Il Realismo lirico Gianbecchina, attraversata l`esperienza milanese

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Il Realismo lirico Gianbecchina, attraversata l`esperienza milanese
Il Realismo lirico
Gianbecchina, attraversata l’esperienza milanese di Corrente, dal 1940 in poi dà vita ad
una pittura caratterizzata da un realismo del tutto originale, diverso dal Realismo Sociale
teorizzato prima dal Fronte Nuovo delle Arti, poi dal Manifesto del Realismo, redatto a
Venezia nel 1946.
Infatti, il realismo di Gianbecchina sarà ben lontano dall’impianto figurale di Guttuso, che
farà dei suoi soggetti pittorici dei meri emblemi narrativi e dei simboli illustrativi così
come accadeva nel Picasso di “Guernica”.
A quel tragico dualismo Realismo-Astrattismo, che per troppi anni paralizzò l’evolversi
dell’arte italiana del secondo dopoguerra, Gianbecchina rispose con una interessante
“terza via”, una “terza posizione” che costituirà una vera e propria poetica personale: il
Realismo lirico.
La nuova maniera di Gianbecchina non sarà solo espressionismo, ovvero “l’uomo psicologico”, né tanto meno solo naturalismo, cioè la “natura primordiale”.
La svolta del Realismo lirico è la declinazione dell’arte verso la ripresa di un reale de-ideologizzato, tutto intuito, percepito e osservato mediante una grande sensibilità psicologica - così come rappresentato in “Lume e Arance” (1946) a pag. 37 - per cui ogni opera e
ogni segno diventano pagine sulle quali annotare le emozioni e le evocazioni della vita.
L’arte diventa così, per il pittore siciliano, strumento di documentazione della realtà
sociale e naturale, mezzo analitico che sonda e racconta di quella civiltà contadina che
nell’umiltà del lavoro quotidiano consuma la propria esistenza e fonda al contempo la
sua prospettiva di vita.
Da qui un’ulteriore rivisitazione dei processi culturali che determinano il sistema di
costruzione dell’opera d’arte, una nuova idealità che, prescindendo da qualsiasi ideologia politica e da ogni dottrina stilistica precostituita, approda a considerare il Realismo
lirico non solo come la capacità di cogliere il “vero”, ma anche come la volontà di rivelare quel principio di “umanità” che è presente nella natura .
Il proposito di eticizzare la natura è magnificamente concretato in opere come “La mia
terra” (1940), “Trazzera” (1940) e “Pasto dell’Aratore” (1955) a pag. 43, pitture che svelano
quell’intimo legame umano che accomuna la natura, il paesaggio e l’uomo, che si presentano alla lettura collettiva quali palinsesti di un’idea di pittura che è prima di tutto
esercizio “etico”.
Per tutte queste ragioni il Realismo lirico di Gianbecchina è ben lontano da un’idea dionisiaca della terra e del tutto contrapposto alla rappresentazione della Sicilia e della sua
gente in forma meramente oleografica
Tanino Bonifacio
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