fabbisogni standard, già previsti dalla legge
n. 42 del 2009: il nuovo art. 119, quarto comma, prevede che con legge dello Stato siano definiti “indicatori
di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza nell’esercizio delle medesime
funzioni”. Tali indicatori serviranno perciò a quantificare le risorse derivanti dalle fonti ordinarie di
finanziamento previste dall’art. 119, commi secondo (tributi propri e compartecipazioni ai tributi erariali)
e terzo (fondo perequativo) destinate ad assicurare il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche dei
Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni.
Potere sostitutivo del Governo: obbligo di acquisizione del parere del Senato e potere di
escludere gli amministratori regionali e locali dalle loro funzioni
Il nuovo art. 120, secondo comma, prevede che ai fini dell'esercizio del potere sostitutivo, il Governo deve
acquisire, salvi casi di motivata urgenza, il parere del Senato, che deve essere reso entro quindici giorni.
La riforma introduce poi una nuova forma di sanzione nei confronti degli amministratori regionali e locali
(accanto a quelle previste dall’art. 126): nei casi previsti dalla legge il Governo avrà il potere di “esclusione
dei titolari di organi di governo regionali e locali dall'esercizio delle rispettive funzioni quando è stato accertato
lo stato di grave dissesto finanziario dell'ente”.
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Limite agli emolumenti spettanti al Presidente della Giunta regionale e agli altri membri
degli organi regionali
La riforma dispone inoltre che, nell'ambito della legge statale recante i principi fondamentali per l'elezione
degli organi regionali, venga stabilito un limite agli emolumenti spettanti al Presidente della Giunta
regionale e agli altri membri degli organi regionali, il cui importo non potrà superare quello degli
emolumenti spettanti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione.
Promozione dell’equilibrio tra i generi nella rappresentanza degli organi di governo delle
Regioni
Si introduce un nuovo contenuto alla legge quadro statale sul sistema di elezione degli organi regionali:
essa dovrà infatti anche stabilire i principi fondamentali per promuovere l'equilibrio tra donne e uomini
nella rappresentanza.
Potere di scioglimento dei Consigli regionali e di rimozione del Presidente della Giunta
regionale: obbligo di acquisire il parere del Senato
Si introduce all’art. 126 Cost. il previo parere del Senato della Repubblica al decreto motivato con cui il
Presidente della Repubblica dispone lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente
della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge.
Divieto di trasferimenti a carico della finanza pubblica a favore dei gruppi consiliari
L’art. 40 (recante disposizioni finali) al comma 2 prevede che “Non possono essere corrisposti rimborsi o
analoghi trasferimenti monetari recanti oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici
presenti nei Consigli regionali.” Poiché la disposizione di rango costituzionale è collocata al di fuori del capo
IV del ddl, è da ritenere che per essa non operi la clausola di salvaguardia di cu all’art. 39, comma 13 per
le autonomie speciali.
4. Clausola di salvaguardia della specialità, principio dell’intesa e ipotesi
macroregionaliste
A fronte del ridimensionamento degli spazi di autonomia regionale previsto dal nuovo titolo V, era
impensabile una clausola di maggior favore, come quella contenuta nella legge di riforma del titolo V
(legge cost. 3 del 2001). La clausola di salvaguardia della specialità, in questa riforma, di cui all’art. 39,
comma 13, prevede, al contrario, la non applicazione delle modifiche al titolo della parte II (contenute nel
capo IV del ddl) alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano “fino alla
revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome”7,.
Tale clausola, presente nel ddl del Governo, è stata ulteriormente rafforzata nel corso dell’iter
parlamentare: dopo che il Senato in I lettura aveva introdotto il principio dell’intesa per l’adeguamento
degli statuti, in attesa del quale le parti della riforma che riscrivono il titolo V non si applicano alle Regioni
7
Su tale clausola vedi tra gli altri AMBROSI A., Riforma del titolo V Cost. e autonomie differenziate: il difficile tentativo di
separare la strada delle Regioni ordinarie da quella delle Regioni speciali e delle Province autonome, in Le Regioni, 1/2015, pp.
177-186 e BARONCELLI S., Il disegno di riforma costituzionale Renzi-Boschi e i suoi riflessi sulle autonomie speciali fra
tendenze centralistiche, clausola di maggior favore e principio dell’intesa, in Osservatorio delle fonti.it 1/2015.
16
a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, sempre il Senato, in II lettura, con un
emendamento di Zeller e altri ha sostituito il termine “adeguamento” con quello, più neutro, di “revisione”.
Va colto con attenzione il senso di tale clausola, posto che essa opera, appunto, “fino alla revisione degli
statuti”, mentre dopo saranno gli “statuti revisionati” a rappresentare l’unico strumento di tutela della
specialità ed essi dovranno essere applicati in combinato disposto con il nuovo titolo V in base al criterio
interpretativo della specialità (secondo cui la legge speciale deroga a quella generale). Si dovrà porre
perciò molta attenzione, in sede di revisione, a evitare che lacune nel testo statutario lascino penetrare
nell’ordinamento della Regione le nuove norme generali del titolo V riduttive dell’autonomia regionale ma
ritenute compatibili con il testo statutario (si pensi a quanto è avvenuto con la competenza concorrente
dello Stato in materia di coordinamento della finanza pubblica o con la competenza esclusiva statale nelle
materie “trasversali”).
L’attuazione del principio dell’intesa in sede di revisione degli statuti introdotto dalla riforma richiederà
una specificazione che ne chiarisca le modalità procedurali e ciò necessita di una apposita legge di
attuazione preferibilmente di rango costituzionale. A tal fine il Governo, nella persona del Sottosegretario
agli Affari regionali, On. Bressa, ha avviato, a partire da un incontro svoltosi il 18 giugno con i Presidenti
delle Regioni speciali e delle Province autonome, un confronto sulle procedure di revisione degli Statuti
speciali. Il tavolo tecnico, istituito per predisporre le bozze del ddl, ha concluso i lavori il 30 agosto (vedi
infra par. 4).
La clausola di salvaguardia si è inoltre arricchita nella II lettura del Senato di alcuni contenuti di maggior
favore per le autonomie speciali: in particolare la possibilità di applicare nei loro confronti le forme di
regionalismo differenziato o asimmetrico di cui all’art. 116, terzo comma (applicabilità finora esclusa
dalla dottrina prevalente). Fino alla revisione degli statuti, sarà applicabile l’art. 116, terzo comma, nel
testo previgente (con esclusione delle materie di cui all’art. 117, terzo comma, cioè quelle concorrenti);
dopo la revisione, l’art. 116, terzo comma, come novellato dalla riforma: pertanto, fin dall’entrata in vigore
della riforma, le autonomie speciali potranno chiedere che con legge rinforzata siano attribuite loro
ulteriori forme e condizioni di autonomia in materia di organizzazione della giustizia di pace, di istruzione,
di tutela dell’ambiente, del paesaggio e dei beni culturali (elenco destinato ad ampliarsi dopo la revisione
statutaria, posto che il nuovo art. 116, terzo comma, contempla ulteriori materie di competenza statale).
La norma finale di cui all’art. 39, comma 13, riguarda anche l’esercizio del potere sostitutivo del
Governo di cui all’art. 120, secondo comma, cost., nei confronti delle autonomie speciale e sancisce che
resta ferma la disciplina vigente prevista dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione “ai fini
di quanto previsto dall’articolo 120 della Costituzione”: con ciò intendendo che il potere sostitutivo può
essere esercitato anche nei confronti delle autonomie speciali, ma tale potere va esercitato nel rispetto
di quanto previsto dalle vigenti disposizioni dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione (ad
es. la partecipazione del Presidente della Regione alla riunione del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art.
44 dello statuto).
Nel complesso può dirsi che il bilancio per l’autonomia speciale è positivo: la riforma sostanzialmente
lascia inalterati gli spazi di autonomia delle Regioni a statuto speciale raggiunti con la riforma del 2001,
estende alle autonomie speciali la possibilità di ampliare le forme di autonomia con il meccanismo
dell’art. 116, terzo comma, e introduce il principio dell’intesa, che rafforza la loro posizione nella procedura
di revisione degli statuti.
17
Nel dibattito svoltosi al Senato sono tuttavia riapparsi, anche se nella forma blandamente impegnativa
dell’ordine del giorno, indirizzi politici volti a considerare con favore ipotesi macroregionaliste di
fusione/riduzione delle regioni: dopo l’ordine del giorno passato alla Camera (primo firmatario Paolo
Russo), anche il Senato (con l’odg Ranucci), accolto dal Governo con alcune modifiche che ne hanno
temperato i contenuti, ha confermato tale indirizzo favorevole ad una riduzione del numero delle Regioni.
Si ricorda poi che il Ministro per gli affari regionali e le autonomie ha istituto con decreto del 29/12/2014
una commissione di studio (integrata con alcuni componenti l’8 gennaio 2015). Il termine per il deposito
della relazione finale è stato prorogato al 30 giugno 2015, ma finora la relazione non è stata pubblicata
sul sito del Governo. La Commissione ha il compito di considerare l’adeguatezza dell’attuale delimitazione
territoriale delle Regioni sotto diversi profili (costituzionale, amministrativo, territoriale, sociale, storico,
geografico, istituzionale, economico), anche valutando la fattibilità di accorpamenti tra più regioni o altre
forme di coordinamento operativo e gestionale.
5. Il contributo della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee regionali
all’elaborazione della riforma
La Conferenza dei Presidenti delle Assemblee regionali ha svolto un’intensa opera di sensibilizzazione,
tesa a valorizzare il ruolo e le funzioni del nuovo Senato e le competenze legislative regionali. Nel corso
della audizione svolta davanti la Commissioni affari costituzionali del Senato il 10 settembre 2015, la
Conferenza ha prodotto una memoria cui hanno fatto seguito delle proposte emendative inviate alla
Presidente della Commissione. Si è trattato di proposte, in parte accolte8, tendenti, da una parte, a
rafforzare il ruolo del Senato (estendendo ad esempio le materie riservate alle leggi bicamerali, riservando
ad esso alcune funzioni esclusive, ad es. in tema di valutazione delle politiche pubbliche e ripristinando la
funzione di nomina di alcuni membri della Corte costituzionale), dall’altra a ripristinare il riparto delle
competenze legislative nel testo approvato in I lettura del Senato (sopprimendo l’attribuzione allo Stato
di materie, quali la promozione della concorrenza, le disposizioni generali e comuni per le politiche sociali,
le disposizioni comuni sull’istruzione e formazione professionale e le politiche attive del lavoro).
Il progetto di iniziativa del Consiglio del FVG di modifica dello
Statuto speciale per l’abolizione delle Province
1. Lo stato dell’iter parlamentare e i prossimi sviluppi
Il 30 gennaio 2014 il Consiglio regionale ha approvato la proposta di legge costituzionale di modifica dello
statuto speciale (PDLN n. 1/XI leg), che è stata trasmessa alle due Camere il 6 febbraio successivo. La
proposta fu approvata con una larga maggioranza trasversale (37 consiglieri su 49) e, accanto al voto
favorevole della maggioranza di centro-sinistra, essa ha trovato l’adesione anche di parte
dell’opposizione.
8
Le proposte che hanno trovato accoglimento con l’approvazione di appositi emendamenti in aula riguardano l’esclusività
della nuova funzione senatoriale di valutazione delle politiche pubbliche, l’attribuzione al Senato del potere di nomina di due
membri della Corte costituzionale, e, in parte, l’ampliamento delle materie per le quali si può introdurre forme di regionalismo
differenziato ex art. 116 terzo comma cost.
18
L’esame è stato avviato in prima lettura dal Senato, ove è stato assegnato alla 1ª Commissione
permanente (Affari Costituzionali), in sede referente (atto Senato S.1289). A tale progetto è stato
abbinato il progetto di analogo contenuto di iniziativa del sen. Pegorer (S.77) presentato in data 15
marzo 2013.
Si ricorda che il 5 febbraio 2015, il Consiglio regionale (con Delibera n. 21 approvata a maggioranza) ha
espresso parere favorevole condizionato9 su quest’ultimo disegno di legge.
Il 4 febbraio 2015 la Commissione affari costituzionali del Senato ha avviato l’esame abbinato dei due
progetti e, dopo aver svolto una serie di audizioni informali nelle sedute del 17, 18 e 26 febbraio 2015, ha
iniziato la discussione congiunta dei due progetti, adottando come testo base il progetto di iniziativa del
Consiglio regionale.
Sui progetti di legge e sui relativi emendamenti ha espresso parere la Commissione Bilancio (sotto il
profilo della copertura finanziaria), nonché la Commissione per le questioni regionali.
L’esame referente si è concluso il 6 maggio 2015: la Commissione ha conferito al relatore Russo il
mandato a riferire favorevolmente in Assemblea per l'approvazione del disegno di legge costituzionale n.
1289, come modificato, con proposta di assorbimento del connesso disegno di legge costituzionale n. 77.
Il relatore ha depositato la relazione in data 12 maggio 2015 (S.1289 e 77-A).
Il 7 luglio 2015, l’Assemblea del Senato ha approvato in I lettura, con modificazioni, la proposta di
iniziativa consiliare, trasmessa alla Camera e assegnata alla I Commissione permanente (C. 3224), che
nella seduta del 13 ottobre ne ha iniziato l’esame (affidando al sen. Gigli le funzioni di relatore che ha
illustrato il provvedimento). Nelle sedute del 10 e del 15 dicembre la Commissione ha svolto un’audizione
informale, rispettivamente, della Presidente della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Debora
Serracchiani, e del Presidente del Consiglio regionale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia,
Franco Iacop. Ad oggi la proposta è ancora in corso di esame da parte della Commissione.
Nelle audizioni i rappresentanti della Regione, anche in relazione alla mozione approvata dal Consiglio
regionale il 9 settembre 2015, hanno caldeggiato una rapida approvazione della proposta di legge
costituzionale, senza introdurre ulteriori modifiche che ne rallenterebbero l’iter.
2. I principali contenuti della proposta e le modifiche apportate in I
lettura dal Senato
Il contenuto principale della proposta consiliare, che anticipava allora uno dei punti della riforma
costituzionale del Governo Renzi del successivo 8 aprile 2014, è dato dall’abolizione delle province: il
progetto di legge proposto dal Consiglio regionale è diretto infatti ad espungere dallo Statuto ogni
riferimento alle Province, attribuendo alla Regione il potere di sopprimere con propria legge tale livello di
governo, al fine di definire un nuovo modello istituzionale regionale, in cui, come si legge nella relazione
accompagnatoria, “i livelli essenziali dei servizi resi alla comunità possano essere meglio garantiti da
aggregazioni territoriali in grado di contemperare il principio di sussidiarietà con quelli dell’adeguatezza e
9
La deliberazione ha espresso “<<parere favorevole a condizione che le disposizioni del disegno di legge costituzionale n. 77,
d’iniziativa del senatore Pegorer, “Modifiche allo Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale
31 gennaio 1963,n. 1, in materia di ordinamento degli enti locali della regione” non corrispondenti a quelle contenute nel disegno
di legge di iniziativa consiliare (Atto del Senato 1289) siano ad esse adeguate con l’approvazione di proposte emendative>>.
19
della differenziazione, costituzionalmente sanciti, e di armonizzare le ragioni dell’autonomia locale con quelle
della semplificazione e dell’efficienza”.
Si tratta di un contenuto, quello dell’abolizione delle province, presente anche nella riforma costituzionale
in itinere che potrebbe entrare in vigore a fine 2016: la modifica dello statuto si rende necessaria proprio
per evitare la sopravvivenza delle province in questa regione, in virtù della forza derogatoria dello statuto
speciale che attualmente le prevede, a fronte della loro prevista espunzione dalla carta costituzionale.
La proposta originaria prevedeva una disciplina transitoria, in base alla quale le Province esistenti
sarebbero state soppresse “a decorrere dalla data stabilita con legge regionale”: a seguito di un
emendamento approvato dal Senato, si impone alla legge regionale che dovrà stabilire la decorrenza della
soppressione delle Province attualmente esistenti, di rispettare la scadenza naturale del mandato dei
rispettivi organi elettivi già in carica.
Si ricorda che gli organi attualmente in carica delle quattro province della Regione (Trieste, Gorizia, Udine
e Pordenone), scadranno in momenti diversi: nel 2016 verranno a scadenza gli organi delle Provincie di
Trieste e di Gorizia; nel 2018 quelli della Provincia di Udine e nel 2019 scadrà il Consiglio della Provincia di
Pordenone. Solo quest’ultimo è stato eletto, il 26 ottobre 2014, con elezioni di secondo grado secondo la
nuova disciplina di cui alla legge regionale 14 febbraio 2014, n. 2, in base alla quale i consigli provinciali
sono eletti da parte degli amministratori comunali e l’elezione del presidente della provincia e della giunta
spetta al consiglio provinciale, nel suo ambito, nel corso della prima seduta.
La modifica apportata dal Senato, che impone alla legge regionale di rispettare la scadenza del mandato
degli organi elettivi in carica, costringe ad una soppressione frazionata nel tempo dei singoli enti, con la
conseguenza che per un periodo transitorio la Regione avrà territori in cui insisterà il livello di governo
provinciale e altri privi di tale livello. L’alternativa sarebbe quella di allineare la decorrenza della
soppressione al momento di scadenza degli organi in carica che scadono per ultimi, prorogando nel
frattempo gli organi delle altre Province: ciò vorrebbe dire arrivare al 2021, che è la data in cui scadrà il
mandato degli organi delle Provincie di Trieste e Gorizia ovvero al 2019 quando scadrà il mandato degli
organi della Provincia di Pordenone, se la legge di modifica dello statuto e la successiva legge regionale
di soppressione delle Province entrassero in vigore prima dell’avvio del procedimento elettorale per il
rinnovo degli organi delle Province di Trieste e Gorizia (previsto per l’autunno 2016).
Un’altra modifica apportata dal Senato impone alla legge regionale che disporrà la soppressione delle
province di disciplinare il trasferimento delle loro funzioni, con l’attribuzione agli enti destinatari delle
funzioni delle “risorse umane, finanziarie e strumentali corrispondenti”.
Un altro punto trattato dal ddl di revisione statutaria riguarda le forme associative dei Comuni: la
proposta introduce nell’art. 11 dello Statuto una nuova disposizione in materia di esercizio associato delle
funzioni amministrative dei Comuni, prevedendo che la legge regionale, possa prevedere secondo princìpi
di adeguatezza, sussidiarietà e differenziazione, forme, anche obbligatorie, di esercizio associato delle
funzioni comunali, dando così un’esplicita copertura statutaria a leggi regionali, quali la recente L.R
26/2014, istitutiva delle Unioni territoriali intercomunali,.
Inoltre la proposta consiliare impone alla Regione, con il nuovo terzo comma dell’art. 11 dello Statuto, di
assicurare ai Comuni (anche in forma di Città metropolitane) “adeguati finanziamenti per l'esercizio delle
funzioni conferite”: un emendamento del Senato ha tuttavia eliminato l’aggettivo “adeguati”. Dai lavori
preparatori si desume che la ratio dell’emendamento è quella di assicurare il finanziamento integrale delle
20
funzioni conferite dalla legge regionale (ritenendo evidentemente che il termine “adeguati” non
esplicasse tale effetto).
Ma l’intervento emendativo politicamente più rilevante, proposto dai sen. F. Russo e Battista, ha
riguardato la questione delle città metropolitane, che nel testo approvato dal Senato in I lettura
acquistano una rilevanza statutaria, dopo che, nel dibattito consiliare si era volutamente omesso
qualunque menzione di tale categoria di ente territoriale (per la forte contrarietà espressa da alcune
componenti politiche della stessa maggioranza).
La proposta di iniziativa consiliare è stata perciò modificata, inserendo dopo la menzione dei Comuni
contenuta nello Statuto agli articoli 7, 11, 51, 54 e 62, l’inciso “anche in forma di Città metropolitane”.
In tal modo dunque si è voluto espressamente consentire alla Regione di istituire sul proprio territorio
con legge rinforzata (per la necessità di sentire le popolazioni interessate) anche città metropolitane, un
tipo di ente previsto dall’art. 114 cost. e i cui elementi distintivi dovranno essere interamente demandati
alla legge regionale, nell’esercizio della potestà legislativa in materia di enti locali.
Va ricordato che l’intervento emendativo del Senato è stato fortemente criticato da tutte le forze
politiche regionali rappresentate in Consiglio, che lo hanno ritenuto una violazione del metodo pattizio
che dovrebbe caratterizzare i processi di revisione statutaria (metodo che tuttavia per ora non ha una
espressa copertura costituzionale). Su tale questione l’Assemblea regionale ha svolto un dibattito che ha
portato all’approvazione, il 9 settembre, di una mozione, che, pur prendendo atto delle carenze delle
procedure attuali che non prevedono un nuovo pronunciamento del Consiglio regionale sulle modifiche
statutarie intervenute nell’iter parlamentare e pur confermando la necessità di non interrompere l’iter
del provvedimento, impegna il Presidente del Consiglio e il Presidente della Regione a ribadire nelle sedi
istituzionali competenti le prerogative del Consiglio regionale rispetto ai progetti di modifica statutaria,
coerentemente con quanto sta elaborando la Commissione tecnica sull’intesa preventiva per la revisione
degli Statuti speciali.
La proposta di modifica statutaria interviene in materia di elettorato passivo e di iniziativa legislativa.
Quanto alla materia dell’elettorato passivo, si abbassa il requisito dell’età minima per l’eleggibilità al
consiglio regionale da 25 a 18 anni. Inoltre la proposta originaria espungeva dai casi di incompatibilità per
l’ufficio di consigliere regionale, quelli riferiti ai membri di un consiglio provinciale e ai sindaci dei comuni
con popolazione superiore a 10.000 abitanti. Si intendeva con ciò armonizzare il terzo comma dell’articolo
17 alla norma, introdotta dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, che demanda alla legge regionale c.d.
“statutaria” la disciplina dei casi di ineleggibilità e incompatibilità dei consiglieri regionali. Tuttavia, con
una modifica apportata dal Senato, quest’ultima proposta è stata soppressa. Dai lavori preparatori non
si desume la ratio dell’emendamento: oltre a ciò, almeno per la parte relativa all’incompatibilità con la
carica di consigliere provinciale, esso appare non coerente con la finalità della proposta diretta ad
eliminare l’ente Provincia dall’ordinamento statutario.
Quanto all’iniziativa legislativa si abbassa il numero minimo di elettori titolari dell’iniziativa legislativa
regionale, da 15.000 a 5.000, e su tale punto il Senato ha confermato la proposta del Consiglio regionale.
21
Le conclusioni del tavolo tecnico sulle autonomie speciali presso il
Ministero degli affari regionali
Il 18 giugno 2015, in occasione dell’incontro fra il Sottosegretario agli Affari regionali, On. Gianclaudio
Bressa, e i Presidenti delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, è
stato concordato di istituire un tavolo tecnico informale per un confronto sulle modalità e le procedure
per la revisione degli Statuti speciali, alla luce della riforma costituzionale in corso, e sul possibile
potenziamento della norme di attuazione come strumento da utilizzare, in funzione degli interessi
riscontrabili per ciascuna delle Regioni e Province autonome interessate, secondo un metodo il più
possibile unitario (tema che è anche oggetto dell’indagine conoscitiva della Commissione bicamerale, su
cui vedi infra par. 5).
Il tavolo si è insediata il 30 giugno e ne hanno fatto parte:
 per la Regione Friuli Venezia Giulia: il Segretario generale della Presidenza Giunta regionale, Dott.
Daniele Bertuzzi, e il Segretario Generale del Consiglio regionale, Dott. Augusto Viola;
 per la Regione Sardegna: il Presidente del Consiglio regionale, on. Gianfranco Ganau; il Prof.
Gianmario Demuro, Assessore degli Affari Generali, Personale e Riforma della Regione Sardegna;
il consulente dell’Assessore Demuro, avv. Giovanni Coinu; la consulente del Presidente Ganau,
avv. Dolores Lai; il capo del servizio studi del Consiglio regionale, dott. Alfonso Di Giovanni; il
funzionario consiliare, dott. Michele Sias;
 per la Regione Sicilia: l’Assessore alle autonomie, Giovanni Pistorio; l’avvocato regionale Maria
Mattarella e il Dirigente responsabile Rapporti Commissione Paritetica - Attuazione Statuto Dott.
Mauro Pollicino;
 per la Regione Valle d’Aosta: il Presidente della Commissione Paritetica, Prof. Roberto Louvin;
 per la Provincia Autonoma di Bolzano: il Segretario generale della Provincia, dott. Eros Magnago
e l’Avvocato della Provincia, avv. Renate Von Guggenberg;
 per la Provincia Autonoma di Trento: il Dirigente generale Dipartimento Affari istituzionali e
Legislativi, Dott. Fabio Scalet.
Il compito di coordinare i lavori, per concorde decisione del gruppo tecnico, è stato affidato Prof.
Gianmario Demuro.
Nel corso dei lavori, l’Area giuridico-legislativa ha fornito il supporto tecnico-giuridico con l’elaborazione
di una nota di osservazioni inviata al tavolo.
Dopo essersi riunita quattro volte (il 30-6-2015, il 15-7-2015, il 5-8-2015 e il 26-8-2015), il 31 agosto il
Coordinatore del tavolo ha presentato al Sottosegretario Bressa la relazione finale e due bozze di ddl
costituzionale in materia: la prima bozza riguarda la procedura di revisione degli statuti, secondo il
principio dell’intesa, mentre la seconda riguarda le procedure di adozione delle norme di attuazione degli
stessi.
La prima bozza contiene uno schema di norma-tipo per le procedure di revisione degli statuti da inserire
nei singoli statuti speciali (e da adattare alle peculiarità di ciascun statuto).
Si prevede che il Consiglio regionale si esprima a maggioranza assoluta dei consiglieri della Regione sul
testo approvato dalle Camere in prima deliberazione entro tre mesi dal ricevimento della proposta.
22
In caso di voto favorevole da parte del Consiglio, le Camere possono adottare la legge costituzionale, in
seconda deliberazione.
In caso di voto contrario del Consiglio, o di decorso del termine senza una deliberazione valida, si prevede
un sub-procedimento finalizzato a comporre le divergenze tra il Parlamento nazionale e quello regionale.
A tal fine il Presidente del Senato convoca una “Commissione paritaria di convergenza” composta da due
senatori, due deputati e quattro consiglieri regionali designati dai rispettivi Presidenti in modo da favorire
la proporzionalità delle rappresentanze.
Se la Commissione paritaria di convergenza, entro tre mesi dall’insediamento, riesce a formulare
all’unanimità una proposta condivisa, questa è trasmessa al Parlamento che la approva con unica
votazione con la maggioranza assoluta dei componenti.
Se invece la Commissione paritaria di convergenza non approva alcuna proposta, non riuscendo a
comporre le divergenze, la legge di modificazione dello Statuto per essere approvata dalle Camere in
seconda deliberazione deve raggiungere la maggioranza dei due terzi.
In tal modo, la mancanza dell’intesa costringe il Parlamento a raggiungere un più alto quorum di
approvazione della legge di revisione statutaria.
Si conferma infine che le leggi di modificazione degli statuti approvate non sono comunque sottoposte
a referendum nazionale.
La seconda bozza di ddl costituzionale (anch’essa da inserire nei singoli statuti e che dovrebbe essere
uniforme per tutte le regioni a statuto speciale) riguarda i decreti legislativi per l’attuazione degli statuti:
essa attribuisce al Governo la potestà di emanare i decreti legislativi contenenti le disposizioni di
attuazione dello Statuto, il trasferimento di uffici e servizi e “le disposizioni necessarie ad armonizzare la
legislazione nazionale con l'ordinamento della Regione (o Provincia autonoma), anche attraverso la
delegazione di ulteriori funzioni, tenendo conto delle particolari condizioni di autonomia attribuite alla
Regione (Provincia autonoma) stessa.” Quest’ultimo punto costituisce una novità, assegnando alle norme
di attuazione anche una funzioni di “armonizzazione” della legislazione statale con le peculiarità del
singolo ordinamento regionale.
La bozza poi prevede che il Governo debba pronunciarsi in via definitiva sugli schemi dei decreti legislativi
che hanno ottenuto l’assenso del Consiglio regionale (provinciale) entro e non oltre tre mesi dall’adozione
dei predetti schemi.
Si prevede poi un nuovo strumento concertativo (i “protocolli di concertazione”) con si possano precisare
nello spirito di una leale collaborazione, i limiti dell’operato delle rispettive assemblee legislative statali e
regionali e segnatamente “i limiti delle rispettive sfere di competenza legislativa e amministrativa statale e
regionale (provinciale), in particolare in relazione agli effetti delle competenze trasversali e all’attrazione della
potestà legislativa per effetto del principio di sussidiarietà, e le modalità di esercizio dei poteri sostitutivi
previsti dalla Costituzione a tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica”.
La bozza dovrà essere integrata, adattandola alle peculiarità di ciascuna Regione, con la configurazione
delle Commissioni paritetiche e delle loro modalità operative.
23
Le conclusioni dell’indagine conoscitiva della Commissione
bicamerale sulle autonomie speciali
Il 4 novembre 2015 la Commissione bicamerale per le questioni regionali ha approvato il documento
conclusivo dell’indagine conoscitiva, deliberata il 25 febbraio 2015, sulle “problematiche concernenti
l’attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale, con particolare riferimento al ruolo delle
Commissioni paritetiche previste dagli statuti medesimi.”
L’indagine è consistita nello svolgimento di audizioni di costituzionalisti, rappresentanti delle 6
autonomie speciali (sia degli organi esecutivi che dei legislativi), di membri del Governo e del MEF, di
membri delle Commissioni paritetiche, di magistrati della Corte dei conti e del Consiglio di Stato.
Tutti i resoconti delle audizioni e dei dibattiti (svolti in un arco temporale che va dal 17 marzo al 4
novembre 2015) sono consultabili sul sito del Parlamento.
Il documento finale contiene una parte generale che espone gli esiti dell’indagine conoscitiva in merito
a profili sia di politica e diritto costituzionale, che di finanza pubblica, una parte speciale, dedicata alle
singole autonomie speciali, e infine le conclusioni con le proposte della Commissione.
Nella parte generale, per quanto riguarda i profili costituzionali, vengono esposte le opinioni espresse
dai soggetti auditi in ordine al mantenimento della specialità regionale, alle cause della ritardata o della
mancata attuazione delle norme degli statuti speciali, all’attualità dello strumento del decreto legislativo
di attuazione statutaria e alla sua natura giuridica, alla composizione e il funzionamento delle
Commissioni paritetiche e al procedimento di formazione dei decreti legislativi di attuazione statutaria;
al contenzioso Stato-Regioni speciali, dovuto alla mancata attuazione delle disposizioni degli statuti
speciali e, infine, al futuro della specialità regionale alla luce del progetto di riforma della Costituzione
Per quanto riguarda i profili finanziari, sono stati approfonditi i seguenti temi: l’attuale sistema di
finanziamento delle Regioni a Statuto speciale; le procedure per l’attuazione degli Statuti speciali in
materia finanziaria e il grado di recepimento dei principi del federalismo fiscale; i recenti Accordi tra Stato,
Regioni speciali e Province autonome; la cogenza del principio pattizio nella definizione delle modalità del
concorso delle Regioni speciali e delle Province autonome al raggiungimento degli obiettivi di finanza
pubblica e le soluzioni possibili per dare certezza ai rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali
ed infine i possibili effetti della riforma costituzionale in corso sotto tale profilo.
Il documento, nella sua parte conclusiva contiene le proposte della Commissione, ed è su questa parte
che vale la pena soffermarsi, in quanto in essa si ritrovano spunti di indubbio interesse per lo sviluppo e
la valorizzazione della specialità.
Un primo punto riguarda il funzionamento delle Commissioni paritetiche: la Commissione formula
alcune proposte per superare le attuali criticità. In particolare essa invita a:
• armonizzare le diverse formulazioni contenute negli statuti di autonomia che definiscono compiti
e composizione delle Commissioni paritetiche (viene suggerito il modello valdostano di cui
all’articolo 48-bis dello statuto, che maggiormente valorizza il ruolo delle Commissioni paritetiche)
• prevedere che le Commissioni paritetiche, nelle more del rinnovo dei relativi componenti,
conseguente ad ogni cambio di Governo, siano assoggettate a forme di prorogatio;
24
• introdurre negli statuti di autonomia disposizioni volte a regolamentare il funzionamento delle
Commissioni paritetiche ed a prevedere l’obbligo di adozione, da parte di queste ultime, di
regolamenti interni che attuino e specifichino le disposizioni statutarie;
• prevedere forme di programmazione dei lavori delle Commissioni che, anche sulla base di intese
quadro tra Governo statale e Giunta regionale, consentano di individuare i temi generali di
intervento, allo scopo di evitare l’eccessiva frammentarietà delle questioni trattate (viene
segnalato, in proposito, il modello del Friuli Venezia Giulia, in base al quale, in via di prassi, la stesura
delle proposte degli schemi dei decreti legislativi di attuazione deriva principalmente da
un’iniziativa della Regione, sulla base di protocolli d’intesa definiti tra lo Stato e la Regione)
• intensificare il collegamento tra le Commissioni paritetiche e gli esecutivi statale e regionale, oltre
che mediante la programmazione dei lavori, anche intervenendo sulla composizione delle
Commissioni medesime. A tal fine, si potrebbe prevedere che tra i membri di nomina statale sieda
un rappresentante del Governo nazionale e/o degli apparati ministeriali e che, tra i membri di
nomina regionale, sieda un rappresentante dell’Esecutivo regionale e/o degli apparati
amministrativi regionali; In particolare, si potrebbe ipotizzare che i rappresentanti delle strutture
amministrative dello Stato e della Regione prendano parte al procedimento istruttorio, mentre i
rappresentanti degli esecutivi nazionale e regionale, con mandato ad esprimere la volontà
dell’organo in via definitiva, intervengano nella fase decisoria.
• intensificare il collegamento tra le Commissioni paritetiche e le Assemblee legislative regionali: al
riguardo, si suggerisce l’introduzione in tutti gli statuti regionali di norme che prevedano un
coinvolgimento, nel processo di formazione degli schemi dei decreti legislativi, dei Consigli
regionali, che potrebbero essere chiamati ad esprimersi sugli schemi medesimi (sul modello dell’art.
48-bis Statuto della Valle d’Aosta) e l’audizione periodica della delegazione regionale in seno alle
Commissioni paritetiche, ovvero ipotizzare un’informativa al Consiglio, da parte del Presidente della
Regione, sui lavori svolti dalla Commissione (sul modello dell’articolo 174-bis del Regolamento del
Consiglio della Regione Friuli Venezia Giulia);
• nel caso in cui entri in vigore la riforma costituzionale, prevedere che il Senato, nell’esercizio delle
funzioni di raccordo tra Stato ed enti territoriali e di valutazione delle politiche pubbliche, possa
disporre l’audizione dei componenti di nomina statale delle Commissioni paritetiche;
• assicurare, con le modalità che il Governo riterrà più opportune, il coordinamento dell’azione dei
membri della Commissioni paritetiche di nomina statale;
• introdurre forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni: al riguardo, si suggerisce che nei
regolamenti dei Consigli regionali sia prevista l’audizione periodica dei membri di nomina
regionale, che assicuri un momento di pubblicità dei lavori e di controllo politico; sull’operato
di tali organi, anche allo scopo di accrescerne la legittimazione democratica. Si potrebbe inoltre
immaginare che siano resi pubblici le proposte, i pareri, i verbali e l’iter di esame degli schemi dei
decreti legislativi o, quanto meno, l’ordine del giorno dei lavori delle Commissioni (in proposito, si
segnala, ad esempio, che, nella Regione Friuli Venezia Giulia, il regolamento consiliare contempla
la trasmissione periodica al Presidente del Consiglio regionale degli ordini del giorno delle
sedute della Commissione paritetica).
Il secondo punto riguarda il procedimento di formazione dei decreti legislativi di attuazione
statutaria. Al riguardo, la Commissione ritiene improcrastinabile l’introduzione di una regolamentazione
25
del procedimento di adozione dei decreti legislativi di attuazione, oggi affidato alla prassi. La
Commissione ritiene che si debba intervenire con legge dello Stato (novellando in particolare la legge
400/1988) allo scopo di risolvere i profili di criticità che riguardano la fase del procedimento che investe
competenze statali e, in primo luogo, di garantire termini certi per la conclusione del procedimento di
adozione dei decreti legislativi.
Le modifiche suggerite dovrebbero:
• regolamentare i passaggi procedimentali nei quali il Governo è coinvolto nella fase dell’istruttoria
sugli schemi dei decreti legislativi presso le Commissioni paritetiche, introducendo obblighi e
termini per la trasmissione degli atti, dei documenti e dei pareri che siano a tal fine richiesti;
• procedimentalizzare la successiva fase dell’esame degli schemi dei decreti legislativi esitati dalle
Commissioni paritetiche, introducendo un obbligo di iscrizione dei medesimi all’ordine del giorno
del Consiglio dei ministri entro termini certi decorrenti dalla relativa trasmissione, nonché un
obbligo di pronuncia sui medesimi (entro termini prestabiliti) prevedendo altresì che, in ogni caso,
gli schemi dei decreti legislativi siano esaminati nel merito in sede di Consiglio dei ministri e non di
così detto pre-Consiglio;
• prevedere che, qualora il Governo intenda respingere ovvero modificare il testo esitato dalle
Commissioni, debba motivarne le ragioni;
• individuare, nei casi di cui sopra, una procedura di composizione del dissenso che consenta di
assicurare una celere e proficua interlocuzione tra Commissioni paritetiche e Governo per giungere
ad una soluzione condivisa;
• prevedere che i termini per la nuova iscrizione all’ordine del giorno e per la ulteriore deliberazione
del Consiglio dei ministri sugli schemi dei decreti legislativi modificati all’esito del procedimento di
composizione del dissenso siano dimezzati.
Inoltre la Commissione propone che, contestualmente, al fine di razionalizzare l’attività delle Commissioni
paritetiche, siano introdotte negli statuti di autonomia norme volte a scandire la tempistica dei singoli
passaggi procedurali prodromici all’adozione degli schemi dei decreti legislativi e nei regolamenti interni
delle Commissioni paritetiche, ove adottati, si disciplini lo svolgimento dell’istruttoria in Commissione,
contemplando anche la possibilità che sia disposta l’audizione di soggetti esterni.
Il terzo punto delle proposte riguarda le procedure per l’attuazione degli statuti speciali in materia
finanziaria.
A tale riguardo, la Commissione, ritiene opportuno individuare un nucleo di regole comuni per la disciplina
dei rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni ad autonomia differenziata e reputa che un’occasione a tal
fine è rappresentata dall’attuazione della riforma costituzionale (C. 2613-B) attualmente all’esame della
Camera dei deputati.
La Commissione ha anche preso atto dell’apertura di un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le
cinque Regioni a statuto speciale rispetto al processo di aggiornamento costituzionale dei rispettivi
statuti e, pur apprezzando l’iniziativa del Governo, si riserva comunque, nell’ambito delle proprie
competenze, di monitorare l’applicazione che delle regole comuni verrà data nei territori interessati allo
scopo di verificare che essa, con particolare riferimento ai rapporti finanziari, sia effettivamente uniforme
e non discriminatoria rispetto alle diverse realtà interessate.
26
Infine la Commissione ha formulato alcune valutazioni sul processo di riforma costituzionale,
prendendo atto che esso conferma il riconoscimento della specialità regionale, operando la scelta del
mantenimento della stessa, a fronte del ridimensionamento delle competenze delle Regioni ordinarie.
Viene in particolare valutata con interesse la previsione dell’intesa per la revisione degli statuti, che
consacra a livello costituzionale quel metodo pattizio che ha da sempre improntato il rapporto tra lo Stato
centrale e le autonomie speciali. La Commissione si sofferma anche sulla modifica in terza lettura al
Senato – intervenuta dopo la conclusione delle audizioni – che ha sostituito il termine «adeguamento»
degli statuti con «revisione», intendendo così che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome
non dovranno necessariamente uniformarsi al nuovo titolo V.
Peraltro, la Commissione rileva che si viene così a creare – almeno sino alla revisione degli statuti – una
netta separazione tra autonomie speciali e Regioni ordinarie nell’applicazione del titolo V, in quanto alle
Regioni a statuto speciale continuerà ad applicarsi il testo attualmente vigente, integrato dalla clausola
di maggior favore di cui all’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Si paventa che questo regime potrà dar luogo a nuovo contenzioso costituzionale, dovuto al fatto che
una medesima disposizione andrà valutata sulla base di un diverso parametro costituzionale (Titolo V
vigente e Titolo V previgente) a seconda che si riferisca a Regioni ordinarie o a Regioni statuto speciale.
Ciò accadrà anche per una materia di particolare rilievo quale il «coordinamento della finanza pubblica»,
che risulterà di competenza esclusiva statale con riferimento alle Regioni a statuto ordinario e di
competenza concorrente per le Regioni a statuto speciale.
La Commissione si sofferma anche sull’altra modifica introdotta nel corso della terza lettura al Senato,
cioè l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome della disposizione
costituzionale sul cosiddetto «regionalismo differenziato», recata dall’articolo 116, terzo comma,
considerandola, anche in questo caso, un rilevante rafforzamento della specialità.
Un altro punto che rafforza la specialità è il mantenimento della disciplina prevista dagli statuti speciali e
dalle norme di attuazione relativa al potere sostitutivo dello Stato, che esclude le autonomie speciali,
almeno fino alla revisione degli statuti, dall’applicazione dell’articolo 120 della Costituzione.
Quanto al nuovo procedimento di revisione statutaria, viene sottolineato il carattere fortemente
innovativo: si delinea infatti un nuova fonte del diritto, di rango costituzionale, rafforzata e atipica, in
quanto frutto di un procedimento particolare, che introduce, per la prima volta, un elemento di natura
pattizia alla base dello statuto. La Commissione ritiene che si dovrà approfondire la questione circa il
rapporto che intercorrerà tra il contenuto dell’intesa e quello della legge costituzionale di modifica dello
statuto speciale.
A tal fine la Commissione propone la prosecuzione del confronto unitario – con il coinvolgimento delle
Assemblee elettive regionali – avviato tra Regioni speciali, Province autonome e Stato, che possa
concludersi con una convenzione che tracci le linee procedurali per un percorso comune di revisione
degli statuti, come già accaduto nell’esperienza conclusasi con l’approvazione della legge costituzionale
n. 2 del 2001.
Questa potrebbe essere la sede per delineare le soluzioni comuni riguardanti, oltre che l’aggiornamento
degli statuti:
•
l’armonizzazione della disciplina della composizione e del funzionamento delle Commissioni
paritetiche;
27
•
la regolamentazione del procedimento di adozione degli schemi dei decreti legislativi di
attuazione degli statuti;
•
la definizione di principi e criteri direttivi comuni nella disciplina dei rapporti finanziari con lo
Stato;
•
la definizione comune dei criteri di riparto delle competenze, anche alla luce del nuovo assetto
costituzionale, al fine di prevenire l’insorgere di nuovo contenzioso dinanzi alla Corte
costituzionale.
La Commissione conclude affermando che “Nell’ambito di tali procedure concordate, ciascuna autonomia
speciale, in base alle proprie caratteristiche, alle proprie esigenze, alla propria cultura politica, economica e
sociale, potrà organizzarsi ed autodeterminarsi in un quadro condiviso di responsabilità nazionale.”
Si ricorda infine che il 27 gennaio 2016, presso la Camera dei Deputati, si terrà un seminario sul
documento conclusivo dell’indagine.
28
Tabella 1: ripartizione dei seggi del nuovo Senato tra le Regioni e Province
autonome in base ai dati dell’ultimo censimento
Regione/Prov. Aut.
Piemonte
Valle d'Aosta
Liguria
Lombardia
Veneto
Trento
Bolzano
Friuli-Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Campania
Molise
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
totale
10
popolazione10 seggi
pop/seggi
4363916
7
623417
126806
2
63403
1570694
2
785347
9704151
14
693154
4857210
7
693887
524832
2
262416
504643
2
252322
1218985
2
609493
4342135
6
723689
3672202
5
734440
884268
2
442134
1541319
2
770660
5502886
8
687861
1307309
2
653655
5766810
9
640757
313660
2
156830
4052566
6
675428
578036
2
289018
1959050
3
653017
5002904
7
714701
1639362
3
546454
59433744
95
625618
Popolazione risultante dall’ultimo censimento ufficiale della popolazione residente (2011)
29