Eventi - UNA Hotels

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Eventi - UNA Hotels
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Sabato 17 Ottobre 2015 Corriere della Sera
Eventi
La guida
Cinquecento opere
(anche con i prestiti
di Torino e Firenze)
Fino al 17 luglio 2016 al Museo Civico
Archeologico di Bologna, Egitto. Splendore
Millenario. La mostra, con il Patrocinio del
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e
del Turismo, è prodotta da Comune di Bologna Istituzione Bologna Musei, Museo Civico
Archeologico e da Arthemisia Group e curata da
Paola Giovetti, responsabile del Museo e Daniela
Picchi, curatore della sezione egiziana. Sponsor
della mostra: Generali Italia; special partner:
Ricola; partner dell’iniziativa Trenitalia. Sponsor
tecnico: UNA Hotels & Resorts. Eento consigliato
da Sky Arte HD. Catalogo Skira. Più di 500 opere
per raccontare quattro millenni di storia egiziana.
Orari: martedì-giovedì 9-18.30; venerdì 9-22;
sabato, domenica e festivi 10-18.30. Informazioni
e prenotazioni: tel. +39 051 0301043 (lunedìvenerdì, 10-17). La mostra ospiterà prestiti
del Museo Egizio di Torino e dell’Egizio di Firenze.
Siti: www.mostraegitto.it; www.museibologna.it.
L’appuntamento A Bologna una mostra con i reperti del Museo
Archeologico felsineo e di quello di Leiden testimonia la seduzione
esoterica che ha sempre esercitato nell’Occidente il mondo dei faraoni.
Tra alta magia e facile incanto, come dimostrano certi spettacoli tv
L’IMPERO
D
DELL’ENIGMA
di Viviano Domenici
a sempre l’Antico
Egitto è perseguitato da un maleficio che cerca di
oscurarne le vere
meraviglie, ammantandole con un appiccicoso
velo di mistero a tutti costi per
cui niente è come è, ed esiste solo il mistero; un vecchio trucco
da imbonitori sempre spendibile sul mercato dell’irrazionale
avido di civiltà superiori, alieni
civilizzatori e altri improbabili
segreti. In sostanza, cianfrusaglie senza costrutto, ma con padri nobili e una storia tutt’altro
che trascurabile che val la pena
ripercorrere.
Ufficialmente tutto cominciò
con Erodoto. Vengo ora dall’Egitto — scrisse più o meno lo
storico — dove ho visto cose che
voi greci non potete nemmeno
immaginare, e così tante e strane che è impossibile descriverle.
Detto questo, raccontò il Paese
dei faraoni come un mondo alla
rovescia dove gli uomini stavano
in casa e le donne andavano in
giro, dove le stesse orinavano in
piedi mentre maschi lo facevano accovacciati (sic) e così via.
Stravaganze di un popolo che
scriveva allineando enigmatiche
figurine, costruiva tombe alte
come montagne accumulando
macigni per farne piramidi, e
parlava di origini talmente lontane da sconcertare tanti creduloni; ma non lo storico Diodoro
siculo, a cui i sacerdoti egizi —
veri specialisti del marketing del
mistero — dissero che la loro civiltà era iniziata 23 mila anni
prima. Lui non ci credette, ma
riportò l’informazione e l’Egitto
divenne rapidamente la terra
senza tempo dove misteri e
oscure maledizioni erano di casa.
A quel punto gli ingredienti
dell’egittomania c’erano già tutti
DAI ROMANI ALL’EPOCA DI NAPOLEONE
LA PASSIONE PER L’ANTICO EGITTO
HA UNITO POTERE E SAPERE POPOLARE
e la sua marcia alla conquista
del mondo poteva cominciare. I
primi a esserne travolti furono i
romani, che piantarono una
quantità di obelischi nelle più
belle piazze dell’Urbe e costruirono facsimili di piramidi per
tutti quelli che volevano andare
all’altro mondo all’egiziana; ma
poi le smantellarono per ricavarne pietre — il grande Raffaello protestò inutilmente —, come capitò alle due che avevano
costruito dove ora sono le chiese

Sponsor illustri
L’imperatore Adriano
si fece costruire
il suo Egitto personale
nella villa di Tivoli
gemelle in piazza del Popolo.
Oggi solo quella di Caio Cestio è
rimasta a testimonianza di tanti
entusiasmi, quando Iside faceva
proseliti e persino Giove s’adeguò ai tempi indossando le corna d’ariete del suo corrispettivo
egiziano Amon; così fu adorato
come Giove Ammone.
Tra i grandi sponsor l’egittomania ebbe l’imperatore Adriano, che si fece costruire il suo
Egitto personale nella villa di Tivoli e mise il gonnellino all’egiziana anche alle statue del suo
amante Antinoo, travestendolo
così da dio egizio. Dal canto loro
i patrizi decorarono le loro magioni con mosaici a soggetto nilotico con ippopotami e coccodrilli a bagno tra i papiri; la plebe invece s’accontentava di scarabei magici e altrettanti inutili
amuleti che sedicenti maghi
spacciavano a prezzi di saldo. Il
Medioevo portò in Europa reli-
Amadeus, l’Egitto e la massoneria Un riferimento all’occhio massonico,
simbolo di origine egizia, in una scena del «Flauto magico» di W.A. Mozart,
rappresentato alla Scala di Milano nel 2011 con regia di William Kentridge
Pitture, rilievi e sarcofagi
Il ponte d’arte con l’Olanda
Unite due grandi collezioni con uno spirito comune
di Andrea Rinaldi
D
opo La ragazza con l’orecchino di perla,
un altro «filo» tra arte e storia unisce Bologna ai Paesi Bassi. O, meglio, un «tassello», come quelli che, messi eccezionalmente assieme dal Museo Civico Archeologico
bolognese e da quello olandese di Leiden, restituiranno a chi capita sotto le Due Torri il grande
puzzle dell’epoca dei faraoni.
Egitto. Splendore millenario mette infatti assieme 500 reperti che vanno dal periodo predinastico all’epoca romana lungo un percorso di quasi
1.700 metri quadri e suddiviso in ben sette sezioni. Ritrovamenti che sono giunti appositamente
da Leiden, ma anche dal Museo Egizio di Torino e
dall’Archeologico di Firenze. Si potrà ammirare la
Stele in calcare di Aku (XII-XIII Dinastia, 19761648 a.C.), il «maggiordomo della divina offerta»
che illustrava già allora un mondo diviso tra cielo,
terra e regno dei morti; oppure le cinture e i pettorali dorati, figurati a fiore di loto (1479-1425
a.C), donati in persona dal faraone Thutmose III
al comandante Djehuty, dopo che ebbe conquistato il vicino Oriente con le sue truppe; o un vaso
del periodo Naqada che ci restituisce con i suoi
dipinti un Egitto rigoglioso.
E poi monili, ami da pesca, coltelli in selce, sarcofaghi, rilievi con prigionieri nubiani, pitture lignee che coprivano il volto delle mummie e addirittura un manico di specchio in legno e avorio, a
testimonianza di quanto fosse evoluto il popolo
della valle del Nilo. Ma è nella sezione «La necropoli di Saqqara nel Nuovo Regno» che Bologna e
Leiden metteranno veramente in comune i loro
tasselli: qui verranno ricongiunti i più importanti
rilievi di Horemheb, altro generale al servizio di
Tutankhamon nonché ultimo sovrano della di-
La collaborazione
Dal periodo predinastico all’epoca
romana. L’alleanza tra i due musei
evidente nella ricomposizione dei
frammenti della tomba di Horemheb
Espressioni Un «Pyramidion» (1388-1351 a.C.)
ciottesima dinastia, i cui esponenti fecero proprio di Menfi, città vicina a Saqqara, il fulcro delle
loro guerre d’espansione.
È con questa stanza che si cementa la collaborazione innescata cinque anni fa tra i due musei
nell’ambito degli scavi nella necropoli egizia. Per
esempio dall’Olanda, per la prima volta, arriveranno le statue di Maya, custode del tesoro reale
di Tutankhamon, e Meryt, cantrice di Amon,
(XVIII dinastia, 1333-1292 a.C.). «Noi possediamo
cinque frammenti parietali e gli olandesi qualcuno in più, uniti ad altri di Firenze vanno a ridisegnare la corte interna della tomba di Horemheb,
ricomponendo la percentuale più alta dei ritrovamenti avvenuti in quella spedizione», spiega Daniela Picchi, che con la direttrice dell’ente bolo-
quie di tutti i tipi e la polvere di
mummie egizie, carica di miracolose quanto misteriose virtù
terapeutiche, divenne la panacea per tutti i mali. All’affacciarsi
del Rinascimento, un oscuro
manoscritto ellenistico attribuito a un certo Ermete Trismegisto, sapiente egiziano mai esistito, convinse tanti che l’Egitto era
il deposito di tutti i misteri e la
fonte della saggezza universale.
Così i dotti si misero a studiare ermetismi e simboli producendo interpretazioni dei geroglifici di rara fantasia e totale
inutilità. Più concretamente,
prìncipi e papi continuarono a
collezionare statue egizie e obelischi per abbellire Roma, tanto
che Sisto V ne fece alzare uno
proprio in piazza San Pietro, dov’è tutt’ora, concedendo laute
indulgenze a chi recitava un Pater Noster e un’Ave Maria davanti a quell’aguglia egizia e pagana.
Ma il grande territorio di conquista dell’egittomania fu il Settecento, che affastellò piramidi
e simboli egizi nelle logge massoniche frequentate da personaggi come il conte Cagliostro,
Giacomo Casanova e il grande
Mozart, mentre tutto l’Illuminismo celebrava il culto del dio
egizio Osiride come simbolo
della Ragione Universale; nella
Francia rivoluzionaria una statua della dea Iside fu sistemata
come simbolo della Rigenerazione proprio in piazza della Bastiglia. Poi intervennero i savants di Napoleone e riscoprirono
l’antico Egitto (quello vero) che,
travisato alla paesana, s’arrampicò sulle facciate dei palazzi,
modellò mobili e soprammobili, e raccolse trionfi col Nabucco
e l’Aida. Oggi i misteri d’Egitto
sopravvivono nell’occhiuta piramide stampata sul dollaro americano e — a casa nostra — in
certe inguardabili trasmissioni
televisive. Vere maledizioni dei
faraoni.
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gnese Paola Giovetti ha curato la mostra, a sua
volta prodotta da Comune di Bologna e Arthemisia Group. Il tandem petroniano-olandese «continuerà in un altro riavvicinamento, quello della
scultura del funzionario Hormin, guardiano dell’harem del sovrano Sety I, detenuta da Leiden,
con un nostro rilievo proveniente dalla sua tomba
e quello del cofanetto portatessuti del dignitario
Terpaupi con un suo sgabello conservato in Olanda». «La raccolta olandese è molto in sintonia
con quella di Bologna — ricorda Paola Giovetti —
sia per la storia della loro formazione, legata al
collezionismo ottocentesco, sia per la varietà degli scavi mirati da parte degli stranieri in Egitto».
A guardare la loro origine, i due musei ritrovano un altro denominatore comune. «Sono entrambi collezioni che iniziano tra 1500 e 1600 e
che torneranno a toccarsi a fine 800 — sottolinea
Picchi — Pelagio Pelagi cedette al museo petroniano i suoi 100 reperti raccolti tra 1824 e 1845. In
quegli anni il suo referente era Giuseppe Nizzoli,
cancelliere al consolato d’Austria in Egitto: è da
lui che lo storico acquistò la sua terza collezione.
Curiosamente un altro diplomatico, Giovanni
D’Anastasi, console svedese, vendette la sua terza
collezione, la più prestigiosa, proprio al Museo di
Leiden nel 1828. Come vede c’era accanita competizione nella ricerca delle antichità». Concorrenza
deposta a quasi due secoli di distanza per diventare per nove mesi uno dei maggiori centri dell’archeologia menfita.
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