Pagina 1 N. R.G. 32038/2015 TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO

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N. R.G. 32038/2015
TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO
Tribunale delle Imprese
Nella causa civile iscritta al n. r.g. 32038/2015 promossa da:
OYSTERSIN SRL , C.F. 09547650011, con l’Avv. TALARICO ALESSANDRO
ATTORE
contro
LEZIGIA S.R.O. , C.F. ,
PURE FRAGRANCE AND COSMETICS LTD ,
INTERNET SHOP S.R.O. , C.F. ,
INTERNET SHOP S.R.O. , C.F. ,
INTERNET SHOP S.R.O. , C.F. ,
FAP COSMETICS A.S. , C.F. , con l’Avv. DONADIO MARIO
CONVENUTO
TERZO CHIAMATO
Il Giudice dott. Maria Cristina Contini,
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 31/05/2016,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA CAUTELARE
IN FATTO
OYSTERSIN s.r.l., con ricorso depositato il 24 dicembre 2015, ha chiesto che
venisse inibito in via cautelare, inaudita altera parte, alle società resistenti di
utilizzare il marchio Xerjoff (anche nella forma X) e di commercializzare i prodotti
ad esso associati attraverso i siti internet dalle stesse utilizzati, oltre che di
procedere al ritiro dal commercio dei beni in questione.
La parte ricorrente ha esposto di produrre e commercializzare profumi
contraddistinti dal marchio XERJOFF (profumi aventi, ciascuno, una propria
denominazione commerciale come CASAMORATI 1888, SHHOTING STARD, AUD
STARS, JOIN THJE CLUB ed altri), di essere licenziataria esclusiva del marchio
XERJOFF e di avere adottato, per i prodotti contaddistinti da questo segno, un
sistema di distribuzione selettiva in base al quale solo “alcuni distributori, scelti
dalla ricorrente e dalla medesima contrattualizzati” erano autorizzati a distribuire i
relativi prodotti.
Detto marchio era stato registrato presso UIBM, oltre che in sede internazionale.
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Firmato Da: CONTINI MARIA CRISTINA Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: 13cfec
INTERVENUTO
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OYSTERSIN aveva appurato che le società convenute commercializzavano
profumi a marchio XERJOFF utilizzando vari sti internet (meglio indicati alla pag,
3 del ricorso).
In particolare la società ricorrente ha lamentato la violazione della sua esclusiva
sul marchio, oltre che dello standard qualitativo dei negozi appartenenti alla sua
rete di distribuzione selettiva, dato che i profumi venivano commercializzati via
internet a un prezzo inferiore a quello “praticato dai distributori e … nei punti
vendita autorizzati”.
Sempre in via cautelare la parte ricorrente ha chiesto : “la condanna al
pagamento di una somma non inferiore ad €500.000 in via solidale e/o alternativa
tra tutte le società convenute” , ovvero ad altra somma liquidata in via equitativa.
Ritenuti non sussistenti i presupposti per provvedere inaudita altera parte, il
Tribunale ha fissato udienza di comparizione.
Si sono costituite tutte le convenute, assumendo difese identiche e chiedendo il
rigetto delle richieste cautelari.
Hanno infatti contestato che la controparte avesse dimostrato la propria qualità
di licenziatario esclusivo del marchio XERJOFF oltre che l’esistenza della rete di
distribuzione selettiva.
In ogni caso hanno contestato che eventuali accordi tra licenziatario e
distributore potessero vincolarle.
Hanno poi eccepito l’esaurimento dei diritti di esclusiva, ex art. 5 C.P.I. e hanno
contestato che OYSTERSIN potesse opporsi alla circolazione, nei Paesi europei nei
quali le convenute operavano, anche attraverso la registrazione di appositi siti
internet, dei prodotti immessi in commercio dalla ricorrente o da suoi distributori.
Infatti la controparte non aveva provato che la commercializzazione stesse
avvenendo con modalità tali da arrecarle pregiudizio.
Hanno sottolineato in proposito che nessun danno poteva derivare dal fatto di
avere commercializzato i prodotti attraverso internet, dato che era la stessa
XERJOFF ad usare tale sistema, così come i suoi rivenditori.
Contestata inoltre la ricorrenza di atti di concorrenza sleale e ritenuto assente il
pericolo nel ritardo, hanno insistito per il rigetto delle richieste cautelari.
Il Giudice, dopo alcune udienze necessarie alla verifica della regolare costituzione
del contraddittorio e per consentire alla parte resistente di costituirsi per tutte le
società convenute e, successivamente, per consentire alla parte ricorrente di
verificare i marchi di cui era licenziataria oltre che la loro perdurante vigenza (a
seguito di specifiche ulteriori contestazioni sollevate dalla parte convenuta), si è
riservato di provvedere.
IN DIRITTO
Le richieste cautelari di OYSERSIN non possono essere accolte.
Si deve anzitutto dare atto che la parte ricorrente, dopo avere integrato la
documentazione ed effettuato le opportune verifiche, ha dichiarato di rinunciare
alle domande aventi ad oggetto i marchi :
11907272 (per la classe 3)
12726485 (per la classe 25) in quanto relativi “ad altra linea di profumi non
commercializzati dalle odierne convenute” (v. memoria depositata il 28 maggio
2016).
Ha inoltre precisato di essere titolare e non licenziataria dei marchi registrati
presso O.A.M.I. (ora EIUIPO) :
XERJOFF (n.5029848);
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X (n.5029574), ed ha prodotto documentazione che ne attesta l’acquisto dal
precedente titolare, oltre che il pagamento delle tasse di vigenza.
La stessa parte ricorrente, ha documentato di avere stipulato un contratto di
“distribution agreement” con la società ELYSEE CONCEPT con sede in Romania (il
contratto è in atti), alle condizioni che risultano da detto documento.
La commercializzazione di prodotti a marchio XERJOFF o X da parte della stessa
OSYTERSIN è quindi circostanza pacifica, avendola allegata la ricorrente nell’atto
introduttivo del giudizio.
E’ altresì pacifico, per averlo confermato le società resistenti, che queste ultime
commercializzano profumi contraddistinti dai marchi di cui la ricorrente è titolare
utilizzando i siti internet indicati dalla ricorrente che sono stati registrati in Paesi
Membri della UE ed anche in Ucraina.
Neppure è contestato che i prodotti commercializzati dalle resistenti attraverso la
vendita on line, provengono dalla rete di vendita di OYSTERSIN, nel senso che la
parte ricorrente non nega trattarsi di prodotti originali, il che implica che tali
prodotti sono stati messi in commercio dalla ricorrente (direttamente o attraverso
la sua rete distributiva) e quindi con il suo consenso.
Quanto, poi, al territorio (se comunitario o extra comunitario) in cui la prima
commercializzazione è avvenuta, la parte ricorrente ha dato atto di non avere
posto in essere alcun accorgimento per identificare tali prodotti a seconda del
mercato nel quale erano destinati ad essere immessi per la prima volta.
La stessa ricorrente, per vero, non ha mai neppure allegato di avere immesso i
prodotti di cui si controverte per la prima volta in territorio non comunitario.
Non essendo stati allegati fatti illeciti (quali ad esempio furti di prodotti originali)
che possano avere forzosamente interrotto la regolare commercializzazione di tali
prodotti a partire dalla loro prima immissione in commercio, non vi è ragione di
dubitare non solo, come detto, che si tratti di prodotti autentici commercializzati
con un marchio non contraffatto, ma anche del fatto che la commercializzazione
da parte delle società convenute abbia come presupposto l’originario consenso da
parte della titolare dei marchi oggetto di controversia.
L’art. 5 C.P.I, ai commi I e II così dispone :
“le facoltà esclusive attribuite dal presente codice al titolare di un diritto di
proprietà industriale si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di
proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo
consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della
Comunità europea o dello Spazio economico europeo.
Questa limitazione dei poteri del titolare tuttavia non si applica quando sussistono
motivi legittimi perché il titolare stesso si opponga all’ulteriore commercializzazione
dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è modificato o alterato dopo la
loro immissione in commercio”.
La regola generale è quindi che i diritti di esclusiva spettanti al titolare del
marchio non possono essere esercitati se non in sede di prima immissione in
commercio (nella quale si esauriscono) sicché il titolare della privativa non può
opporsi alla loro ulteriore commercializzazione.
Come chiaramente indicato dalla disposizione citata, tale regola incontra
un’eccezione, costituita dall’esistenza di legittime ragioni all’opposizione, che
possono consistere esclusivamente nelle modalità con cui la commercializzazione
avviene, che devono essere tali da ledere il prestigio del marchio o comunque la
sua affidabilità, o comportare una alterazione del prodotto cui il segno è associato
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che potrebbe ripercuotersi sulla attrattività del segno e sul suo stesso valore
economico.
“Il titolare di un marchio, dopo avere contrassegnato il suo prodotto e averlo
immesso sul mercato, ovvero dopo aver consentito (attraverso, ad esempio, un
contratto di licenza) che altri vi apponesse il segno e lo commercializzasse, non può
impedire che il cessionario ne usi secondo le proprie scelte, né può opporsi alla
circolazione in Italia del prodotto precedentemente messo in commercio da lui
stesso (o da soggetti a ciò legittimati) in un paese dell’ Unione Europea
(verificandosi in tal caso, il fenomeno del cosiddetto esaurimento del marchio) …”
(v. Cass. Sez. I, 15 ottobre 2014, n.21847)
Quanto alle ragioni che invece legittimano il titolare del marchio a opporsi alla sua
ulteriore commercializzazione è stato, ad esempio stabilito, in applicazione dell’art.
7, n.32 della direttiva 89/104/Cee che : “il titolare del marchio può opporsi
all’ulteriore commercializzazione di un prodotto, qualora la presentazione del
prodotto riconfezionato sia idonea a nuocere alla reputazione dei marchi e a quella
del suo titolare. In particolare la presentazione inadeguata uò aversi anche nel caso
in cui la confezione o l’etichetta, pur non essendo difettose o di cattiva qualità siano
tali da compromettere il valore del marchio, danneggiando l’immagine di serietà e
di qualità collegata al prodotto e la fiducia che può ispirare al pubblico interessato”,
così Tribunale di Roma, 10 gennaio 2013 (si veda anche Trib. Torino, Sez IX, 12
maggio 2008 che ha ritenuto legittima l’opposizione alla commercializzazione in
caso di rimozione di codici identificativi dei prodotti in un caso in cui detta
apposizione era obbligatoria per legge).
Appare evidente, quindi, che i motivi che legittimano l’opposizione del titolare del
marchio non possono consistere nel mero fatto che la rivendita del prodotto
avviene con sistemi e condizioni diversi da quelli adottati dalla ricorrente in
accordo con i propri distributori o licenziatari.
L’art. 5 C.P.I. infatti è una norma di salvaguardia che consente al titolare del
marchio, anche quando abbia “consumato” i suoi diritti di esclusiva, di
intervenire per evitare che, in presenza di determinate condizioni, la privativa
possa subite a causa del comportamento del terzo, una diminuzione di attrattività
e di valore, non già per estendere in modo indebito e ingiustificato le condizioni
contrattuali pattuite con coloro che hanno scelto di esser distributori dei beni
contrassegnati dal marchio.
La ricorrente allega che, nel presente caso, il marchio sarebbe pregiudicato
dall’adozione del canale di vendita costituito dal sistema di commercio elettronico
che non risponderebbe, per definizione, agli standard qualitativi dei negozi
autorizzati, oltre che dalla vendita dei prodotti “ad un prezzo inferiore a quello
praticato dai distributori e, conseguentemente, nei punti di vendita autorizzati” e di
non essere pertanto “più nella condizione di poter controllare né lo standard
qualitativo richiesto al venditore, né le modalità della vendita, né il prezzo applicato
al cliente finale”.
Osserva il Tribunale che la vendita attraverso un sito internet, di per sé, non
costituisce un metodo screditante, essendo notorio che anche i prodotti di alta
gamma (in svariati settori) adottano questo sistema di vendita.
La parte ricorrente, del resto, non addebita alle resistenti specifiche
caratteristiche del sito che potrebbero riverberarsi negativamente sull’immagine
del prodotto e quindi del marchio.
La parte resistente ha inoltre eccepito e documentato che il medesimo canale di
vendita è adottato anche dai rivenditori di OYSTERSIN, ed ha prodotto la stampa
Si comunichi.
Torino, 9 luglio 2016
Il Giudice
dr. Maria Cristina Contini
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di alcuni siti internet che vendono prodotti a marchio Xerjoff (v. doc.4 di p.
resistente).
Non costituisce, evidentemente, giusto motivo di opposizione ex art. 5 C.P.I. il
differente prezzo al quale il prodotto viene proposto.
Infatti la parte ricorrente non può pretendere di imporre, sia pure indirettamente,
le condizioni di vendita oggetto di autonoma pattuizione contrattuale con i propri
rivenditori e, al contempo, la regola dell’esaurimento ha proprio lo scopo di evitare
che, attraverso l’esercizio del diritto di privativa, il titolare del marchio possa
influenzare l’andamento del mercato dei prodotti che sono contraddistinti dal
segno di cui è titolare.
Non sussiste, quindi il fumus boni juris in ordine alla pretesa della ricorrente di
far cessare la commercializzazione dei prodotti a marchio XERJOFF (o X) da parte
delle resistenti.
Le spese
Le spese, secondo il principio generale cui non vi sono qui ragioni per derogare,
seguono la soccombenza e devono essere pertanto poste a carico della parte
ricorrente.
Tali spese, in difetto di pattuizione tra la parte vittoriosa e il suo difensore, tenuto
conto del valore della controversia (valore indeterminabile scaglione medio) e degli
effetti della decisione, del numero e dell’importanza delle questioni trattate oltre
che del pregio dell’opera prestata si liquidano per il presente grado :
fase di studio €2.060;
fase introduttiva €978;
fase istruttoria €2.295
fase decisoria €1.416;
oltre a €967 per l’aumento del 20% di cui all’art. 4 comma 2 per la presenza di
più parti aventi la stessa posizione processuale;
e così in totale €5.802, oltre successive occorrende, rimborso forfetario in misura
del 15% ex art.2 DM n.55/2014, c.p.a. ex art. 11 legge 20 settembre 1980, n.576
e IVA se non detraibile dalla parte vittoriosa.
PER QUESTI MOTIVI
Il Tribunale
RIGETTA
Le richieste cautelari proposte da OYSTERSIN s.r.l.;
DICHIARA
Tenuta e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte resistente le spese
del presente procedimento liquidate in €5.8020, oltre successive occorrende,
rimborso forfetario in misura del 15% ex art.2 DM n.55/2014, c.p.a. ex art. 11
legge 20 settembre 1980, n.576 e IVA se non detraibile dalla parte vittoriosa.