V 126 - Società Italiana di Pediatria

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V 126 - Società Italiana di Pediatria
AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 3 | luglio-settembre 2014
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Caso clinico Titolo articolo anche lungo
[tutto su]
Il paziente minorenne,
l’informazione
ed il consenso:
personalità e diritti
in fieri
La Costituzione ha rovesciato le concezioni
che assoggettavano i figli
ad un potere assoluto ed incontrollato,
affermando il diritto del minore
ad un pieno sviluppo della sua personalità.
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L
a disciplina del consenso ai trattamenti
sanitari trova in ambito minorile la stessa applicazione che nell’adulto, in relazione al principio
secondo il quale ogni atto sanitario trae fondamento di
liceità dalla prestazione del consenso da parte dell’avente
diritto. In tal senso, infatti, è possibile desumere la regola
secondo la quale ogni atto non validamente consentito
deve considerarsi alla stregua di un illecito. Per quanto
concerne il paziente minorenne sorgono, invero, momenti di complicazione della disciplina del consenso
ancora non perfettamente analizzati dalla dottrina e
dalla giurisprudenza. La complessità
Pasquale Giuseppe
si sostanzia nella considerazione che
Macrì
il minore è una persona in formaCoordinatore scientifico
zione e che pur non possedendo, in
Centro interdipartimentale
di studi di Bioetica
senso giuridico, capacità di agire è
e di Biodiritto,
comunque soggetto di diritti e cenUniversità di Siena
tro di imputazioni di moltissime e
Direttore UOC Medicina
Legale USL8, Arezzo
speciali norme di tutela.
Tutto su Il paziente minorenne, l’informazione ed il consenso: personalità e diritti in fieri
Un po’ di storia
P
er procedere ad una valida analisi della questione inerente la tutela dei diritti dei minori in ambito sanitario, occorre procedere rilevando come nella seconda metà del secolo scorso, il “valore del minore”, nella
società post-industriale, è grandemente aumentato. Nella
civiltà contadina la perdita di un figlio era considerata alla
stregua di un evento accidentale che non mutava il corso
né minava la stabilità della famiglia. Successivamente,
e segnatamente nella società contemporanea, la perdita
di un figlio viene percepita e vissuta come un momento
catastrofico che spesso si rivela idoneo ad interrompere
o estinguere i legami intrafamiliari, destabilizzando o
sciogliendo la società familiare. L’enorme valore attribuito
al minore ha trovato nell’ordinamento nazionale ed in
quello sovranazionale validi strumenti di tutela. In ambito
nazionale, nel 1975, vi è stata una poderosa revisione delle
norme che disciplinano il diritto di famiglia. È stata introdotta nell’ordinamento la nozione di “ufficio genitoriale”
in luogo di quella di “potestà genitoriale”.
La giurisprudenza
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I
n tal senso è oggi doveroso ritenere che i genitori non esercitino alcuna forma di potestà sul minore ma che “svolgano” ‒ nell’interesse proprio e dello
Stato ‒ un servizio di prima tutela e di salvaguardia in
favore dei figli. È previsto anche che l’interesse genitoriale e l’interesse statuale inerenti le scelte compiute sulla
sfera individuale del minore possano entrare in conflitto;
tale conflitto è demandato alla cognizione dell’Autorità
giudiziaria. L’ordinamento non affida esclusivamente
ai genitori la tutela degli interessi del minore, a questi
affiancando figure professionali quali ad esempio quelle
del medico e del giudice. Non v’è dubbio che la tutela
della salute rappresenti parte sostanziale dell’ufficio genitoriale, di talché è possibile ritenere che per l’ordinamento i genitori assumono una vera e propria posizione
di garanzia verso i figli minori. La Corte Costituzionale,
con Sentenza n. 132/1992, ribadisce che “La Costituzione
ha rovesciato le concezioni che assoggettavano i figli ad
un potere assoluto ed incontrollato, affermando il diritto
del minore ad un pieno sviluppo della sua personalità e
collegando funzionalmente a tale interesse i doveri che
ineriscono, prima ancora dei diritti, all’esercizio della potestà genitoriale”. In tal senso operano infatti i disposti
dell’art. 30 della Carta Costituzione e dell’articolo 147
del Codice Civile che individuano nel mantenimento
e nell’istruzione dei figli un preciso dovere dei genitori, rientrando nella sfera d’applicazione dell’azione del
mantenimento anche quella del mantenere in salute. Lo
Stato comunque intende offrire ed offre al minore una
tutela maggiore ed ultronea rispetto a quella garantita
dall’ufficio genitoriale. Soprattutto in ambito di tutela
della salute, per il minore, oltre ai genitori, assumono posizione di garanzia il medico e il giudice. L’ordinamento
pone infatti tra i doveri professionali del medico quello
di tutela verso i soggetti incapaci, quali appunto, in senso giuridico, sono i minori. Il medico assume pertanto
uno speciale compito di protezione, sancito anche dal
Codice di Deontologia Medica licenziato dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e
degli Odontoiatri in data 18 maggio 2014 che, all’art. 32,
ricorda al sanitario il dovere di tutelare il minore “(…)
in particolare quando ritiene che l’ambiente in cui vive
non sia idoneo a proteggere la sua salute, la dignità e la
qualità di vita” e segnalare “(…) le condizioni di discriminazione, maltrattamento fisico o psichico, violenza o
abuso sessuale. ovvero sia sede di maltrattamenti fisici o
psichici ”. Al secondo comma dello stesso articolo viene
ricordato al medico il dovere di tutelare il minore “(…)
in particolare quando ritiene che l’ambiente in cui vive
non sia idoneo a proteggere la sua salute, la dignità e la
qualità di vita”. Lo stesso articolo 32 C.D.M. individua
nel medico il responsabile delle scelte tecniche in ordine
alla salute del minore laddove i genitori non siano in
grado di individuare e perseguire l’interesse dello stesso. Egli infatti dovrà “(…) in caso di opposizione dei
legali rappresentanti a interventi ritenuti appropriati e
proporzionati (…) ricorrere all’autorità competente”. In
sintesi l’ordinamento, in ordine alla tutela della salute,
pone almeno quattro adulti responsabili in posizione di
garanzia verso il minore: i due genitori, il medico e infine
il giudice tutelare. A fronte del dissenso dei genitori ad
un trattamento sanitario necessario ed indifferibile per
la tutela della salute e dell’integrità del minore, il medico
potrà agire autonomamente, ricorrendo al giudice solo
ove il tempo necessario non aumenti il pericolo per il
soggetto tutelato.
Tutto su Il paziente minorenne, l’informazione ed il consenso: personalità e diritti in fieri
La Convenzione di Oviedo (aprile 1997), ratificata dallo Stato
italiano con legge n. 145/2001 statuisce: “(…) il parere del minore
è preso in considerazione come fattore sempre più determinante
in rapporto all’età ed al grado di maturità”.
sonalità. L’età resta elemento di valutazione in rapporto
al grado di maturità del soggetto minorenne. Le norme
citate impongono al medico un dovere di informazione
semplificata ma veritiera e di ascolto incondizionato
del minore. Fatti di cronaca hanno dimostrato come
l’Autorità giudiziaria, trattando controversie insorte
tra genitori e medici, abbia spesso deciso ascoltando il
minore ‒ valutato il grado di discernimento e di maturità ‒ in modo conforme al volere di quest’ultimo.
Casi giudiziari
iportiamo il caso, discusso presso il Tribunale dei Minorenni di Venezia nel 1998, concernente
la vicenda sanitaria di una bambina di 9 anni che per
comodità chiameremo Sara. Sara, all’età di nove anni,
veniva riscontrata affetta da leucemia linfoblastica acuta.
Ai genitori veniva riferito che, con un trattamento chemioterapico (Aieop 9502) da effettuare per la durata di
due anni, vi erano buone probabilità di guarigione, nell’ordine del 70%. I genitori acconsentirono. Successivamente
i genitori decisero di interrompere il trattamento sull’onda emotiva della polemica sulla cosiddetta “multiterapia
Di Bella”. In ragione della sospensione del programma
chemioterapico e dell’inefficacia della MDB, la malattia
recidivò con netto peggioramento del quadro clinico e
riduzione delle probabilità di guarigione dal 70 al 30%. I
medici, ritenendo che il comportamento dei genitori di
Sara non fosse di garanzia e soprattutto non fosse stato
improntato al migliore interesse della minore, si rivolsero
al competente Tribunale per i Minorenni il quale non
adottò alcun provvedimento limitativo o ablativo della
potestà genitoriale per le seguenti motivazioni:
a) nessun trattamento offriva, allo stato dei fatti di
allora, alcuna certezza in ordine alla probabilità di
guarigione o al tempo di sopravvivenza;
b) la bambina, ascoltata dal Tribunale, era stata giudicata in grado di comprendere la dimensione del
problema in trattazione e l’importanza della patologia da cui era affetta.
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Negli ultimi decenni il concetto stesso di minorenne
ha subito profonde mutazioni. In epoca precedente lo
stato di minorenne era connotato dalla completa incapacità di porre in essere ogni atto della vita civile. Nessuna
differenza esisteva, sub specie juris, tra soggetto minorenne infante (inferiore ad un anno) tra fanciullo (fino a 12
anni) e adolescente (infrasedicenne e ultrasedicenne).
Tutti costoro erano soggetti alla potestà genitoriale e
non potevano esprimere alcuna autonomia decisionale,
anche relativamente a scelte di elevata valenza esistenziale. Un primo significativo mutamento è stato determinato dal recepimento da parte dell’ordinamento
italiano, mediante la legge n. 176/91, della Convenzione
dei Diritti del Fanciullo, sottoscritta nel 1989, nota come
“Convenzione di New York”. La cennata Convezione
statuisce che i minorenni hanno diritto di essere sentiti
circa scelte di rilevanza per la loro condizione esistenziale. Tale norma ha trovato recepimento anche nel vigente
Codice civile che, all’art. 155 sexies impone al Giudice di
ascoltare il minore prima di decidere nel corso di cause di separazione dei genitori. La stessa disposizione è
stata osservata nel redarre le norme che disciplinano la
sperimentazione farmacologica sui minorenni, laddove
si fa obbligo allo sperimentatore di fornire informazioni
in modo comprensibile e confacente al minore da arruolare e, segnatamente, laddove si dispone che il consenso
alla sperimentazione venga sottoscritto da entrambi i
genitori, accanto alla sottoscrizione dell’assenso del minore. La Convenzione di Oviedo (aprile 1997), ratificata
dallo Stato italiano con legge n. 145/2001, in ordine alla
“tutela delle persone che non hanno la capacità di dare
consenso”, all’art. 6, statuisce: “(…) il parere del minore
è preso in considerazione come fattore sempre più determinante in rapporto all’età ed al grado di maturità”.
La norma in parola introduce un diverso criterio per il
riconoscimento, anche parziale, del diritto di autodeterminazione. In altri termini, la capacità di esprimere
un giudizio, una valutazione, un assenso o un dissenso
non vengono riconosciute alla persona con il solo metro
della maggiore età ma secondo parametri personalistici
ed improntati al raggiunto livello di sviluppo della per-
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La stessa dichiarò che la chemioterapia le aveva
tolto ogni forza e le aveva sottratto ogni possibilità di
vita sociale. Il Tribunale dichiarava nel provvedimento di aver respinto il ricorso dei medici in osservanza
del disposto dell’art. 6 della Convenzione Europea sui
Diritti dell’Uomo e la Biomedicina del 1997. I giudici minorili rilevarono come, nel caso in trattazione,
entravano in conflitto il principio di beneficenza con
il principio di autonomia e che nel caso specifico era
necessario far prevalere quest’ultimo in quanto imporre coattivamente il trattamento sanitario equivaleva a
violare il generale divieto ai trattamenti coattivi sanciti dall’art. 32 della Costituzione senza alcun certo
beneficio per la salute e la vita della piccola paziente.
Altro caso interessante è stato discusso nel 1999 presso
il Tribunale dei Minorenni di Ancona. Si tratta della
vicenda clinica di Tommaso (nome attribuito), anch’egli
di 9 anni, in trattamento presso l’ospedale locale per
osteosarcoma osteoblastico midollare. I medici intrapresero, con il consenso dei genitori, il trattamento chemioterapico suggerendo e programmando l’amputazione
dell’arto inferiore interessato dalla neoplasia. Con tale
intervento i medici riferivano ai genitori che Tommaso
avrebbe avuto una possibilità di sopravvivenza a 5 anni
nell’ordine del 60%, anche se in letteratura erano anche
descritte sopravvivenze del 10–15%. I medici, comunque,
con molta chiarezza, esclusero ai genitori ogni possibilità
di guarigione. I genitori, a fronte di tali prospettazioni,
sottrassero il figlio alla cura dei medici conducendolo
all’esterno presso l’ambulatorio di un omeopata. I medici,
ravvisando nella scelta dei genitori un loro venir meno
alla posizione di garanzia verso il figlio, si rivolsero al
locale Tribunale per i Minorenni. Il giudice minorile,
ritenendo sussistere un conflitto d’interessi tra genitori
(testimoni di Geova) e figlio, si pronunciava sospendendo la potestà genitoriale e nominando un tutore per
l’esercizio della stessa. Avverso la decisione di I grado,
i genitori ricorrevano in Appello. La Corte d’Appello
riformava il provvedimento del Tribunale, attribuendo
ai genitori piena potestà sul minore, motivando anche
in ragione del fatto che il minore, sentito dai Giudici,
dichiarava di non poter sopportare la terapia e che
non intendeva sottoporsi all’intervento, che per
lui sarebbe stato devastante. I giudici, anche in
questo caso, decidevano in ossequio al principio di
autonomia del minore in relazione alla ridottissima, quasi aleatoria, possibilità di sopravvivenza. Si
viene così a delineare un criterio di orientamento
nella giurisprudenza minorile secondo il quale il
principio di autodeterminazione dei minorenni
diventa criterio dirimente laddove le aspettative
di vita siano estremamente ridotte, aleatorie o comunque non ponderabili.
Come emerge dalle esemplificazioni riportate,
la magistratura attribuisce capacità di autodeterminazione anche a livelli di età molto bassi (9
anni). In realtà, allo stato delle acquisizioni giurisprudenziali, è possibile soltanto individuare, in
ordine al minore, una accezione debole di autodeterminazione, che sostanzialmente si concretizza
in valenza decisionale solo a fronte di scarse o
nulle possibilità salvifiche del trattamento rifiutato. In altri termini, solo laddove la Medicina
ufficiale non sia in grado di offrire trattamenti con
aspettative di sopravvivenza quantomeno ponderabili, si applica il principio di autodeterminazione
del minore: negli altri casi, invece, prevale quello
di beneficialità. L’assetto giurisprudenziale stava
per trovare un paradigma normativo nel 2001 allorquando veniva presentato al Senato della Repubblica un progetto di legge definito “Norme
per il consenso dei minori a trattamenti sanitari”.
Nella relazione che accompagnava il disegno si
riportava: “(…) la volontà del minore ha sempre
più rilievo rispetto alla scelta dei trattamenti sanitari cui deve essere sottoposto (…) non si tratta
però (…) di autodeterminazione in senso pieno,
nel senso che il consenso informato prestato dal
minore dotato di capacità naturale sia requisito
necessario e sufficiente per la esecuzione del trattamento. Si tratta piuttosto di un’autodeterminazione in negativo o “in senso debole” rappresentata
Solo laddove la Medicina ufficiale non sia in grado
di offrire trattamenti con aspettative
di sopravvivenza quantomeno ponderabili,
si applica il principio di autodeterminazione del minore.
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dal rispetto della opposizione irriducibile del minore al
trattamento che, peraltro, lo rende spesso impraticabile”.
Il disegno di legge non è stato mai discusso.
Nel mentre resta quindi d’interesse giurisprudenziale
la rilevanza del consenso o meglio del dissenso del minore ai trattamenti sanitari, nulla quaestio in relazione al
dovere giuridico di informazione che il medico ha verso
il paziente non maggiorenne. Il dovere d’informazione,
infatti, è parametrato oltre all’età del paziente anche
e prioritariamente alla capacità dello stesso di comprendere le argomentazioni e di valutare in merito. Con
Decreto del Ministro della Sanità del 18 marzo 1998, il
legislatore italiano dà particolare risalto all’espressione
di volontà del minore nella forma dell’assenso, prevenendone – in ordine alla sperimentazione clinica farmacologica – la forma scritta. Al punto 3.7.9 il Decreto in
parola così recita: “La sperimentazione su minore (…)
è comunque vincolata al valido consenso di chi esercita
la podestà dei genitori; conformemente alle richiamate
linee guida europee, il minore,compatibilmente con la
sua età, ha il diritto ad essere personalmente informato
sulla sperimentazione con un linguaggio ed in termini a
lui comprensibili e richiesto di firmare personalmente il
proprio consenso in aggiunta a quello del legale rappresentante; il minore deve potersi rifiutare di partecipare
alla sperimentazione”. Il vigente Codice di Deontologia
·
Turri GC. Autodeterminazione,
trattamenti sanitari e minorenni.
Minorigiustizia 2005; 2.
Piccinni M in Funghi P, Giunta F.
Medicina, bioetica e diritto. Pisa:
Edizioni ETS, 2005.
Bugio GR, Notarangelo LD. La
comunicazione in pediatria. Un
pediatra in Società. Torino: Utet, 1999.
Mancini A. La Pedagogia dei
genitori: la valorizzazione delle
competenzeeducative attraverso la
narrazione. Tesi di Laurea in Servizio
Sociale, Università degli Studi di Pisa,
A.A. 2005/2006.
Macrì PG, Giunta F, Funghi P. “Carta
di Arezzo”, parere in tema di
audeterminazione del paziente sui
trattamenti salvavita, deliberazione
USL8, Toscana, n. 4544 del 29 agosto
2007, Deliberazione della Direzione
Generale n. 231 del 10 giugno 2008
http://www.usl8.toscana.it/images/
stories/carta_arezzo_parere_in_tema_
di_autodeterminazione.pdf
Gli autori dichiarano
di non avere nessun
conflitto di interesse.
Fonti normative
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Convenzione dei Diritti del Fanciullo,
New York, 20 novembre 1989 e
relativa legge di ratifica (n. 176/1991).
Convenzione sui Diritti dell’Uomo e
sulla Biomedicina, Oviedo, 4 aprile
1997 e relativa legge di ratifica (n.
145/2001).
Dichiarazione di Helsinki. “Principi
etici per la ricerca medica che
coinvolge soggetti umani, (giugno
1964 e successivi emendamenti).
Convenzione europea sull’esercizio
dei diritti dei fanciulli, adottata a
Strasburgo il 25 gennaio 1996 e
ratificata con legge 20 marzo 2003, n.
77, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale,
n. 91 del 18 aprile 2003, supplemento
ordinario n. 66.
Costituzione della Repubblica Italiana,
art. 30.
Codice Civile, artt. 147 e 357, 155
sexies.
Decreto del Ministro della Sanità 18
marzo 1998 (in Gazzetta Ufficiale, n.
122 del 28 maggio 1998, riguardante
·
·
le “linee guida di riferimento per
l’istituzione e il funzionamento dei
comitati etici).
Codice di Deontologia Medica, 2014,
artt. 32 – 33.
Decreto Legislativo n. 211/2003.
Attuazione della normativa 2001/20/
CE, “Applicazione della buona pratica
nell’esecuzione delle sperimentazioni
cliniche dei medicinali”, art. 4:
“sperimentazione clinica sui minori”.
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Bibliografia
Medica, all’art. 33, impone infatti al medico l’obbligo di
informare il soggetto “tenendo conto delle sensibilità e
reattività emotiva (…) garantendo al minore elementi di
informazione utili perché comprenda la sua condizione
di salute e gli interventi diagnostico-terapeutici programmati, al fine di coinvolgerlo nel processo decisionale”. È ovvio che l’espressione “tener conto” non equivale a
“dover seguire”. In altri termini, il medico conserva verso
il minore una prevalente autonomia decisionale, non
potendo però comunque eludere l’ascolto dello stesso e
dovendo interessare la magistratura laddove l’opposizione del minore si configuri con tale violenza da rendere
impossibile l’esecuzione del trattamento ovvero laddove
l’opposizione dei genitori non paia al medesimo assunta
nel migliore interesse del figlio. In sintesi, dall’analisi dei
dati giurisprudenziali relativi alle controversie innanzi
ai giudici minorili tra medici e legali rappresentanti di
minorenni emerge l’indicazione per il medico alla valorizzazione dell’autodeterminazione debole del minore,
comparata alla relativa capacità di discernimento. Risulta
invece perfettamente azionabile il diritto del minore ad
ottenere una piena informazione sempre parametrata
alla medesima capacità